28 Dicembre 1998: Orfanotrofio, Edonia, Europa orientale
La terribile puzza di fumo si stava espandendo per tutta la zona. Li intorno non vi
abitava nessuno, perciò molto probabilmente nessuno se ne sarebbe accorto in
breve. Il fuoco avrebbe avuto tutto il tempo di espandersi e causare gravi danni.
Dovevo impedirglielo. Cercando di ignorare la frustrazione per aver perso ciò che
cercavo, mi fiondai dentro l’orfanotrofio, alla ricerca di qualche estintore, magari
facevo ancora a spegnerlo da sola. Ma un tonfo proveniente dal magazzino mi fece
bloccare. Possibile che ci fosse qualcuno la dentro? o era stata solo la mia
immaginazione? Decisi di avvicinarmi ancora un po’, senza esagerare troppo però
(ci mancava solo che venissi coinvolta da un incendio) e cercai di ascoltare meglio
cosa succedeva li dentro. Questa volta non mi potevo essere sbagliata: li dentro
c’era proprio qualcuno. Avevo sentito nuovamente un lieve rumore. Rimasi a
pensare non più di due secondi, per poi sfondare la porta e fiondarmi dentro la
baracca. Il fumo aveva ormai avvolto tutto, esattamente come le fiamme, ma
riuscivo a scorgere distintamente una piccola figura riversa in terra, al centro della
stanza. Cercando di non farmi toccare dalle lingue di fuoco e la raggiunsi.
Nonostante non riuscissi a vederlo in faccia, ero sicura che fosse soltanto un
bambino. Lo caricai sulle spalle e raggiunsi l’uscita, il più velocemente possibile.
Dopo circa mezz’ora il fuoco si era spento, quasi miracolosamente oserei dire, si
era ingrandito parecchio e non credevo che si sarebbe potuto spegnere per conto
suo. Un’altra cosa che mi lasciava perplesso era il fatto che nessuno fosse
accorso, in fondo il fumo era arrivato parecchio in alto, le persone in città se ne
sarebbero dovute accorgere. Mi avvicinai nuovamente al bambino, una volta
salvato lo avevo portato dentro il vecchio orfanotrofio e lo avevo steso sul letto di
una delle stanza. Lo avevo esaminato distrattamente, ma non sembrava aver
riportato dei danni visibili: sperai soltanto che non avesse respirato troppo fumo.
Era un ragazzino di media statura, doveva avere all’incirca 5 o 6 anni, aveva dei
capelli ramati tagliati cortissimi. Ad un certo punto lo sentii agitarsi nel sonno,
segno che si stava per svegliare, ed infatti dopo pochi istanti aveva aperto gli occhi
e aveva alzato la testa. Si guardava intorno, leggermente spaesato, fino a che i suoi
occhi non si posarono su di me. A quel punto sembrava ancora più confuso. –Tu chi
sei? Dove mi trovo?- Nonostante la situazione, non era agitato più di tanto, non vi
era traccia di paura nel suo tono. –Mi chiamo Carol Smith, Ci troviamo dentro un
orfanotrofio abbandonato, tu piuttosto! chi sei e cosa ci facevi dentro quel capanno
in fiamme? Sei stato tu ad appiccare l’incendio?- Ero parecchio seccata al
riguardo. Questo incosciente non solo aveva distrutto l’archivio con tutti i
documenti che stavo cercando ma aveva rischiato anche di morire bruciato. –Mi
avevano chiesto di far sparire i fogli e io ho pensato che bruciando tutto avrei fatto
prima: mi hanno offerto parecchi soldi e mia madre ne ha assolutamente bisogno-
Concluse con una nota di preoccupazione nella voce –Chi è stato a pagarti?- Gli
chiesi sbuffando, sarebbe stato inutile prendersela con lui, però il fatto che
qualcuno volesse far sparire i fogli dell’archivio mi dava da pensare: che fosse solo
una coincidenza? –è stato quell’idiota di Frederic Downing!- Affermò lui seccato.
Quasi mi scappò un sorriso. Però quel nome mi era in qualche modo famigliare.
Dove lo avevo già sentito? Mi chiesi tra me e me. –Senti, mi potresti
riaccompagnare a casa? Sono ancora un po’ frastornato- Mi chiese lui,
distogliendomi dai miei pensieri. In ogni caso, forse avrei potuto chiedergli
qualcosa di più. Forse era a conoscenza di altre informazioni, così decisi di
assecondarlo. Annuii e uscii dalla stanza insieme a lui. Prima di abbandonare
l’orfanotrofio, però, lui si voltò verso di me e con un sorriso disse –Comunque io
mi chiamo Jake Muller, piacere di conoscerti Carol Smith- Sorrisi davanti a quel
sorriso, anch’esso terribilmente famigliare e uscii insieme a lui, da quel palazzo
triste e decadente.
28 Dicembre 1998: Casa Muller, Edonia, Europa orientale
Ormai era scesa la notte e le strade avevano assunto un aria parecchio inquietante.
Non ricordavo che la notte fosse così da queste parti, se fossi stata ancora
bambina mi sarei sicuramente spaventata. Non riuscivo a capire come Jake facesse
ad ignorare ogni cosa intorno a lui, doveva averne viste di ben peggiori nella sua
breve vita. Mi scappò un espressione triste a quel pensiero. Dopo pochi minuti
eravamo finalmente arrivati davanti a quella che doveva essere la casa del
bambino. A prima vista sembrava che non fosse nessuno dentro. Il luogo, più che
una casa, sembrava un enorme baracca di legno e ferro, si trovava ai limiti della
periferia cittadina, dove non passava praticamente nessuno, l’abitazione sembrava
rimanere in piedi per miracolo e non mi sarei neanche sorpresa se un colpo di
vento la facesse cadere a terra. Più rimanevo con il piccolo Jake, più notavo dei
tratti simili con la mia infanzia: in fondo ero cresciuta nel suo stesso paese, lo
stesso triste e povero paese, ed entrambi non avevamo avuto un infanzia molto
felice e semplice. Così assorta nei miei pensieri, non mi accorsi che intanto lui era
scattato verso la sua casa, lasciandomi indietro. Lo raggiunsi a passo lento, tanto
non avevo molta fretta, lo avevo riportato a casa sano e salvo senza imbattermi in
“catastrofi biologiche”. Non feci in tempo a darmi della cretina per quel pensiero
che l’urlo di Jake mi fece scattare. Cosa era successo?! Raggiunsi la porta, già
spalancata, dell’abitazione e rimasi senza fiato- era stato messo tutto sottosopra, i
mobili più vicini erano ribaltati e diversi oggetti erano a terra, alcuni era perfino
rotti. –Cos’è successo?- Chiesi, preoccupata, a Jake che intanto si stava guardando
intorno ancora più agitato, come se stesse cercando qualcosa in particolare. –
L’hanno portata via… hanno preso mia madre- Affermò tentando di cacciare dentro
le lacrime. Subito lo strinsi a me, per quanto sembrasse assurdo, mi ero già
affezionata a quel frugoletto. –Stai qui, e no ti muovere- Gli ordinai io, mentre
ispezionavo la stanza, era di media grandezza, ma oltre questa vi era solo il bagno.
Oltre al fatto che fosse tutto sottosopra, sembrava che non vi fosse nulla di strano
li dentro… almeno a prima vista. Infatti dopo una seconda, e accurata, occhiata
notai una striscia di fango all’altezza della finestra. Mi avvicinai meglio e la
esaminai: mi riportò alla mente dei brutti ricordi.
14 Aprile 1989: Orfanotrofio, Edonia, Europa orientale
-Ragazze, vi prego, basta!- Implorai io, ormai singhiozzante. Emily e Charlotte, due
delle compagne che prendevano più sul serio l’attività “prendiamoci gioco di
Carol”, avevano appena buttato lord Kuma*, il mio orsacchiotto di peluche, dentro
un tombino. –Che c’è che non va, “capelli strani”, non sai nuotare?- Mi domandò
con cattiveria Charlotte. Non volevo entrare dentro quelle fogne puzzolenti, ma non
potevo neanche abbandonare Kuma al suo triste destino, era il mio unico amico.
Decisi così, infischiandomene delle risate di scherno di quelle due, di scendere giù
nelle fogne. Ma, a causa del buio, misi male il piede su di uno scalino e precipitai
giù. Per qualche metro. La prima cosa che sentii furono le risate di scherno farsi
ancora più forti, mentre la seconda fu una strana sostanza ricoprirmi quasi
completamente il corpo –AHAHAHAH! Oh Cielo! Ma l’hai vista?! È tutta ricoperta di
fango e schifezze ancora peggiori!- Ghignò una delle due, non sapevo chi
esattamente, ma non mi importava. –Beh, vedi di divertirti lì dentro, perché ci
resterai per parecchio- Non feci in tempo a ripulirmi la faccia da tutto quello schifo
e a guardare verso l’alto, che quelle due streghe avevano già richiuso il tombino,
lasciandomi al buio… da sola. Trattenni a malapena i singhiozzi che, prepotenti,
cercavano di uscirmi dalla bocca. Non ne potevo più. Era un incubo. Ero sporca, al
buio e sola. Mi sedetti, andando a tentoni, cercando un appoggio in mezzo alle
tenebre, finchè non toccai con la mano qualcosa di peloso. Il pensiero che potesse
essere un topo, mi fece gelare il sangue nelle vene e un conato di vomito si fece
sentire prepotente. Solo in un secondo momento mi accorsi, con somma gioia, che
l’oggetto non era un roditore, bensì lord Kuma. Evviva! Lo avevo ritrovato. Lo
strinsi forte a me e sorrisi felice. Adesso ero sporca al buio… ma non ero più da
sola.
28 Dicembre 1998: Casa Muller, Edonia, Europa orientale
-Allora? Hai trovato qualcosa?- Mi domandò Jake, ancora parecchio agitato e
preoccupato. –Tranquillo Jake, credo di sapere dove hanno portato tua madre- Lo
informai quasi sicura della mia deduzione. –Ok, allora vengo anch’io con te- Disse
lui risoluto. –No! Toglitelo proprio dalla testa- Era pericoloso, figurati se avrei
permesso ad un bambino di seguirmi. –Ma io ti potrei aiutare, conosco ugni
centimetro di questo schifoso paese- Non ci voleva molto a capire che il piccolo
odiasse il suo luogo di origine, ma decisi di non farmi distrarre da questi pensieri.
–Potrebbe essere molto pericoloso- Lo informai io, anche se, dentro di me, stavo
già iniziando a cedere. –Sarei molto più in pericolo qua da solo, soprattutto
considerando che chi ha rapito mia madre è già stato qui, forse il suo bersaglio
sono proprio io- Davanti a quelle parole mi arresi. Ero costretta a portarlo con me.
29 Dicembre 1998: Fogne, Edonia, Europa orientale
-Stai attento, evita di camminare sul bagnato- Consigliai a Jake, anche se il mio
sembrava più un ordine. Era da ore che giravamo per il condotto fognario,
sembrava più grande questo che l’intero paese. Ma proprio qui sotto avevano
portato quella povera donna? Eppure ero sicura che fosse così, quella traccia di
fango (sperando che fosse solo fango) proveniva da qui sotto, non ne avevo alcun
dubbio. Ci mettemmo delle ore ad ispezionare tutti i cunicoli, a tal punto che stavo
per gettare la spugna ed arrendermi all’evidenza, la madre di Jake non era lì sotto,
quando un movimento attirò la mia attenzione. Feci cenno a Jake di nascondersi
dietro di me, tastai impercettibilmente la mia Killer7 (che tenevo al sicuro dentro la
tasca dei giubbotto) e cercai di farmi luce con una piccola torcia. –Non è il caso di
usare quel lumino, ci pensiamo noi a rischiarare un po’ di buio- Fece una voce
fredda e lugubre, proveniente dal fondo del tunnel. Dopo un attimo si fece tutto più
luminoso. Un uomo con i capelli di un biondo chiarissimo e degli occhiali a
mezzaluna era a pochi passi da noi, mentre più in fondo vi erano tre figure vestite
di nero con una figura più esile, rannicchiata a terra. –Mamma!- Urlò il ragazzino
all’indirizzo della figura stesa a terra. Ma la donna non sembrava averlo sentito,
dovevano averla drogata o altro. –Jake, rimani fermo!- Gli intimai tenendolo fermo
per un braccio e riportandolo dietro di me. –Quini è vero: hai portato con te un
agente della Umbrella- Disse l’uomo con gli occhiali a mezzaluna, indicando la
sottoscritta. –È lui! È questo tizio, Frederic Downing!- Mi informò Jake indicando
l’uomo con un dito. –Cosa volete da questo bambino e da quella donna?- Gli
domandai, trattenendo a stento la rabbia. –Da loro niente, ma avevamo scoperto
che era entrato in contatto con te, il nostro obbiettivo ed il sospetto che ti volesse
dire tutto è naturalmente sorto: siamo stati obbligati a rapire quella donna- Provai
un forte disgusto, a quelle parole. –Allora ditemi cosa volete da me! Perché avete
bruciato gli archivi dell’orfanotrofio, proprio prima che arrivassi io?- Domandai
allora, ormai quasi isterica –è stato il generale Vladimir a darci quest’ordine,
nonostante ormai non facciamo più parte dell’Umbrella, volevamo fare quest’ultimo
lavoro prima della “liquidazione”; se vuoi sapere il motivo di questo compito, ti
consiglio di chiederlo direttamente a lui- Mi informò lui, ancora con quel fastidioso
ghigno. –Il vostro stupido compito lo avete fatto, adesso potete anche liberare
quella donna- Dissi loro, con un tono di voce parecchio freddo. –Spiacente, ma
rischiare non fa parte della nostra politica, meglio eliminare eventuali testimoni,
quindi…- -ASPETTA!- Alzai entrambe le braccia verso di lui, come per fargli
segno di attendere un attimo. Lui mi guardò un secondo, dubbioso. –Cosa c’è?- Mi
chiese, leggermente incuriosito. –Avete detto di essere stati dalla parte
dell’Umbrella un tempo, giusto? degli scienziati immagino, o almeno lo sei tu. Ho
qui con me qualcosa che potrebbe interessarvi- Lo informai prendendo una cosa
dalla tasca sinistra dei pantaloni. Downing si avvicinò, guardingo –Cosa sarebbe?-
Domandò lui, questa volta vagamente interessato. –Questo- Risposi io, tirando fuori
il ciondolo di Sherry e aprendolo. Tutti poterono notare al suo interno una piccola
fiala di colore arancione: lui doveva sapere di cosa si trattasse. –Quella è…-
Cominciò a domandare lui, ma non lo feci finire –è l’unica fiala di G virus
sopravvissuta al disastro di Raccon city- Conclusi per lui. Vidi il suo volto passare
dall’incuriosito al basito, e dal basito al bramoso. Sembrava quasi un ragazzino
davanti ad un negozio di dolci. Sinceramente non saprei dire neanch’io il motivo per
cui stavo cedendo un oggetto tanto prezioso per la sicurezza di quel piccolo nucleo
famigliare: forse semplicemente non volevo vedere un altro bambino crescere
senza i propri genitori. Frederic si voltò verso i suoi scagnozzi facendo loro un
cenno con la mano –Liberatela!- Ordinò loro. I tre, davanti a quell’ordine, rimasero
un attimo spiazzati, ma poi senza discutere oltre si allontanarono dalla donna, la
quale iniziò leggermente a muoversi. Dovevano averla proprio drogata, ma almeno
era semi cosciente. Consegnai la fiala al mio interlocutore (ovviamente avevo
ancora a portata di mano la mia arma, nel caso si fosse trattato di una trappola, non
ero una sciocca) aspettando che gli uomini si allontanassero dalla madre di Jake.
Appena eseguito il compito, il piccolo si avvicinò alla madre, ancora parecchio
confusa. –Direi che il punto di incontro è stato trovato: possiamo mettere fine a
questo appuntamento- Disse Frederic, sarcastico. Annuii, ma non abbassai ancora
la guardia, non volevo avere spiacevoli sorprese da parte loro. L’uomo di fronte
a me, infilò la piccola boccetta nella tasca della giacca e fece un altro segno ai suoi
uomini. Che fosse tutto finito? Non feci in tempo a formulare questa domanda nella
mia mente, che uno strano fischio cominciò a risuonare per il tunnel. Prima flebile,
poi sempre più forte. –Ma cosa è questo fastidioso suono?- Domandò a voce alta,
ed anche piuttosto agitata, uno degli uomini di Downing. All’improvviso il soffitto
crollò tutto d’un colpo. In mezzo al fumo, alzatosi a causa del colpo, riuscii a
scorgere un enorme sagoma: un uomo?... no… era troppo grande ma allora cos…?
La risposta mi balenò in mente alla stessa velocità con cui la creatura partì
all’attacco. –Tyrant, modello T-078**, uccidi tutti coloro che si trovano lì,
escludendo il progetto Smith: è questo il tuo compito-.
*il nome del suo orso di peluche, Kuma, è dedicato all’omonimo personaggio di One Piece, il membro della flotta dei sette. Dato che Kuma si traduce
in italiano con la parola “orso”, il nome del pupazzo di Carol si chiama letteralmente “signor orso”.
**il T-078 è il modello di Tyrant sperimentale usato a Rockford Island contro Steve Burnside e Claire Redfield, nel videogame “Re: coded Veronica”.