White
Future
Adesso,
è tempo di nuovi sentimenti.
Edward... qualunque cosa deciderai, sorridi.”
Le dita
scorrevano veloci sui tasti d’avorio,
intrecciandosi in una complicata combinazione di gesti rapidi e
armoniosi. Non
avevo in mente un testo preciso da seguire, mi limitavo a lasciarmi
andare al
caso, proprio nella curiosità di scoprire che melodia avrei
creato stavolta. Chiusi
gli occhi,
abbandonando leggermente la
postura rigida che avevo assunto su quello scomodo seggiolino posto
davanti al
pianoforte.
Comporre musica
non era mai stata la mia valvola
di sfogo preferita, anche se negli ultimi tempi approfittavo di quei
rari momenti
di solitudine per dedicarmici.
Sorrisi,
spostando lo sguardo su di una delle grandi vetrate della casa. Il sole
stava
tramontando, solo qualche timido raggio disegnava appena le ombre sul
portico
della veranda. Uno di questi oltrepassò i vetri delle
finestre, andandosi poi a
disperdere nelle mille sfaccettature di colore sulla mia pelle
d’alabastro.
Uno strano
arcobaleno artificiale, a suo modo.
Gli altri erano
usciti a caccia pochi attimi
prima del mio arrivo, a giudicare dalla recente scia che si dipanava
sino ai
primi bassi alberi della foresta. Non avevo acceso nessuna luce, mi ero
persino
dimenticata di portare al piano superiore le buste con i miei acquisti.
Era
bastata un’occhiata al soggiorno per farmi venire voglia di
sedermi a quel
piano, nero e lucido come l’ala di un corvo.
Mi lasciai
scappare una risata, il suono di tanti
piccoli campanelli si disperse nell’aria sopra di me. La
faccia di mio fratello
se mi avesse vista in quel momento… come minimo mi avrebbe
uccisa! Quel
pianoforte era tutto il suo mondo, diventava improvvisamente possessivo
se
qualcuno vi si avvicinava senza il suo permesso. Però
c’erano state anche delle
volte in cui avevamo suonato insieme, a quattro mani.
Stare al suo passo era
estremamente difficile,
ma non impossibile, anche perché con la sua
infinita pazienza cercava sempre di correggere i miei errori senza farmeli pesare. Un bravo
insegnante, un pianista eccezionale che avrebbe fatto girare la testa a
milioni
di donne, se solo non fosse stato così cupo e
solitario.
Abbassai la
testa portando la mia melodia verso
accordi più malinconici, rallentando il ritmo.
Sospirai piano,
lasciando libero spazio a quei
pensieri che ogni tanto tornavano a girovagare nella mia mente, come
spezzoni
di una vecchia vita in bianco e nero.
Di solito non mi
concedevo il privilegio di
tornare a ripensare al passato. Come Rosalie aveva affermato una volta,
non
c’era motivo di continuare a farsi del male ricordando
un’esistenza che non
avremmo più potuto vivere. Se ci fosse stato un vero lieto
fine alla nostra
storia, non saremmo stati certo in grado di raccontarla. Eppure, non
riuscivo ad
adattarmi alla sua visione così pessimistica dell’
eternità. Se non fosse stato
per la mia trasformazione, non avrei abbandonato quel buio che
continuava a
circondarmi e da cui non ero in grado di fuggire. Non avrei potuto
avere la
possibilità di incontrare tutti loro, la mia famiglia. O
conoscere quello che
sarebbe diventato poi il mio amatissimo marito.
Per questo ogni
tanto mi piaceva tornare
indietro, ripercorre gli anni che erano trascorsi, vedere come erano
cambiate le
cose. Avevo cercato di dimostrarmi forte e mi ero parata davanti alla
mia nuova
vita pur di proteggerla. Avevo donato tanto e quel tanto mi era stato
concesso
di nuovo grazie alle straordinarie persone che avevo incontrato durante
il mio
viaggio.
Ero felice,
nonostante l’onnipresente sete di
sangue che faceva ardere la gola, nonostante i continui spostamenti da
un luogo
all’altro per non farsi riconoscere dagli umani.
La percepivo
come una nuova strana
avventura. Persino il mio talento soprannaturale di
“vedere” nel futuro quegli
eventi che non si erano ancora verificati era una parte della nuova me
alla
quale mi ero affezionata col tempo.
Le dita si
arrestarono improvvisamente, l’eco
dell’ultima nota enfatizzò il silenzio della casa.
Rimasi
immobile, lo sguardo perso sui tasti neri e
bianchi che si succedevano uno dopo l’altro.
Forse non ero
stata proprio del tutto sincera con
me stessa. Adesso
non c’erano ombre o
dolore a circondarmi, ma non era stato sempre così. Se per me
il fuoco
dirompente del veleno nelle vene non era stato un problema,
poiché non ne avevo
conservato un ricordo preciso, i primi anni dopo la trasformazione
erano stati
il passo più difficile da affrontare.
Ero sola, giravo
intorno ai miei demoni senza
scappare, ma senza farmi prendere. Cercavo sotto ogni mia maschera per
vedere
chi c’era, per scoprire chi ero diventata, per capire come
ritrovarmi. Ci sono
stati momenti in cui non riuscivo a vedere nulla e c’era solo
il nulla a
tenermi compagnia.
Poi era
successo, in maniera così improvvisa da
lasciarmi senza parole.
Ero riuscita a
“vedere” oltre.
Il volto cupo di
un giovane uomo aveva preso
campo nella mia testa. Aveva la mia stessa pelle
d’alabastro segnata da
innumerevoli cicatrici più chiare, gli occhi rossi scuri e
cupi che si
guardavano intorno, circospetti. Vidi me stessa corrergli
incontro, apostrofarlo
per il suo ritardo, il suo chinare la testa alle mie parole scherzose.
Non lo
conoscevo, non l’avevo mai incontrato. Eppure in quel
momento con l’immagine del
suo volto ben chiara nella mente provai calore. Una sensazione nuova
che non
avevo mai avvertito sulla mia fredda pelle da immortale.
Fu lì
che Jasper, senza neanche saperlo, mi salvò
per la prima volta.
Ci facevamo forza a vicenda. Succedeva un po’ per
tutti: Carlisle con Esme, Emmett con quella testarda di Rosalie. Poi c'era Edward.
Il
mio
fratello preferito, quello con il quale avevo istaurato un rapporto che
andava
al di là della semplice amicizia. Forse il fatto che i
nostri talenti erano in
qualche modo legati fra di loro, magari l’empatia che legava
i nostri
caratteri, il fatto che lo facessi ridere in quelle rare volte in cui si
apriva
un po’. Vederlo da solo mi riempiva di
tristezza. Una
solitudine forzata, il rigetto per ogni tipo di possibile relazione.
La
verità però era un’altra e forse solo
io e
Jasper ce ne eravamo accorti. Mio marito ne percepiva le emozioni a
pelle
tramite il suo dono, a me bastava guardarlo per capire davvero.
Edward si
sentiva in colpa più di tutti gli
altri. Si condannava da solo per ciò che aveva fatto in
passato, si prendeva il
peso di sofferenze che nemmeno gli appartenevano. Si odiava in silenzio
per
tutto ciò che era diventato.
Non era bastato
l’interesse di Tanya a
smuoverlo, se possibile si era chiuso ancora di più in se
stesso negandosi ogni
tipo di compagnia. Si considerava un mostro, una creatura senza
sentimenti. Non
poteva esserci pensiero più sbagliato. Conoscevo mio
fratello e potevo
affermare che era tutto meno che un uomo senza cuore. Aveva un mondo
meraviglioso dentro di sé, pronto a donarsi a chi avrebbe saputo
regalargli quella gentilezza e quell’amore che
andava inconsapevolmente
ricercando. Sarebbe bastata una persona semplice, di animo puro, una
creatura
tanto ingenua e coraggiosa da tenergli testa. Sarebbe arrivata, ne ero
certa.
Edward non poteva essere destinato a trascorrere
un’eternità tanto solitaria.
All’improvviso,
il mio udito sensibile catturò il
rumore silenzioso di passi affrettati al di là del fiume.
Stavano rientrando.
Con un sorriso, mi affrettai verso l’ingresso e accesi la
luce del portico. Ero
pronta ad accoglierli, un po’ come fa una mamma
con i propri
bambini quando tornano da scuola. Curiosa di sentire come avevano
trascorso la
giornata, sapere delle loro prede, del risultato del probabile duello
che Emmett
aveva ingaggiato durante la strada del ritorno.
Ero talmente
concentrata sulle foglie scure degli
alberi, pronta a scorgere i loro profili
nell’oscurità della sera, che all’inizio
non mi accorsi di niente. Arrivò dal nulla, forte e nitida
come una fotografia. Un
ologramma dai colori sgargianti. Mi ritrovai catapultata in una visione
nuova,
potente, tanto da farmi appoggiare allo stipite della porta accanto a
me.
Le immagini che
si susseguirono uno dopo l’altra
non riguardavano nessuna delle persone che conoscevo. C’era
un viso
nuovo, pallido, dai grandi occhi scuri che mi fissava interdetto, quasi
ammirato.
Era un essere umano, lo capii dalle guance che improvvisamente
s’imporporarono
quando la ragazza si voltò, come ad evitare lo sguardo
curioso di qualcuno che
l’osservava. La visione si allargò appena,
permettendomi una visuale più ampia.
Fu allora che mi sentii invadere dalla gioia. Durò poco
più di un’ istante, il
tempo di farmi cogliere altri particolari di quel futuro che non si era
ancora
delineato in maniera chiara. Spezzoni confusi di vita riempirono la mia
mente:
una ciocca di capelli scuri calati come un soffice sipario, il volto
che da
pallido diventava bianco come la neve, così simile al mio.
C’era però anche un’
immagine del marmo freddo di una tomba, un lungo vestito da sposa con
merletti
e pizzi d’epoca. Ma l’elemento più
importante, fondamentale, erano gli occhi di
Edward, limpidi e lontani dal solito dolore. C’era calore in
quegli occhi, lo
stesso che avevo provato io quando per la prima volta avevo
“visto”
Jasper. Socchiusi le palpebre, mentre la visione andava sfumando in
piccoli
pezzetti d’immagine. L’ultima cosa che vidi fu un
biglietto aereo appoggiato su
di un comodino vicino ad un vecchio televisore.
Rimasi
ferma, immobile, ad assorbire l’impatto di quel
tornado d’emozioni. Non mi ero neppure accorta del sorriso
enorme che
inconsciamente mi si era dipinto sulle labbra.
<<
Posso capire che basti la mia sola presenza ad emozionarti
così tanto,
ma non ti sembra un pochino esagerato sorridere in questa maniera
idiota?
>> Il viso di Emmett si parò davanti ai miei
occhi facendomi sobbalzare.
Me li ritrovai tutti di fronte, preoccupati per la mia strana
espressione. Non
feci caso alle domande che orbitavano nei loro occhi caramellati, mi
rivolsi
subito alle due persone che più di tutti volevo vedere.
Jasper ed Edward erano
ancora sul portico di casa, illuminati dalla piccola luce sopra le loro
teste.
Sentivo mio marito analizzare l’aura di felicità
che mi circondava, chiedendosi
che cosa fosse successo di tanto bello da rendermi così
euforica. Edward pareva
confuso e si concentrava per far breccia nei miei pensieri.
Non
gliel’avrei data vinta così facilmente.
Iniziai a tradurre nella mia testa l’inno americano in
francese e mi rivolsi
sorridendo al mio grande e imponente fratello.
<<
Niente, Emmett, sono solo felice! Oggi
lo shopping è andato proprio bene, tutto qui! >>
Non aspettai un
ulteriore commento. Mi diressi
danzando su per le scale, fiondandomi a tutta velocità nella
mia stanza. Quando
la porta di legno si richiuse alle mie spalle, caddi sulle ginocchia. In
quel
momento se solo avessi potuto sarei scoppiata in lacrime.
Perché l’avevo
capito subito, era stato istintivo: quella era una ricompensa dettata
dal
destino che valeva più di un milione di ringraziamenti.
Sapevo che non era
niente di certo, c’erano ancora troppe incognite a rendere il
futuro confuso.
Però poteva bastare, una possibilità
su cento valeva anch’essa.
Avrei mantenuto
il segreto persino con Jasper.
Sarebbe spettato ad Edward decidere. Anche se questo non negava il
fatto che
gli avrei dato un mano. Abbassai la testa, sporgendomi con un braccio
sotto il
letto. Sapevo cosa cercare. Afferrai di scatto la rivista iniziando a
sfogliare
i vari tipi d’abito adatti per quell’occasione. I
miei occhi si soffermarono su
di un disegno particolare che richiamava un po’ quello della
mia visione. Avrei
dovuto apportare qualche modifica sicuramente, anche se il pizzo
d’epoca poteva
starci, non avrebbe stonato con quel viso a forma di cuore.
Sorrisi stringendo
la pagina patinata,annotandomi
su di un pezzo di carta l’indirizzo del negozio.
Per fare le cose
per bene avrei potuto
organizzarmi con calma.
In fondo, le
liste d’attesa erano sempre molto
lunghe da Perrine Bruyere. (*)
“ I sentimenti su cui
ho giurato quella
notte sono ancora gli stessi e sono racchiusi nel mio cuore.
Il tuo sogno
meraviglioso, Edward...
Non dimenticarlo.”
( *) = stilista
nominato da Alice in Eclipse quando parla
dell’abito da sposa di Bella,
pag. 488.