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Autore: alaskha    29/11/2015    2 recensioni
“No, aspetta – fui lui a fermarmi, quella volta – non ti va un caffè?”
“Io non bevo caffè”
“Sei davvero newyorkese o bluffi? Non mi piace la gente che bluffa”
Avevamo usato lo stesso verbo, quindi probabilmente Luke Hemmings non era un bugiardo bluffatore.
“Sono newyorkese e non bluffo, semplicemente non mi piace il caffè ed io e te non ci dobbiamo piacere, non dobbiamo neanche mai più rivederci, quindi non importa”
“Giusto”
Rimanemmo a guardarci per qualche istante.
Istanti nei quali lui non si tolse mai dalle labbra quel sorrisino sfacciato.
“Quindi?” mi riscosse lui, dal mio stato pietoso di trance.
“Quindi addio, Luke Hemmings”
“Mi dici addio perché New York è grande ed è facile sbagliarsi?”
Annuii.
“Esatto”
“Speriamo non sia così grande come dicono, allora”.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Luke Hemmings, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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chapter six

rockers


 


“Sushi per tutti?”
 
 
E così era stato.
Tavolo per 5. Wasabi. Bandane nei capelli. Piercing al labbro. Tatuaggi sulle braccia. Capelli colorati. Sorrisi indosso. iPhone incollati agli occhi.
“Diventerai cieco, così”
Michael si sentì in dovere di avvertire Ashton, che tenendo lo schermo alla massima luminosità così vicino agli occhi, probabilmente si sarebbe danneggiato la vista. Io nel frattempo ero finita in mezzo a Luke e Calum.
“Vaffanculo – berciò Ashton – ho appena mollato Lindsay, la cosa si stava facendo troppo seria, voleva vedermi per la terza sera di seguito”
Luke alzò le sopracciglia, scettico, mentre io scoppiavo a ridere sotto lo sguardo divertito di tutti loro.
“Mi ricordi tanto un mio amico, lo sai? – feci, pensando a Zayn – credo che andreste molto d’accordo”
“Oh, no – s’intromise Calum – Ashton non va d’accordo con i ragazzi”
“E voi cosa sareste, allora?” chiesi, io, sfacciata.
“Colpito e affondato, amico” fece Michael, colpendomi il pugno.
Luke sghignazzò, affianco a me, mentre Calum gli faceva il verso.
“Come mai così silenzioso, Hemmings? – chiese ancora Ashton, quello che parlava di più – ci porti un così bel fiore del deserto e non ci degni nemmeno di una parola?”
Luke lo incenerì con lo sguardo, mentre Michael lo indicava con le sue bacchette cinesi, che stava usando per mangiare un po’ del suo riso.
“Già – convenne – sai, Jenelle – si rivolse poi a me – è un onore conoscerti”
“Un onore?” domandai, stranita.
Michael annuì, ingozzandosi.
“Sì, Jenny – fece Calum – Jj, il fratello di Hemmings, è ossessionato da te!”
Divenni rossa in viso, e Luke se ne accorse, così ridacchiò.
“Ha una cotta per te, principessa, te l’ho detto – fece poi – non ha fatto altro che elogiarti per tutta la durata dell’ultimo anno scolastico”
“Io e Jj siamo amici – ci pensai su – cioè, compagni di corso”
Luke annuì.
“Certo, e lui vorrebbe portarti al ballo scolastico – mi informò – ma non sa come chiedertelo”
“Povero Hamblett – intervenne Calum – lo state distruggendo davanti al suo unico amore”
I ragazzi scoppiarono a ridere, mentre io pensavo alla gentilezza di Jj Hamblett. Probabilmente, se io avessi accettato il suo invito al ballo di fine anno, che doveva ancora disgraziatamente tenersi, lui si sarebbe presentato con dei fiori abbinati al colore del mio vestito (dove le avrebbe trovate delle rose nere?), uno smoking perfetto ed una limousine laccata bianca. Maribel avrebbe scattato milioni di foto e Zayn e Louis mi avrebbero preso in giro fino alla fine dei miei patetici giorni. Era fuori discussione.
“Senza contare che ho un fidanzato” conclusi, ad alta voce.
“Oh – si lasciò scappare Michael – questo Luke non ce lo aveva detto”
“Luke? – domandai, stranita – ma non era Jj quello fissato con me?”
Michael scosse la testa, in negazione. Che diavolo stava dicendo quella testa verde?
“Adesso sono due, i fratelli ad essere ossessionati da te, piccola Stratford”
Strabuzzai gli occhi, mentre Luke tentava di frenare i suoi istinti omicidi verso il suo migliore amico e coinquilino, ed Ashton tirava uno schiaffo dietro la sua testa.
“Ehi! – s’indignò – che ho fatto?”
“Hai appena comprato un biglietto di sola andata per figuradimerdolandia ad Hemmings” lo informò Calum, fiondandosi sul suo ultimo maki di tonno.
“Esatto” confermò Ashton.
Ridacchiai, senza farmi vedere da Luke, dato che sembrava già abbastanza irritato. Cercai di reprimere quel moto di soddisfazione e nascondere quanto io mi stessi sentendo lusingata. Luke aveva parlato di me, con la sua band, i suoi migliori amici. Ed io ero patetica, ridicola e una volta sola mi sarei tirata uno schiaffo in piena faccia.
“Già, sei un amico, Cliff” concluse poi, Luke.
Michael si strinse nelle spalle, ed intavolò una conversazione con Calum, mentre Ashton riprendeva la sua corsa alla cecità, con il suo inseparabile iPhone.
“Mi è passata la fame – disse poi Luke, a me, guardando il suo piatto semi vuoto – hai mai provato l’uramaki california?”
Scossi la testa.
“Vado sul classico” dissi.
“Vedo – ammiccò lui, ai miei nighiri – non avevi mai mangiato sushi?”
“Sì, qualche volta – ammisi – mio padre non è un amante della cucina etnica, è abbastanza conservatore, diciamo così”
“Ma certo – convenne – Wall street non si abbasserebbe mai a del pesce crudo servito in vaschette di plastica, non è vero?” disse con una punta di ironia, facendomi ridere.
“Già, Wall street se potesse diventerebbe indipendente da tutti noi poveri comuni mortali, un po’ come il Canada”
Luke rise, torturandosi il piercing con i denti. Era come se, tutto d’un tratto, a quel tavolo, in quel locale, in quel mondo, ci fossimo solo noi. Io e lui.
“Cosa direbbe il signor Stratford se sapesse che la sua dolce ed innocente figlioletta se ne va in giro con un rocker di Brooklyn?”
“Noi non ce ne andiamo in giro – precisai – tu mi porti a sentire la tua band e a mangiare sushi”
“Così mi offendi”
“Mi dispiace”
La conversazione morì lì, fino a che lui non spinse la sua vaschetta verso di me.
“Uramaki california – annunciò – per vivere davvero, devi prima assaggiare questi”
Inarcai le sopracciglia, scettica.
“Che diavolo stai dicendo, Hemmings?”
“Sono serio” sostenne lui.
Mi guardava di sottecchi, pieno di aspettative. Se io non avessi avuto tutto l’autocontrollo di cui ero effettivamente dotata, non avrei mai smesso di sorridere, in compagnia di Luke.
“Cosa c’è dentro?”
“Niente domande, Stratford, metti in bocca, mastica, assapora, manda giù e chiamami unico ed inestimabile guru della tua vita”
Roteai gli occhi al cielo, ed un po’ spaventata e non del tutto convinta, feci come mi aveva detto lui. Masticai per un po’, ed un mix di sapori esplosero sulla mia lingua.
“Beh?” incalzò lui, con un sopracciglio inarcato.
“Li mangi quelli?”.
 
 
 
 
“Una paglia, Hood?”
Guardai Calum estrarre il tabacco dalla tasca dei suoi skinny jeans neri, per soddisfare la richiesta di Luke.
“È una specie di divisa la vostra?” chiesi.
Ashton ridacchiò, infilandosi un filtro in bocca.
“Cioè?” mi domandò Luke.
“Cioè portate tutti e tre gli stessi skinny jeans neri, la stessa camicia a quadri, le stesse magliette bucate e solo ed esclusivamente Vans – feci notare loro – è un requisito fondamentale, per far parte della vostra band?”
Michael ridacchiò, facendo una piroetta su ste stesso, atteggiandosi a ballerina.
“Non ti piace, piccola Stratford?” 
“Non dico questo – puntualizzai – dico solo che siete davvero poco originali, no?”
Calum annuì, poco convinto, comunque, consegnando la paglia a Luke.
“Ehi, così non vale! – s’indignò Ashton – io non porto nessunissima camicia, Jenny!”
Lo guardammo tutti male, dopodichè Luke gli diede una leggera spinta.
“Sta’ zitto, Irwin”
Mentre loro bisticciavano e fumavano, qualcosa di molto molesto prese a vibrare nella tasca dei miei jeans. Quando ne estrassi l’iPhone e lessi il nome di Dan sul display, tutta la pesantezza della mia vita mi cadde nuovamente sulle spalle, come un grosso macigno. Ma dov’era finito, quel macigno, nelle ultime ore?
Mi allontanai di qualche passo da quel gruppo di scalmanati rockers, e risposi al telefono.
“Pronto?”
“Amore? Ma che fine hai fatto? – cominciò Dan, più scocciato che preoccupato – è dalle quattro del pomeriggio che nessuno ha notizie di te, se non Jai”
Sbuffai.
“Beh, non basta?”
“Ha otto anni, Jenelle – puntualizzò, saccente – per quanto ne so potresti essere a drogarti con quei due poco di buono di Zayn e Louis”
“Hai veramente detto poco di buono, Dan? – mi sforzai di non ridere – quand’è che ti sei risvegliato nel corpo di un cinquantenne?”
“Non sei divertente, Jen – mi riprese – sono stato davvero in pensiero per te, si può sapere dove sei?”
Ma certo, immagino. Al 90% delle probabilità era andata esattamente così: finita la riunione, papà, Dan e tutti gli altri palloni gonfiati di Wall Street se ne erano andati a cena in un elegante ristorante di Times Square, ordinando vino rosso ed assaggiando diversi tipi di caviale. Avevano bevuto, riso, fumato sigari e parlato ininterrottamente di quotazioni e altre boiate simili, dopodichè, una volta tornati all’attico, Dan, e non mio padre, assolutamente fuori discussione, si era ricordato della mia esistenza.
“Ma tu non avevi quella cena con mio padre?”
Ma a lui non dissi tutte quelle cose.
“Finita”
“Ma che ore sono?”
“L’ora che torni a casa, non ti pare?”
“Sì, sì, arrivo”
Chiusi quella telefonata, e lottai contro l’istinto di lanciare il telefono per terra. M’imposi calma, respirai profondamente e tornai dagli altri. Era tutto più importante di me: le riunioni, le quotazioni in borsa, le cene, gli appuntamenti con i colleghi, le conferenze, i convegni.. dopo tutto questo, venivo io.
“Tutto apposto?”
La voce bassa di Luke mi risvegliò da quei pensieri, così alzai lo sguardo verso di lui, ed incontrai i suoi occhi. Quelli sì, che erano occhi a cui importava qualcosa. O almeno, così sembrava.
“Devo andare”
“Era tuo padre?”
Scossi la testa, spostando nuovamente lo sguardo sui miei stivaletti neri, lasciandogli intendere chi fosse realmente.
“Ho capito”
E così fu.
“Chiamo un taxi” dissi, spostandomi già verso la strada.
“No – ma lui mi fermò, afferrandomi il braccio – ti ci porto io, a casa”
“Con quello? - dissi, indicando lo skate scettica – vorrei arrivare prima di domani mattina, ma grazie lo stesso”
Luke roteò gli occhi al cielo, infastidito dal mio atteggiamento.
“Mi stai sul cazzo quando fai così”
Aveva già posato lo skate per terra, e mi stava già invitando a salirci, tendendomi la mano, come aveva fatto qualche ora prima.
Così io sbuffai, e mi ritrovai davanti a lui.
“Porto Jenelle a casa – avvisò gli altri – ci vediamo domani e Mike, ti prego, non approfittare della mia assenza per registrare altre puntate di Grey’s Anatomy, ne ho piene le palle di quella roba da gay”
Ashton scoppiò a ridere, e Michael gli mostrò con classe il terzo dito.
“Bella Hemmings! - urlò poi Calum – ciao Jenny, alla prossima!”
Con quel saluto, ci lasciammo alle spalle i ragazzi. Percorremmo la strada da Brooklyn a Wall Street in silenzio, e, con mia grande sorpresa, ci mettemmo sì e no quindici minuti scarsi.
“Allora? – cominciò lui, scendendo dallo skate – nulla da dirmi?”
“Tipo?” dissi io, scendendo a mia volta, aiutata da Luke.
“Tipo che avevo ragione io e che se avessi chiamato un taxi, probabilmente adesso saresti ancora lì a sperare che l’autista conosca una strada secondaria per evitare il traffico di New York City?”
Ma quanto dannazione parlava veloce, quel ragazzo?
“Non ti darò mai ragione, Luke Hemmings” sostenni.
Lo guardai lasciarsi andare ad una risata cristallina, buttando indietro la testa, come quel pomeriggio da Starbucks.
“È bella Try Hard” mi lasciai scappare, poi.
“Ti piace?”
Annuii.
 “Perché non volevi cantarla di fronte a me?”
“L’ho scritta da poco – cominciò – e, qualche pezzo, l’ho scritto pensando a te, non lo nego”
Gli concessi un sorriso. Ma lui non era per nulla in imbarazzo. Eravamo sotto casa mia, con le luci fioche dei lampioni, il suo snapback al contrario ed i miei capelli in disordine per la folle corsa sul suo skateboard, ma nessuno dei due era in imbarazzo.
“Oh, wow – feci, ironica – nessuno mi aveva mai scritto una canzone, ne sono lusingata”
“Frena, Stratford – mi bloccò, lui – io non ti ho scritto una canzone, ho semplicemente pensato a te mentre buttavo giù il testo..”
“Che in altre parole significa..”
“Come ti pare, okay?” m’interruppe, così scoppiai a ridere.
“Quindi scrivi tu, i testi delle canzoni?” cambiai argomento.
Lui annuì.
Non avevo voglia di salire, di vedere Dan, di fornirgli spiegazioni di cui in realtà non gli importava nemmeno. Volevo restare lì, con Luke Hemmings che parlava della sua band ed il suo skateboard sotto il braccio.
“Il più delle volte, sì”
“Figo, no?”
“Abbastanza, sì”
“Non è poi tanto diverso da quello che voglio fare io”
Restammo a guardarci, negli occhi, senza dire più nulla. Forse fu il momento, la situazione, quell’inevitabile scena da film in cui per una cosa o per l’altra, finisci per avvicinarti alla persona che ti sta di fronte, senza neanche accorgertene, e forse senza neanche volerlo. Succede e basta.
Io e Luke eravamo ormai a pochi centimetri di distanza, riuscivo a vedere le diverse tonalità di azzurro nei suoi occhi, i tagli sulle sue labbra e riuscivo a percepire il suo respiro dolce, con il suo profumo, misto a quello del tabacco.
“Hai fatto quel piercing per sentirti più figo?”
“Chiaro che sì – sostenne, facendomi ridere – a diciassette anni, per fare colpo sulle ragazze più grandi”
“E ha funzionato?”
Lui scosse la testa, divertito, fissando le mie labbra, ormai a pochi centimetri dalle sue.
“No, e in più, quando l’ha scoperto mia madre, mi ha messo in punizione per due mesi”
“Che tipo di punizione?”
“Lavori di casa”
“Hai fatto la casalinga?” domandai, mordendomi il labbro per non scoppiare a ridergli in faccia.
“Puoi dirlo forte”
Ma non resistetti, e ridemmo insieme. Ma a rovinare quell’atmosfera che si era creata, ci pensò il mio telefono, ancora. Declinai la chiamata di Dan, e lo risposi in tasca.
“Ci rivedremo?”
Lui annuì, giocando con il piercing.
“Come?”
“Ti vengo a prendere, cercare, rapire”
“Dovrei avere paura?”
“Vorresti che io venissi a prenderti, cercarti, rapirti?”
“Puoi dirlo forte”
“Allora no, principessa”.
 
 
 
 
La porta si chiuse con un tonfo secco, ed io mi mossi decisa verso la mia camera. Magari nessuno mi avrebbe notata, magari si erano dimenticati nuovamente della mia esistenza, magari..
“Jenelle”
Come non detto.
“Che ci fai ancora qui, tu? – chiesi, raggiungendolo e fingendo un sorriso – pensavo fossi tornato a casa, è tardi”
Magari se avessi fatto la carina, si sarebbe dimenticato del fatto che era l’01:35 AM ed io ero la sua fidanzata. Beh di quello se ne ricordava solo 2/3 giorni su 7 e il giorno del nostro mesiversario, quindi avevo grandi speranze di uscirne indenne.
“Ti ho aspettata”
Mi alzai in punta di piedi, per lasciargli un bacio sulle labbra: sapeva di acqua di colonia e scartoffie di Wall Street. Mi tornò in mente il profumo dolce misto a quello di tabacco di Luke, di poco prima. Dopodiché scossi la testa, obbligandomi a scacciare via quel tipo di ricordi.
“Non ce n’era bisogno, davvero – continuai – va’ pure a casa, domani la sveglia è presto ed io sono molto stanca” finsi uno sbadiglio.
Ma l’Oscar quand’è che me lo davano? No giusto per sapere.
Daniel sorrise, sarcastico.
“Jenelle, sono quasi le due del mattino, pensi davvero che ti lasci andare a dormire senza una spiegazione?”
“Non è così, di solito?” sputai, velenosa.
Non ce la facevo più a trattenermi e fare la fidanzata perfetta che lui aveva sempre voluto, e che stava cercando di costruire su di me.
“Jenelle, fa’ la finita una volta per tutte – disse, esasperato, lui, capite? – non sei mai tornata così tardi”
Ah beh, certo, non gli era mai importato dove fossi, prima di all’ora, perché non avevo mai sgarrato alle sue regole. Chiaro, no?
“Non ho controllato l’orario” mi giustificai.
“Con chi eri?”
Mi cadde il gelo addosso. Non avevo nessunissima intenzione di dirgli di Luke, né in quel momento e né mai.
“Con degli amici” così rimasi vaga.
“Louis e Zayn?”
“No, non loro”
Dan mi guardò stranito, accigliandosi.
“Ma tu non hai altri amici” sostenne, convinto.
Inarcai un sopracciglio, per poi sorridere sarcasticamente.
“Già, beh, ti ringrazio molto Dan..”
“Sai cosa intendo”
Roteai gli occhi al cielo, ed in quel momento si palesò mio padre, con la vestaglia di raso blu, una copia del “The wall street journal” ed una tazza di caffè in mano. Che tristezza la vita di quell’uomo: girava tutto intorno a Wall Street, ci mancava solo che se lo facesse tatuare sul petto.
“Oh, ciao tesoro – mi salutò, tranquillo, pacato e sereno – tornata ora? Passato una buona serata?”
Lo guardai, sconcertata, dopodichè tornai con lo sguardo a Dan, che stava allargando le braccia, improvvisamente rilassato, come per dire: “Che ci posso fare, amore mio? Il capo ha detto che è okay!”. Scossi la testa, arresa, e me ne andai in camera mia.
“Buonanotte a tutti”.

 
 
 
 
 
 
sounds good feels good!
ciao donne! come state? io sempre bene, sempre al solito.
prima di iniziare volevo dirvi una cosa: non rispondo alle vostre recensioni non perchè me la tiro o altro, semplicemente perchè non ho tempo. I corsi in università stanno finendo e questo significa che tra poco ci saranno gli esami, quindi sto studiando molto.
Ma il tempo per postare un nuovo capitolo lo trovo sempre, perchè sono molto legata a questa storia e spero che anche voi vi affezionerete ad essa ed ai suoi personaggi. 
volevo ringraziare una ragazza speciale: Letizia25, perchè leggere le tue recensioni mi ha fatto davvero davvero piacere e nulla, ti ringrazio dal profondo del cuore, sei meravigliosa e spero continuerai a seguirmi! Ho bisogno del tuo parere! 
io avrei finito, vi amo tanto tanto, la vostra Simona.

p.s: per chi volesse seguirmi su twitter vi lascio il nick: @COCOCHVANEL
p.p.s: messaggio per Giulia: NOLO!

 
 
 
 
 

 
 
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