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Autore: Sanae77    26/11/2015    10 recensioni
Sinapsi
si•nà•psi
1. In neurofisiologia, la connessione funzionale tra due cellule nervose o fra una cellula nervosa e l'organo periferico di reazione.

E se questa connessione avvenisse anche tra due persone?
Svegliarsi e non sapere dove si è collocati.
Non ricordare come ci si è arrivati.
Essere da soli, ma essere coscienti che di solito accanto a noi c’è un'altra persona, che però non c’è.
Un percorso particolare per scoprire la vita della coppia più famosa di CT.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Genzo Wakabayashi/Benji, Sanae Nakazawa/Patty Gatsby, Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Tsubasa
Ho già visto questo luogo.
Un argine del fiume, una palla che parte e colpisce il ragazzino sulla bicicletta, lui che cade nell’acqua e che crede di affogare. È lì, la prima volta che l’ho vista. Una bambina con tenuta da maschiaccio; la fascetta rossa in testa, un viso fiero e battagliero, mi ha subito incuriosito sin dal primo istante che l’ho notata.
Sono qua che sto osservando la scena che si compie di fronte ai miei occhi, è come se stessi vedendo il film della mia vita, poi qualcosa di indefinito al mio fianco, volto leggermente la testa: è Sanae!
“Quando Manabu mi ha detto che eri stato tu a colpirlo con la palla, stentavo a crederci Tsubasa. Mi sembravi così piccolo che non potevo immaginare, una tale potenza nelle tue gambe, la prima volta che i nostri occhi si sono incrociati, mi hai subito incuriosito, ho provato subito qualcosa per te, ero troppo piccola per capire, ma quello che realmente sentivo l’ho compreso soltanto dopo” espone lei continuando a fissare la scena che continua a svolgersi di fronte ai nostri occhi.
“Sanae, dove ci troviamo? Perché siamo vestiti così? Perché ci sono tutte queste porte? Perché ripercorriamo la nostra vita?” chiedo con una punta di angoscia e con una curiosità che mi corrode lo stomaco, sono preoccupato.
Si volta, il suo viso magnifico come illuminato, è davvero bella il mio amore, mi sorride dopo parla: “Non lo so Tsubasa.”
Improvvisamente si allontana da me, si gira, come a invitarmi a seguirla, mentre afferra la maniglia di una porta la apre e scompare al suo interno.
Corro per non perderla di vista, la porta è chiusa, tra le mani la maniglia che pare non cedere ma con un po’ di forza e insistenza riesco.
Finalmente passo dall’altro lato, un altro luogo, un altro posto che riconosco.
 
Un campo da calcio, io che palleggio e parlo da solo con il pallone, so perfettamente che cosa gli sto dicendo, gli sto chiedendo il massimo appoggio per la sfida che ho lanciato al più grande portiere che io abbia mai avuto l’onore d’incontrare, quello che poi è diventato uno dei miei più cari amici: Genzo!
Chissà che cosa hanno pensato i ragazzi di me che parlavo da solo con il mio migliore amico? Lei ancora al mio fianco.
“Eri buffo Tsubasa, così minuto, ma dallo sguardo fiero, il tuo parlare con la tua adorata sfera, il tuo palleggiare. Mi hai come ipnotizzata, ti guardavo, e più ti osservavo e più m’incuriosiva il tuo modo di fare. La tua sicurezza, la tua padronanza, il coraggio nello sfidare quello spocchioso di Wakabayashi, insomma eri strano” mi dichiara.
“Già, invece io ho sempre pensato: che cosa ci fa una bambina da sola con tutti questi ragazzi? Vestita da maschio e con uno sguardo deciso? Anche tu in versione Anego mi hai sempre incuriosito” ammetto guardandola di sottecchi.
Restiamo come due spettatori a osservare la scena che si compie, io che sorrido e parto, riesco a percepire nettamente ancora le sensazioni provate in quell’istante. Sento l’adrenalina che mi scorre nelle vene come in quell’esatto momento, in cui, uno dopo l’altro, ho eluso tutti gli avversari che Genzo mi ha messo come prova prima di arrivare a lui.
Lui lo vedo come il dolce proibito, la sfida impossibile, la ciliegia in alto sulla torta, devo riuscire a batterlo e ogni giocatore che affronto, che supero, è una barriera che abbatto.
Uno dopo l’altro li affronto, li sorpasso e arrivo a lui, parte il primo tiro, ma niente, non riesco, poi qualcuno rimette la palla in gioco e io compio il mio dovere, il mio destino, quello di fare goal a lui e che mi consentirà, con lui, di giocare per il nostro paese. Quel tiro che mi ha concesso di far parte della nazionale giapponese. A quei giorni non sapevo che quello era solo l’inizio della mia brillante carriera.
Mi volto e a bordo campo sempre lei che mi guarda orgogliosa.
Cerco Sanae al mio fianco, ma è scomparsa, guardo a destra e a sinistra, ma non la vedo, in lontananza un'altra porta, che lentamente si sta chiudendo, mi alzo di scatto e inizio a correre per raggiungerla, questa però sembra più lontana delle altre, i miei muscoli si tendono mentre affretto il passo per avvicinarmi, ho come l’impressione che si stia allontanando da me.
Corro, non provo fatica, come sempre sono instancabile, arrivo alla barriera la spalanco velocemente e passo dall’altro lato.
Lo stesso corridoio dove sono entrato attraverso la prima porta che ho imboccato dopo aver visto Sanae.
Le luci bluastre infastidiscono i miei occhi, la cerco, mi giro osservo, ma non la scorgo, poi in fondo al corridoio un movimento, dei candidi veli che volteggiano per poi scomparire dietro l’angolo, corro un'altra volta a perdifiato, svolto a sinistra di fronte a me subito una parete, mi appoggio con le mani per non sbatterci contro e svolto ancora nella stessa direzione seguendo lo stretto corridoio, lei in fondo come una dea, mi soffermo, si volta: è eterea!
Sorride, si è fermata, afferra la maniglia e apre un'altra porta. Allungo velocemente il passo per raggiungerla spingo la barriera che ancora non si è completamente richiusa ed entro.
 
 
Sanae
Lui mi segue, mentre apro una nuova porta, e vedo me stessa bambina che cuce l’adorata bandiera simbolo del nostro primo contatto. Lui arriva alle mie spalle, non mi tocca, lo sento però parlare: “Ti sei impegnata tanto per quella bandiera, è semplicemente stupenda” sussurra al mio fianco adesso.
“Già, non avevo pensato di farla così grande, in realtà, facevo addirittura fatica a tenerla in mano e sventolarla, ma era venuta così bene che non ho mai pensato di ridurla e – mi volto per fissarlo negli occhi – quando dopo la partita sei venuto sotto gli spalti per ringraziarmi, ti ho visto arrossire e portarti la mano ai capelli, sei così tenero quando compi quel gesto Tsubasa, il mio cuore è esploso di gioia, credo di essere arrossita pure io in quell’istante”
 
Ricordo
La partita, l’adrenalina, la vittoria, lui che lascia perdere tutto e tutti e arriva vicino a me. Sono in alto rispetto a lui sugli spalti, s’inchina e mi ringrazia per il mio sostegno, e io esplodo, sento il fuoco ardere sulle mie gote, tanto da farmi portare le mani alla faccia, per timore che si possa vedere.
È arrivato qua solo da pochissimi giorni, ma il mio cuore ogni volta che lo vede non fa altro che perdere battiti importanti, credo che potrei morire, se continua a guardarmi e a ringraziami così. Inoltre, ha apprezzato la bandiera che con tanta fatica ho cucito per lui.
 
“Sì, Manager sei decisamente arrossita” sorride, è bellissimo. Mi afferra una mano e la porta al suo cuore, dopo esclama: “Senti il mio cuore batte ancora per te come quel giorno” un tum tum flebile viene da sotto la stoffa dove è posata la mia mano. Chiudo gli occhi e assaporo il suo ritmo, la sua vita, il suo amore. Il luogo intorno a noi inizia a girare; la scena cambia mentre la mia mente vaga ancora tra i ricordi.
 
Ricordo
… che fatica tutte queste divise, ho la cesta dei panni sporchi tra le mani quando improvvisamente ne avverto la leggerezza, alzo lo sguardo e incontro quello del Capitano. “Ti aiuto, fai sempre così tanto per noi”, involontariamente le nostre mani si sono sfiorate, entrambi arrossiamo, ho ritratto la mano come se avessi toccato il fuoco.
In quel momento la sua mano mi sembrava fuoco, per l’esattezza.
“Grazie, stavo andando alla lavanderia” esclamo.
“Allora lascia che ti aiuti a portare questo peso, ti accompagno” mi risponde.
Ed è così che, ogni volta che poteva, il Capitano mi aiutava a portare i panni in lavanderia …
 
… campo da calcio pausa degli allenamenti, sono tutti seduti a terra prendo le salviette e inizio a distribuirle, ovviamente la prima la riservo a lui. Ryo come sempre mi prende in giro: “Manager, cosa sono questi favoritismi eh?! Lui è sempre il primo, va beh che è il Capitano, ma quando lo ero io non mi trattavi così, allora che c’è sotto?” sghignazza divertito.
“Piantala Ryo” dico tirando la salvietta sul suo volto. Mi volto stizzita e vedo Tsubasa rosso come un peperone appena i nostri sguardi s’incrociano volge gli occhi a terra. È troppo carino, arrossisco anch’io e mi volto per non essere vista…
 
… corridoio della scuola, corro con i libri in mano arrivo all’angolo e sbatto contro una mia compagna, ovviamente quello che ho in mano cade al suolo, quindi mi chino a raccogliere i libri. Mentre sto prendendo tutto un'ombra mi sovrasta… dopo dolcemente parla: “Aspetta ti aiuto” è il Capitano lo riconosco dalla voce. Sollevo la testa e lo guardo mentre invece lui si china, abbiamo scelto i tempi sbagliati perché adesso i nostri volti sono pericolosamente vicini, lui avvampa, io discosto il volto e cado indietro, finendo miseramente con il sedere a terra.
Ci guardiamo e, dopo un secondo, scoppiamo a ridere, raccogliamo gli oggetti caduti e più volte le nostre mani si sfiorano, ma le lasciamo fare, consapevoli del fatto che questo contatto fugace sia bellissimo.
Si solleva e tende la sua mano verso di me, io l’afferro, è calda, salda, sicura, verrò con te ovunque Ozora, penso tra me, mentre mi aiuta a tornare in piedi…
 
… poi un giorno è arrivato quello strano ragazzino, che nel bel mezzo di una partita, come piovuto dal cielo, ha iniziato a giocare nella nostra squadra. Ryo aveva subito un infortunio durante la partita con Genzo e lui dal nulla lo aveva sostituito, facendo capire immediatamente a tutti, la sua classe innata.
Taro. Dolce, timido, riservato, sempre con il sorriso sulle labbra, e con la stessa grande, immensa, passione per il pallone.
Un bravo ragazzo che da quel giorno in avanti è sempre stato al fianco di Tsubasa, il loro gioco perfetto, millimetrico, un’intesa profonda, viscerale.
Nessuno è mai riuscito a eguagliare l’artista del campo nel gioco con Tsubasa.
Quando la Golden Combi entra in campo, nessuno ha più scampo. Loro giocano e si divertono, loro amano il calcio e ne hanno bisogno come l’aria che respirano.
Ed è proprio grazie a questo che ne è nata una profonda amicizia. Che si è protratta nel futuro…
 
Finalmente tutto si ferma e compare una strada, Ryo che rincorre Tsubasa e noi due che ci salutiamo mentre lui scappa, siamo più grandi, più cresciuti, siamo alle medie, un anno dopo è partito per il Brasile. “Eri molto più femminile dopo le elementari” afferma lui con la mia mano ancora sul cuore, mentre annuisco e sento anche salire calore alle guance, si avvicina “Ti ho mai detto che sei molto carina quando arrossisci?”.
 
Ricordo
… la punizione, siamo stati bloccati un intero pomeriggio in classe a fare compiti extra, per colpa di un ritardo mattutino. Io, per aver perso tempo con le divise, Tsubasa, per aver fatto tardi in infermeria; come al solito ieri durante una partita ha fatto una rovesciata e cadendo ha sbattuto la medesima spalla.
Con noi anche il professore, guardo più volte Tsubasa, che fuori dalla finestra osserva gli altri giocare, tra le sue gambe il suo adorato pallone, lo sta muovendo avanti e indietro, lo vedo che non ne può più, ma il rigore della nostra scuola non ci permette di fare altrimenti, dobbiamo sottostare al volere del professore.
Improvvisamente arriva il custode che parla al nostro carceriere, annuisce abbassa gli occhiali e dopo ci richiama all’ordine “Ozora, Nakazawa, devo andare dal preside, voi invece finite i compiti che vi ho assegnato, alle 17 potete alzarvi e andare a casa, controllerà il custode che non bariate sull’orario, quindi, prima di uscire, passate ad avvisarlo che andate via; così domani potrà riferire se siete stati ligi al dovere, - c’è un attimo di pausa – e che non si ripeta più un ritardo del genere… siamo intesti?!”
Ci alziamo entrambi in segno di rispetto e annuiamo all’unisono, e dopo lo salutiamo con un inchino.
Appena fuori sento sbuffare Tsubasa, mi scappa da ridere. “Ti faccio ridere Manager?” chiede incuriosito.
“Un po’ sì, non ho capito se sei più dispiaciuto di dover fare i compiti, oppure di saltare l’allenamento” dico prendendolo un po’ in giro, visto che, il pallone è la sua vita.
Porta la mano dietro la testa, quanto amerò quel gesto!? Amerò? Ma che cosa vado pensando, sento caldo alle guance.
“A proposito, mi sono distratto posso copiare i tuoi compiti?” Ammette imbarazzato.
“Immaginavo” rispondo facendo scivolare il quaderno lungo il banco, lui allunga la mano e le nostre mani si sfiorano, solleviamo lo sguardo incrociandoci, mentre sento le mie guance andare a fuoco, e osservo le sue che non sono da meno. Non ritiriamo le mani, mentre lui con gli occhi puntati nei miei mormora un flebile: “Grazie”. La prima volta che ho visto il suo rossore così da vicino è stato proprio in quell’occasione…
 
Con la mano metto una ciocca di capelli dietro l’orecchio, mentre una sua accarezza la mia guancia. “Ero felice di vederti tutte le mattine” continua. Annuisco mentre prosegue nel medesimo gesto.
Punto le mani al suo petto e mi discosto, perché ho visto un’altra porta dietro alle sue spalle: è come se mi stesse chiamando, intreccio la mia mano con la sua e lo trascino in direzione di questa. La varchiamo e vedo, noi dal medico dopo l’infortunio in campo, lui non sa quanto quel giorno avrei voluto passeggiare insieme, come tutti gli altri al parco…
Ma anche in quell’occasione il calcio ha preso il sopravvento ed è fuggito via da me per andare a vedere la partita, davvero aveva solo il calcio in testa o per lo meno così io pensavo invece poi… la scena cambia nuovamente.
   
 
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