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Autore: yesditadipolvereworld    26/11/2015    0 recensioni
Pensavi di potermi scappare?- mi disse guardandomi con i suoi bei occhi verdi.
-Si.- risposi.
Era bellissimo, non di quella bellezza convenzionale, ma era attraente e muscoloso come un dio greco.
-Peccato- aggiunse -che tu sei mia- e dicendo questo mi baciò con passione-
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo
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Per la seconda volta in vita mia mi trovai a fare una scelta.

Il vento freddo mi scompigliava i capelli, i miei vestiti ondeggiavano al vento, mi lacrimavano gli occhi e non riuscivo a tenerli ben aperti, eppure, se spostavo lo sguardo verso giù riuscivo a vedere le onde che si infrangevano contro gli scogli. Rabbrividì e mi girai verso i miei amici.

- Ma avete veramente intenzione di buttarvi da quassù?- urlai sopra il ruggito del vento.

-Ovvio- rispose Stefano sorridendo -hai paura?-

-Certo che no!- sbottai.

Mi faceva andare su tutte le furie, fra quelli della compagnia era la persona che più mi faceva andare in bestia, cacciava fuori la parte di me che non conosceva nessuno, la Roberta sfacciata e insolente.

Gli altri si stavano già levando gli occhiali da sole, le scarpe e qualsiasi altra cosa avrebbero potuto perdere nel lancio.

Era un bel giorno di inizio estate, almeno per noi lo era, contando che avevamo di comune accordo marinato la scuola per andare tutti al mare.

Appunto "mare", non questo.

A metà mattina quando eravamo arrivati sulla spiaggia il tempo era già totalmente cambiato, il sole che prima ci accarezzava la pelle e ci prometteva una giornata all'insegna del mare e del divertimento era scomparso ed al suo posto erano comparse grandi nuvole nere. Brutto segno.

Mi girai di nuovo a guardare lo scoglio, certo che era un bel tuffo da lì.
-Maledetto Stefano- borbottai fra me e me e con un balzo mi tuffai nell' acqua gelida.

All'inizio sentì solo il vento che mi avvolgeva tutto il corpo, come un vortice e poi l'impatto.

Senti un dolore forte alla schiena, intorno a me sentivo tante correnti che mi spingevano di qua e di là.

Allungai le mani e pian piano risalì a galla.

Presi un lunghissimo respiro e riempì i polmoni di aria. 
-Adesso tocca a voi- urlai e tutti quanti si lanciarono fra urla e schizzi.

Eravamo fatti così, giovani, ribelli, incoscienti, non ci interessava il passato e neanche il futuro, vedevamo soltanto il presente e ce lo vivevamo alla meglio.

Mi sentì afferrare da dietro, mi girai e vidi Stefano che mi sorrideva, io ricambiai il sorriso e poi mi buttò sott' acqua. Bastardo.

Uscì in superficie pronta a dargli la stessa lezione ma era già arrivato a riva.

Raggiunsi a nuoto la riva anch'io, colsi un po' di sabbia e nascosi la mano dietro la schiena.

- Ahah molto divertente- gli dissi avvicinandomi.

- Che c'è Roberta? Vuoi un altro tuffo per schiarirti le idee? -disse Stefano sghignazzando.

-No- risposi. - In realtà volevo chiederti un consiglio. - Stefano si asciugò i capelli con l'asciugamano.

-E sarebbe?-
-Questo!- e gli buttai la sabbia addosso.

-Ma che...- disse Stefano togliendosi la sabbia dai capelli stupito.

-Comincia a correre!-urlò e si lanciò all'inseguimento.

Io ridendo correvo più che potevo e insieme cademmo sulla sabbia.

Mi prese per la vita e mi attirò ancora di più a sè.

-Pensavi di potermi scappare?- mi disse guardandomi con i suoi bei occhi verdi.

-Si.- risposi.

Era bellissimo, non di quella bellezza convenzionale, ma era attraente e muscoloso come un dio greco.

-Peccato- aggiunse -che tu sei mia- e dicendo questo mi baciò con passione.

Il suo bacio sapeva di sale, sentivo il suo corpo sul mio e ,all'improvviso, ebbi di nuovo la sensazione che quella fosse una bella giornata contando il tempo e tutto.

-Ehi voi due, smettetela di sbaciucchiarvi e venite a mangiare!- ci chiamò Sara -Che se nò, Luca qui si mangia tutto.-.

Luca sentendosi chiamare in causa iniziò a protestare, ma Sara ,in fin dei conti, non aveva tutti i torti.

Mangiava di tutto.

-Allora che facciamo, li raggiungiamo?-disse Stefano scostandomi una ciocca dalla faccia.

Lo spinsi sotto e mi misi sopra e gli sussurai -Beh non lo so, potremmo restare qui- e lo baciai.

-Finiti i panini!-ci urlò Sara - e adesso anche le mozzarelle. Cristo Santo Luca, ma quanto mangi!-.

Ci alzammo dalla sabbia e corremmo verso gli altri.

Eravamo veramente affamati, in quel momento avrei mangiato di tutto.

Presi la parmigiana che era rimasta e la mangiai tutta in un sol boccone.

-Certo che ce ne avete messo di tempo voi due!- disse Marco -Pensavo non sareste più venuti, qui Luca pregustava di mangiarsi tutto-

Scoppiammo tutti a ridere.

-Ragazzi adesso basta, ve l'ho già detto migliaia di volte che ho un appetito normale. Capito? Normale! Lo dice pure mia madre.- ribatté Luca.

-Appunto, tua madre.- sottolineò Giulia.
-Gente vi voglio parlare di un'altra cosa oggi, domani ci sarà una festaaa- disse Marco eccitato -Ho già visto tutto per i biglietti, privè, alcol e tutto il resto.-

Stefano diede una pacca a Marco.

-Ma dai amico, facciamo come al solito no? Entriamo gratis-

-Gratis? Come l'altra volta? Guarda che c'hanno quasi beccato-.

-Appunto amico, quasi- disse Stefano facendogli l'occhiolino e scoppiammo tutti a ridere.

Passammo il resto della giornata a scherzare e a parlare, a giocare a palla ed ,alla fine, raccogliemmo tutto e ci ritirammo tutti alla macchina.

Luca sbadigliando.
-Certo che è stata proprio una giornata distruttiva-.

-Non me lo dire a me Luca, qui mi tocca guidare- disse Marco che era l'unico in condizioni di farlo.

Giulia e Sara erano rimaste troppo tempo al sole, che nel frattempo era tornato, e si erano scottate tutte quante tanto da lamentarsi ad ogni minimo movimento, chissà come avrebbero giustificato la nuova abbronzatura ai genitori.

Luca ,per conto suo, era troppo appesantito dal pranzo per guidare ed io e Stefano, beh eravamo troppo impegnati a stare insieme.

-La prossima volta-aggiunse stizzito Marco -ci veniamo in pullman qui-e ridendo salimmo tutti in macchina.

Erano le sei quando tornai finalmente a casa, Stefano mi salutò con un bacio ed io scesi dall'auto.

CAPITOLO 1
4 Novembre 2014 (sei mesi dopo)

Aprì la porta di casa con le chiavi di riserva nascoste dentro il vaso ed entrai. -Ciao mamma- urlai nel corridoio.

Da lontano si sentivano rumori di pentole sbattute.

-Ciao tesoro, com'è andata a ripetizione ?-

Presi un biscotto e la baciai sulla guancia .

-Tutto bene, solita storia, quello stronzo del professore si ostina a spiegare le stesse cose tanto non le capisco.-

Mia madre prese un panno e si pulì le mani.

-Devi fare del tuo meglio, lo sai questo Roberta, vero?-mi disse -Devi prendere la borsa di studio quest'anno, l'anno scorso beh sappiamo com'è andata.-

Vedete, era questo che mi faceva infuriare con lei, il fatto che rinfacciava sempre le cose, stava lì a ricordarmi ogni mio errore e a dirmi che qualunque cosa io possa fare non sarò mai all'altezza.

Sarò sempre la sua più grande delusione.

Alcune notti quando sto nel letto aspettando di addormentarmi penso che sarebbe meglio farla finita, non disturbare più nessuno, non provocare più dolore e non provare più nulla.

Non sono una ragazza forte, o forse prima lo ero, oppure non lo sono mai stata, forse era soltanto tutta una facciata.

Non penso ci sia più nulla che mi attacchi alla vita adesso, niente per cui vale la pena lottare

.-Si,lo so-dissi -non c'è bisogno di ricordarmelo sempre, grazie mamma-

Lei si avvicinò e mi prese il viso fra le mani.

-Beh cara, qualcuno deve pur farlo, chi ha risolto tutti i tuoi casini?-

-Tu- risposi.

-E chi si è presa cura di te in tutto questo tempo?-

-Tu-risposi di nuovo.

-Perfetto cara, ricordatelo-disse mia madre dandomi un leggero schiaffetto sulla guancia e girandosi, riprendendo a cucinare.

Come se la conversazione non ci fosse mai stata, come se aveva detto tutto quello che c'era da dire.

Era un congedo.

Andai in camera e mi gettai sul letto esausta, allargai le braccia sul letto e fissai il soffitto, i ricordi che mi ritornavano alla mente.

Stefano mi strinse di più fra le sue braccia ed avvicinò il suo viso al mio collo. Era bello stare sdraiata così, fra le sue braccia, sentendomi sicura e protetta.

È una sensazione che non dimenticherò mai più.

-I tuoi capelli profumano di pesca- mi sussurrò all'orecchio con la sua voce roca.

- Miracoli dello shampoo-dissi, girandomi verso di lui, guardandolo negli occhi sorridendo.

Stefano rise e mi baciò teneramente.

-Beh, magari possiamo farci uno shampoo insieme, che ne dici?-

Sorrisi e corsi subito in bagno con Stefano alle calcagna.

Presi un asciugamano e glielo tirai addosso, lui lo schivò e mi spinse dentro la doccia e fece partire l'acqua. 
-È fredda! Chiudi!-urlai.

Ero tutta bagnata e per di più con tutti i vestiti addosso.

-Dici prima "per favore"- rispose Stefano ridendo.

-Neanche morta!- urlai con le braccia incrociate.

-E va bene, mi tocca entrare dentro per insegnare le buone maniere a questa monella- disse Stefano entrando nella doccia con me.

Vidi la mensola per lo shampoo nella doccia e presi una boccetta.

Stefano si fece avanti e lo baciai e quando fui sicura che non stesse guardando in alto gli rovesciai tutto il contenuto della boccetta in testa ed uscì dalla doccia correndo.

-Ma cosa...? Robeeeertaa-urlò Stefano arrabbiato.

-Buono shampoo scemo-.

Presi la borsa e come un fulmine uscì dal suo appartamento ridendo a più non posso.

Le situazioni fra noi ,a volte, erano davvero comiche.

Mi svegliai, la luce filtrava dalle tapparelle e mi bruciava gli occhi, feci alcuni versi e mi girai dall'altra parte.

-Roberta, la colazione è pronta-urlò mia madre dalla cucina.

Mi alzai lentamente dal letto, cercando di mettere insieme qualche pensiero con un senso logico, ma appena sveglia mi è praticamente impossibile, l'unica cosa che voglio è essere lasciata in pace.

-Roberta, è tardi, devi andare a scuola!
È il tuo primo giorno, mica vorrai arrivare in ritardo?- urlò di nuovo.

Oh ma certo, la scuola.

La mia nuova scuola.

Scesi giù in cucina e presi un po' di latte con i cereali.

-Buongiorno tesoro- cinguettò mia madre.

Come risposta feci qualche verso e mi buttai sulla colazione.

Normalmente avrei organizzato tutto per il mio primo giorno di scuola, con una settimana d'anticipo almeno, ma quest'anno era diverso, era tutto cambiato e la vecchia me non c'era più, non c'era più...

Avrei voluto ,qualche volta, che non ci fosse stato anche tutto il resto, così adesso sarei una ragazza come le altre, con i loro dubbi, le loro insicurezze.

Misi un jeans chiaro stretto, un cardigan azzurro sopra, scarpe converse blu, mi spazzolai i capelli lunghi mossi marroni, presi la borsa e tutto e mi diressi a scuola, non senza però le solite raccomandazioni di mia madre.

La EockyFields era una delle scuole più frequentate di tutta la città, ci andavano principalmente le persone che abitavano in centro, ma ogni mattina venivano pullman e pullman da paesi anche remoti.

Era la migliore.

Si presentava come una costruzione interamente gialla.

Aveva un campo da calcio, da corsa, le piscine, la mensa ed un teatro, era un liceo tipico americano.

Guardai con odio la costruzione.

Trovai per puro miracolo la mia classe, ero in ritardo di mezz'ora ,merda. Bussai e sentì una voce che mi diceva di entrare.

La classe era già tutta piena, alcune persone alzarono la testa dagli appunti, il professore aveva ancora il gessetto in mano, sembravo essere entrata nel bel mezzo della lezione.

Cavoli,nella mia vecchia scuola la prima ora era un optional. -Tu, fammi controllare un momento- il professore prese il registro e scorse l'elenco con il dito .

-Ecco, Roberta Cavalli. Primo giorno di scuola e già in ritardo?-

Adesso mi stava osservando tutta la classe.

-Mi scusi, non avevo intenzione di arrivare tardi- risposi con tutta la calma possibile.

-Va bene Cavalli, per oggi può passare, basta che non ricapiti più, almeno non nella mia ora- disse il professore posando il registro.

-Certamente-

Mi affrettai a sedermi nel primo banco libero che trovai.

Merda, stavo nei primi banchi.

Ecco il punto di vista di noi ragazzi, stare al primo banco significa interrogazione sicura, questionario sulla tua vita sicura da parte dei professori e ,ancora peggio, significa essere dei secchioni.

Sedersi agli ultimi banchi significa ,invece, attirare l'attenzione perché appunto cerchi di non attirarla, occhiate di fuoco da parte dei professori e degli altri studenti che vorrebbero il tuo posto.

Non so fra le due qual è la migliore.

I banchi del centro sono perfetti, nè poco nè troppo, sono la via di fuga perfetta.

In qualunque caso però già avevo attirato l'attenzione, non mi poteva andare peggio.

-Bene signori, riprendiamo, allora stavo dicendo che la pressione esercitata...-Presi un bloc-notes dalla borsa e la mia matita preferita tutta mangiucchiata ed iniziai a prendere appunti, quando mi sentì osservata da dietro.

Lentamente mi girai e riuscì a vedere un ragazzo biondo seduto all'ultimo banco che mi guardava prima di girare la testa da un'altra parte facendo finta di nulla. --Cavalli!- mi richiamò il professore, io imbarazzata girai la testa avanti -Ehm si, eccomi-

Questa giornata andava di bene in peggio.

-Stavo giusto illustrando ai tuoi compagni che quest'anno per la prima volta farete le vostre relazioni a coppie, andiamo per ordine alfabetico- ed iniziò ad elencare vari nomi e formare varie coppie mentre le persone nominate cambiavano di posto e si sedevano vicino al proprio compagno, fino ad arrivare a -Cavalli Roberta e Coscia Alessandro-

Alzai gli occhi dagli appunti e mi ritrovai seduto accanto il ragazzo biondo che avevo visto prima.

Si sedette sulla sedia e mi disse
-Piacere Alessandro- allungando la mano.

Ero pronta a salutarlo quando notai una cosa.

Ero impietrita, non poteva essere, non poteva essere.

-Ehm, va bene si vede che le strette di mano non sono il tuo forte-disse ritirando la mano.

-Piacere di conoscerti comunque- aggiunse e si girò dall'altra parte.

Io come una cretina stavo ancora girata nella stessa posizione di prima, con la stessa faccia sconvolta.

Non riuscivo a crederci. 

-Ecco il compito che dovete svolgere per questa settimana- stava dicendo il professore .

-Mi aspetto da parte vostra la massima puntualità e collaborazione-

Un ragazzo alzò la mano esitante.

-No, signor Bratta! Non si può lavorare in coppia con sua madre!- disse il professore anticipando la sua domanda.

Il ragazzo abbassò la mano ,con un sospiro, deluso.

-Per oggi è tutto ragazzi, ci vediamo alla prossima lezione- concluse il professore.

Raccolse le sue carte e se ne andò.

È strabiliante il modo in cui i professori alla fine delle lezioni lasciano la classe prima di te.

Ad ogni modo, presi la mia borsa e feci per uscire dall'aula quando qualcuno mi chiamò.

Qualcuno di indesiderato.

Alessandro mi raggiunse e mi porse dei fogli.

- Questi sono gli appunti, dobbiamo organizzarci per lavorare sul compito, magari domani?-

Lo guardai esitante, cercando di non guardarlo in faccia, evitando i suoi occhi. -Facciamo così piuttosto, io lavoro alla mia parte e tu alla tua- e me ne andai lasciandolo ancora lì, con le carte in mano.

Non sapevo se sarei riuscita a sopravvivere a quel giorno. I suoi occhi...I suoi occhi assomigliavano a quelli di Stefano.

Capitolo 2

Uscì illesa dalle altre quattro ore di lezione e mi diressi verso il mio armadietto quando vi trovai un ragazzo davanti.

-Scusami, dovrei andare al mio armadietto- dissi indicandolo con un sorriso di circostanza. Il ragazzo fece un salto indietro .

-Ah, scusami tu- disse spostandosi di lato -Volevo soltanto presentarmi e dirti che ,se vuoi, sarò la tua guida, sai ci si perde qui- disse indicando con un gesto del dito tutta la scuola.

-Grazie, sei molto gentile- dissi e allungai la mano .

-Piacere Roberta-
Il ragazzo divenne tutto rosso.

-Ah già il nome, mi ero dimenticato, piacere Mattia -disse stringendomela e muovendola sopra e sotto più e più volte.

Con un sorriso incerto lasciai la presa e gli sorrisi.Mattia continuava ad osservarmi con il suo sorriso idiota, ero un po' incerta...

- Ah già, la visita!-

Tirai un sospiro di sollievo, finalmente aveva capito. Lo seguì per i meandri dei corridoi, mentre passavamo Mattia salutava molta gente con batti cinque e battute divertenti.

Raggiungemmo, finalmente, la mensa.

-Ecco qua signorina, il ristorante a cinque stelle migliore della città- disse con un inchino,come un vecchio maggiordomo, facendomi segno di entrare. Ristorante a cinque stelle era per dire.

La carne non si sapeva esattamente cosa era e la pasta sembrava non aver mai conosciuto la parola "acqua".

Lo sapevo che questa scuola era una fregatura.

Mi guardai intorno in cerca di un posto dove sedermi, cercai con gli occhi Alessandro in modo che mi sarei messa dalla parte opposta a quella in cui si trovava, ma non lo vidi.

Che strano, si deve pur mangiare da qualche parte,no?

Per fortuna, arrivò Mattia che mi risvegliò dai miei pensieri e mi portò in giardino. Ma certo c'erano un sacco di ragazzi seduti a mangiare sotto l'ombra di un albero all'aria aperta.

Come mai non mi era venuto in mente? Sarà perché alla vecchia scuola non esisteva neanche un giardino.

Neanche lì ,però, non c'era nessun segno di Alessandro. Perfetto.
Con il sorriso sulle labbra mi sedetti sull'erba ed appoggiai il vassoio sulle gambe incrociate.

-Comunque stavo dicendo che stasera ci sarà un festa- disse Mattia guardandomi.

Il sorriso mi scomparve dal volto.

-Come scusa?- chiesi.

No,no,no, fa che ho sentito male.

-Una festa-ripetè Mattia guardandomi -sai quel posto dove i ragazzi si incontrano e fanno bordello-

Ma che definizione, a parte il fatto che io sapevo che alcune feste ,a volte, non finivano soltanto con il bordello, finivano molto peggio.

-Non penso che verrò- dissi facendo l'indifferente.

Non avevo partecipato ad altre feste dall'ultima volta...

-Cosa?- disse Mattia sorpreso.

Mai nessuno nella storia di quella scuola aveva rifiutato l'idea di andare ad una festa.

-Ehm ok, se per te va bene così...- disse dopo avermi guardato.

Che avesse notato qualcosa?

No, come poteva, ero diventata brava a costruirmi muri, una facciata da indifferente negli ultimi sei mesi, forse era solo un'impressione sbagliata, eppure...

-Scusami, ma devo andare in bagno- dissi tutto d'un tratto.

Lasciai il vassoio lì con Mattia che mi guardava stupito con ancora il cucchiaio in bocca e corsi via. Raggiunsi i bagni e mi chiusi dentro, mi appoggiai sul water e misi le mani sul viso. Non ce la facevo più, ogni dannata cosa mi ricordava episodi della mia vita precedente e non potevo più sopportarlo ma i ricordi ritornarono forti, come se fosse stato ieri ed io mi ritrovai a piangere.

Quella sarebbe stata la serata più bella della mia vita, era la festa di fine anno. Avevo un bel vestito lungo nero, con uno spacco dietro , un misto di pizzi e trasparenze.

Mi spazzolai i capelli, controllai che i denti fossero lavati bene e provai i tacchi. Che dolore! Non ero abituata a quei trampoli.

Maledii mia madre che mi aveva convinta ad indossarli e la commessa che aveva detto che mi sarebbero stati benissimo.

Stronzate.

Diedi gli ultimi ritocchi al trucco, un po' di profumo ed ecco, ero pronta.

Controllai che l'imbottitura sotto le coperte fosse ben nascosta ed avesse una forma vagamente umana.

Perfetto, mia madre avrebbe pensato che stavo ancora dormendo.

Due ore prima le avevo detto che ero troppo stanca per la giornata passata che andavo a dormire e che non volevo essere per nessun motivo disturbata.

Almeno avevo avuto il tempo di imbottire il letto, non si sa mai con i genitori, specialmente mia madre, possono diventare maledettamente sospettosi.

Sentii un rumore.

Era il verso di un uccello, ma non di uno qualunque era il verso di una gazza.

Il segnale.

Lanciai le scarpe in una borsa fuori dalla finestra che atterrarono nel giardino.

Adesso toccava a me, avevo posizionato questo pomeriggio prima di entrare in casa una scala sotto la mia finestra, speravo avrebbe retto.

Posizionai un piede sul primo scalino e cercando di non chiudere gli occhi ed iniziare a pregare Dio, inizia a scendere.

Ero arrivata al terz'ultimo scalino quando il mio abito si impigliò.

Cercai di liberarlo con le mani ma dovevo mantenere la scala e mi sarei sbilanciata troppo.

C'era un'unica cosa da fare. Addio bel vestito.

Strattonai il vestito e scesi l'ultimo scalino.

Magnifico, adesso era diventato un bel abito corto, più o meno.

Raccolsi la borsa, indossai i tacchi e mi incamminai alla fine della strada.

> mi disse Stefano nella macchina.

> risposi sedendomi dal lato del passeggero.

> rispose Stefano ridendo >.

Adesso non la smetteva più di ridere, divenni tutta rossa e stizzita incrocia le braccia e non gli rivolsi la parola per metà viaggio nonostante i suoi tentativi di dirmi che ,almeno,ero molto originale ,ridendo sempre.

Dovevo ammettere però che la situazione era molto divertente e ben presto iniziai a ridere anche io.

Accesi lo stereo ed iniziammo a cantare stonati una canzone dei Rolling Stones.

"All I hear is doom and gloom.But when those drums go boom boom boom, Through the night your face I see, Baby won't you dance with me!"

Stavamo insieme, il resto non contava.

Scendemmo dalla macchina e ci ritrovammo in un posto magnifico, davanti a noi si estendeva un prato verde grandissimo, con un grande fuoco al centro.

Stefano prese la mia mano ed io gli sorrisi.

Persino da lontano si sentiva la voce di Luca che si lamentava per la poca quantità di cibo e di Marco che imprecava per la fatica di portare le bottiglie di alcolici.

Sara e Giulia stavano poggiando per terra degli asciugamani.

Ma che fine aveva fatto il ballo della scuola? Guardai Stefano interrogativa che si dirigeva verso gli altri.

> ci salutò Marco mantenendo i cartoni di birra.

>.

Stefano mi guardò e poi si girò verso Luca.

>.

Luca deluso lasciò perdere i panini alla nutella ed andò ad aiutare Marco protestando.



Stefano si girò a guardarmi negli occhi e rispose >ribatté.

Mi strinse la mano.

> mi sussurrò e mi portò lontano dagli altri.

Raggiungemmo un vecchio albero sulla collina, la luna piena si vedeva alta nel cielo, era una di quelle serate che difficilmente se ne perde il ricordo.

Per tutto il tragitto non gli avevo detto niente, mi ero tenuta tutte le mille domande dentro, adesso quelle stesse domande volevano avere una risposta.

> gli chiesi guardandolo negli occhi, era proprio bello quella sera,anzi lo era sempre.

Non avevo mai conosciuto una persona come lui, mai in tutta la mia vita e ,forse, non la conoscerò più.

> disse indicando il posto >.

Aveva ragione, era mille volte meglio.

Mi attirò a sè e mi baciò sul collo.

> mi sussurrò.

Avevo i brividi in tutto il corpo, avevo voglia di attirarlo a me ancora di più, di baciarlo e di passargli le mani fra i capelli.

Non sapevo cosa dire, non potevo fare altro che guardarlo e sperare che capisse. Capisse quanto l'amavo.

Mi tolse dalla faccia una ciocca di capelli e me la mise dietro l'orecchio.

> mi disse.

Il mio cuore si bloccò, non riuscivo a respirare, non riuscivo a pensare.

> e mi baciò, mi baciò come non mai.

Le miei mani cercavano lui, il suo viso, il suo corpo.

Non avevo mai provato una cosa del genere. Poi un pensiero mi gelò il sangue.

Non potevo dirgli "ti amo", non potevo. Non ero ancora pronta.

Stefano mi guardò.

<< Se non te la senti di dirlo adesso, non farlo. Mi hai capito?>> disse prendendomi il volto fra le mani .

>. 

Alzai il viso e mi guardai le mani. Erano tutte bagnate.

Uscì dal bagno, presi un fazzoletto e mi asciugai il viso.

Cercai di darmi un aspetto più o meno normale ed uscii dal bagno.

Attraversavo i corridoi non vedendo nessuno, ero distrutta.

Girovagai per i corridoi finché non mi accorsi che avevo un'aria abbastanza patetica a girare così, da sola la scuola non sapendo neanche dove stessi andando.

Mi ritrovai a passare davanti alla porta della piscina e decisi di entrare, di farmi un tuffo e schiarirmi le idee.

Indossai uno dei costumi della scuola nero normale e mi gettai nell'acqua.

Vasca dopo vasca riprendevo il controllo di me stessa, vasca dopo vasca presi una decisione: Non avrei permesso al mio passato di avere la meglio su di me, dovevo andare avanti in un modo o nell'altro.

A cominciare da quella maledetta festa.

Capitolo 3

Trovai Mattia nella classe di biologia.

Senza neanche salutarlo, andai dritto verso il suo banco, sbattei una mano sul banco e dissi >.

Mattia mi guardò stupefatto .

>.

Cosa dovevo fare? Andarci da sola in macchina oppure farmi accompagnare da lui? > lo salutai e tornai in classe. Pure questa era fatta, alla fin dei conti non guastava avere un amico su cui fare conto.

Tornai a casa ed iniziai a scegliere il look della serata.

Troppo ricercata significava che le davo troppo importanza, troppo sciatta che non me ne fregava niente ed ero una disadattata, quindi optai per una gonna e un top. Alle otto in punto il campanello suonò e mi venne a prendere Mattia , aveva indossato un jeans scuro e una camicia bianca ed aveva un mazzo di fiori.

Un mazzo di fiori! Il ragazzo non aveva capito proprio nulla.

> lo abbracciai e presi i fiori.

> rispose arrossendo.

Ma certo... Entrai in macchina, Mattia partì e fra noi due ci fu un silenzio imbarazzante, se mi sforzavo un po' di più potevo sentire i grilli. 

Cercai di prendere la conversazione.

> chiesi.

> rispose.

Già, mi ero dimenticata della spiaggia.

Avevo fatto bene a non mettere i tacchi.

Quando arrivammo c'era già un sacco di gente che ballava, c'era un unico grande falò dove c'era gente seduta in cerchio che arrosti a marshmallow.

Il bar dei genitori di un ragazzo era aperto e serviva alcolici a tutto spiano.

> disse Mattia mettendosi le mani sui fianchi e guardando in giro. Ci avventurammo al bar .

> chiesi.

> mi rispose il ragazzo al bancone. Mentre aspettavo ciò che avevo prenotato una ragazza si avvicinò.

> mi chiese.

>.

Era una ragazza bassina con i capelli ricci ramati, il naso all'insù magrolina.

I suoi occhi ,però, sprizzavano intelligenza.

> mi disse allungando la mano.

> risposi. Catia si avvicinò, > mi chiese guardando attorno a me.

>.

Mi guardai intorno per cercare di trovarlo quando lo vidi ballare nel bel mezzo della pista.

Non mi ero neanche accorta che si era allontanato.

Catia arricciò il naso.

>.

Pareva molto stupita.

>.

Non mi erano mai piaciute le persone pronte a giudicare una persona senza motivo, senza conoscerla veramente.

Catia notò la mia espressione e si affrettò a spiegare.

> si avvicinò e mi sussurrò all'orecchio >.

La cosa non mi sorprese, ero nuova della scuola , era normale che parlassero di me, si sarebbe tutto calmato fra un paio di settimane.

> le dissi.

Alla fin dei conti, anche se mi sembrava un po' svitata era simpatica. Mi andava a genio, oppure avevo bisogno soltanto un po' di compagnia femminile, entrambe forse.

> mi chiese Catia bevendo il suo drink. Ragazzi della scuola?

> risposi ed in parte era vero. Nessuno era adatto per me.

> chiese Catia stupita.

>.

Alessandro non faceva testo, non faceva testo.

Mi sarei ,soltanto, limitata a fare la mia parte di progetto e tanti saluti.

>.

Cercai di dare una spiegazione ma Catia mi prese il braccio e mi disse > e con questo si diresse a passo di marcia verso la pista puntando Mattia.

Uhuh Catia arrabbiata.

Presi il mio drink e feci un giro della spiaggia.

Stavo proprio pensando di unirmi alle persone sedute accanto al falò che cantavano e mangiavano quando mi girai e scorsi il mare.

Mi diressi verso la riva, mi tolsi le scarpe e bagnai i piedi.

Era una notte davvero bellissima, il mare era color argento e la luna era più grande e più vicina che mai.

Cercai di guardare lontano, all' orizzonte ma non vidi nulla altro che mare, nemmeno un'isola, nemmeno una barca.

Mi sentivo sola nonostante la gente a pochi passi da me ridesse, si divertisse e cantasse.

Non avevo nulla in comune con gli altri.

Strinsi i pugni.

La differenza fra me e loro era che io non volevo essere più felice.

Guardai risoluta per un' ultima volta il mare,mi voltai, presi il cellulare e composi un numero.

>.

CAPITOLO 4

Aprii gli occhi alla luce del sole, era una bella giornata di Novembre. Quell'anno sembrava succedere tutto il contrario, l'Inverno era caldo e l'estate sicuramente sarebbe stata fredda o ,almeno, umida.

Tolsi le coperte e poggiai i piedi per terra, mi osservai allo specchio.

Magnifico, avevo due occhiaie ed una pelle da far invidia ad un fantasma, non potevo andare a scuola in queste condizioni.

Mi trascinai a scuola a forza, dovevo fare il compito di matematica. Perfetto. Ero appena arrivata davanti scuola quando Catia scese dalle scalinate e si catapultò letteralmente su di me.

> disse presentandomi ad una ragazza ferma vicino l'entrata.

>.

Strinsi la mano della ragazza imbarazzata.

> dissi seguendola nei corridoi della scuola.

Catia si girò di botto e mi prese per le spalle.

>.

Iniziava ad avere una voce stridula.

> dissi >.

Catia mi abbracciò e contenta si avviò verso la sua classe.

Oh Dio, ero certa che me ne sarei pentita molto presto di aver accettato. 

>.

Il professore passò fra i banchi consegnando i compiti.

> risposi è presi il foglio in mano.

Cavolo, equazioni algebriche, fantastico. Ero fregata.

Cercai di darmi da fare, richiamare qualcosa dalle lezioni precedenti ma niente, il nulla assoluto. Perfetto, adesso si che ero nei guai.

Dovevo ricordare a mia madre che ,a questo punto, era inutile farmi continuare i corsi di ripetizione.

Ero nello sconforto più totale, quando sentì un rumore dietro le mie spalle, come un sussurro.

Shh. Mi girai. Era Alessandro.

Lo guardai male e mi girai avanti.

Ma cosa voleva? Dimostrarmi che sapeva fare qualcosa? Già le cose andavano male così, non c'era bisogno che facesse anche lo sbruffone. > sussurrò allungandosi.

Ma che voleva ancora? Mi girai stizzita.

> sibilai.

> e mi lanciò un foglietto appallottolato.

Guardai il professore alla cattedra, sembrava non stesse guardando dalla mia parte.

Nascosi il foglio sotto il banco e lo aprì.

Erano le risposte del compito. Di tutto il compito.

Aveva già finito. Non ci potevo credere.

Lo guardai.

Non me l'aspettavo.

Forse ero stata un po' troppo brusca con lui, l'avevo preso in antipatia per qualcosa di cui non aveva colpa.

Lui non era Stefano e non lo sarebbe mai stato, con o senza occhi verdi, ma no potevo sopportare un solo sguardo di quegli occhi, semplicemente non potevo. Piegai il foglio e lo misi in borsa.

Benvenuto quattro.

Alla fine dell'ora mi sbrigai a prendere la borsa e mi lanciai verso l'uscita.

Tirai un sospiro di sollievo.

Menomale, pensavo che mi avrebbe seguita. >.

Troppo tardi.

Mi girai.

Alessandro era davanti a me, arrabbiato con i pugni chiusi.

>.

> replicai asciutta.

> mi guardo ferito. >.

Si girò e si incamminò verso l'altra parte del corridoio, furioso.

Era andata molto peggio di quanto mi fossi immaginata. Va bene, amen, meglio così. Adesso Alessandro non rappresentava più un problema per me. 

> mi disse Catia avvicinandosi.

>

Il che era più o meno vero, Alessandro era solo un contrattempo, nient'altro, un ostacolo alla mia nuova vita che avrei superato, con le buone o con le cattive.

>.

Come al solito, era piena ed io ed i miei nuovi amici decidemmo di sederci sotto il nostro albero sul prato. 

Era proprio un bel giorno, mi sentivo bene con me stessa, libera di un peso enorme.

> mi chiese Catia mangiando il suo riso.

>

Mi stesi sul tronco sbadigliando.

>

> disse Mattia contento.

>.

> dissi.

> disse Catia eccitata.



> rispose Mattia.

>

> rispose Mattia ridendo.

Prese una birra e se la scolò.

> disse Catia.

> disse Mattia facendo un occhiolino.

Rimise la birra nello zaino ed iniziò ad addentare un sandwich.

<< Comunque non penso che sarò dei vostri.>> dissi.

> disse Mattia >



>

Presi il mio panino al prosciutto e lo addentai.

Non avevo bisogno di altri legami che poi si sarebbero spezzati.

Due mi bastavano ed avanzavano.

Incrocia le mani al petto, contrariata.

> disse Mattia.

> mugugnai.

> disse Catia >

Raccolsi la borsa e mi diressi verso la prossima lezione.

Avevo il presentimento che sarebbe stata una settimana lunghissima.

Quattro e mezzo. Ecco il mio voto al compito di matematica.

Presi il foglio e lo posai sul banco affranta.

Il professore era stato già abbastanza buono a darmi quattro e mezzo.

Quel mezzo ,forse, era per il mio coraggio ad essermi almeno, presentata al compito.

>

Oh no.

> chiamò il professore indicandoci >

Ma non mi dire.

Uscii dall'aula tutta arrabbiata, arrivata all'uscita della scuola quasi mi scontrai con Mattia.

> disse afferrandomi >

> sbottai scocciata.

Mattia rise >.

Guardai Mattia, non avevo mai provato ad approfondire il nostro rapporto, se ci pensavo su non mi veniva nulla in mente su di lui. Non sapevo neanche qual era il suo colore preferito, figuriamoci altro.

> Disse Mattia imbarazzato.

Si passava sempre una mano fra i capelli quando era agitato. È difficile non notare una persona che ogni due minuti si passa la mano fra i capelli, al lungo andare diventa alquanto irritante.

> risposi.

>

Feci una faccia strana.

> aggiunse venendomi incontro.

> risposi.

Alle cinque avevo il temuto incontro di recupero con il signor so tutto io.

Solo al pensiero scossi la testa, proprio quando pensavo di essermi liberata finalmente ecco che succedeva qualcosa che sconvolgeva i miei piani.

Sembrava una cosa costante nella mia vita, il fallimento.

Misi il mio zaino in spalla e salì sull' autobus verso casa.

Mi sedetti ad uno dei posti centrali, vicino al finestrino. 

Accanto a me si sedette una persona, non avevo neanche intenzione di girarmi, non mi interessava.

Misi le cuffie alle orecchie e scorrendo senza guardare la playlist del mio cellulare cliccai una canzone a caso.

Mentre aspettavo che la canzone partisse appoggiai la testa contro il finestrino.

Era stata una giornata così stancante e sapevo che il peggio doveva ancora arrivare.

Quando sarei stata finalmente tranquilla? Quando sarei riuscita a perdonare me stessa per quello che avevo fatto? Quando sarei riuscita di nuovo ad essere felice?

Non lo sapevo.
   
 
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