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Autore: fiammah_grace    26/11/2015    1 recensioni
[Resident Evil: code Veronica X]
"Seppur la non fisicità di Alexia, la sua presenza era rimasta come un alone costante nella vita dell’uomo che abitava oramai da solo quel vuoto castello.
Una costante fittizia, ma così viva e forte che a un certo punto lui stesso l’aveva resa reale continuando a dare un nome, un volto e un ruolo alla sua venerata e lontana sorella, muovendo uno spaventoso gioco di ruolo mentecatto in cui ella esisteva e non lo aveva mai lasciato.
Nulla avrebbe avuto importanza per lui. Avrebbe sacrificato ogni cosa al fine del benessere e del successo della sua Unica Donna, la sua Unica Regina. Persino se stesso.
Qualcuno tuttavia aveva osato disturbare la sua macabra attesa.
Claire Redfield. Il nome della donna dai capelli rossi che aveva invaso il suo cammino nel momento più prezioso. Il nome dell’infima donna che aveva sporcato l’universo perfetto di lui e Alexia, portando scompiglio nel suo territorio.
Quella formica che gli aveva dato del filo da torcere…persino troppo. Più di quanto potesse sopportare."

[Personaggi principali: Alfred Ashford, Claire Redfield]
Genere: Angst, Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing | Personaggi: Alfred Ashford, Claire Redfield
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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“Perchè una realtà non ci fu data e non c'è; ma dobbiamo farcela noi, se vogliamo essere; e non sarà mai una per sempre, ma di continuo e infinitamente mutabile...”
 
“Cadeva ogni orgoglio. Vedere le cose con occhi che non potevano sapere come gli altri occhi intanto le vedevano. Parlare per non intendersi. Non valeva più nulla essere per sé qualche cosa. E nulla più era vero, se nessuna cosa per sé era vera. Ciascuno per suo conto l'assumeva come tale e se ne appropriava per riempire comunque la sua solitudine e far consistere in qualche modo, giorno per giorno, la sua vita…”
(‘Trovarsi’-Pirandello)
 
 
 
 
 
 
 
 
Capitolo 11: trovarsi
 
 
 
 
 
 
Ho provato a credere a realtà diverse.
Ho cercato di vedere il mondo nei suoi colori, con le sue reali sfumature
esenti dalla poesia e dall’immaginazione che sanno trasformarla in un universo maestoso e abbiente; ricco di animi profondi e sapienti, pieni di spirito e di amore.
La più cruda dimensione reale che non è addobbata dall’incanto delle nostre gioie e speranze.
 
…Ho spazzato via tutto questo...
 
Ho tirato giù il mio sipario, ho riposto le mie marionette, ho cancellato le tracce del recente spettacolo.
Sono uscito e ho guardato il cielo.
La notte era buia, fredda, non c’era nessuna stella.
Che triste il mondo, quello reale.
 
 
 
Devo davvero credere che questa vita è meglio di un allegro teatro?
Non mi piego di fronte tale crudele convenzione, che impedisce di guardare cosa è veramente giusto per noi.
Ho scelto la mia ‘professione’, ho scelto la mia identità.
La porterò avanti con forza, sempre, di volta in volta costruendo il mio personaggio; una figura costruita pezzo su pezzo, che si sorregge in questo mondo dimenticato da Dio.
Rinuncio alla mia vita, alla ‘vera vita’ come voi la chiamate, così bieca e artificiosa…molto più di quella del mio personaggio, paradossalmente più libero di essere felice.
Una vita nell’arte, l’arte della mia menzogna; una vita esclusiva che non è da tutti.
La mia disperata solitudine mi esenta da altre forme di vita, esigendo la mia completa immedesimazione nella costruzione di questo mondo.
Abbraccio il mio destino, questa mia infinita interpretazione, in quanto più vera, autentica, originale, di quella triste della solitudine.
E’ così che ho trovato me stesso.
  
 

Alfred Ashford fissò gli occhi glaciali di quel volto che gli ricordava la sua eterna Donna.
Quello sguardo che altri non era che il suo stesso riflesso, eppure era l’unico che potesse trasmettergli ancora quel calore che lui ricercava.
Scrutò quella scheggia acuminata ancora incastrata sulla specchiera appena distrutta, come fosse l’ultimo riflesso di una realtà dalla quale non poteva fuggire.
Nonostante fosse consapevolmente artefice di quella verità ingannatrice, non gli importava.
Se poteva, tramite il suo stesso sguardo, sentirsi a casa, cullato dall’affetto di Alexia, la sua dolce gemella, allora perché fuggirne?
Egli era allietato nel ritrovarsi di fronte quel viso soave….quegli occhi che gli mancavano tanto e che rappresentavano la sua vita.
La sua gioia, i suoi dolori, il suo mondo.
Quando osservava il suo volto riflesso in uno specchio, non vedeva più se stesso oramai, annebbiato dalle sue tormentate angosce e dalla sua devastante condizione.
L’immagine riflessa assumeva un significato diverso.
Essa emanava un’energia forte, un calore umano che lui aveva conosciuto un tempo…e al quale non aveva saputo rinunciare.
Credeva di poter reggere quel dolore, invece aveva finito per cadere in un vuoto desolato e disperato.
Il suo viso…la sua stessa faccia, però, gli permetteva di ricordare quei tempi felici, in cui lui non era solo, abbandonato a se stesso.
Tramite la sua pelle, i suoi occhi, i suoi tratti facciali, Alfred ritrovava quella persona che riempiva il suo cuore: la sua amata sorella, così simile a lui.
Col tempo il ragazzo dai capelli pallidi elaborò che il suo stesso volto in realtà apparteneva a qualcun altro.
In una visione malsana e incomprensibile, egli non vedeva più se stesso riflettendosi in uno specchio.
Vedeva invece ergersi la potente Regina che dominava il suo cuore; bella, potente e maestosa.
Alfred era onorato che lui stesso fosse capace di ricordare tramite il suo corpo quell’antico splendore che dava luce nella sua vita.
Così pian piano le sue iridi sprofondavano nella sua stessa immagine riflessa, giungendo in una dimensione nuova, catapultandosi nella “realtà dello specchio”; quella che vedeva la sua “metà” come Regina assoluta.
Lui le cedeva il passo ben volentieri ogni volta che voleva, felice di essere al suo cospetto, di servirla, di poterla vedere muoversi in quegli spazi che lui abitava solitario.
Una parte di lei risiedeva dentro di lui. Loro erano uno stesso corpo, nessuno li avrebbe mai separati.
Separando Alfred da quel riflesso, egli poteva vedere emergere l’Alexia celata dentro di lui.
Dunque la sua commedia andava avanti, articolandosi in quella scena costruita apposta per lei, dove purtroppo non c’era spazio per entrambi.
Lui doveva per forza eclissarsi, sparire…per far sì che ella potesse vivere al suo canto. Come il giorno e la notte, che abitano lo stesso cielo, che sono la stessa cosa, differenziati soltanto da bagliori e luci diverse,  ma non si incontrano mai se non in frangenti fugaci e momentanei.
Illuminato dalla maestosità della sua Regina, egli era ben lieto di immolare la sua esistenza. Perché solo tramite il suo ricordo poteva ancora essere felice.
Anche se questo non li avrebbe fatti ricongiungere, gli bastava poter vedere i suoi occhi tramite la sua immagine rifratta in un vetro.
Una magia che non voleva spezzare e alla quale si abbandonava pur di stare in eterno accanto alla sua donna.
Così il biondo, ancora travestito dal suo amore, appoggiò un dito su quel vetro infranto, facendolo scivolare sul suo punto più tagliente che andò a segnare con una linea rossa la sua pelle delicata.
Quel tenue dolore fece pulsare la sua carne ferita, che godé di quella lacerazione. Vedendo il sangue scivolare dolcemente lungo il suo guanto marmoreo, era come se avesse ricevuto un segno da quel mondo confuso che spesso vacillava.
Sebbene quel segno avrebbe dovuto riportarlo nella triste realtà della solitudine, ricordandogli di essere Alfred………egli interpretò diversamente tutto ciò.
Quel sangue ai suoi occhi non era il suo sangue, infatti…ma quello di Alexia.
Era Alexia che stava sanguinando e quindi ciò voleva dire che era viva…ed era lui stesso a farla vivere.
Era come se egli fosse il mezzo attraverso il quale Alexia viveva.
Era il suo corpo che le permetteva di muoversi e risiedere nella loro abitazione; ed Alfred era esaltato dall’idea di renderle omaggio e far sì che quel personaggio prendesse vita, come un buon attore che dà vita ai ruoli che interpreta eclissando la sua personalità.
Per Alfred era così in fondo: lui era un mero attore che dava vita a un personaggio, donando tutto per rappresentarlo al meglio, questo fino anche a perdere se stesso.
Egli dunque sorrise, felice.
Quella finta esistenza tornò quindi di nuovo reale, dandogli la conferma circa la sua essenza.
Sollevò il viso, che si deformò in una smorfia di soddisfazione, raggirato dal suo stesso inganno.
Così proseguì nel suo buio e lugubre castello, lieto di riprendere in mano la partita e di vivere quel personaggio che era la sua realtà.
 
 
***
 
 
 
 
Casa delle bambole – corridoio del secondo piano
 
 
 
Claire corse fuori dalla stanza dove aveva assistito al massacro delle ‘bambole demoniache’ per mano di Alfred Ashford……..Alexia………o chi diavolo fosse!
Assordata dalle sue urla, così stridenti e isteriche che avevano perforato i suoi timpani fino a mandare la sua mente in panne. Sentiva ancora le sue orecchie fischiare e, se chiudeva gli occhi, poteva vedere nitidamente i suoi occhi di ghiaccio che si immobilizzavano impazziti, soccombendo in balia dell’orrore. L’orrore che per quell’uomo significava ricredersi sulle sue ragioni e vedere con i suoi occhi la sua pazzia.
Il biondo infatti perdeva la ragione quando qualcuno osava mettere in dubbio quello in cui lui credeva, mostrandogli quanto ingannevole fosse la sua esistenza.
Era una mente fragile e instabile, ma troppo perversa per essere guarita.
Quell’uomo, adesso vestito da donna, l’aveva stretta fra le sue braccia, a modo suo proteggendola dai non-morti vestiti da bambole che si avvicinavano a lei pronti a divorarla, ed aveva sparato mettendosi dalla sua parte.
Tuttavia il suo gesto non era stato volto ovviamente a difenderla. Egli aveva voluto godere di quel massacro, uccidendo quei ‘mostri’ davanti ai suoi occhi, proprio per dimostrarle quanto fosse immenso il suo potere e la sua crudeltà.
Doveva fuggire, andare via da lui!
Ogni minuto che passava faceva vacillare sempre di più la sua mente e non poteva permettersi un esaurimento nervoso; quello che stavano vedendo i suoi occhi era troppo.
Troppa violenza, troppa tortura psicologica, troppa indifferenza verso la vita…
Non ne poteva più, desiderava ardentemente uscire da quella casa e svegliarsi da quell’incubo tremendo.
Mentre correva, con quelle immagini ancora impresse nei suoi ricordi, improvvisamente i suoi piedi sprofondarono nel pavimento, andandosi a incastrare nella superficie legnosa oramai deteriorata dal tempo.
Maledizione!
Quella casa era in uno stato di conservazione così malandato che una porzione era addirittura crollata!
Caduta violentemente a terra, la rossa sentì le sua mani graffiate e impolverate pulsare violentemente. Subito cercò di rimettersi in piedi, ma la storta era stata più dolorosa di quanto immaginasse. Si sforzò comunque di togliere il piede da quella fessura legnosa e acuminata che la teneva incastrata.  Sbirciando distrattamente dalla porzione di legno ceduta, un’ombra oscura attirò la sua attenzione.
Sbatte gli occhi, confusa.
C’era…una presenza sotto di lei, al piano inferiore?
Due occhi feroci la fulminarono tempestivi ergendosi dal buio della stanza sottostante. In seguito qualcosa di molliccio, enorme e dalla forza inumana, emerse da quella superficie riducendo in frantumi la pavimentazione.
Il buco che prima aveva incastrato il suo piede si trasformò in una voragine e quel che si parò davanti a lei fu una figura mostruosa da lei già conosciuta.
Il Bandersnatch.
Non sapeva perché quel mostro fosse chiamato così. Sapeva soltanto che quel nome era citato in uno dei racconti di Lewis Carroll, “Throught the looking-glass”, ove quella creatura spaventosa non era mai stata descritta nel dettaglio apparendo come una figura spaventosa e inafferrabile. Probabilmente quindi era per questo che quel mostro dell’Umbrella era stato chiamato così!
Le sue sembianze erano infatti indescrivibili.
Appariva come una massa informe di un colore giallognolo, di una consistenza quasi gelatinosa; la sua pelle muscolosa era come afflosciata, scivolava dalle ossa ammucchiandosi solo su alcuni punti creando delle dimensioni assurde sul suo corpo.
Egli possedeva un busto gonfio ed enorme, un braccio elastico e sproporzionalmente lungo rispetto la  corporatura; in compenso la sua testa era piccolissima e lo scheletro s’intravedeva da sotto la pelle.
Le sue gambe erano deformate e gli impedivano una buona mobilità. Tuttavia la sua lentezza era solo apparente, aveva imparato Claire a sue spese.
Questo perché il lungo braccio provvisto di artigli affilati, permetteva al bandersnatch di saltare da una parte all’altra di un qualsiasi ambiente, sfruttando l’agilità del suo corpo elastico.
La Redfield osservò sgomentata quella figura, preoccupata dal fatto di non essere equipaggiata in nessun modo per fronteggiarlo.
Si guardò velocemente attorno, cercando la prima scappatoia utile, ma non avendo ancora esplorato il secondo piano di quella casa maledetta non sapeva proprio dove andare, a parte la direzione opposta a dove era stata con Alfred.
A tal proposito, dove era finito? Possibile che quei rumori non l’avessero attirato?
Non sperava certo in una sua apparizione improvvisa, tuttavia in quel caso il suo fucile avrebbe potuto farle comodo visto che sicuramente l’avrebbe usato per difendersi. A quanto pareva però, doveva essersi distanziata da lui molto più di quanto avesse immaginato, oppure chissà…magari non era venuto di proposito proprio per lasciarla in quella situazione di pericolo.
Digrignò i denti, questo mentre indietreggiava lentamente ma con passo deciso, speranzosa di seminare quel nemico e di evitare di combattere contro di lui.
Il bandersnatch però non sembrava delle medesime intenzioni. Questi infatti caricò verso di lei e con uno strappo improvviso estese il suo possente ed elastico braccio.
Claire si abbassò tempestivamente, raccogliendo il capo fra le mani e accasciandosi in ginocchio, evitando così che il mostro le afferrasse il cranio fino a triturarlo.
Al suo posto, il nemico acchiappò fra le sue dita muscolose un’altra presenza fisica posta alle sue spalle. La rossa si girò in tempo per osservare quella scena, nella quale il bandersnatch stringeva fino a schiacciare definitivamente la testa di un non-morto che era a pochi metri da lei.
Quella casa era infestata in modo preoccupante, rifletté, ed un’altra fra le tante cose che la inquietavano fu vedere come quei mostri sapessero muoversi in modo veramente silenzioso. Tant’è che non si era nemmeno accorta di quella seconda presenza ostile.
Vide lo zombie, sempre vestito come una marionetta, quasi ululare di dolore.
Egli tendeva ancora le sue braccia davanti a sé, come se persino nel momento della morte il suo unico desiderio fosse di mangiare la sua preda.
Questi non si rendeva conto che invece stava morendo, oppure sì?
Fatto stava che Claire non potette in nessun modo scostare il suo sguardo impietrito da quell’immagine violenta, in cui gli occhi spenti e mucosi di quel non morto cominciavano a sgorgare sangue ingrossandosi sempre di più; questo fino a quando un raccapricciante rumore osseo non fece presagire l’imminente collasso del suo cranio.
Delle leggere insenature rosse cominciarono a disegnare il suo volto raggrinzito, finché infine si sgretolò sonoramente sotto i suoi occhi, sostituendosi spaventosamente ad un fiume di sangue che schizzò verso l’alto macchiando l’intera parete.
La giovane assistette ad un’anteprima di quello che sarebbe potuto succedere anche lei, se quel mostro l’avesse avuta fra le sue grinfie. Questo fece crescere in lei una motivazione ancora più forte, che la spinse a lottare con tutte le sue forze per togliersi dai pasticci.
Quando il bandersnatch fece tuttavia per ritirare il suo braccio, la donna non poteva aspettarsi che invece questo l’avrebbe diretto prontamente contro di lei.
Le diede, infatti, una sberla così energica che la rossa si ritrovò sbattuta contro la parete senza nemmeno essersene resa conto. Alzò il viso dolorante, trovandosi stesa a terra, e si accorse che il mostro l’aveva colpita talmente forte da aver abbattuto la parete!
In verità la casa già deteriorata quindi quel colpo non fece male come sembrava, per sua fortuna. Impolverata, graffiata e con le macerie sotto la sua schiena, scostò da sé l’intonaco crollatole addosso, questo mentre la b.o.w. si appropinquava lenta verso di lei.
La giovane esaminò la stanza al volo, realizzando che non sarebbe fuggita facilmente da quel mostro. Doveva almeno spaventarlo o trovare un modo per farlo allontanare; non sperava di riuscire ad ucciderlo, non aveva alcuna arma con sé, non ce l’avrebbe mai fatta.
La sua unica speranza era quindi almeno quella di ricavare tempo e metterlo in fuga.
Il fuoco….
Il fuoco era il suo punto debole.
Ricordava le frecce infuocate che aveva usato a Rockfort contro di lui. Se con una comune pistola da 9 mm riusciva ad abbatterlo solo dopo un’intera ricarica, con le frecce di fuoco ne bastavano solo tre ben piazzate.
Ma non c’era del fuoco vicino a lei, il suo accendino a parte. Cosa poteva escogitare in quel momento, quindi?
Ci voleva qualcosa che prendesse velocemente fuoco, come una tanica di benzina, o un qualcosa del genere!
Scrutando quella stanza come se vi riponesse la sua intera speranza di vita, esaminò in meno di dieci secondi ogni possibile oggetto o liquido infiammabile.
Era una stanzetta molto comune: vi era un letto ampio e decorato, una piccola scrivania con una libreria a fianco, un mobile ed infine una porta ingrigita dalla muffa, probabilmente quella di un bagno privato.
Subito Claire si fiondò contro quest’ultima, spalancandola con veemenza, mettendo a soqquadro il suo interno.
Fu inquietante quando vide il manichino di una donna, svestito, infilato dentro la vasca da bagno, sistemato come una persona che si sta lavando, con tanto di braccio teso e spugnetta colorata in mano.
Quella camera era quindi…di quella bambola?
Frugando in prossimità dello specchio, trovò un’ampolla di vetro.
Era pieno un po’ più di metà, forse si trattava di un profumo, dedusse dalla sua forma tondeggiante. Come un colpo di fulmine, ricordò che i profumi erano a base di alcool quindi erano infiammabili!
La boccetta non conteneva liquido a sufficiente da poter fronteggiare il mostro alle sue calcagna, ma poteva bastare per guadagnare almeno un po’ di tempo.
Tornò dunque verso l’ingresso della stanza, trovandosi così di fronte la massiccia e poderosa figura del bandersnatch che intanto stava avanzando lento verso di lei.
Questo la scrutò da capo a piedi attraverso i suoi occhi assassini che fuoriuscivano da sotto la pelle grumosa e collassata, pronto per il suo attacco, quando la tenace Redfield gli buttò contro la boccetta di profumo, riversandogli addosso il suo contenuto.
Il vetro si frantumò e bagnò quell’essere all’altezza del viso, colando poi anche sulla parte superiore del busto.
Il colpo era andato a segno! Quei punti, dopo una brutta scottatura, avrebbero fatto abbastanza male; nella sua posizione non molto avvantaggiata, era accaduta almeno la prospettiva migliore.
Così la ragazza accese anche l’accendino e glielo lanciò contro.
L’arnese godeva dell’utile meccanismo che gli permetteva di rimanere acceso senza dover tenere premuta la rotella per innescare la scintilla, quindi per fortuna poteva evitare un impatto fisico col nemico.
La bestia così prese fuoco.
Delle fiamme s’irradiarono sul suo torace nello stesso istante in cui l’accendino lo sfiorò.
La b.o.w. si contorse per diversi secondi, annerendosi leggermente sul viso, tuttavia sembrò abbastanza addolorata da dimenticarsi quasi di Claire in quel momento, il che andava più che bene.
La giovane sapeva che non avrebbe mai potuto sconfiggerlo in quel modo, tuttavia quello poteva essere un valido mordi e fuggi, sperava. E fortunatamente… aveva dato i risultati sperati.
Il bandersnatch a un certo punto sembrò così infastidito da quell’attacco che, come un animale cui è stata scagliata una pietra, si dileguò scappando attraverso la finestra lasciata aperta.
Mosse il suo braccio elastico e si arrampicò fuori, verso l’alto, probabilmente raggiungendo il tetto; comunque sia sparì dalla sua vista in men che non si dica, liberando così Claire dalla sua ostile presenza.
Istintivamente Claire si affacciò per seguire le sue movenze, la via era nuovamente libera. Affacciata a quella finestra, la ragazza vide di nuovo dinanzi a sé l’ambiente buio precedentemente varcato prima di entrare nella Casa delle Bambole. Era strano osservare da una finestra un luogo chiuso invece di un cielo diurno/notturno. Da quanto effettivamente non vedeva il cielo?
Si fermò qualche istante a guardare quell’atrio. Strinse gli occhi, sentendosi sempre più oppressa in quella casa a ‘matriosca’, che celava un’infinità di ambienti al suo interno e dai quali non riusciva a trovare una vera via d’uscita.
Ispirò ricordando a se stessa quello che già si ripeté all’epoca della sua liberazione da Alfred, all’inizio di quell’avventura:
 
Un passo per volta…..un problema alla volta….come un’equazione matematica….
Non doveva lasciarsi sopraffare da quel senso di smarrimento o sarebbe finita.
 
Chiuse quindi la finestra, per sicurezza, tornando sui suoi passi.
Claire sapeva che si sarebbe imbattuta ancora in quel mostro, ma almeno al momento aveva guadagnato tempo. Esattamente quello che voleva.
Doveva appropriarsi di un’arma quanto prima, era un elemento fondamentale oramai, dato anche come era infestata quella zona della villa. Non avrebbe sempre avuto la meglio, ne era più che consapevole alla luce dell’infelice esperienza accumulata in quel gioco meschino di sopravvivenza, in cui per vivere era necessario uccidere…e soprattutto essere pronti a farlo, subito, prima degli altri.
Uscita dalla camera da letto, guardò il corridoio collassato. Ormai non poteva più tornare indietro, nemmeno volendo.
Una discesa verso il piano inferiore non era impossibile, ma non era fruttuoso per le sue indagini. Non aveva senso compiere quello sforzo.
Ancora una volta, non poteva che andare avanti, quindi.
Puntando lo sguardo verso il lato integro del corridoio, invece, vide il corpo oramai spappolato dello sfortunato zombie che era stato colpito al suo posto dal bandersnatch.
Una pittoresca scena macabra aveva adesso dato un volto a quel luogo malato, dipingendolo con il colore che più si addiceva a quell’ambiente regnato dalla perversione e dalla morte.
La sua testa ridotta in frantumi, le sostanze organiche che colavano e poi il sangue…tantissimo sangue che macchiava la pavimentazione, così come la parete e persino parte del soffitto.
Era come se fosse caduta a terra un’intera botte di vino che aveva inesorabilmente imbrattato la zona circostante con il suo colore intenso.
Fu un’immagine orribile da vedere…spaventosa.
Vedere quel corpo esamine, seppur appartenente ad una b.o.w. , non potette non far raccogliere in un attimo di costernazione l’animo della giovane Claire, suo malgrado abituata a quel tipo di massacro. Abbassò il capo, dopodiché procedette, scavalcando quella carcassa insanguinata.
 
La porta che ritrovò davanti a sé era chiusa, ma facilmente apribile.
Essa, infatti, era visibilmente danneggiata, tant’è che poteva vedere al suo interno per via delle numerose fessure presenti sulla superficie.
Delle spranghe erano inchiodate su di essa, ma magari dosando la forza giusta poteva essere persino capace di abbatterla.
Esaminò prima il suo interno, per capire se ne valesse la pena.
Affacciandosi, scorse delle presenze lì dentro, ma sembravano inanimate. Probabilmente erano le stesse bambole giganti che aveva visto in giro per la villa.
Vedeva una tenda ondeggiare, la quale con il suo candore creava un effetto spettrale a tratti suggestivo a tratti spaventoso.
L’idea però che potesse esserci uno spiraglio dal quale passava quel vento le bastò come motivazione per provare ad entrare. Così raccolse le sue energie e con una serie di calci e spinte buttò giù quella fragile porta.
Il legno si piegò dopo una decina di colpi, sfibrandosi e permettendo a Claire di tirarlo via.
Esso era più resistenze di quanto sembrasse, così per passare la rossa dovette stringersi nel varco appena creato, graffiandosi per via delle sporgenze acuminate del legno.
Riuscì comunque a rimanere abbastanza illesa.
Prese di nuovo l’accendino dalla tasca, recuperato ovviamente dopo la colluttazione col bandersnatch, e scrutò la stanza.
Era un salottino arredato in modo ordinario, da manuale.
Divanetto, cristalliera, tavolo al centro ricoperto da una tovaglia fatta all’uncinetto, vasi con fiori…sì, il tipico ambiente da casa delle bambole, dove prendere il tè.
Si avvicinò alle bambole che arredavano quel luogo. Una era poggiata di fianco del divano, un’altra in prossimità della finestra.
Entrambe erano vestite come due dame, con degli ampi abiti vaporosi e pieni di fronzoli. Non avevano però nulla di strano rispetto quelle già viste in precedenza.
La ragazza avanzò verso il divanetto, facendo scorrere il suo sguardo sul tavolino basso posto di fronte.
Esso era vuoto salvo per alcuni fogli di carta, i quali attirarono la sua attenzione.
Erano come fotocopiati, inoltre il logo dell’Umbrella era visibile sull’angolo in alto. Forse Alfred se li era procurati di nascosto, chissà…
Ma era anche vero che aveva detto di essere un comandante, sebbene abbigliamento a parte, nulla le facesse vedere in lui un vero soldato.
Egli era fin troppo eccentrico per essere identificato come tale.
Rimase sconcertata quando lesse le parole di quel documento:
 
 
 

Name: Alfred Ashford
Gender: M
Born: 1971
Occupation: U.T.F. (Umbrella Training Facility) commander
 
Gent.mo --------- ,
(il nome era stato cancellato in modo indelebile ed era oramai indecifrabile)
 
sono costernato di doverla rendere partecipe della seguente spiacevole situazione, tuttavia reputo ciò necessario dati i recenti accadimenti che stanno mettendo in pericolo la sussistenza della nostra azienda.
Come da lei ordinatomi, sono andato a far visita al discendente di Alexander Ashford, per assicurarmi sugli sviluppi della ricerca. Sotto mentite spoglie mi sono mischiato tra i soldati, dottori e i vari operai, ho così potuto osservare al meglio la situazione.
I nostri timori purtroppo hanno avuto conferma.
Oramai il signor Alfred Ashford, comandante delle basi dell’isola di Rockfort e dell’Antartico, rappresenta solo un intralcio per l’Umbrella inc. .
Egli è solo un insignificante dittatore che usa le nostre basi per dare sfogo alla sua evidente instabilità mentale, nel tentativo di emulare una grandezza a lui impossibile da raggiungere.
Non possiamo più aspettarci nulla dalla famiglia Ashford, è finita oramai.
Dobbiamo sbarazzarci di lui.
L’unico punto interessante di questa esperienza che voglio portare alla sua attenzione è stato quando ho sentito parlare la servitù circa la signorina Alexia.
Parlavano di lei come se fosse sopravvissuta….
Mi chiedo se sia vero, sebbene io stesso non l’abbia mai vista di persona.
E’ come se lei fosse un fantasma….è difficile da spiegare. Non sono impazzito, nonostante ciò che ho visto ne giustificherebbe ampiamente le cause.
Le invio questa lettera che riassume i punti salienti che saranno trattati nel mio rapporto, consapevole della gravità della situazione e dell’urgenza di agire. Solo per questo mi sono permesso di disturbarla.
 
Cordiali saluti,
----------------------
(il nome era stato cancellato in modo indelebile ed era oramai indecifrabile)

 
 
 
Claire allontanò quella lettera dal viso, appoggiandola delicatamente sul tavolino di vetro, con lo sguardo corrucciato, colmo di punti interrogativi.
Quelle parole giustificavano finalmente perché il biondo non facesse che ripeterle per chi lavorasse e se fosse stata lei ad attaccare la sua base.
Era chiaro…i suoi stessi ‘simili’ si erano ritorti contro di lui e lo consideravano una minaccia per via della sua evidentissima dissociazione mentale.
Era sotto la luce del sole che qualcosa a livello psichico non andasse in lui e di questo se ne era accorta anche l’Umbrella.
Si chiedeva che cosa avrebbe potuto pensare una mente instabile ed estremamente fragile come lui nel leggere parole simili, molto offensive nei suoi riguardi.
Osservò quel foglio e notò le piegature poste nella metà inferiore, dove solitamente si afferra un documento quando lo si legge.
In quel punto era leggermente accartocciato, come se qualcuno lo avesse stretto con rabbia ed il sudore avesse notevolmente sciupato la carta.
Alfred aveva quindi letto quelle parole…e doveva essersi arrabbiato molto.
Sebbene Claire comprendesse quei commenti e li condividesse ampiamente, anche se non nell’ottica utilitaristica dell’Umbrella, sentì il suo cuore stringersi.
Una parte di sé aveva avuto modo di conoscere i suoi disturbi e le sue paranoie, così inevitabilmente adesso lei era in grado di vedere oltre la pazzia che lui manifestava.
Riusciva a vedere la sua solitudine, il suo dolore, la sua immensa agonia.
Non era nemmeno immaginabile per lei l’idea di giustificarlo o compatirlo, figuriamoci quindi difenderlo!
Che fosse solo un dittatore disumano e deviato, come lo definiva quel documento, era un dato oggettivo e indiscutibile.
 
Eppure…
Eppure sentiva che non era giusto.
 
Trovò triste costatare che nella vita di Alfred ancora una volta ‘l’unica cosa che avesse importanza’ fosse solo qualcosa circa la misteriosa Alexia.
Persino quel foglio riteneva degno di nota esclusivamente quella notizia, circa la sorella gemella del biondo.
Possibile che Alfred fosse sempre destinato a essere secondo?
Non solo… lui non era mai nemmeno degno di qualsiasi attenzione, per via di una sorella dal genio a lui inequiparabile.
Si chiese se una parte di lui detestasse Alexia.
Al posto suo, Claire si sarebbe sentita molto ferita dall’essere ignorata in quel modo.
 
A quel proposito, fece caso che quel rapporto parlava della presunta “sopravvivenza di Alexia”.
Un momento…allora questo voleva dire che esisteva un’Alexia!
Però…però era morta, a quanto sembrava.
Le sue labbra rosse si deformarono. Portò una mano su di esse, facendosi pensierosa.
 
Alexia era quindi morta…
 
Ecco perché Alfred, che l’adorava quasi come una divinità, era impazzito. Doveva aver subito un fortissimo trauma…
S’intristì a quel pensiero.
Perdere un parente cui si è così affezionati doveva essere terribile.
Si domandò se fosse possibile aiutarlo, solo che non avrebbe mai saputo come approcciarsi a lui. Era una questione così delicata…
Inoltre lui aveva manifestato reazioni del tutto spropositate e fuori dalla normalità umana.
Eppure aveva a cuore quella situazione, perché in fin dei conti…lei poteva capirlo.
Claire aveva un fratello al quale voleva immensamente bene e lui rappresentava la sua unica famiglia.
La prospettiva che Chris potesse essere morto in quell’inferno che aveva distrutto le loro vite era un qualcosa che nemmeno immaginava, lei che da mesi lo stava ancora cercando senza avere sue notizie.
Poteva quindi capire l’ossessione di Alfred, sebbene da un punto di vista diverso.
Però comprendeva quel tipo di dolore…
 
Il dolore di sentirsi soli…
…e di preferire l’illusione, la speranza, pur di credere che fossero vivi da qualche parte.
 
Scosse la testa, frenando i suoi occhi inumiditi che si erano riempiti di lacrime alla sola idea che non avrebbe mai riabbracciato Chris.
Lui…lui era vivo. Ne era certa. E sarebbe venuto per salvarla.
Lo aveva letto a Raccoon City. Lui era stato in Francia di recente e stava indagando sull’Umbrella.
Chris aveva lasciato delle tracce. Era sopravvissuto e si sarebbero ricongiunti un giorno.
 
Per non farsi prendere troppo dalle emozioni, Claire decise di tornare alle sue indagini.
Decise di avvicinarsi alla tenda immacolata che ondeggiava in quella stanza, in modo da costatare cosa la facesse fluttuare. Dopotutto era entrata in quella stanza proprio perché attirata da questo particolare, magari vi era una via d’uscita lì dietro.
Quando fece però per scostarla, improvvisamente il rumore di qualcosa sbattuto violentemente a terra la fece trasalire.
Guardò tempestivamente dietro di sé e vide che la bambola posta a fianco del divano era…sfracellata?
C…cosa era successo?
Essa era crollata rovinosamente a terra, rompendosi all’altezza della testa, di cui una buona metà adesso era solo cocci di porcellana sparsi in giro.
Rimase a guardare da lontano, cercando di capire cosa l’avesse fatta cadere, quando un audio si propagò nella stanza.
 
“Claire…? Claire? Mi senti? Sono qui.”
 
La voce di Alfred fuoriusciva da qualche parte vicino la marionetta rotta; la ragazza fu restia nel decidere se avvicinarsi o meno, tuttavia la sua curiosità ebbe la meglio dunque mosse qualche passo nella sua direzione stando ben in guardia.
Notò con sgomento che c’era una sorta di piccolo oggetto meccanico fra i frammenti della bambola.
Era stato nascosto al suo interno e…un attimo. Era una telecamera!
Quella bambola allora era…una telecamera?! Anche le altre presenti nella Casa delle bambole lo erano…?!
Che diavolo significava?!
Subito trasalì, ricordando quando si era avvicinata con fare impietosito al manichino di Alfred Ashford qualche minuto prima, quando era appena salita al secondo piano di quella casa.
Si sentì presa alla sprovvista ed il panico l’assalì di colpo.
Alfred la spiava davvero in modo così subdolo?
Si sentì fuori di sé fino a divenire paonazza.
Una parte di sé era imbarazzata di fronte la prospettiva che lui avesse potuto vederla in quella circostanza, nella quale lei aveva dolcemente accarezzato la sua veste militare alla ricerca di una comprensione dietro il vuoto incolmabile dei suoi occhi.
Mentre era presa da tali contrasti interiori, intanto il mentecatto signore di quel castello continuò a parlare.
 
“Allora Claire, hai trovato la telecamera sì o no?”
 
Disse infastidito, vedendo dalla sua prospettiva la ragazza muoversi confusa fra quelle macerie.
Dalla sua posizione privilegiata, poteva ammirare indisturbato le gesta della sua prigioniera.
Fu assolutamente delizioso per lui vedere quel distruttivo terrore nei suoi occhi, così lontani dal mondo che lui conosceva.
Era qualcosa che più passava il tempo, più non poteva fare a meno di contemplare con estremo divertimento.
La Redfield intanto prese fra le mani quel dispositivo elettronico e, roteandolo dall’altro lato, vide finalmente uno schermo, il quale ritraeva la figura di Alfred accomodato su una scrivania.
La sua mano sorreggeva il suo capo annoiato, sul quale era ancora collocata quella ridicola corona da re.
 
“Hai ancora addosso quella?”
 
Lo punzecchiò Claire, assumendo un’espressione di disapprovazione. Alfred rise.
 
“Non ti piace proprio, allora. Un vero peccato perché io invece l’adoro.” sospirò. “Pazienza…non ci possono piacere le stesse cose. Siamo molto diversi Claire, purtroppo.
Sei una ragazza intraprendente e molto caparbia, sono cose che mi piacciono di te. Però devi ancora capire qual è il tuo posto. Tuttavia ti vedo restia a voler comprendere.
Hai portato troppo scompiglio nella mia base ed io ho già molti problemi per la testa.
Quindi…niente. Devo ucciderti.
Non posso avere rogne, sebbene il tempo che stiamo passando assieme non sia esattamente sgradevole.
Ero alquanto annoiato prima che venissi.”
 
Disse scuotendo la testa con l’atteggiamento di un padre costernato di dover prendere decisioni difficili.
Fece spallucce, sottolineando il suo non avere molte alternative, poi si incurvò verso lo schermo e congiunse le mani sull’addome, puntando il suo sguardo sulla giovane. 
La reazione di Claire intanto non tardò a venire. Aveva fatto le ossa con quel tipo di condotta oramai.
 
“Oh, quindi ci sono cose che ti piacciono di me, non mi dire.” rise velatamente. “Beh, io posso dire una cosa che non mi piace, ed è quella corona. Toglitela e magari riaffrontiamo l’argomento un giorno.”
 
“Ah,ah,ah…”
 
Sorrise sotto i baffi Alfred, divertito quando interloquiva con lei. Quei battibecchi, finché non degeneravano, avevano un che di…intrigante.
 
“Sei un tipo interessante, Redfield, ma con questo non fraintendere. Ho dei doveri e tu sei d’intralcio. Dimmi un po’, preferiresti che ti uccida io o mia sorella? Se vuoi, posso tenere conto della tua opinione.”
 
“Siamo di buon umore allora.” scherzò lei mettendo una mano sul fianco. “Prima di tutto devo farti i miei complimenti per come porti i tacchi, Alfred. Nemmeno io ci cammino così bene.”
 
“Cosa insinueresti, Redfield?! Non credo di aver sentito!”
 
Scattò in piedi lui, sbattendo violentemente una mano sulla scrivania.
Da un atteggiamento rilassato e più disinvolto, adesso i suoi occhi trasmettevano una furia omicida che poteva leggersi anche attraverso quel piccolo monitor fra le sue mani.
Claire strinse gli occhi, consapevole che dicendo quella frase l’avrebbe fatto uscire allo scoperto. Ma farlo reagire era l’unico piano che aveva per tenerlo a bada e magari riuscire a interagire con lui.
 
“Non voglio farti innervosire, ma devi farmi uscire da questo posto. Io non c’entro niente. Non sono io il tuo nemico.
Ho…ho capito quanto questa situazione sia difficile per te, ma io non posso subire in eterno le tue angherie.
Dove mi trovo? Cosa è successo quella notte, dopo che io e Steve prendemmo l’aereo?
Devi dirmelo…non possiamo continuare in questo modo.”
 
Il biondo Ashford morse le labbra non riuscendo a trattenere la sua collera di fronte la sfrontatezza della ragazza che in realtà stava cercando di parlargli col cuore in mano.
Lei davvero aveva provato a illustrargli la sua situazione e a trattarlo come una persona civile…tuttavia sembrava non avere senso approcciarsi a lui con un modo di fare ragionevole.
Alfred Ashford era oramai lontano da quel tipo di comprensione.
Egli vedeva solo minacce, ovunque, oramai imbrigliato nella sua prigione di follia.
 
“Ah, sì? Non puoi più continuare?! Bene, allora poniamo direttamente fine a tutto questo!!”
 
Urlò fuori di sé, allungando il braccio verso il suo monitor che si spense interrompendo quella comunicazione.
 
“Cos..! Alfred!!” disse Claire sconvolta. “Maledizione, ha chiuso.”
 
Concluse dopo aver cercato di accendere quell’apparecchio senza ottenere alcuna reazione.
Ancora una volta cercare di parlargli era stato assolutamente inutile.
Certo, anche lei poteva essere più ‘carina’ con lui, ma non poteva fingere fino a tal punto dopo ciò che le stava facendo passare. Era già tanto che avesse almeno provato a parlargli.
Scosse la testa, capacitandosi sempre di più di come fosse ardua quella situazione. Doveva cavarsela da sola, non c’era alternativa.
Si rimboccò le maniche e tornò a scrutare la tenda.
Trovò ambiguo quando, scostandola, notò che non c’era nessuna finestra lì dietro. Si chiese perché collocare una tenda su una porzione di muro sprovvista di balconi o qualche altro infisso per aerare la stanza.
Ma soprattutto, se non c’erano varchi, lo spiffero che la faceva ondeggiare da dove proveniva?
Si piegò ponendosi più vicina e sentì qualcosa soffiare sul suo viso. Non si sbagliava, qualcosa da cui passava l’aria era nascosto lì dietro.
Effettivamente, aguzzando l’occhio, c’era una piccola spaccatura sul muro. Non l’aveva notata prima perché si confondeva con l’intonaco ammuffito e deteriorato.
Picchiettò con le dita e l’eco del rintocco confermò l’ipotesi che qualcosa fosse nascosto dietro il muro.
Si guardò attorno, cercando un qualsiasi arnese da imbracciare e usare per far crollare quella porzione di parete.
Vide una lampada da terra; era leggera da prendere in mano, ma abbastanza massiccia da non spaccarsi. La prese quindi e la utilizzò per tamburellare il muro che si sbriciolò dopo pochissimi colpi.
Rimise a posto l’oggetto e si avvicinò alla crepa appena aperta.
Era come un camino murato ed al suo interno vi era una cassetta di legno. Sembrava molto vecchia, chissà da quanto era lì?
La chiave era ancora incastrata nella fessura.
Una volta aperta, però, la delusione si disegnò nei suoi occhi.
Dentro non vi era nulla, se non l’ennesima e inutile bambola di porcellana, stavolta però a grandezza normale, circa quaranta centimetri.
Ella aveva dei meravigliosi capelli rossicci, ricoperti da un cappellino bianco decorato con del pizzo. Anche il suo vestito era candido ed era conservato in modo perfetto a differenza della scatola di legno malandata dentro cui era stata riposta.
Aveva un viso veramente stupendo.
Le bambole di quel genere, solitamente, avevano un viso inquietante, spesso inguardabile sebbene i loro dettagli e i ricami sui loro vestiti distogliessero l’attenzione da tale dettaglio.
Questa invece aveva un’espressione rassicurante, dolce, soave…sembrava un angelo.
La girò in modo da scrutarla per bene e fu allora che un biglietto scivolò da essa.
 
“Alla mia cara Alexia,
per il tuo compleanno.
Tanti auguri,
 
Alfred”
 
Quella bambola era quindi un regalo di compleanno di Alfred per Alexia.
Perché era murata allora?
Forse era un ricordo prezioso che conservava gelosamente?
Dal tipo di calligrafia, a scrivere quel bigliettino doveva essere stato un bambino di cinque o sei anni al massimo. Seppure fosse una grafia molto raffinata per essere quella di un ragazzino.
Roteò il biglietto fra le mani e notò che dietro erano impressi dei numeri: 1-12-5-24-9-1
Era un codice? Una combinazione? Cosa poteva essere?
Forse era il caso portare quel bigliettino con sé, non si sapeva mai.
 
Una volta appurato che non vi fosse null’altro nella scatola di legno, scrutò un’ultima volta in quella rientranza alla ricerca dello spiffero dal quale fuoriusciva quella lieve corrente d’aria, non accontentandosi di aver trovato solo una bambola lì dentro.
Pigiando sulla base di quel caminetto, alla ricerca di un foro o qualcosa di simile, scoprì qualcosa finalmente.
Notò, infatti, che il fondale murato traballava in modo anomalo e si accorse così che era solo una tavola di legno.
Non era né fissata né incollata, era semplicemente poggiata lì davanti per dare l’impressione di essere un passaggio chiuso.
Invece quel camino murato era un vero e proprio varco che affacciava in un’altra stanza.
Spostò quindi la tavoletta di legno e strisciò al suo interno.
Era abbastanza ampio perché una persona singola ci passasse.
Una volta dall’altra parte, si ritrovò all’interno di una stanza matrimoniale.
Spiccavano l’enorme baldacchino rivestito da dei teli trasparenti, che donavano un aspetto etereo a quella stanza; un barlume rossastro di un camino acceso che riscaldava l’ambiente con le sue scintille calde e confortevoli; infine una sedia a dondolo di legno chiaro che oscillava dolcemente, sulla quale si cullava una giovane donna vestita di viola che sembrava sussurrare una lenta canzone fra sé e sé, in balia dei suoi sogni e dei suoi ricordi.
Anche se le rivolgeva la schiena, poteva quasi vederne il volto vuoto e spento, raccolto nei proprio personali pensieri.
Claire si sollevò da terra e si avvicinò, riconoscendo la figura di Alexia.
Stranamente nessuna delle due era in guardia. La bionda sembrava essersi perfettamente accorta della presenza della ragazza dai capelli rossi, eppure era immobile, non compì alcun gesto né le rivolse alcuna parola.
La Redfield s’insospettì così si pose di fronte a lei; a quel punto si accorse che, fra le sue braccia, la glaciale regina della famiglia Ashford sorreggeva il manichino di Alfred, suo fratello gemello, lo stesso che aveva visto nella prima stanza che aveva visitato del secondo piano.
Questi aveva il capo sistemato sul suo grembo ed era collocato in ginocchio ai suoi piedi. Era come se quel fantoccio si fosse abbandonato ai suoi sentimenti, abbracciando la sua rimpianta sorella, la quale adesso accarezzava il suo capo dolcemente.
Anzi…l’immagine che suscitava quel quadretto familiare era un’altra, ripensandoci.
Era infatti Alfred che, travestito da Alexia, stava alleviando le sue stesse pene fingendosi sua sorella e facendo a se stesso quello che bramava: una tenue carezza, un piccolo e dolce gesto di affetto, ricevuto dalla donna che desiderava.
Tuttavia non avrebbe mai trovato la felicità in quel modo…
‘Alexia’ muoveva le sue labbra sussurrando delle parole incomprensibili per via del tono estremamente basso.
Forse lo stava consolando, chissà.
Quello sguardo assorto le mise i brividi.
Alfred era come ipnotizzato, come se si fosse isolato dal resto del mondo ed adesso non esisteva nessun’altro se non lui e Alexia.
Claire rimase a guardarlo per un po’, osservando il suo viso trasformato nella sua sorella gemella.
Una recita che, a quanto pareva, portava ancora avanti con grande convinzione.
 
“Cosa stai facendo?”
 
Disse non chiamandolo appositamente per nome. Qualcosa in quell’immagine l’aveva rattristata e non voleva umiliarlo e colpirlo ulteriormente. Era già visibilmente scosso di suo, non poteva farlo.
Alexia non alzò lo sguardo. Si limitò solo a sussurrare ancora fra sé.
Lentamente poi tra quei bisbigli cominciarono ad articolarsi delle frasi ed ella cominciò finalmente a parlare.
 
“…e tu cosa stai facendo, Redfield? Hai detto che ti sei stancata di giocare. Come vedi, ho qualcosa da fare in questo momento. Lui sta piangendo, ma io adesso non posso aiutarlo. Lui deve attendere ancora un altro po’ e poi farò ritorno, come promesso, ed insieme riavremo quello che ci spetta. Ci vendicheremo per quello che ci hanno fatto.”
 
“Cosa vi hanno fatto?”
 
“Non ti interessa. Anche tu sei come loro.”
 
“Non è vero. Non so a cosa ti riferisci ma…ma l’hai detto tu stesso.”
 
Claire si fermò.
Il suo cuore prese a palpitare.
 
“Io ho un fratello, un fratello che mi manca e sono tanto in pena per lui. E’ da mesi che non ho sue notizie. Quindi so cosa vuol dire essere soli.”
 
‘Alexia’ ascoltò attentamente quelle parole, ma sembrò totalmente apatica. Era come se oramai fosse incapace di comprendere il linguaggio umano.
Dopo tanta disperazione e solitudine, Alfred era oramai un essere abbandonato a se stesso.
Cresciuto in un mondo così duro e meschino, non sapeva più riconoscere la sincerità, l’affetto, il calore umano…non esisteva più nulla ai suoi occhi.
L’unica cosa che conosceva era il suo immenso amore per Alexia. 
Non sarebbe mai stato capace di riconoscere quel tentativo di comprensione da parte della Redfield, così lontana dal suo universo.
Claire guardò la sua figura con il viso corrucciato, delusa di non essere riuscita a interloquire con lui ancora una volta.
C’era qualcosa che bloccava la sua mente e gli impediva di ascoltarla seriamente.
Sul suo volto c’era qualcosa di strano. Era completamente alienato, come se non fosse davvero in quella stanza.
Cosa diavolo si nascondeva dietro i gemelli Ashford? Cosa rendeva così deviata e malinconica quella persona, davvero?
Intanto egli si cullava indifferente sulla sua sedia a dondolo, continuando ad accarezzare il capo del suo Alfred-fantoccio.
Claire a quel punto perse le staffe e si mise più vicina.
 
“Smettila di accarezzare quel manichino! Ti rendi conto che tu non sei Alexia e che quel pupazzo non è Alfred?! E’ tutto sbagliato, diavolo!”
 
La giovane Redfield pensò che un approccio più deciso potesse fare breccia dentro di lui, ma non valutò che anche il ragazzo potesse perdere la pazienza.
Egli, infatti, non appena Claire si appropinquò a lui, come un fulmine afferrò la sua testa, stringendola in una morsa dolorosa che costrinse la giovane a piegarsi su se stessa.
Fu uno scatto così impercettibile che la paura bloccò la sua mente per un istante. Non si era nemmeno resa conto di quando egli aveva allungato il braccio per acchiapparla.
Intanto la Regina si mise in piedi osservandola dall’alto in basso con disprezzo, stringendo il suo cranio sempre più forte.
Claire digrignò i denti e fece di tutto per divincolarsi dalla sua presa, ma ogni movenza fu inutile. Il suo cuore prese a battere forte, spaventata che quella fosse la sua fine.
Cominciò a mugugnare versi di dolore, tormentata da quella morsa che si faceva sempre più violenta, questo mentre la donna dagli occhi glaciali ed imperscrutabili formulava la sua atroce sentenza.
 
“Accontenterò il tuo desiderio: muori pure se vuoi.”
 
Fu l’unica cosa che seppe dire la bionda.
In seguito trascinò dietro di sé la ragazza, tirandola con veemenza. Claire sentì il suo intero corpo forzato a seguire la malevole donna. Puntò i piedi a terra, ma essi strisciarono ugualmente verso dove ‘Alexia’ la stava portando. Opporsi a lei fu del tutto inutile. 
Spaventata e con il cuore in gola, a un certo punto sentì una spinta che, con fare prepotente, la fece addirittura sollevare da terra.
Percepì un urto violento sulla sua schiena, ammortizzato tuttavia da qualcosa di molto morbido e compatto. Alexia la sbatté, infatti, sopra il letto a baldacchino che era posto al centro della stanza, con una veemenza che la rossa non potette contrastare in nessun modo.
Allo stesso tempo, la donna diabolica premette un telecomando e tempestivamente partì un rumore meccanico, molto simile a quello di un ascensore in movimento.
Frastornata, Claire si ritrovò seduta sulle morbide lenzuola, ma non fece in tempo a realizzare l’accaduto che il volto di Alexia sparì nel nulla; questo perché quel telecomando aveva fatto attivare un congegno che faceva sopraelevare il letto, conducendola ad un piano nascosto.
La Redfield si ritrovò catapultata in un nuovo meandro della villa, sotto il volere di ‘Alexia’ Ashford, ancora una volta.
 
 
 
 
***
 
 
 
 
Casa della Bambole
3° piano – passaggio segreto
 
 
Il letto matrimoniale a baldacchino saliva, saliva…dove sarebbe sbucato?
Claire strinse le mani sulle coperte, serrò le labbra e stette in guardia. Doveva essere pronta di fronte qualsiasi inghippo partorito dalla mente deviata di Alfred.
Lui…era pericoloso. Seppur folle ed emotivamente fragile, le aveva dimostrato più di una volta la sua immoralità.
Doveva stare alla larga da lui; egli, prima o poi, avrebbe perso le staffe ed allora per Claire sarebbe finita. Non poteva permetterlo.
Cercò di elaborare nella sua mente l’accaduto, in modo da ricordare a se stessa che doveva smetterla di porre così tanta speranza nel prossimo.
 
Esistevano persone…che non potevano essere guarire.
Ed Alfred era una di queste.
 
Lui stava bene nel suo piccolo mondo brutale e fittizio. Era felice forse di vivere quelle menzogne assurde e fingere che sua sorella esistesse, pur essendo lui stesso a impersonarla.
Egli godeva della sua avidità e della sua perversione, eccitato dall’idea del male, vivendo nella completa corruzione.
Aveva trovato il suo folle equilibrio e seppur la sua ragione vacillasse portandolo di tanto in tanto alla realtà, la rossa non poteva più mettere a repentaglio la sua vita.
Seppur fosse difficile per lei guardare solo a se stessa e alla sua sopravvivenza, doveva indurire il suo cuore.
 
Lui preferiva quella finzione……era ciò che aveva scelto.
 
Fu una consapevolezza che l’addolorò più di quanto lei stessa pensasse. I suoi occhi s’intristirono e un profondo malcontento abbuiò il suo volto.
Questo perché Claire ne aveva vissute tante…veramente tante.
Aveva condotto una vita felice e poi, in un giorno come un altro, la sua famiglia era morta quando era solo una bambina.
Si era ritrovata sola, ma poi si era risollevata ed era sopravvissuta anche a quello.
Sostenuta dalla complicità di Chris, aveva ripreso in mano la sua vita.
E poi, all’età di diciannove anni, aveva di nuovo perso tutto….
Quegli equilibri che aveva tanto faticato a ricostruire dopo quella tragica perdita che l’aveva segnata inesorabilmente, sparirono nel nulla. Suo fratello, amici, parenti….
Dopo il disastro di Raccoon City aveva perso i contatti con tutti coloro che conosceva e che davano senso alla sua vita.
Pochi mesi che avevano cambiato tutto, così…da un giorno all’atro… costringendola a cambiare e a combattere una guerra che mai avrebbe creduto potesse accadere davvero.
La paura che aveva animato e che animava ancora i suoi giorni, ma anche la grande determinazione che la spingeva ad andare avanti…erano un qualcosa che, a lungo andare, avevano fatto nascere una nuova Claire.
Lei stessa non si sarebbe riconosciuta guardandosi indietro.
In quella situazioni apocalittica in cui era stata circondata di crudeltà e morte, aveva dimostrato una forza d’animo che non credeva di poter avere davvero.
Doversi quindi arrendere ora, e limitarsi a scappare, scappare, scappare…era qualcosa che faceva a cazzotti con la sua sensibilità e con la sua voglia di dare a disposizione del mondo la sua esperienza e la sua forza.
Rinunciare era un amaro boccone da mandare giù, sebbene era fin dal principio che sapeva che non poteva fare niente per il biondo comandante di Rockfort island.
Era irrazionale anche solo pensare di capire quel mondo psichedelico. L’alternativa era solo quella di andare via da Rockfort, dal suo regno distrutto e malato.
Però…però una parte di lei ci pensava ogni momento.
Ci pensava dal primo istante quando, ancora travestita da Alexia, si era ritrovata il suo volto accanto. Quando aveva letto nei suoi occhi la disperata ricerca di un amore che aveva perduto.
Da quando aveva toccato con mano le sue ferite…
Non aveva voluto coinvolgersi, aveva cercato di limitarsi a scappare, ma non ci era riuscita.
Avrebbe ignorato tali riflessioni, tali pensieri contorti e psicologici, ma sapeva che una parte di lei si era oramai affacciata su quel mondo e bramava ‘capire’.
Doveva però farsene una ragione.
Doveva dimenticare la debolezza e la solitudine che aveva visto in quello sguardo.
Doveva sforzarsi di credere che ciò fosse non solo giusto, ma persino vitale.
Era vitale che lei scappasse da Alfred e dal suo palazzo.
 
Strinse gli occhi, dopodiché puntò lo sguardo dinanzi a sé, questo mentre il letto raggiunse il piano superiore, cessando di muoversi finalmente.
La rossa stesse qualche istante ancora seduta sulle coperte.
Studiò l’ambiente prima di proseguire, ma non c’era niente su cui puntare l’attenzione.
Era una stanza vuota….completamente vuota. Meno che una sedia.
Una sedia sopra cui era adagiata una bambola…
L’ennesima bambola a grandezza umana.
Claire si sollevò dal letto e, mentre avanzava verso il fondo della stanza, più osservava quella marionetta, più c’era qualcosa di familiare in lei.
La stanza era al buio, penetrava appena un fioco bagliore di luce che rendeva visibile più o meno l’ambiente.
Mentre osservava le pareti ammuffite e cercava di intravedere una via d’uscita in quella tremenda penombra, qualcosa d’inaspettato accadde.
La bambola alzò di scatto il viso verso di lei, mostrandole le sue fauci e il suo volto deturpato e rinsecchito. Questa si alzò facendo cappottare la sedia, la quale rintoccò sul pavimento polveroso facendo un baccano infernale che costrinse Claire a portare le mani sulle orecchie per proteggere i timpani; in realtà, più che il rumore, fu quell’evento improvviso che la fece sbandare in modo spropositato.
La bambola si rivelò essere una b.o.w. e camminò traballante verso di lei, esattamente come tutti i non-morti che abitavano quella villa demoniaca e perversa.
Claire indietreggiò, completamente colta alla sprovvista. Era oramai sfiancata da tutte quelle estenuanti fughe, da quei mostri famelici e distruttivi...era un circolo vizioso senza fine.
Si sentiva sempre più soprafatta, era…era un incubo!
Osservò quella b.o.w. e fu sorpresa quando si accorse che fosse una donna.
Non che non avesse mai visto donne zombie, solo che stavolta il suo corpo era in uno stato di conservazione migliore, o forse semplicemente una volta doveva essere appartenuto ad una ragazza veramente incantevole.
Tant’è che persino decomposta ed insanguinata, con quell’espressione famelica e vitrea, ella risultava…bellissima.
Era strano a dirsi eppure era così.
Aveva dei lunghi capelli biondi, tuttavia oramai secchi e sbiaditi. Sul suo viso s’intravedevano ancora, dietro le rughe e le spaccature, dei tratti somatici delicati e femminili. Il suo corpo era magro ma formoso. La sua pelle doveva essere stata immacolata e perfetta un tempo.
Era terribile vederla ridotta in quel modo, adesso.
Quando scrutò il suo abito, si sorprese di non averlo riconosciuto subito.
Esso era corto e lasciava scoperte gran parte delle gambe raggrinzite e graffiate.
Era un vestitino che sembrava essere stato tagliuzzato, e…….…era l’abito di Alexia strappato!
Quello che lei stessa aveva indossato e accorciato per renderlo più comodo per la sua fuga.
Alfred lo…lo aveva infilato a una non-morta?!
 
“Cos…?”
 
Voleva….voleva che morisse in quel modo? Per mano di se stessa, o di Alexia, o di qualsiasi significato simbolico avesse celato in quell’immagine?!
Spaventata, fece per lasciare la stanza ma la porta d’ingresso era chiusa.
Lanciando una fugace occhiata attorno a sé, verificò che quella era l’unica via d’uscita da quella stanza, così prese a sbattere con la spalla contro di essa sperando che il suo cattivo stato di conservazione avesse usurato la sua superficie.
Continuò a colpirla con tutto il corpo ancora, e ancora, con grande forza, finché un intero lato del suo corpo prese a farle male.
Nonostante sentisse la sua spalla livida per via di quei violenti urti, decise di non fermarsi; questo mentre l’oscura presenza alle sue spalle era sempre più vicina a lei.
La donna oramai deceduta e ridotta a quello stato di morto vivente sospirò e il suo alito fetido arrivò a sfiorare la nuca di Claire.
Le sue dita spaccate ed avide giunsero a toccare i suoi capelli rossicci, insinuandosi fra le ciocche. Quel tocco fece sbandare la ragazza, che si girò di scatto verso di lei. Questo mentre, dando un ultimo colpo alla porta, essa…si aprì!
Claire cadde a terra, tenendo la mano ancora aggrappata al pomello.
La b.o.w. scivolò con lei e si tenne stretta alla sua capigliatura allentando leggermente l’elastico che teneva i capelli di Claire sollevati.
Cercò di mordere le sue gambe, ma la giovane riuscì a tenerla lontana da sé prendendo a scalciare violentemente.
Le diede uno spintone e riuscì a mettersi in piedi scostandosi di dosso quella bestia famelica.
I suoi capelli adesso erano disordinati, molte ciocche non erano al loro posto e l’elastico era scivolato per metà dando un effetto spettinato alla sua acconciatura.
La Redfield scappò mettendosi a una distanza di sicurezza, perlustrando al tempo stesso la stanza ove era appena entrata: si trattava di una sorta di museo delle armi, molto simile a quello che era presente anche a Rockfort.
Vi erano delle perfette ricostruzioni di armi e strumenti di guerra vari d’epoca, realizzati in modo davvero verosimile.
Essi erano preservati in delle teche di vetro, con le relative placche d’ottone che segnavano le loro caratteristiche.
La ragazza si chiese se fra quelle armi ce ne fosse una vera.
Osservò il tavolo al centro, su cui era costruita una miniatura di un campo d’addestramento, a fianco di una riproduzione in scala di un carro armato.
Vi erano almeno una ventina di pistole e fucili che contornavano le pareti.
Infine, un computer attirò la sua attenzione. Questo perché, sopra quel PC, una pistola era conservata dietro un vetro, adagiata su un’elegante custodia.
Essendo collocata proprio vicino quello schermo, Claire subito comprese che forse quell’arma potesse essere autentica. Così ci si fiondò e cercò un modo per interagire con il computer, ovviamente protetto da password.
 
- Please, insert the password…. -
 
“Che diavolo ne so! Forza Claire, concentrati! Concentrati! Che password può mai aver scelto Alfred!!”
 
Intanto la b.o.w. si era faticosamente rimessa in piedi, ricordandole che oramai aveva poco tempo per appropriarsi di quell’arma.
La ragazza si rimboccò le maniche e cominciò a fare un tentativo.
La prima parola che digitò fu ovviamente Alexia, ma niente. Provò altre parole, ma dopo tre velocissime prove, fatte una dopo l’altra per la fretta, ecco che apparve la schermata di aiuto.
Per fortuna nessun allarme scattò.
 
- Mr. Alfred,
ha superato il limite dei tentativi possibili per inserire la password. Dispone di un ultimo tentativo.
Per ricordarle la sua password, ecco l’indizio: A è 1. Ora scriva il resto.
Ecco la domanda segreta: ‘era per il compleanno di sua sorella.’ -
 
Claire fu stupita da quella frase e subito la sua mente andò a ripescare il recente ricordo della bambola trovata murata dentro il camino.
La bambola era la password, certo!
Prima di digitare quella parola però, ricordò il secondo indizio. A è 1.
Se A è 1…allora….
Frettolosamente ripescò dalla tasca il biglietto d’auguri che aveva conservato. Girandolo sul retro, rilesse i numeri che erano stati scritti 1-12-5-24-9-1. Erano sei e se la lettera A dell’alfabeto corrispondeva al numero uno, allora….allora quei numeri non significavano altro che ‘Alexia’!
Contò mentalmente e combaciava alla perfezione!
1- A
12- L
5- E
24- X
9- I
1- A
 
Doveva dunque solo scrivere la parola “doll” nello stesso modo.
Seppur l’agitazione di avere una b.o.w. alle sue spalle non le permettesse di mantenere la lucidità, si sforzò di conteggiare nel modo giusto per non vanificare quel suo ultimo tentativo.
 
“A,b,c,d… 4 …e,f….”
 
Parlò fra sé e sé ad alta voce, cercando di non perdere la concentrazione. Alla fine scrisse il numero e pregò che partisse.
 
- 4 15 12 12…………………………………………………………
…………...authentication in progress……………
Please wait…………………………………………………
 
CORRECT
 
Security password is correct. -
 
Senza neppure aspettare che tutto il messaggio di conferma si caricasse, Claire estrasse la 9 mm prima ancora che il vetro che la proteggeva si fosse sollevato completamente.
Puntò decisa l’arma contro la b.o.w. vestita con l’abito di Alexia che lei stessa aveva indossato e poi….PAM!
 
Il colpo partì.
 
Un unico colpo, preciso, micidiale, che fece schizzare via la parte posteriore del cranio del nemico, il cui sangue spruzzò assieme alle sue membra.
Questa cadde a terra esamine, non fu più capace di muoversi.
La ragazza premette il grilletto una seconda volta, presa dall’adrenalina che le scorreva in corpo, e stavolta non partì alcun colpo.
Ne aveva avuto solo uno a disposizione e non lo sapeva.
Continuò a premere il grilletto a inerzia, mentre il suo corpo prese a tremare scaricando finalmente la paura e l’angoscia che le scorreva in corpo da ore.
Osservò il corpo raggrinzito, sciupato ed insanguinato della donna che era perita sotto il suo colpo.
Bella, certamente giovane, eppure…eppure condannata a quel destino nefasto e crudele.
Forse erano solo gli occhi mucosi e languidi di una persona oramai morta, ma Claire ebbe come l’impressione che delle lacrime riempissero quei bulbi. Come se quella donna avesse pianto con lei, addolorata allo stesso modo da quell’incubo.
Quell’identificazione fu ancora più struggente visto l’abito che indossava.
Un abito che lei aveva portato e che l’aveva resa prima prigioniera e poi libera… ed adesso giaceva insanguinato e sporco, addosso a quel corpo oramai morto.
La giovane scivolò a terra; esausta, sfiancata e oramai sconvolta. Le lacrime rigavano il suo viso, le quali bagnarono prima le sue guance, poi la sua bocca, fino a farsi più copiose e inumidire anche le ciocche della sua frangia cresciuta, cascata davanti al volto.
Emise un sonoro singhiozzo prima di abbandonarsi ad un pianto silenzioso di sfogo. Un pianto che fu la traduzione di quel mondo squilibrato e brutale, in cui aveva visto fin troppe vittime perire per mano sua.
Abbracciò le gambe, stringendo forte la pistola nella sua mano destra, lasciandosi trasportare da quel momento di debolezza di cui aveva un vitale bisogno.
 
 
 
 
Questo mentre dall’alto qualcuno la osservava….
La osservava ancora, imperterrita….non calando mai lo sguardo da lei….
 
Alfred strinse gli occhi.
 
Vide la meravigliosa Claire piangere disperatamente, mentre nascondeva inutilmente il suo splendido viso fra le braccia.
Quelle lacrime che rendevano sfiancati i suoi occhi vivaci e che arrossavano la sua pelle bianca e delicata.
La sua bocca che si faceva rossa e bagnata.
Scrutò quell’immagine triste eppure stupenda, osservando da dietro lo schermo di una telecamera nascosta.
 

 

 
 
***
 
 
 
 
 

  
 
 
 
NdA:
Il titolo “Trovarsi” è ancora una volta un riferimento ad un’opera teatrale. Casualmente sempre di Pirandello.
Non mi sorprendo che alla fine vado a ripescare sempre lui.  Una persona che ha dato voce a concetti umani ed esistenziali che accomunano l’intera umanità, con la profondità che lo ha reso una delle figure più note della letteratura italiana.
Un grande uomo….
“Trovarsi” è una commedia in tre atti, che pone al centro del problema quello che noi siamo davvero, prescindendo da come gli altri interpretino la nostra vita.
Donata Genzi, un’attrice, assume di volta in volta l’identità dei vari personaggi che interpreta sul palcoscenico, perdendo di vista così chi sia davvero.
Decide così di ricerca se stessa, cercando di riscoprire la sua “vera identità”.
Alla fine però finisce per preferire quella dei suoi personaggi, considerando la loro esistenza paradossalmente più “vera” di quella reale.
Credo che un’opera simile ben rappresenti la psiche di Alfred, che decide di vivere la sua esistenza a modo suo, anche se una folle menzogna, considerandola più bella e vera rispetto la terribile solitudine di cui in realtà è circondato.
Grazie per aver letto!
 
Non intendo lasciare incompleta questa storia, continuate a seguirmi sebbene il lento aggiornamento!
Grazie di nuovo!!
 
Fiammah_Grace
 
 
  
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