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Autore: alaskha    26/11/2015    3 recensioni
“No, aspetta – fui lui a fermarmi, quella volta – non ti va un caffè?”
“Io non bevo caffè”
“Sei davvero newyorkese o bluffi? Non mi piace la gente che bluffa”
Avevamo usato lo stesso verbo, quindi probabilmente Luke Hemmings non era un bugiardo bluffatore.
“Sono newyorkese e non bluffo, semplicemente non mi piace il caffè ed io e te non ci dobbiamo piacere, non dobbiamo neanche mai più rivederci, quindi non importa”
“Giusto”
Rimanemmo a guardarci per qualche istante.
Istanti nei quali lui non si tolse mai dalle labbra quel sorrisino sfacciato.
“Quindi?” mi riscosse lui, dal mio stato pietoso di trance.
“Quindi addio, Luke Hemmings”
“Mi dici addio perché New York è grande ed è facile sbagliarsi?”
Annuii.
“Esatto”
“Speriamo non sia così grande come dicono, allora”.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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chapter five

out of reach

 
 “E quindi ieri sera ti è improvvisamente venuta l’emicrania, ho capito bene?”
Che palle Louis quando si improvvisava Detective Conan.
“Sì, Lou, stavo poco bene”
“E perché non hai chiamato zio Zayn? Lo sai che questa – disse indicando la canna che teneva stretta tra l’indice ed il medio – sconfigge il mal di testa meglio di tutta quella merda che ingerite voi persone normali”
“Medicine, Zayn” gli ricordai.
“E io che ho detto? – fece – questa è tutta roba naturale”
“Potresti metterla via? Siamo nei pressi di una scuola elementare, ci sono dei bambini” lo ripresi.
“Come ti pare, bimba”
Roteai gli occhi al cielo, e guardai Louis di sottecchi, mentre sorrideva.
“Che hai da sorridere?”
“Ogni volta che dobbiamo uscire, andare da qualche parte, semplicemente a divertirci – cominciò Mr. Occhi oceano – ti scoppia l’emicrania, puoi spiegarmi com’è possibile?”
“Magia nera?” ipotizzai, stringendomi nelle spalle.
“Ti serve qualcosa o qualcuno, Jen – disse sempre Louis – io e Zayn non ti bastiamo più, e Daniel non fa altro che rovinarti la vita, è un attentato alla tua felicità quello là”
“Ha ventun’anni ma sembra più vecchio di tuo padre – intervenne Zayn – non è pedofilia, la vostra?”
“Piantala di fare il cretino – lo zittii – io non ho bisogno di nessuno”
“No invece, non più – disse Zayn, improvvisamente serio – tuo padre ed il tuo fidanzato, tutta questa situazione che si è creata, ti sta risucchiando la vita”
“Noi ci preoccupiamo per te, piccola” continuò Louis.
Sorrisi, riconoscente.
Pensai automaticamente a Luke, al modo in cui voleva insegnarmi a vivere sul serio. Quando sarebbe arrivato quel suo “Presto”?
“Che mi dici di Hemmings? Che fine ha fatto?” disse poi Louis.
“Che?   - sbottò Zayn – non se ne parla neanche, non do la mia bimba in pasto agli squali, ma l’hai visto quello? E dai, se ne va in giro con le magliette bucate ed un piercing degno di un ragazzino di quindici anni”
Intanto io arrossii di tipo quattordici tonalità.
“La pianti, Zayn? – dissi poi – voi dimenticate che io ho un fidanzato, a casa – ricordai loro – non posso andarmene in giro con il primo rocker che incontro a Soho”
“Non dico che te lo devi scopare – fece Louis, mentre Zayn storceva il naso – magari passaci un po’ di tempo insieme, diventate amici, no? Ho visto come lo guardavi, l’altra sera”
Stavo annegando nell’imbarazzo, quando una vocina petulante s’immise nel nostro discorso.
“Che vuol dire scopare?”
Non ci salutò neanche, ed io ed i ragazzi ci guardammo in viso, spaesati. Fino a che Louis non lo prese in braccio, con tutto lo zaino.
“Pulire il pavimento” improvvisai io.
“E tu devi pulire il pavimento, Jenelle?”
“No – disse Zayn, sbrigativo – Jenelle non pulirà il pavimento con nessuno, intesi?”
“Intesi” dissi io, imitando un saluto al generale.
“Louis?” fece Jai.
“Sì, piccolo?”
“Andiamo ai giardinetti?”.
 
 
 
 
 
 
 
Dopo tre ore sfiancanti ai giardinetti, io e Jai passeggiavamo per Soho, diretti a Wall Street, mano nella mano. Zayn si era strappato i pantaloni, Louis aveva litigato con una bambina e l’altalena era stata rotta: questo è un po’ il riassunto della nostra giornata.
“Andiamo a casa, adesso?” mi chiese Jai.
“Certo scimmietta – risposi – andiamo a casa”
Svoltammo nel nostro quartiere, per poi raggiungere casa. Di fronte a noi la celebre statua ritraente il toro di Wall Street, gente in giacca e cravatta, ed un ragazzo con uno snapback al contrario ed uno skate.
“Te l’avevo promesso, no?”
Luke si sistemò lo skate sotto il braccio, ed io dovetti trattenere un sorriso.
“Di che cosa parli?” finsi, stringendo la mano di Jai.
“Che ci saremmo rivisti presto”
Luke sorrise, avvicinandosi a noi e stringendosi nelle spalle. Portava una camicia a quadri, blu, ed i suoi soliti skinny jeans neri, strappati sulle ginocchia. Era bello, come al solito.
“Jen, così mi fai male” agonizzò il mio fratellino.
“Oh, già, scusa”
Luke rise di gusto, accovacciandosi di fronte a Jai.
“E tu chi saresti, ometto?” gli chiese, dolcemente.
Non scioglierti, mi ripeteva il mio buon senso.
“Sono Jai – si presentò, non era mai stato timido come bambino – e tu chi sei?”
“Sono Luke, tanto piacere”
Gli strinse la manina, e Jai sorrise sornione.
“Cos’hai sul labbro? – gli chiese, per poi rivolgersi a me – posso averlo anche io?”
Lo guardai stranita.
“Non credo che tuo padre sarebbe d’accordo”
“Non credo che papà se ne accorgerebbe”
Rimanemmo in silenzio per qualche istante, colpiti dalle sue parole.
“Però – intervenne poi Luke – così piccolo e già un uso corretto del condizionale?”
“Io non sono piccolo – s’indignò Jai – ho compiuto otto anni a febbraio”
“Oh – Luke alzò le mani in segno di resa – chiedo scusa, signore”
Jai scoppiò a ridere, e risi anche io.
Dopodiché Luke si mise in piedi, scompigliando i capelli del mio fratellino e guardando me, sorridendo.
“Ti va di venire con me? Voglio farti vedere un posto”
Feci per aprire bocca, ma Jai mi precedette.
“Che posto? – chiese curioso, con la sua vocina stridula – posso venirci anche io?”
Valutai l’ipotesi di fare una gita di famiglia con Luke e Jai, ma la scartai subito, per quanto i suoi sorrisi fossero belli ed accattivanti, ancora non mi fidavo al 100 % di quel tipo.
“Tu hai i tuoi compiti, va’ in casa scimmietta, e dì a Maribel che torno per cena – poi guardai Luke – perché torno per cena, non è vero?”
“Non ne sarei così sicuro”
Dannazione, dove diavolo voleva portarmi?
“Ma perché non posso venire anche io?” continuò Jai, petulante.
“Ed il tuo ghiacciolo bonus?” gli ricordai.
Così Jai sbuffò, arreso.
“E va bene – sentenziò – ciao Luke” lo salutò con la manina.
Luke ricambiò, sorridente.
“Sembra intelligente, per la sua età” disse poi, una volta che il piccolo sparì dietro il cancello di casa.
“Già” sospirai, non molto convinta.
“Jen? – mi richiamò – perché va ancora scuola, a giugno inoltrato?”
Lo guardai negli occhi, e lessi sincerità, così mi lasciai andare alle confessioni. Non so perché, ma quel tipo occhi azzurri m’infondeva parecchia sicurezza.
“Jai frequenta un corso di recupero, per bambini difficili”
“Oh – recepì lui – e perché? Insomma, è tipo un corso aggiuntivo o..?”
“No, è un servizio che attua la scuola, per i bambini a cui, a loro parere, non basta un interno anno scolastico” spiegai, un po’ risentita.
“L’ha presa tanto male?”
“No, a Jai piace la scuola – dissi, sorridente, nonostante tutto – più che altro è la nostra situazione familiare, la scuola crede che a lui serva qualcosa in più, per restare al passo con gli altri”
Forse Luke mi notò un po’ affranta, da questa storia, sta di fatto che mi accarezzò il viso, posando poi la sua mano dietro al mio orecchio, sorridendo a pochi centimetri dalle mie labbra.
“Tutti i migliori hanno iniziato così, sai? – mi rassicurò – prendi me, ho mollato la scuola a sedici anni e sono ancora qui”
Scoppiai a ridere, e lui con me.
“Scusami se desidero un futuro un po’ più pretenzioso, per mio fratello – considerai – a proposito, dove vuoi portarmi?”
“Vedrai”
“E come ci arriviamo?”
“Con questo, no?” disse ovvio, indicando il suo skate.
“Non pensarci neanche, Luke”
“Ti tengo io”
Lo guardai intensamente negli occhi, mentre lui si mordicchiava insistentemente il piercing al labbro. Così io sbuffai, e mi arresi. Come avrei potuto non arrendermi davanti al cielo nei suoi occhi?
“E va bene”
Ammirai il suo sorriso compiaciuto, dopodichè fece aderire il suo skateboard alla superficie ruvida del marciapiede.
“Prima le signore” disse, imitando un inchino.
Afferrai la mano che mi stava porgendo, e salii su quel maledetto aggeggio. Diciamo che non ero famosa per la mia innata coordinazione, ecco. Ero talmente impegnata a cercare di stare in equilibrio, che mi accorsi solo dopo della risata ovattata di Luke.
“Beh? – feci, indispettita – che hai da ridere?”
“Sei buffa – fece lui, di rimando – lo skate è fermo, Jen, come puoi non riuscire a mantenere l’equilibrio?”
Sentirlo chiamarmi “Jen”, come solo le persone vicine a me erano solite fare, sul momento mi destabilizzò. Ma poi mi impegnai per recuperare tutto il buon senso che mi era rimasto, e tornare in me stessa.
“E tu non sei gentile, se proprio lo vuoi sapere”
“D’accordo, ci penso io”
Con un movimento meccanico, segno che lo skateboard era un elemento fisso della sua vita, salì dietro di me. Quando mi cinse i fianchi con le mani, strabuzzai gli occhi, e sentii dei molesti brividi lungo tutta la schiena, come se delle piccole scariche elettriche partissero dalla punta delle sue dita.
“Come va?”
Mi chiese Luke, accostando le labbra al mio orecchio, facendo in modo che si scontrassero impercettibilmente. Solo in quel momento mi resi conto che stavo trattenendo il respiro. Mi diedi mentalmente della stupida e mi imposi calma.
“Non ce l’hai una cavolo di macchina?”
Perchè reagivo così a quel nostro contatto fisico?
Luke rise appena, stringendo ancora di più la presa sui miei fianchi.
“Se io avessi una macchina mi perderei tutta la bellezza della città – cominciò – e poi solo un pazzo avrebbe il coraggio di immettersi nel traffico di New York, hai idea di quanto ci metterei da Brooklyn a Wall Street?”
Non feci neanche in tempo ad accorgermi di quello che aveva detto, perché la curva che prese con lo skate mi terrorizzò a tal punto da coprirmi gli occhi con le mani, sicura che di lì a poco sarei caduta a terra.
“Ehi, Jen.. – cominciò Luke, tranquillo, con le labbra totalmente appoggiate al mio orecchio ed il suo respiro caldo che accarezzava la pelle del mio collo – non ti faccio cadere, ma tu fidati di me, okay?”
Fidarmi di qualcuno era diventato davvero troppo difficile, ma ancora non so perché, lasciai che le sue mani spostassero le mie dai miei occhi. Mi aggrappai totalmente alle sue braccia che stringevano delicatamente i miei fianchi.
“Ed apri gli occhi” mi ordinò.
“Come fai a sapere che li sto tenendo chiusi?” gli domandai, perplessa.
“È così?”
Non risposi.
“Come pensavo” dedusse lui.
Sbuffai.
“Dannazione a te Luke Hemmings”
Lo sentii ridere, e ringraziai il cielo, perché lui non avrebbe mai visto quel mio sorriso.
“Arrivati”
Rallentò gradualmente, per poi fermare lo skate con uno scatto improvviso. Prima che potessi finire davvero per terra, Luke mi afferrò prontamente, ed io finii tra le sue braccia. Riuscivo ancora a sentire il suo respiro caldo e dolce, ma quella volta sulle labbra.
“L’hai fatto di proposito, non è vero?” gli domandai, con un filo di voce.
Mi sentivo così ridicola, avrei voluto che una voragine si aprisse sotto i miei piedi, e mi risucchiasse in quell’esatto momento. Mentre il mio sguardo oscillava dalle sue labbra ai suoi occhi.
“Se ti dicessi di sì, risulterei troppo sfacciato?”
“Un tantino”
“Allora no, non avrei mai voluto”
“Che cosa?”
“Che finissimo così”
Abbassai del tutto lo sguardo, ritrovandomi a fissare i miei stivaletti e le sue Vans nere, completamente nere.
“Vieni, ti aiuto a scendere”
Luke scese per primo dallo skate, dopodichè mi tese la mano.
“Non sono così incapace”
“Ah no? Davvero?” mi prese in giro.
“No” ribattei io, decisa, ed anche un po’ risentita.
“Come ti pare” fece lui, stringendosi nelle spalle.
Una volta che anche io fui scesa da quel mezzo di trasporto infernale, Luke lo portò sotto il suo braccio, dirigendosi sicuro verso un edificio ricoperto di scritte colorate, opere dei writers di Brooklyn.
“Che c’è?” mi domandò, notando che non lo stavo seguendo.
“Nulla” risposi, pronta, scuotendo la testa.
Ma lui seguì il mio sguardo: ero rimasta incantata da tutti quei graffiti meravigliosi.
“Non ci sei abituata, eh principessa? – chiese, retoricamente – i muri di Brooklyn sono come tele bianche, per noi”
Luke aveva la capacità di ammaliarmi qualsiasi cosa dicesse. Ed io odiavo quella sua caratteristica, perché lo stavo seguendo, senza neanche volerlo.
“Dove siamo?” gli chiesi.
Si voltò nuovamente verso di me, per poi sorridere. Ma non era il suo solito sorriso, quello che avevo visto negli ultimi giorni: era un sorriso sincero, impeccabile, pulito, candido e beh, sì, bellissimo.
“Vieni”.
 
 
 
 
“Dove sono quei maledetti figli di puttana?”
Luke si fece avanti in una specie di garage, spalancato. L’odore di fumo e vernice m’invase le narici, obbligandomi ad arricciare il naso. C’era un grande divano, spinto contro il muro. Ma ciò che mi aveva colpito più di tutto erano, ovviamente, gli strumenti posizionati al centro di quella stanza.
“Oh, ho capito! – esclamai – questo è il garage di Calvin!”
“Calum” mi corresse lui, voltandosi per guardarmi.
“Già, giusto..” tentai, con un sorriso di circostanza.
“E quando pensi di mollarla? Giusto per sapere”
“Quando tu mollerai la tua Cherrie e la pianterai di fare l’uomo sposato, Hood, sei diventato di una noia mortale!”
Furono quelle le voci che sentii, prima di vedere palesarsi due figure alte più o meno un metro e ottanta, a testa. Uno era moro, con gli occhi scuri e delle labbra veramente grandi. L’altro era biondo, con una bandana rossa tra i capelli ed una sigaretta che gli pendeva dall’angolo della bocca.
“Hemmings! – urlò, quello biondo – potresti cortesemente dire anche tu a quel coglione di Hood che, dannazione, la sua relazione malata rovina la nostra reputazione da band?”
“Relazione malata, Ash? – riprese, quello che doveva essere Hood – l’unica cosa malata qui dentro sei tu, fattela diagnosticare, la ninfomania”
Luke si schiarì la voce, ed i due sembrarono accorgersi di me.
“Bene, abbiamo appena fatto fare una bella figura di merda ad Hemmings, con questo bel gioiello – disse, quello ninfomane, a quanto pareva – piacere, sono Ashton”
Mi rubò una risatina, mentre gli stringevo la mano, e Luke lo inceneriva con lo sguardo.
“Giù le mani” sussurrò, tra i denti.
Così, Ashton alzò le mani in segno di resa.
“Lindsay non me lo permetterebbe, comunque”
“E chi diavolo è, Lindsay? Ero rimasto a Molly” disse, Luke, prendendo una sigaretta dal pacchetto di Marlboro che Ashton gli stava offrendo.
“Molly è storia, ormai – disse il moro, mentre mi si avvicinava – piacere, sono Calum”
Mi rivolse un sorriso mozzafiato.
“Lei è Jenelle – fece Luke, presentandomi, ed io mi resi conto di non aver ancora spiccicato parola – dov’è Clifford?”
Ashton si strinse nelle spalle, e Calum si stese sul divano, con l’iPhone tra le mani.
“Dovrebbe arrivare tra..”
“Ho sentito il mio nome? – urlò, un’altra voce – chi di voi stronzi si permette di pronunciare il mio nome invano?”
Erano tutti strani, particolari, originali e divertenti, ma lui di più: portava i capelli verdi, e lo riconobbi subito come il ragazzo ubriaco con cui Luke mi aveva detto di vivere, l’altra sera, al locale dove suonava Louis.
“Mica sei Dio” fece Ashton.
“Bella, Cliff” disse Calum, alzando una mano per farsi dare il cinque.
“Guarda, guarda.. – disse poi il ragazzo dai capelli verdi, avvicinandosi a me e Luke – credevo di averle viste tutte, ma una principessa come te, in questo garage, giuro che mi mancava”
Si rivolse direttamente a me, ed io rabbrividii quando mi chiamò principessa: solo Luke mi ci aveva chiamato così, prima di all’ora.
“Sono Jenelle Stratford”
“Michael Clifford, al tuo servizio”
Mi baciò il dorso della mano, dopodichè Ashton battè le mani e si avvicinò a noi.
“Beh? – cominciò – cazzeggiamo o suoniamo?”
“Secondo te?” chiese Luke, retorico.
“Ehi, Jenelle – mi richiamò poi Calum, alzandosi dal divano – Hemmings ti ha detto che siamo il meglio in circolazione, non è vero?”
“Una cosa del genere, sì”
Lui ridacchiò, ed io li guardai mentre prendevano le loro postazioni: Calum al basso, Luke e Michael alla chitarra ed Ashton alla batteria. Guardai Luke sistemare il microfono, incantata.
“Facciamo “Try Hard?” ” chiese, Michael.
“Altro, no?” chiese, Luke.
“Negativo – sostenne Michael, deciso – ti vergogni, per caso, di cantarla davanti a lei?”

Luke stava evitando il mio sguardo, ma poi scosse la testa, ed iniziarono a suonare. Avevo preso posto sul loro divano, e fremevo dalla voglia di sentire la sua voce. Così, quando sentii le parole di quella canzone, capii il perché della domanda di Michael.
 
 
 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao bimbe! come state? io discretamente bene, stamattina mi sono svegliata con un mal di testa anomalo e non sono andata in università.
voi tutto bene a scuola? che anno fate? sono curiosa! ahahah
io non sto studiando davvero nulla e la prima sessione di esami è vicina, che palle. ma comuuuunque, questa è la mia noiosa vita, who cares?
passiamo ai nostri Luke e Jen, che ve ne pare? quanto è dolce Luke con Jai? Io li adoro!
e nulla, sono comparsi anche gli altri 5 secs of idiots, che non ci scolleremo mai più di dosso. 
non so quanto la storia vi stia piacendo, dato che riscuote poco successo. 
io non voglio recensioni per fare numero, io vorrei sapere cosa ne pensate per sapere 1: se devo continuare, 2: i vostri pareri e 3: se posso migliorarmi in qualche modo.
per il resto vi amo un sacco e volevo fare un saluto speciale a Giulia, ciao Lolita <3<3<3, con la quale sto scrivendo una storia che si chiama: 5 a.m. la trovate sul mio profilo, se vi va di dare un'occhiata noi ne saremmo solo felici! Lei si chiama: ilpiercingdiluke, qui su efp, passate anche da lei è una scrittrice meravigliosa.
e nulla, alla prossima! Baci grandi, Simona.

 
 
 
 
 
 



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