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Autore: _browns eyes_    28/11/2015    2 recensioni
E se non ci riuscisse, come diamine facevo a crescerla da solo? E se sbaglio qualcosa, e se non cresce nel modo che desiderava e la deludessi. Chiusi gli occhi per calmarmi, soprattutto per non piangere, ma non funzionò perché appena li riaprii una lacrima sfuggì al mio controllo.
Mi fermai ormai non ero nulla, mi voltai la fissavo vuoto. Lei si avvicinò a me lentamente e mi abbracciò ed io scoppiai a piangere. Come diavolo facevo a crescere una bambina da solo?
Ero semplicemente terrorizzato.
**
“Come? Dammi almeno un motivo!”
“C’è il tuo sposo, fatti aiutare da lui! Io mi tiro fuori”
“Perché? Adesso che eravamo diventati amici”
“è questo il punto! Noi non saremo mai amici!” urlai, facendola sobbalzare
“Perché fai così?”
“Non ti voglio intorno sapendo che non sei più mia. Non ti voglio intorno sapendo che non ti posso baciare e farti diventare mia! Ma soprattutto non ti voglio intorno sapendo che Sheyleen ha intorno sua madre e che non si ricordi di lei. Perché sei tu la madre!” sbraitai in lacrime, lei mi guardò sbalordita.
**
Spero che vi piaccia :)
Enjoy it :)
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 26:

I can’t believe that I had to see
The girl of my dreams cheating on me
The pain you cause has left me dead inside
I’m gonna make sure you regret that night
I feel you close, I fell you breath
And now it’s like you’re here
You’re haunting me
You’re out of line
You’re out of sight
You’re the reason that we started this fight!

(Warzone by The Wanted)

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Per tutto il pomeriggio avevo ascoltato la loro storia, anche se molti dettagli decisero di emetterli per il mio bene. All’inizio mi ero opposta, ma poi avevo lasciato perdere: era una guerra persa quando si impuntavano su qualcosa. Tuttavia ero abbastanza entusiasta nell’intendere il loro volere di mettermi all’occorrente della mia vecchia vita. Mi parlarono della mia relazione di Louis e di come di nostro padre l’ebbe disprezzato fin dall’inizio; della mia amicizia con Perrie e in essa fecero un nome abbastanza familiare: Amelia. In un primo momento la mia mente portò a galla la ragazza della casa discografica di qualche mese fa, eppure non ci diedi tanto peso. In aggiunta anche cosa avevano fatto dopo il mio incidente. Elisabeth confessò di aver aiutato il cantante ad entrare nella mia camera d’ospedale nel momento in cui stavo dormendo e non c’era nessuno a controllarmi. Non ci riuscì poiché i miei decisero di restare perciò il piano non arrivava mai al fine.
Comunque il pomeriggio proseguì normalmente visto che ci eravamo chiariti per bene.
In quel momento Seth ed io eravamo al supermercato per comprare qualcosa per la cena. Io e mia figlia avevamo proposto la pizza, però Elisabeth si era fissata sul fatto che doveva cucinare lei. Così con una lista della spesa alla mano, cercammo i vari ingredienti. Ci dividemmo il compito: lui carne e affettati, invece io frutta e verdura.
Stavo raccogliendo qualche pomodoro, quando udii un sono sbuffo di fronte a me. Alzai gli occhi e li incrociai con quelli chiari sbalorditi della ragazza. Sorrisi e le allungai il cetriolo, che era finito nella cassa dei pomodori

-Questo è incredibile- mormorò stupita, accettandolo. -Non è possibile! Ti incontro ovunque-
-La pazienza non ti si addice proprio- scherzai, ricordando la faccenda delle macchinette.
-Già.. forse è questo che ha rovinato le cose tra di noi- sussurrò sconsolata. Inarcai un sopracciglio confusa. Io e lei eravamo amiche? -Senti, io non posso portarmi avanti questa cosa. Louis è stato molto chiaro l’altra volta e lo capisco anche.. però, Brooke, non mi sembra giusto. Lui ti ha dato la sua versione, ed è ora che anch’io ti dica la mia.. sempre se mi vorrai ascoltare- esclamò, raddrizzandosi e inspirando bene. Non capivo un accidente di ciò che stava parlando. Lei e Louis erano stati insieme alle mie spalle? Impossibile poiché con quel poco che mi ero ricordata insieme alle cose raccontate da Perrie ed Elisabeth, lui non mi aveva mai tradito. Mi interruppe dal formulare altre domande il suo tremolio. -Quando tu e tua madre ci avete scoperti, Davis ha rotto definitivamente con me. Ha scelto voi e io l’ho rispettato. Anzi, è stato meglio perché adesso sono sposata con un uomo che mi ama seriamente e.. mi dispiace di come sono andate le cose tra di noi: ho distrutto i nostri anni di amicizia in un giro di due mesi.. Mi dispiace- concluse, scuotendo la testa e lanciandomi un’ultima occhiata. Al contrario io ero basita sul posto. Forse era per questo che mi ero trasferita a Londra, allontanandomi da tutti. Le mani mi cominciarono a tremare e il sacchetto con la verdura mi cadde da esse. Delle persone mi fissarono impotenti e arrivò pochi istanti dopo anche mio cugino Seth, il quale mi svolazzò una mano davanti agli occhi per farmi riprendere.
-Brooks, tutto ok?- mi chiese gentilmente. Posai lo sguardo su di lui intontita.
-Esco a prendere un po’ d’aria- mormorai, mollando il sacchetto e impugnandomi bene la borsa. 

L’aria primaverile serale soffiò sul mio viso dolcemente per farmi riprendere, e fu cosi. Sbuffai e rifocalizzai le parole di Amelia, si l’avevo riconosciuta, nella mia mente, collegandola con qualche possibile ricordo. Ripensai istintivamente ai miei litigi con lui e ai pianti di mia madre. Ecco perché si rinchiudeva sempre in camera.
Mi mordicchiai il labbro e sospirai. Ora capivo molte cose e mi dispiaceva un sacco per averla trattata in quel modo: non se lo meritava.

-Brooke, che ti prende?- mi domandò Seth, raggiungendomi con una piccola busta di carne e affettato.
-L’aveva tradita, vero?- bisbigliai con lo sguardo fisso davanti a me.
-Come?- boccheggiò, non capendo.
-Davis aveva tradito la mamma con Amelia. Ecco perché me ne sono andata- mi spiegai meglio e lui si rattristì, annuendo semplicemente.
-Meglio andare- si limitò, appoggiandomi una mano sulla schiena e dandomi un leggero colpetto per incitarmi a muovermi. Mi misi sotto il suo braccio e con un dispiacere immenso ci allontanammo. Salimmo subito in macchina e ci dirigemmo a casa, impiegandoci una quindicina di minuti.

Una volta arrivati, Seth si occupò di scaricare le borse, invece io mi fiondai dentro. Avevo bisogno di tranquillità per qualche secondo, tuttavia il destino pareva contro di me quel giorno. Svoltando l’angolo per la cucina, notai la figura di mia madre bere il thé con mia sorella, la quale non appena mi vide mi fece un sorriso intenditore: non era colpa sua. Mi volle trasmettere.
-Brooke- mi chiamò, attirando l’attenzione di Clare, che si alzò e giocherellò nervosamente con le dita.
-Senti.. so che non mi vuoi parlare e, fai anche bene, ma..-
Non la feci terminare visto che l’abbracciai di scatto, nascondendo il viso nella scapola. Non aveva più senso darle contro dato che lei non era mai stata l’artefice di tutto ciò. O meglio lei aveva un fine giustificato: voleva avere le sue due figlie vicino a lei. Al contrario di Davis, il quale aveva agito solo per disprezzo verso una persona.
-Mi dispiace- esclamai, stringendola.
-No, a me- singhiozzò. -è stato un gesto talmente egoista.. e..-
-Facciamo una cosa, ok?- le proposi, staccandomi e sorridendole leggermente. -Non ci pensiamo più. È passato-
-Va bene- acconsentì, carezzandomi dolcemente il viso.
-Ora che è tutto apposto, mi date una mano?- sdrammatizzò Seth dietro di noi con tante buste alla mano. Ridemmo e lo aiutammo.
In fin dei conti non passammo una brutta serata, anzi tutto il contrario. La parte più bella, secondo me, fu quando mia madre iniziò a giocherellare con Sheyleen, trattandola come Will, ossia da sua nipote e membro ufficiale della famiglia.
Passammo altri due giorni con loro. Ci divertimmo molto e mi dispiacque un sacco lasciarle, però in cuor mio sapevo che le avrei riviste molto presto: infondo il matrimonio era solamente tra dodici giorni!

 

*Louis*
Mi svegliai svogliatamente quella mattina a causa del cane dei vicini, che continuava ad abbaiare probabilmente al postino. Mi girai, nascondendo la testa sotto il cucino per ricavare un po’ d’oscurità, però non dirò molto la tranquillità della mia stanza poiché udii la porta della camera aprirsi completamente e qualcosa di pesante salirmi sul fianco.
-Fanny- mi lamentai del gatto di Georgia. Schioccai la lingua sul palato e, sbarazzandomi del soffice oggetto, l’accarezzai. -Sei una bellissima micetta, ma non venirmi a rompere le scatole alle..- mi allungai per vedere l’ora sul comodino. -Nove di mattina- terminai. Lei mi fissò intensamente con i suoi occhi azzurri cristallini. Scossi la testa e mi alzai definitivamente. Sistemai velocemente la stanza visto che Troy era stato fin troppo gentile ad ospitarmi in quei tre giorni. Non volevo passare da sfruttatore.
Dovevo ammettere che lentamente mi stavo rimettendo anche perché il cellulare per contattare i ragazzi l’avevo nascosto e i ricordi dei giorni precedenti erano sempre meno vivi. Ad eccezione della frase di Sheyleen, la quale mi uccideva ancora. Tentavo di non pensarci tanto e di svagarmi, passeggiando oppure guardando qualche film. Tuttavia, nel profondo, mi sentivo  solo impotente.
Sistemato il letto, scesi le scale per andare in cucina e con mia grande sorpresa ci trovai la mia sorellastra.

-E tu che ci fai qui?- domandai, facendola sobbalzare. Non si aspettava di trovarmi lì poiché ieri avevo annunciato che sarei andato a comprare qualcosa nella cittadina affianco. -Non devi essere a scuola?- aggiunsi.
-T’importa qualcosa?- rigirò la domanda con strafottenza.
-No, però sono molto curioso- ribattei, entrando e dirigendomi ai fornelli per farmi un po’di thé.
-Non sono affari tuoi- rispose, terminando la sua merenda al cioccolato e concedendomi un piccolo sorriso sfacciato.
-Diciamo che Troy..-
-Non riesci proprio a chiamarlo papà-
esclamò, lasciando un pugno sul tavolo. -Ti sta ospitando dopotutto-
-Fai quel che vuoi- la liquidai in pochi secondi, ritornando a trovare una bustina per la bevanda. Cadde il silenzio e di certo non mi andava spezzarlo. L’acqua bollì e la versai in una tazza con qualche cucchiaino di zucchero e l’infuso. Lo pucciai per qualche secondo, mentre udii un sospiro da parte della ragazza.
-Farai la spia?- mi chiese, lasciando il cellulare sul tavolo.
-Come hai detto tu: non sono affari miei- risposi, gettandolo e andandomene dalla stanza.
-Louis- mi chiamò prima di salire le scale. Mi girai e constatai la sua figura nascosta dallo stipite e un piccolo sorriso riconoscente sul volto. -Grazie- aggiunse, mutando subito espressione in una tosta. Scossi la testa e annuii, salendo in camera mia. -E per chiarire: se avessi detto qualcosa, ti avrei tolto la possibilità di procrearti!- urlò, facendomi ridere. Era proprio una ragazza strana.

Ero uscito per fare un po’ di spesa visto che il frigo era quasi vuoto a causa del fatto che i due adulti erano sempre al lavoro e non avevano avuto tempo. Passeggiavo camuffato poiché se le fans mi avessero riconosciuto, i ragazzi avrebbero scoperto il mio rifugio. Ci misi più o meno un’oretta a comprare la spesa e fortunatamente nessuno mi riconobbe. Avevo cercato di seguire l’istinto e comprare più o meno quello che potrebbe piacere ad ogni persona e, soprattutto, quello che avevano cucinato durati quei tre giorni. Così a piedi, ritornai lentamente a casa per il pranzo. Dato che Georgia era a casa, m’imposi di cucinare qualcosa per entrambi, sebbene avrei passata molto volentieri. Non avevo fame, però sapevo era una cosa giusta da fare. Ci impiegai circa un quarto d’ora poiché il supermercato era nel centro della cittadina e la casa era in periferia. Entrai dalla porta secondaria, la quale dava al garage, che a sua volta portava nel corridoio alla cucina. Salito l’ultimo gradino e sulla soglia, sgranai gli occhi e mi paralizzai alla scena imbarazzante e poco appropriata a cui fui obbligato ad assistere: vi era la mia sorellastra quasi mezza nuda sopra un ragazzo senza maglietta.
-Per l’amor del cielo, Georgia!- urlai, voltandomi immediatamente.
-Louis!- mi imitò stupita, riponendosi la maglia davanti al corpo.
-è per questo che sei stata a casa? O santo cielo!- continuai, proseguendo il percorso verso la cucina per mollare le borse sul tavolo. Feci un sospiro profondo e provai a cacciare dalla mia mente la scena, ma non fu possibile poiché la ragazza entrò in reggiseno e si parò davanti a me. -Oddio- mormorai, abbassando il viso.
-Non è come sembra.. aspetta mi sto giustificando?- s’interpellò da sola, drizzando la schiena.
-Vai a indossare qualcosa, per piacere- la pregai, deviando lo sguardo sul suo corpo snello. Mi portai le dita sugli occhi per sfregarmeli lentamente.
-No, vai via tu. Hai interrott..-
-So benissimo cosa ho interrotto! Avrai neanche sedici anni, cazzo-
strillai, rimbambito. Sollevai il viso e lo incrociai con i suoi occhi seri.
-Ne ho sedici e mezzo- precisò con un tono fastidioso. -Sono abbastanza grande- si giustificò, gonfiando il petto e incrociando le braccia al petto, le quali, posizionandosi sotto il seno, lo sollevò.
-Che mi tocca sentire- farfugliai, scuotendo la testa. -Vai subito a vestirti- imposi, indicandole le scale.
-Chi sei tu per darmi ordini?- dichiarò con disgusto. Incassai velocemente il colpo, e strinsi i pugni. Comprendevo benissimo la sua ira e ammettevo che aveva ragione a dirmi quelle parole, però percepivo che dovevo intervenire in qualche modo. Infondo, per quanto possa essere scorbutica, maleducata e acida nei miei confronti, lei meritava di meglio.
-Chi cavolo è quello? Oddio, ma l’hai visto? Pensi davvero che non appena ha ottenuto quello che vuole, resterà a tuo fianco?-
-Mi ama-
sibilò duramente.
-Certo come no! Da quanto tempo state insieme?-
-Due mesi-
rispose con fierezza. Ciò mi fece intendere o che non aveva mai avuto una reale storia d’amore, oppure che ne aveva avute troppe di poco tempo che le considerava come un record. Mi dispiacque per lei poiché non aveva ancora compreso cosa fosse realmente l’amore. Un ragazzo, seriamente innamorato, non avrebbe mai osato così tanto in poco tempo.
-Due cosa?- urlai ancora più meravigliato. -Motivo in più per andare di sopra a metterti qualcosa- affermai.
-Amico, lei fa quello che vuole- ci interruppe il ragazzo del salotto, però con la decenza di essersi messo la sua t-shirt nera. Lo fulminai sul posto per quel tono per nulla appropriato.
-Amico lo dici a qualcun altro. E vattene prima che ti mostri davvero dov’è la porta- lo minacciai senza indulgenza.
-Amico, tranquillo. Non stavamo facendo nulla di male- si difese, posando uno sguardo compiaciuto su Georgia, la quale si strinse meccanicamente spalle imbarazzata.
-Stai giocando con il fuoco, ragazzino. Vai fuori di qui- sibilai, avanzando un passo.
-è arrivato a rompere le palle- commentò, sbattendosi delicatamente il palmo della mano sulla coscia.
-Come scusa?- chiesi con le mie mani, le quali iniziarono a prudermi dalla rabbia. Come si permetteva a parlarmi così?
-Smettetela entrambi!- sbraitò la ragazza, sbattendo un bicchiere per catturare la nostra attenzione. L’oggetto si ruppe in mille pezzi e la sua mano fu ferita, facendo colare qualche goccia di sangue vivo. Ella assunse una smorfia dolorante, sebbene si dimostrò più forte. Spalancai gli occhi e mi avvicinai subito per esaminare quanto fosse grave. Tuttavia non me ne diede la possibilità perché si ritrasse immediatamente. -Cole, vai- congedò bonariamente il suo ragazzo, il quale alzò gli occhi al cielo e eseguì le sue parole. “Quanto amore” commentai aspramente nella mia mente. Pochi secondi dopo, udimmo la porta sbattere. -Sarai contento adesso?- mi disprezzò ironicamente.
-Smettila e fammi vedere la mano- cercai di essere autoritario.
-Cosa? Vuoi fare il fratello protettivo e preoccupato per me? Beh, scordatelo! Hai perso l’occasione sedici anni fa per essere considerato tale- sbottò, facendomi rimanere da solo in quella stanza da poco silenziosa. Sbattei un pugno sul ripiano. Odiavo quando le persone criticavano senza una valida motivazione: lei non ne aveva il diritto dato che non era a conoscenza di nulla. Ma comunque non riuscii a sentirmi in colpa per ciò che era successo.
Abbassai la testa, inspirando profondamente per tranquillizzarmi, e la posi tra le braccia. Dei passi silenziosi si approssimarono dietro di me, facendomi sussultare.

-Mi puoi accompagnare in ospedale?- mi chiese la mia sorellastra con la mano avvolta in un asciugamano, evitando il mio sguardo. In quel breve lasso di tempo aveva indossato qualcosa e gliene fui molto grato. Almeno non vi era più dell’imbarazzo.
-Certo- riuscii a dire in un sospiro. Impugnai le chiavi della mia macchina dalla tasca del jeans e uscimmo di casa, diretti in ospedale seguendo le sue indicazioni visto che non ero del posto.  

Spendemmo un’ora e mezza in ospedale, tra l’attesa e la visita in cui il dottore le mise dei punti sulla mano, rassicurandoci che non fosse nulla di grave. Così eravamo in tragitto verso casa. Nessuno dei due toccò l’argomento e permettemmo al silenzio. Non lo sopportai più di tanto; di conseguenza accesi la radio su qualche stazione decente. Ne avevo scartate quasi cinque prima di trovarne una decente.
-Ed ecco a voi i One Direcion- annunciano su Radio1. -Salve ragazzi- aggiunsero, bloccandomi nel cambiare. Avevamo un’intervista oggi? Avevo letto il programma mandatomi da Simon e non vi era nessuna citazione di incontro in radio. Perché l’aveva omesso? Forse voleva che mi concentrai solo su me stesso. In ogni caso rimasi con il braccio penzolante assorto nei miei pensieri. -Ma aspettate, ne manca uno! Che fine ha fatto Louis?- e fu in quell’esatto momento che rimossi l’intervista e passai su un’altra stazione, dalla quale partì una canzone di Elle Goulding. Non feci trasparire la mia tristezza e delusione. Mi concentrai sulla strada, cinghiando fortemente il volante. Perseguivo a sentire lo sguardo curioso e confuso di Georgia, la quale reimpostò Radio1.
-Aveva delle cosa da fare. Si dispiace molto per non essere qui con noi- rispose Zayn con tono sicuro. Fulminai la ragazza accanto a me e girai di nuovo. Però lei persistette nell’ascoltare quell’intervista.
-Senti, macchina mia e decido io- mi opposi
-Non capisco perché ti scaldi tanto. Infondo è..-
-Oh, capisco. Sheyleen da molto da fare-
l’interruppe e mi derise il presentatore, facendomi sbarrare gli occhi, i quali si inumidirono prontamente. Accostai la macchina e abbassai lo sguardo. Le parole, le lacrime di mia figlia annebbiarono la mia mente. “Non posso! Devo reagire” m’imposi nella mia mente, scuotendo la testa e respirando profondamente. Mi diedi dei lievi pizzicotti alla gamba per smettere di pensarci. -Ma ditemi, è vero che Brooke è venuta a riprendersela?- aggiunse con curiosità. Anche la bionda accanto a me spalancò gli occhi, passandoli su di me impotenti e con compassione.
-Affatto!- intervenne con tono serio Harry, attirando la mia attenzione. -Tanto per mettere in chiaro, questi non sono affari in cui i giornalisti si devono impicciare e siamo perennemente stanchi di ascoltare queste enormi stupidante- cominci. Probabilmente si stava torturando i lembi della sua maglietta a causa del suo nervosismo. E molto probabilmente i ragazzi, in particolare Liam, lo stavano intimando di calmarsi. -Ma comunque, Brooke è in città per alcune commissioni e hanno deciso, insieme, che era meglio che la bimba passasse del tempo con lei. Tutto qui! nessuno è venuto a prendersi nessun altro- mentì per me, sottolineando in modo atroce l’aggettivo insieme. Non riuscivo a non essergli grato e aumentò il mio senso di colpevolezza nel non averli avvertiti della mia fuga. Provavo una sensazione di rimorso e non era per nulla buona.
-Che stai facendo, Hazza?- mormorai privo di voce. Aprii la portiera e uscii dalla macchina per assumere dell’aria buona per il mio cervello così che smettesse di meditare sull’accaduto. Maledizione a me e a quando avevo acceso la radio. Posai le mani sulla faccia, ripulendomi gli occhi dalle lacrime solitarie. “Forte, forte! Dovevo essere forte!” mi calmai.
-Non capisco perché non sei li con loro?- mi chiese cautamente.
-Non sono affari tuoi- ringhiai, mollando un pugno tettuccio.
-Ah ma davvero? Neanche Cole era un tuo affare, ma ti sei impicciato lo stesso- dichiarò duramente.
-è diverso- replicai prontamente con voce roca e con il nervosismo, il quale cresceva sempre di più. Strinsi addirittura i pugni per rilassarmi.
-Non credo proprio. Stessa c..-
-Mia figlia mi odia, ok?-
esclamai, voltandomi verso di lei con uno sguardo infuocato. -Ho avuto un fottuto crollo nervoso e mi sentivo troppo oppresso. Contenta ora?- chiesi sarcasticamente, strillando.
-Mi dispiace- mormorò, sciogliendo la postura rigida e allungando le mani sui fianchi.
-Provi pena, non dispiacere- chiarii, appoggiandomi sul veicolo.
-So come ti senti- mormorò, raggiungendomi e posandosi sulla portiera al mio fianco con lo sguardo vago. -Prova ad essere all’altezza di un fratello superstar al quale tuo padre vuole più bene che a te-
-E tu prova ad essere sotto esame in ogni minima cosa che fai: non puoi scontentare nessuno, non puoi commettere nessun errore. Prova a rimanere costantemente perfetto in tutto ciò che fai- replicai, incrociando le braccia al petto. -Si talmente perfetto che ho una bimba, la quale non mi parla più- ripresi dopo una pausa amara.
-Sento come se lo stessi deludere ogni volta- dichiarò apertamente, osservando la fascia sulla sua mano.
Era divento un momento di sfogo per entrambi e poteva essere anche ultimo visto che aveva un carattere simile al mio. Quindi non avremmo mai più confessato certe cose.

-è per questo che ti conci in questo modo e ti comporti così?- mi focalizzai su di lei per capire
-Delusione rendiamola realtà- rispose semplicemente, alzando le spalle. Scossi la testa e le diedi un’occhiata fugace.
-Indossare la maschera da dura non ti porterà da nessuna parte. Libera te stessa perché sono sicuro che la vera Georgia vale molto di più rispetto a quella che ti ostini a mostrare- dichiarai sinceramente
-Non credo. Sono una delusione per tutti- farfugliò con occhi lucidi.
-Provaci: ti sentirai meglio essere te stessa- la consolai.
-E te? è per questo che sei venuto a bussare alla nostra porta? Hai pensato che nessuno ti potesse cercare qui- mi chiese, seppure conosceva benissimo la risposta. Sospirai e mi strinsi le spalle.
-Sembra aver funzionato- annunciai amaramente.
-Scappare non serve a molto- mormorò e si posizionò davanti a me. -So che può essere difficile reagire, ma a volte per stare meglio devi scendere tutto l’inferno per comprendere ciò che si deve realmente sconfiggere- esclamò, accennandomi un piccolo sorriso confortatore. Risi leggermente e sorrisi a mia volta.
-Visto? La vera Georgia è migliore di quella vecchia- esclamai, allargando le braccia. Lei incurvò un sopracciglio per intendere il mio gesto. Quando lo fece, spalancò gli occhi e indietreggiò di un passo.
-Oh, non ci provare- disse, timorosa.
-Non ne avrai di seconde possibilità- l’avvertì, provando ad essere serio, eppure non durò per molto: la sua paura mi divertiva. -Andiamo, Austin, so che lo vuoi- la provocai, avanzando un passo, al contrario di lei che si ritrasse automaticamente.
-Ti stai sbagliando di grosso, Tomlinson- negò con la testa e s’issò nel terreno. Accennai una lieve risata nel notare che si stava mordicchiando il suo labbro inferiore.
-E perché ti stai mordendo il labbro?- le chiesi, facendole sbarrare di poco la bocca.
-Per non riderti in faccia. Ma guardati, sembri un pagliaccio- mi rispose, passandosi la lingua sulle labbra. Assunsi un’espressione scherzosa.
-Vediamo cosa può fare un pagliaccio- dichiarai, tirandomi su le maniche di poco. 
-Non oserai-
balbettò, allontanandosi ancora di più da me.
-O si che lo farò- approvai, molto divertito dalla situazione. Non capivo perché faceva tutte queste storie per un semplice abbraccio. E lo otterrò. Così, cominciammo a rincorrerci, terminando a terra come due stupidi. Ma ciononostante ottenni ciò che desideravo anche se ci sporcammo tutti i vestiti di fango a causa delle pozzanghere di qualche giorno fa.
-Louis!- strillò, ridendo e toccandosi i suoi capelli biondi completamente bagnati. Gesto che incrementò la mia risata. Restammo così finché non si parò di fianco a me a gambe incrociate. Mi sollevai e mi sorressi con i polsi.
-Non sei affatto male- confessò con un piccolo sorriso.
-Neanche te- l’appoggiai, imitandola.
-Sheyleen è molto fortunata ad avere un padre come te-
-E qualsiasi ragazzo sarà onorato ad essere al tuo fianco.. solo.. non Cole-

Accennammo una risata.
-Avevi ragione su di lui-
-Come?-
-Non lo ripeterò una seconda volta, sappilo-
-Sono felice che tu l’abbia capito-
-Sono semplicemente stanca di stare da sola-
sbuffò.
-Il principe azzurro arriverà quando meno te l’aspetti- la consolai, sfregandole la mano sulla schiena, sporcando ulteriormente la maglia. Mi fucilò con lo sguardo, però il secondo dopo scosse la testa
-Che frase fatta!- esclamò, facendomi ridere.
-Lo so, ma è la verità-
-Scusa, ho un tantino fame- cambiò argomento.
-Ho visto un McDrive sulla strada di casa. Vuoi andarci?-
l’interpellai, alzandomi e poi aiutandola. Le accettò l’aiuto e si guardò intorno.
-Ma..-
-Perfetto lo prenderò come un si-
-Però la musica la scelgo io!-
mise in chiaro, raggiungendo la mia macchina. Feci un’espressine sconvolta e aprii la portiera del guidatore per mettermi al volante.
-O te lo scordi. Macchina mia, musica mia- replicai, continuando la conversazione e la mezza litigata fino al luogo voluto. Era inutile aggiungere la sorpresa dei commessi nel vederci in quello stato, però ce ne fregammo altamente e ci dedicammo al nostro pranzo.
 

*Brooke*
Erano le cinque quando io e Sheyleen varcammo la soglia del portone di casa. Ero stremata; tuttavia dovevo ammettere che erano stati dei giorni, a parte il litigio con mio padre, divertenti.
L’appartamento era completamente vuoto, probabilmente non avevano ancora finito di lavorare oppure erano semplicemente usciti. Mi stiracchiai e entrambe giungemmo nelle proprie camere. Io mi buttai sul mio letto comodo. Quanto mi era mancato. Feci le fusa e stavo per chiudere gli occhi se non fosse per un rumore proveniente dal salone. Era rincasato qualcuno! Svogliatamente mi alzai e, liberandomi dalle mie scarpe nere, aprii cautamente la porta, andando in giro per il corridoio a piedi nudi. Speravo con tutto il cuore che fosse Dylan in quanto avevo una voglia matta di abbracciarlo. Ovviamente non quanto volessi rivedere Louis, però era abbastanza per me. Nel legarmi i capelli, innalzai il viso e mi cedettero le braccia a quella scena tragica. Sbarrai gli occhi e le mie mani si abbassarono, colpendo una fotografia sul comodino, attirando l’attenzione dei due protagonisti. Dylan e Queen si stavano baciando e, non appena udirono il rumore, si staccarono e si irrigidirono. Come aveva potuto? Come avevo fatto a non accorgermene? Non avevo davvero più parole.

Ciaoo a tutti!
Okay, con il mio solito ritardo, vi presento il capitolo 26 :D
Ma mi stanno riempiendo come non ci fosse un domani D:
Comunque, si è scoperta l'importanza di Amelia, finalmente, dopo un'eternità ahah
Ebbene si, il padre ha tradito la famiglia e Brooke ha deciso saggiamente di perdonare la madre. Tuttavia non ha un buon finale D:
Invece Louis nei panni del fratello protettivo, anche se non rionosce Troy come padre u.u
Mi sono divertita a scrivere la parte tra Louis e Georgia. 
Spero che vi sia piaciuto, e se fosse cosi, mi lascereste un piccolo commento? Grazie a chi lo fa :D
A proposito, vorrei ringraziare le fantastiche persone che:
-l'hanno messe tra preferite/seguite/ricordate;
-l'ha recensita;
-la legge;
-Sara_Scrive per il meraviglioso banner.
Alla prossima!
Ciaoooo :D xx

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