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Autore: Lapazia    28/11/2015    2 recensioni
Tutti i Purosangue erano potenzialmente cattive persone. Ecco qual era la verità che girava nel mondo magico.
Il punto di vista di Astoria Greengrass prima, durante e dopo i fatti della Seconda Guerra Magica.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astoria Greengrass | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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Dopo la guerra, non si fecero più Riunioni dei Ventotto per un bel po’ di anni. Tra processi e conta dei morti, quasi nessuno voleva più identificarsi come Purosangue, nessuno voleva ancora credere che ci potesse essere del buono nell’esserlo.
Tutti i Purosangue erano potenzialmente cattive persone. Ecco qual era la verità che girava nel mondo magico.
 
Nonostante tutto, Astoria adorava le Riunioni. Nonostante fosse prettamente una festa da adulti, i genitori portavano i pargoli nati da discendenze eccelse e li esibivano come trofei, come riprova del loro continuare a perseguire una razza privilegiata.
All’inizio non era così. Prima le Riunioni erano adibite al solo scopo di far incontrare i figli in età di matrimonio e deciderne il futuro. Col tempo, però, qualche figlio ribelle aveva iniziato a sposare Babbani al solo scopo di far inorridire i genitori, così avevano abbandonato formalmente l’usanza, pur sperando che potesse scoccare qualche scintilla. Ufficiosamente, le madri finivano quasi sempre a sorseggiare del brandy ed indicare futuri pretendenti.
 
Astoria aveva un ricordo molto vivido dell’ultima Riunione. Indossava quel bellissimo vestito color panna con ricami in oro, mentre Daphne ne aveva uno molto semplice, di un verde molto chiaro. Astoria e Daphne erano molto legate, in quel periodo. Ad un certo punto, mentre stavano ridendo di qualcosa di stupido con Theo Nott, entrarono Viole Busltrode con la loro compagna Millicent.
Giravano delle voci, a scuola. Si diceva che Millie non fosse una vera Purosangue. Avevano iniziato a prenderla in giro per il suo aspetto, cosa che tra Slytherin non accade. Mai. Si poteva prendere in giro quella cretina di Marietta Edgecombe e la sua faccia da pizza, ma una regola non scritta vietava di prendere in giro i propri compagni di casa. Certo, Astoria e Daphne, da sole nella loro casa estiva nello Yorkshire, ne dicevano di ben donde riguardo il nuovo taglio di capelli di Pansy o l’assoluta sciatteria di Flinch, ma era un loro segreto torbido, che avrebbero negato fino alla morte.
Daphne guardò Theo il quale, a sua volta, puntò lo sguardo verso Draco Malfoy, intento pochi secondi prima ad intrattenere Vikram Shaquir insieme a suo padre in fondo alla grande sala dei ricevimenti di Malfoy Manor. Per un impercettibile momento, ad Astoria sembrò che Draco volesse fermare Lucius, che invece stava puntando dritto verso Millicent.
Ma fu la sempre perfetta Narcissa ad arrivare da Viole prima di tutti, sfoggiando un sorriso smagliante e un abito più nero dell’inferno in cui sarebbero caduti. Nessuno seppe mai cosa esattamente Narcissa disse a Viole, ma la donna divenne rossa di rabbia, e senza dire una parola trascinò Millie fuori dal Manor. Non passarono più di tre minuti.
Più tardi, quella sera, Draco scommise con Theo che Millie non si sarebbe fatta vedere a scuola, l’anno successivo. Draco perse. E non fu la sola cosa che andò perduta.
Fu l’ultima Riunione dei Ventotto.
 
Astoria credeva nella purezza del sangue. Ci aveva creduto per tutta la vita, in verità. Ogni tanto, sedeva sotto una betulla a scuola, nelle tiepide giornate di aprile, e si guardava intorno pensando: “Io sono migliore di voi”. Astoria era una bellissima ragazza, lo sapeva e ne andava piuttosto fiera. Aveva dei discreti buoni voti e non aveva la minima idea di cosa sarebbe diventata da grande. In realtà, non le interessava. Pensava che diventare come sua madre, Eunice, sarebbe stato un grande obiettivo da raggiungere nella vita. Le piaceva che i ragazzi la guardassero e le piaceva di più se a farlo fossero ragazzi di altre Case, ragazzi con cui non sarebbe mai uscita, o di cui non avrebbe nemmeno preso in considerazione l’idea di contraccambiare il saluto. Ogni tanto, quand’era da sola per un corridoio, le piaceva fingere di dover raccogliere qualcosa solo per chinarsi quel tanto che bastava a lasciar correre la fantasia di quel povero Gryffindor di passaggio. Astoria sapeva fingere molto bene un’anima da brava ragazza, ma in realtà aveva l’indole della stronzetta. Certo, paradossalmente tollerava i Babbani molto più di suo padre, ma si beava della sua supposta superiorità, pensando che il suo non essere schifata dai nati-babbani fosse il frutto di una sua innata bontà d’animo.
Il problema di Astoria era che Daphne era davvero la perfezione, ai suoi occhi. Daphne era tutta loro padre: buoni voti, bella media, portamento eccellente, un sarcasmo intelligente e dei bellissimi capelli neri. Il disprezzo di Daphne era forse più evidente di quello di Astoria, ma per un certo verso anche più concreto, più rispettoso e rispettabile. Se ad Astoria piaceva giocare, Daphne era un soldato.
Un giorno, qualcosa tra le sorelle si ruppe.
 
Verso la fine del suo quinto anno, Daphne aveva preso a passare molto tempo con Blaise Zabini negli angoli bui del castello. Astoria pensava stessero insieme e che volessero tenerlo nascosto, senza capirne il motivo.
Una sera, Astoria stava seduta sul letto di Daphne, nel dormitorio, leggiucchiando i vecchi appunti della sorella di Rune Antiche – suo padre teneva moltissimo che entrambe studiassero le rune. Pansy stava spazzolandosi i capelli nel bagno attiguo, la porta leggermente aperta.
“Allora, quando vorrai dirmi di te e Blaise?” chiese Astoria ad un certo punto, annoiata da tutte quelle traduzioni.
“Non c’è nessun me e Blaise” fece Daphne, apparentemente occupata a ripiegare la propria divisa.
“Ma se vi ho visto in un’aula vuota proprio stamattina!” rise. Daphne la gelò con lo sguardo. Pansy spalancò la porta del bagno, afferrando la maniglia con forza. Daphne cacciò in malo modo la sorella dalla camera.
Astoria non vi rimise mai più piede.
Per il resto dell’anno, le sorelle si scambiarono poche battute. Astoria non capiva: inizialmente pensò di aver fatto una gaffe, che magari Daphne e Blaise stessero tenendo la loro storia segreta per non ferire i sentimenti di Pansy – anche se, a rigor di logica, sapevano tutti che Pansy era il giocattolo di Draco.
Il motivo lo scoprì molto più avanti.
 
Quell’estate, sentì i suoi genitori litigare a voce alta per la prima volta.
Rannicchiata sulle scale, per la prima volta Astoria ebbe paura. Era tutto vero? Ci sarebbe stata una guerra? Per la prima volta, Astoria si chiede se fosse giusto. Il sangue. I Babbani. I Serpeverde.
Sentì sua madre iniziare a piangere.
“Non mandiamole a scuola, per favore” singhiozzava. “Andiamo via. Mandiamole in Francia. Per favore, Demetrius”.
“Non posso!” tuonò suo padre, sbattendo un pugno sul tavolo di ciliegio. “Non posso” sospirò ancora. Ad Astoria parve che anche Demetrius stesse per iniziare a piangere.
Sussultò quando si accorse che anche Daphne era dietro di lei. I capelli raccolti in una treccia a spina di pesce, ferma come un fuso, i pugni serrati ai lati del corpo. Astoria si alzò e le andò più vicino. Si accorse in quel momento di quanto fossero diverse. Lei, con i capelli biondi e gli occhi verdissimi e le lentiggini contro il nero dei capelli di Daphne, interrotto soltanto dai suoi occhi azzurri cielo.
“Sarà un anno molto duro, Astoria. Non so se riusciremo a finire la scuola. Non so nemmeno se ci arriveremo”. Daphne distolse lo sguardo, trattenendo le lacrime. “Dobbiamo essere forti”.
“Perché mamma non vuole che torniamo a scuola?”.
“Dumbledore è morto”.
“Lo so, questo! Ma cosa c’entra con…”.
“Dumbledore è morto, Astoria! Nessuno è più al sicuro”.
Daphne scoppiò a piangere. Lì, sulle scale, coprendosi il volto con le mani. Daphne non era mai crollata. Astoria l’abbracciò, per la prima volta dopo mesi. Smarrita.
 
L’estate successiva, Greengrass Court era insolitamente abitata.
Una sera, a cena, Daphne si alzò in piedi, schiarendosi la gola.
“Draco ed io dobbiamo dirvi una cosa”.
Narcissa sbiancò, diventando più pallida di quello che non fosse in quei giorni. Narcissa e Eunice non erano mai state grandi amiche, ma Demetrius aveva insistito per aiutare i Malfoy durante quel periodo di udienze e tribunali dopo la Guerra. Così, i Malfoy si erano stabiliti nella casa estiva dei Greengrass, con enorme disappunto di Narcissa ed un’insolita felicità per Daphne, che aveva sempre qualche suo compagno di corso in giro per casa, oltre Draco.
In realtà, anche Astoria sbiancò.
 
Erano i primi di luglio ed era eccessivamente caldo. Astoria non riusciva a dormire. Ogni volta che chiudeva gli occhi, rivedeva il massacro. Ogni volta che provava a dormire, vedeva il volto di Colin Creevay distrutto dal dolore davanti ai suoi occhi. Astoria non aveva mai visto nessuno morire. Astoria non aveva mai visto nessuno torturato. Astoria si era riscoperta più fragile e stupida e cieca di quel che credeva.
Fu Ernie McMillan a darle la prima sigaretta. Sapeva che Ernie aveva anche delle cose per dormire, ma Astoria aveva troppa paura di perdere lucidità e concentrazione. Fin quando fosse rimasta vigile, avrebbe potuto proteggersi – e proteggere qualcun altro, in casi estremi. Salazar, quanto mi piacerebbe avere la forza di Ginny Weasley, si era ritrovata a pensare un giorno.
Astoria pensava alle Riunioni dei Ventotto e pensava Puttanate. Erano tutte puttanate. Il sangue, la razza, i mezzosangue, i purosangue. Puttanate procrastinate e portate avanti da un manipolo di bamboccioni che vivevano chiusi in una campana di vetro fatta di galeoni, alcol e seta.
Lei era una di quelle.
Ogni volta che non aveva risposto al saluto timido di un Hufflepuff. Ogni volta che aveva riso per la povertà dei Weasley. Ogni volta che aveva annuito a “che schifo i babbani”. Lei era stata una di loro. Lei non era migliore di loro.
E così, Astoria non riusciva a dormire.
Stringendo il pacchetto di Lucky Strike in una mano, Astoria sgattaiolò fuori casa, sperando che i suoi genitori non l’avessero sentita. Maggiorenne o meno, l’avrebbero messa in punizione per settimane se l’avessero beccata a fumare. Respirò l’aria fresca della notte inglese, fatta di cicale, erba e silenzio. Si portò una sigaretta alla bocca e l’accese, chiudendo gli occhi.
“Buh” sentì. Emise un grido soffocato mentre la sigaretta le cadeva dalla bocca per finire da qualche parte nell’erba sotto di lei. Il cuore le martellava del petto. “Scusa, non volevo farti paura”.  Astoria si portò una mano sullo sterno e fece un respiro profondo, come la aveva insegnato Demetrius. Inspirare, respirare, inspirare, espirare.
“Mi hai spaventata” riuscì a bisbigliare, aprendo finalmente gli occhi. Draco era più vicino di quello che credeva.
“Scusa” ripeté il ragazzo.
Draco era più alto di lei. Non ci aveva mai fatto caso veramente. Alle Riunioni lei indossava sempre dei tacchi, fin da quando era piccola, e poi non aveva mai avuto occasione di avere Malfoy così vicino. Era un amico di Daphne, lei era solo la sorellina a cui fare scherzi del cazzo. Adesso erano in piedi, l’uno di fronte all’altra, entrambi scalzi, nel giardino del retro.
Draco si chinò per raccogliere la sigaretta.
“Ernie McMillan?” chiese, porgendola ad Astoria. La ragazza annuì, vergognandosi. In altri tempi, Draco l’avrebbe presa in giro anche solo per sapere chi fosse Ernie. Invece, abbozzò un sorriso. “Sta diventando uno spacciatore di questa roba”. Sorrise anche Astoria.
Le notti in giardino divennero un’abitudine segreta tra Draco ed Astoria. Nessuno dei due faceva riferimenti alla cosa durante il giorno, né sembravano apparentemente diversi i loro rapporti. Ma la notte, in pigiami di fortuna, scalzi e con le sigarette di Ernie, Draco ed Astoria si lasciavano andare a ricordi del passato. Ricordi buoni, ricordi edulcorati. Ricordi ripuliti.
Senza chiedergli il permesso, un giorno Astoria tirò a sé un braccio di Draco. Quel braccio.
“Sono solo curiosa” mormorò. Draco era teso. Sfiorando il Marchio con la punta delle dita, Astoria percepiva che Draco volesse dire qualcosa – non sapeva bene cosa.
“Ha fatto male?”.
Draco distolse lo sguardo, socchiudendo gli occhi.
“Sì”.
Astoria fece scivolare la mano lungo il Marchio, fino a stringergli le dita. Draco restò fermo, le dita rigide, guardando lontano.
“Draco” chiamò, piano. “Draco”.
Mai avrebbe detto in tutta la sua vita che avrebbe visto Draco Malfoy piangere. Tirarlo verso di sé ed abbracciarlo fu istintivo e naturale, per Astoria. Lei non aveva risposte. Non sapeva cosa rispondere ai “perché” e “che cosa ho fatto” che Draco singhiozzava tra le lacrime, affondando il viso nel suo collo. “Va tutto bene”, diceva solamente. “È tutto finito. Sei a casa, adesso”.
Draco la strinse più forte.  
Forse anche Draco era stato più stupido e più cieco e più fragile di quello che credeva. La fede di Draco era più forte e più radicata di quella di Astoria, e le convinzioni di Lucius erano più forti di quelle di Demetrius. In un certo qual senso, loro erano le vittime.
Astoria asicugò gli occhi di Draco, che le negava lo sguardo.
“Ho visto piangere Draco Malfoy. Me ne bullerò tantissimo a scuola l’anno prossimo” gli sorrise dolcemente.
Fu in quel momento che Draco la baciò.
 
I suoi rapporti con Daphne erano migliorati. Finita la guerra, a prescindere da come fosse finita, dai vincitori e dai vinti, Daphne sembrava solo sollevata che fosse finita. Sorrideva di più, l’abbracciava di più – per pochi secondi, anche senza una ragione – ma sembrava anche infinitamente più provata. Astoria non sapeva quali segreti si portasse dentro la sorella che per tutta la vita aveva visto come un modello e un’ispirazione, oltre che come il più alto livello di perfezione che non avrebbe raggiunto mai.
Daphne e Draco erano molto vicini. Daphne era stata la prima a battersi affinché i Malfoy passassero quel periodo con loro ed era stata la prima ad abbracciare Draco quando arrivarono. Draco era la persona a cui Daphne sorrideva di più.
Forse non c’era mai stato niente tra Blaise e Daphne.
Pansy Parkinson mandava qualche gufo dalla Grecia, ogni tanto. Ce l’avevano spedita i suoi per evitare che assistesse alla catastrofe della famiglia. Raccontava di deliranti feste babbane a cui si imbucava – “Puzzano molto di alcol, non so perché. Io bevo quanto loro eppure non si sente. O almeno così credo” – insieme ai suoi ritrovati cugini. Dettagli piccanti venivano inviati in gufi a parte. Astoria voleva credere che il talento di Pansy come scrittrice di porno-soft venisse in qualche modo messo a frutto un giorno.
Ogni tanto, Astoria passava davanti la camera di Daphne e li sentiva parlare fittamente, a cui seguivano lunghissimi istanti di silenzio. Sia lei che Narcissa si chiedevano cosa facessero barricati in camera tutto quel tempo, ma nessuna delle due voleva davvero avere una risposta.
“Draco ed io dobbiamo dirvi una cosa”.
Fu tutto molto rapido nella mente di Astoria. Draco e Daphne si sarebbero sposati – o peggio, lei era incinta. Avrebbe dovuto confessare alla sorella che stava per sposare e/o mettere al mondo il figlio di un ragazzo che passava le notti insonni a baciare la futura cognata sotto le stelle? O sarebbe stato meglio portarsi quel segreto – e quelle notti – nella tomba?
Con la coda dell’occhio, vide Lucius stringere una mano di Narcissa. Senza nemmeno guardarla, il vecchio Malfoy sapeva benissimo cosa stesse passando nella testa della moglie.
Probabilmente a quel tavolo lo sapevano tutti.
Astoria cercò di restare focalizzata sul suo succo d’arancia, ma era abbastanza difficile avendo improvvisamente la vista offuscata.
“Siamo tutti orecchi, mia cara” Eunice si schiarì la voce. L’aria era tesa.
“So che forse riterrete tutti questa scelta un po’ azzardata, specialmente perché ad oggi ancora niente è stato definito. Sappiamo che ci saranno delle difficoltà e sappiamo che non tutti sarete d’accordo, ma ormai siamo adulti e nonostante quello che è successo in questi ultimi anni, abbiamo deciso di prendere in mano le nostre vite e cominciare fin da subito a costruirci un futuro migliore”.
Astoria iniziò ad immaginare il tipo di reazione che avrebbe dovuto avere. Si vide alzarsi ed abbracciare Daphne, fingendo che quegli occhi lucidi fossero per la gioia della notizia, e non per il suo cuore spezzato.
Oh. Oh, dannazione.
La realtà colpì Astoria come un Expelliarmus bene assestato. Quando era successo? Come era successo? In che maniera, in quale momento, Astoria si era innamorata di Draco Malfoy? Era successo prima o dopo di essersi fatta beccare a fumare? Prima o dopo aver riso, pianto, ricordato insieme? Prima o dopo aver sentito quanto morbidi fossero i suoi capelli e quanto calde sapessero essere le sue mani sui fianchi?
Eccola, protagonista di uno di quei romanzetti che leggeva di nascosto a Hogwarts, sotto strati e strati di piumoni e coperte.
Daphne prese un gran respiro. Astoria sentì mancarle il fiato.
“Draco ed io abbiamo deciso di tornare a Hogwarts, l’anno prossimo, e finire regolarmente il nostro percorso di studi”.
 
Daphne spiegò loro che ci avevano pensato tanto e che era la cosa giusta da fare. Sebbene Draco non fosse ancora sicuro di cosa volesse fare una volta finiti gli studi, Daphne era sicura di voler intraprendere la carriera di avvocato e pertanto doveva continuare il suo regolare percorso scolastico. Si rendeva conto che l’anno passato a Hogwarts era stato un anno perso sotto tutti i punti di vista – Lucius sospirò sonoramente -  così aveva scritto all’unica persona che conosceva che si era sicuramente già informata in merito: Hermione Granger.
L’ipotesi di Daphne era giusta ed Hermione aveva dato loro tutti i riferimenti per poter fare regolare richiesta di recupero dell’anno alla professoressa McGonagall. Prima di fare richiesta, però, sia Draco che Daphne volevano informare i genitori e chiedere la loro benedizione in merito, pur tenendo fermo il punto che l’avrebbero fatto anche senza autorizzazione.
Così, mentre Narcissa riprendeva colore, sia Demetrius che Lucius si complimentavano con i ragazzi per la scelta presa.
“Sarai un Malfoy migliore di me, Draco”. Narcissa abbracciò entrambi i suoi ragazzi, mentre i Greengrass lasciavano i Malfoy soli sul portico.
“Sai che vuol dire questo, sorellina?” Daphne strinse le mani di Astoria. Che ho perso dieci anni di vita inutilmente? “Che tecnicamente frequenteremo la stessa classe! Non è meraviglioso?”.
Astoria, tutto sommato, sorrise ed annuì. Quella era la Daphne che ricordava, la sorella che le era mancata per tutto quel tempo.
 
Astoria era distesa sul proprio letto, il viso affondato nel cuscino. Le cena si era protratta più a lungo del previsto: nel momento del dolce erano arrivati anche Blaise Zabini e Theodor Nott, anche loro dell’idea di ritornare a scuola l’anno successivo. Il padre di Nott era ancora in prigione, mentre la madre di Zabini aveva liquidato la notizia con un “Fa’ un po’ come ti pare”. In ogni caso, i Greengrass si erano immediatamente prodigati nel chiedere ai ragazzi se avessero bisogno di aiuto e sostegno per il loro rientro a scuola, ma i due avevano declinato l’offerta, dicendo che stavano pensando di andare in Grecia a convincere Pansy ad unirsi a loro.
“Pansy è stata una vera stronza” aveva dichiarato candidamente Blaise “ma se non finisce la scuola farà la fine di sua madre”. Narcissa annuì, solennemente.
Zabini e Nott stavano cercando di convincere Daphne e Draco ad andare con loro in missione di salvataggio. Addirittura Eunice si sbilanciò dicendo che effettivamente i ragazzi avevano bisogno di una vacanza. Astoria si ritirò in camera sua.
Entro un paio di settimane sarebbero tornati tutti a Londra e i Malfoy sarebbero tornati finalmente al Manor, dopo l’udienza. Astoria aveva sentito che Harry Potter avrebbe testimoniato a loro favore, quindi erano tutti abbastanza tranquilli e la presenza di Draco sarebbe stata necessaria solo il giorno dell’udienza. Una volta in Grecia, l’equilibrio tra Draco/Daphne/Pansy si sarebbe ristabilito e per Astoria Draco sarebbe stato solo un ricordo estivo.
Facile. Rapido. Doloroso.
Sospirò nel cuscino.
Sentì un crack e per poco non cadde dal letto.
“Scusa”.
Astoria riacquistò l’equilibrio e sbuffò, stizzita. “Devi smetterla di farmi prendere questi spaventi”.
“Scusa” ripeté Draco, in piedi di fronte al letto di Astoria. “È la prima volta che entro qui”. Astoria avvampò e ringraziò il fatto che la camera fosse al buio.
Restarono in silenzio per un po’. Draco guardava in giro, facendosi luce con la bacchetta. Astoria restava seduta a gambe incrociate sul letto, in attesa. Avrebbe dovuto cacciarlo via. Avrebbe dovuto invitarlo ad andare almeno di sotto. Avrebbe dovuto chiedergli dove diavolo fossero tutti. Avrebbe dovuto chiedergli cosa ci facesse lì in quel momento.
“Queste siete tu e Daphne?” Draco si voltò verso di lei, sorridendo, indicando una foto appesa ad una parete. Astoria sapeva benissimo di che foto stesse parlando: erano lei e Daphne, intorno ai quattro e sei anni, vestite da piccole principesse.
“Era la nostra prima Riunione dei Ventotto”.
“Oh, Salazar. Le Riunioni dei Ventotto”. Draco scosse la testa. “Le avevo completamente dimenticate”.
Draco girò ancora un po’ a vuoto per la stanza. Poi si sedette accanto a lei.
“Cosa ne pensi?”. Astoria sbattè le palpebre.
“Di cosa?”. Draco fece spallucce.
“Io mi rendo perfettamente conto che…”. Ma Astoria non voleva sentirlo. Non voleva sentirsi dire che Draco era perfettamente consapevole del fatto che magari l’aveva illusa in qualche modo, ma che la sua vita era altrove. Non voleva sentire Draco scusarsi del fatto che magari aveva approfittato un po’ troppo della sua ospitalità.
“Va bene così, Draco. Rispetto il fatto che tu voglia tornare a Hogwarts ed anzi, lo trovo molto coraggioso da parte tua. Capisco che tu debba continuare con la tua vita e sono perfettamente consapevole del fatto che siano cose che tu debba fare. Quindi non hai niente da dirmi”. Non aveva mai tolto lo sguardo dal muro di fronte a lei. Era la cosa giusta.
“Parli come Daphne”.
“Suppongo sia un complimento”.
“Solo non so di cosa tu stia parlando”.
Astoria fu presa alla sprovvista. Si stava burlando di lei?
“Sono venuto a dirti che mi dispiace di non averti detto prima che volevo tornare a Hogwarts. Non voglio che tu la prenda come mancanza di fiducia o di rispetto da parte mia, ma ultimamente siamo stati un po’… ecco, presi”.
Astoria si voltò verso di lui di scatto. Ora era lei a non sapere di cosa stesse parlando lui.
“Sono venuto a dirti che ovviamente non andrò in Grecia a convincere Pansy. Innanzitutto, non ho intenzione di lasciare i miei genitori in questo momento. Per quanto la testimonianza di Potter possa essere dalla nostra, fin quando non sarà nero su bianco saranno solo parole al vento. Nel caso che le cose andassero male, beh, vorrei passare con la mia famiglia quanto più tempo possibile”.
Astoria annuì.
“In secondo luogo, qualora le cose dovessero andare male rischierei anche io di andare ad Azkaban”. Gelo.
“Non succederà”.
“Potrebbe accadere. Per questo non andrò in Grecia. Sono un Malfoy e sì, sono egoista: se questi sono i miei ultimi giorni da uomo libero, allora voglio passarli con te”.
Astoria sentì di dover piangere e urlare contemporaneamente. Invece, fece l’unica cosa che le parve poco intelligente fare in quel momento.
 
Al binario 9 e ¾.
“Per l’ultima volta” sospirò Daphne.
Fu strano. C’erano meno persone degli scorsi anni, ma più di quelle che si aspettavano.
Demetrius caricò i bagagli delle figlie sull’Espresso e le abbracciò, augurando loro uno splendido ultimo anno.
Daphne venne fermata da Hermione Granger. Erano state rivali per molto tempo, sui banchi e fuori, ed era buffo vederle chiacchierare come se niente fosse. In realtà, fu un segno molto evidente per tutti: Slytherin e Gryffindor potevano andare d’accordo. Dovevano andare d’accordo. Per il bene di tutti.
Astoria salutò Anna e Yolinde, felice di vederle ancora sorridenti e piene di voglia di ricominciare a vivere una vita normale. Per quanto ci potesse essere qualcosa di normale, a Hogwarts.
“Avete visto Longbottom?” fece Anna, salendo sul treno.
“È diventato davvero un bel ragazzo” annuì Yolinde. “Oh, salve Zabini”.
“Siete sempre splendide, fanciulle” Zabini fece un inchino rapido e le lasciò passare attraverso gli stretti corridoi delle carrozze. “Astoria, hai visto tua sorella?”.
“Era con la Granger, poi le ho perse di vista”.
“Se quelle due diventano amiche, per noi è la fine” fece Nott, trascinando Zabini lungo il vagone. Astoria rise salutandoli con la mano. Quando si voltò, andò a sbattere contro qualcosa di morbido. Di buono e morbido.
“La smetterai mai di apparirmi sempre all’improvviso?”.
“Mai”.
Era strano baciarlo in pubblico. Sempre meno strano che baciarlo di fronte a sua madre.
“Giù le mani da mia sorella, Draco” sentirono. “Ti rendi conto?” fece Daphne, rivolgendosi a Hermione, che sorrise.  
“Sei una piaga, Daphne. Granger” aggiunse poi, con un leggero cenno del capo.
“Malfoy”.
“Almeno ci siamo liberati di Potter, a quanto vedo” ghignò, ma non c’era cattiveria.
“Draco!” lo rimbeccò Daphne, tirandolo per un orecchio. “Se vi becco a pomiciare nei corridoi, giuro che vi metto in punizione. Vieni con noi, Hermione? Ti prego”.
Hermione sorrise e li seguì. Astoria riuscì a rubare un bacio a fior di labbra a Draco prima che venisse trascinato dai due Caposcuola verso lo scompartimento privato.
Sarebbe stato uno splendido, ultimo anno.
  
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