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Autore: Harry_Potter992    29/11/2015    3 recensioni
[Prima classificata al "Missing Moment Contest" indetto da HermioneJeanGranger sul forum di EFP]
La voce “Natalie McDonald” nella pagina di Wikipedia “Personaggi di Harry Potter” recita: “Il personaggio di Natalie McDonald viene citato in Harry Potter e il calice di fuoco come una nuova studentessa appena Smistata. J. K. Rowling afferma che è un tributo ad una sua omonima della vita reale, una giovane fan canadese vittima di leucemia. Quando l'autrice scoprì una sua lettera a lei indirizzata ma mai aperta prima, che spiegava il desiderio di rivelare in anticipo il finale dei suoi libri, sfortunatamente era troppo tardi. Facendo amicizia con la madre di Natalie, decise di rimediare citandola nei libri come una Grifondoro."
Questa storia mi ha molto colpito e, in occasione del contest a cui questa one-shot partecipa, ho deciso di scriverci sopra un piccolo "tributo".
Spero vi piaccia :D
Genere: Drammatico, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Dennis Canon, Il trio protagonista, Natalie McDonald
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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                                                                Proud


Chiuse gli occhi.
Poteva quasi sentire il Cappello Parlante riflettere intensamente sopra la sua testa.
Era da circa tre minuti che Natalie McDonald era seduta sullo sgabello sul quale ogni anno avveniva lo Smistamento, con gli occhi dell’intera Sala Grande puntati addosso. L’attesa del verdetto le procurava un’ansia non indifferente: le sue mani sembravano non voler star ferme e continuavano a tormentare lo sgabello, leggermente tremanti, e il cuore aveva accelerato il suo battito, come se lei avesse appena terminato una lunga corsa. 
Non aveva la minima idea di dove il Cappello avrebbe deciso di Smistarla, cosa che non contribuiva affatto a rassicurarla. Tassorosso era forse la Casa in cui si riconosceva di più, ma neanche quella di Corvonero le sarebbe dispiaciuta. La sua massima predilezione, però, non andava né all’una né all’altra.
La Casa in cui le sarebbe piaciuto davvero finire era…
- GRIFONDORO!
L’urlo del Cappello Parlante completò il pensiero di Natalie, riecheggiando in tutta la sala. Natalie riaprì gli occhi di scatto, si tolse in un gesto rapido il cappello consunto dai capelli castani e, dopo averlo riposto sullo sgabello, trotterellò felice verso il tavolo dei Grifondoro, dove trovò a riceverla un coro di applausi. Stentava a credere di appartenere sul serio ai rosso-oro: nonostante il suo desiderio si fosse avverato, non si rivedeva in nessuna delle qualità richieste da Godric. Forse, il Cappello aveva visto in lei qualcosa per cui aveva ritenuto opportuno spedirla in mezzo ai coraggiosi e agli audaci. Cosa aveva potuto effettivamente vedere rimaneva un mistero, visto che lei non era né coraggiosa né tantomeno audace.
Piuttosto stordita, prese posto accanto a un ragazzino minuscolo, più basso di lei (che pure non spiccava certo per altezza), dai capelli color topo e gli occhi vivaci.
- Ciao! Mi chiamo Dennis - si presentò il ragazzino, che sembrava avere una gran voglia di fare subito amicizia.
- Io sono Natalie - rispose lei, tentando un timido sorriso. 
- Io e mio fratello Colin stavamo parlando di Harry Potter - continuò Dennis, entusiasta, indicando apertamente il ragazzo dai capelli corvini e gli occhiali seduto di fronte a loro, alcuni posti più lontano. - Sai chi è, vero?
Natalie fece un cenno affermativo, osservando con la coda dell’occhio il diretto interessato aggiustarsi gli occhiali sul naso. Impossibile non saperlo. I suoi due cugini, che frequentavano il quinto anno a Hogwarts, gliene avevano parlato qualche volta; e tanto era bastato per far nascere dentro di lei una spontanea ammirazione verso quel ragazzo dalla cicatrice a forma di saetta e verso i suoi inseparabili amici, Ron e Hermione. I tre erano stati al centro di avventure da cui lei era certa non sarebbe mai uscita viva, neanche per sbaglio. La faccenda della Pietra Filosofale al loro primo anno, il Basilisco… Per non parlare del fatto che Harry era sopravvissuto all’Avada Kedavra del malvagio Lord Voldemort: un evento a cui chiunque avrebbe stentato a credere.
Le sarebbe piaciuto essere come loro, sentirsi apprezzata per qualche gesto sorprendente e coraggioso. In più di un’occasione si era sentita non accettata dagli altri, a causa del suo carattere timido. A volte non era facile. Si chiedeva come fosse invece stare al loro posto, essere estimati, sentirsi qualcuno.
Lei, una ragazzina che sostanzialmente viveva nell’ombra, si chiedeva come si sentisse chi usciva alla luce.
                                                   
                                                                                              ***

- Hai invitato qualcuno? Eh? Eh?  
Natalie e Laura Madley, una bambina di Tassorosso con cui aveva fatto amicizia, erano appena uscite dalla classe di Difesa contro le Arti Oscure e si dirigevano a passo svelto alla loro prossima lezione, le borse in spalla e la veste nera che svolazzava intorno alle caviglie. Era già passato qualche mese da quando Natalie era entrata a Hogwarts; l’atmosfera natalizia si respirava in tutta la scuola, bacche di agrifoglio e alberi giganteschi facevano bella mostra di sé in ogni angolo e fuori il freddo e il vento aumentavano, diventando sempre più pungenti.
Inoltre, il Ballo del Ceppo era alle porte.
- Neanche per sogno - fu la risposta di Natalie alla domanda della Tassorosso, chinando un po’ la testa per nascondere il volto dietro i capelli.
- Ma come! - Laura la guardò, incredula. - Dai, non ci credo che non vuoi partecipare a un ballo. Almeno provaci a chiederlo a qualcuno, no?
Natalie scosse con forza la testa. I capelli castani, che le arrivavano alle spalle, le sbatacchiarono a destra e a sinistra. - Solo quelli dal quarto anno in su possono partecipare.
- Lo sai benissimo che anche i più piccoli possono, se qualcuno li invitasse - la accusò Laura. - O se lo chiedessero a uno più grande e quello dicesse di sì.
- Ma perché vuoi che lo faccia io? Tu non l’hai ancora chiesto a nessuno - fece osservare Natalie.
- Perché io sembrerei una scema a chiederlo a uno di tre anni più grande di me, invece tu no, visto che in teoria dovresti fare il secondo anno - spiegò Laura con convinzione. - Hai detto che sei nata il dieci settembre, giusto? Quindi adesso hai dodici anni. E infatti un po’ lo dimostri - annuì, spostandosi una ciocca di capelli biondi dalla fronte. - Se lo chiedi a uno del quarto anno, non c’è tutta questa differenza di età. Pensa se vai a chiederlo a Harry Potter! - esclamò inaspettatamente, soffocando una risata. - Sai che onore!
Natalie sgranò gli occhi a quelle parole. L’idea era così fantastica, ma al tempo stesso remota, che la sua mente non riusciva a soffermarsi su quell’ipotesi.
- Ma cosa dici - borbottò, arrossendo e facendole segno freneticamente di abbassare la voce. - È impossibile! 
Aveva osservato Harry, Ron e Hermione in quelle settimane, praticamente ogni giorno, ed era arrivata alla conclusione che mai avrebbe avuto la possibilità di parlare con loro o conoscerli. Se poi era lei che avrebbe dovuto invitare Harry a un ballo, quella possibilità scendeva di molto sotto lo zero.  
- Invece no. Guarda chi sta arrivando - disse Laura.
Il tono eloquente con cui pronunciò quelle parole non piacque a Natalie. Scrutò la folla di studenti che veniva dalla direzione opposta e quasi le venne un colpo quando, in mezzo a loro, riconobbe la chioma spettinata di Harry e quella scarlatta di Ron Weasley.
- Invitalo, dai - la incitò Laura, tutta eccitata.
- Sei matta, io…
La veste le si impigliò nelle scarpe e Natalie perse l’equilibrio, inciampò e finì rovinosamente a terra. Prima che Laura, dopo qualche attimo di sbigottimento, potesse darle una mano, Natalie udì una voce di fronte a lei.
- Ehm… ti sei fatta male?
Natalie alzò lo sguardo e incontrò gli occhi di Harry Potter in persona, il quale le tese la mano per aiutarla a rialzarsi. Rimase lì impalata per qualche secondo, poi riuscì a prendergliela con fare impacciato e si mise in piedi, barcollando.
- G-grazie - balbettò, lanciando un’occhiata a Ron, che si era fermato vicino all’amico.
Harry le rivolse un piccolo sorriso e fece per andarsene. Laura osservava la scena con la bocca semiaperta.
- Scusa, non è che vorresti andare al ballo con la mia amica? - domandò, facendo un passo avanti.
Harry si girò verso di lei e ricambiò il suo sguardo con aria confusa.
- Lei è Natalie - si affrettò ad aggiungere Laura, in tono un po’ meno sicuro.
Natalie era completamente terrorizzata. Era certa che il suo viso fosse diventato dello stesso colore dei capelli di Ron, o quasi, comunque. Spostava lo sguardo da lui, a Harry, a Laura, desiderando solo scappare via il più velocemente possibile.
- Ehm, io… - Gli occhi di Harry indugiarono su Natalie. - Ho intenzione di invitare un’altra ragazza… Mi dispiace. 
Sembrava davvero dispiaciuto per lei. Un silenzio imbarazzante aleggiò tra loro. Qualche studente li guardò incuriosito mentre li superava, bisbigliando.
Laura abbassò lo sguardo un paio di volte. - Ah… va bene.  
- Ciao - disse Harry.
Natalie aveva gli occhi puntati sulle sue scarpe. Non li alzò nemmeno per guardarli mentre si allontanavano, cosa che fece Laura. L’amica le disse qualcosa, ma lei non la udì. Non aveva avuto il coraggio di spiccicare parola davanti a Harry. Era stata Laura a fare la domanda al posto suo. Come poteva essere una Grifondoro, se non riusciva nemmeno nelle cose più semplici? Come avrebbe mai potuto affermarsi in qualche modo nella vita, se quella maledetta insicurezza continuava a bloccarla in molte cose che faceva?
Si diresse spedita verso la fine del corridoio ed entrò nell’aula di Incantesimi, ricacciando indietro le lacrime.

                                                                                                    ***

La giornata era fin troppo poco fredda per essere una mattina di febbraio, ma tirava un vento che scompigliava in modo fastidioso i capelli di Natalie. La ragazzina cercava di non badarci. Il cortile era il suo posto preferito per leggere e voleva approfittare della ricreazione per terminare un libro preso in prestito dalla biblioteca, perciò avrebbe aspettato ancora un po’ prima di rientrare.
D’altra parte, non c’era solo lei a godersi fuori la pausa. Parecchi ragazzi gironzolavano in gruppo, chiacchierando animatamente e
gesticolando e, vicino al muretto su cui era seduta, tre Serpeverde del primo anno si scambiavano delle spille su cui luccicava la scritta “Potter fa schifo”.
Natalie lanciava ogni tanto occhiate irritate nella loro direzione, guardandoli con disprezzo mettere in bella mostra le spille sulla
divisa. Harry non si meritava tutti gli insulti di cui era oggetto da quando il suo nome era stato estratto dal Calice di Fuoco. Lei gli credeva, credeva che non avesse messo lui il suo nome nel Calice, perché era sicura che fosse un bravo ragazzo e non avrebbe mai trasgredito una regola così importante come quella del limite di età, soprattutto, poi, per una cosa come rischiare la vita. Gli era già successo fin troppe volte per essere un ragazzo di quattordici anni, in fondo.
Le voci dei Serpeverde aumentarono di volume, impedendole di leggere una sola riga del tomo che teneva posato sulle ginocchia.
Avrebbe proprio voluto dire loro di smetterla…
Potrei farlo, pensò.
Il pensiero arrivò fulmineo, facendo istintivamente accelerare il battito del suo cuore. Chiuse il libro per un attimo, guardando verso i compagni. Il desiderio di difendere Harry le pulsava nelle vene, incessante.
Non ci riuscirò mai.
Riaprì il libro scuotendo appena la testa, ma i suoi occhi non registravano più una parola.
Immagini su immagini le si accavallarono nella mente. Serpeverde grandi e grossi che insultavano Harry nei corridoi. Lei che non riusciva a chiedere a Harry di andare al ballo. Quella volta in cui, alla scuola che frequentava prima che entrasse a Hogwarts, non era riuscita ad attaccare bottone con una bambina della sua classe che le sembrava simpatica e alla fine non avevano mai stretto amicizia in otto anni. Quell’altra volta in cui un suo compagno le aveva chiesto, per l’ennesima volta, di copiare i compiti e lei non era riuscita a dirgli di no, sebbene avrebbe tanto voluto farlo, per mettere a tacere quelle continue richieste che iniziavano a darle fastidio. E tutte le volte in cui era stata troppo debole, si era lasciata sfuggire delle occasioni ed era rimasta con l’amaro in bocca, rimuginando su quello che sarebbe potuto succedere se solo lei avesse preso in mano la situazione.
E poi le sovvenne il volto di Harry, gli occhi di un verde incredibile che spiccavano da dietro gli occhiali.
Non voleva che il suo modo di essere le impedisse di fare ciò che desiderava. 
Qualcosa dentro di lei scattò come una molla. Saltò giù dal muretto, lasciò lì il libro e si avvicinò al gruppetto di Serpeverde, i quali tacquero all’improvviso e si girarono a fissarla.
Con tutti quegli occhi puntati addosso, Natalie avvertì già una punta di rimpianto per il muretto sicuro su cui stava leggendo fino a pochi minuti prima. Ma ormai era lì e non poteva (non doveva) tirarsi indietro. 
Prese fiato, aprì la bocca e fece uscire le parole con grande sforzo.
- Perché non la smettete di portare quelle spille “Potter fa schifo”? Harry non si merita questi insulti! 
I ragazzini si scambiarono delle occhiate stupite, poi scoppiarono in una sonora risata.
- E perché dobbiamo smettere? Perché lo dici tu?
- Chi sei, il suo avvocato difensore?
- Io lo difendo perché lui è bravissimo e di sicuro vincerà il Torneo... - rispose Natalie con voce tremolante, cercando di alzare il tono per farsi sentire al di sopra delle risate.
- Certo, certo!
- Tornatene a sbaciucchiare il tuo Harry!  
Racimolando i pochi brandelli di coraggio che le erano rimasti, Natalie cercò di ergersi più che poteva nei suoi 154 centimetri d’altezza. - Siete solo invidiosi, perché non riuscirete mai a fare quello che fa lui!
I Serpeverde non risero, ma fissarono tutti un punto dietro di lei.
Natalie si voltò e il cuore ebbe un tuffo quando vide Harry e Ron che, forse mentre passavano di lì, avevano ascoltato il breve dibattito.
Il cortile fu invaso dal suono della campanella. I Serpeverde se la filarono, le borse in spalla che sballottavano di qua e di là, mentre Natalie rimase dov’era, completamente impietrita dall’imbarazzo.
Solo in quel momento si era resa conto appieno di quello che era successo e si chiedeva come le fosse venuto in mente di farlo. Era scesa dal muretto quasi senza pensarci, guidata dalle sue gambe e dalla sua mente.
Quel che era certo era che, fino a qualche mese prima, non sarebbe riuscita a dire due parole di fila nemmeno a un solo Serpeverde. 
Seppur per qualche istante, aveva provato a sconfiggere l’insicurezza e per lei era già un grande passo avanti.
Vedendo che Natalie si era accorta di loro, Harry le sorrise gentile. - Non ce n’era bisogno, davvero. Ci sono abituato.
Natalie si strinse nelle spalle, guardandolo da sotto in su, senza sapere bene cosa dire. Ron le diede una pacchetta sulla spalla e, forse per smuoverla un po’ dal suo disagio, le disse con fare giocoso: - Brava. Li hai zittiti per bene, quei Serpeverde!
Quel contatto la fece sussultare. Cercò di sorridergli, anche se aveva l’impressione che quello che voleva essere un sorriso assomigliasse di più a una smorfia agitata. - Io… veramente… non ho fatto nulla.
- Guarda che non ti mangio - si affrettò ad assicurarle Ron. - Io e Harry non abbiamo mai avuto istinti cannibali. Dobbiamo muoverci, o Piton troverà la solita scusa per toglierci punti - aggiunse rivolto all’amico occhialuto, mentre Natalie soffocava una risatina. Poi le rivolse un cenno di saluto con la mano. 
- Ciao, Natalie - disse Harry prima di allontanarsi.
Natalie ricambiò il saluto con voce sottile e li seguì con lo sguardo, incredula e felice, fino a quando non scomparvero oltre il portone del castello. Era riuscita a dire la sua a quei Serpeverde, Harry e Ron le avevano rivolto la parola e… Harry aveva persino ricordato il suo nome!   
- Natalie! - sentì chiamarla una vocetta acuta nel cortile quasi deserto. Dennis Canon la affiancò, ansimante. - Ti stavo cercando. Cosa guardi? Andiamo?
- Sì - disse con gioia Natalie.
Era così pensierosa che stava quasi per dimenticare il suo libro sul muretto; per fortuna le tornò subito in mente e andò indietro a prenderlo.
Per tutto il tragitto con Dennis fino alla classe, non fece altro che pensare a quello che era successo. Forse era sulla buona strada
per uscire dal guscio. Per la prima volta sentiva che, anche per lei, non era impossibile. Avrebbe raggiunto qualsiasi traguardo, se
solo l’avesse voluto.
 
                                                                                                     ***
                                                   
Aveva scoperto di essere malata.
Quei sintomi che accusava già da qualche mese erano diventati sempre più forti: pallore, sangue dal naso, perdita di peso.
Leucemia, era stata la sentenza.
I medici le avevano detto che la malattia era a uno stadio molto avanzato e che era probabile che non ce l’avrebbe fatta. In ogni
caso, doveva essere ricoverata in ospedale per seguire una terapia rigorosa. 
Fu durante le vacanze di Natale del suo secondo anno a Hogwarts che Natalie e i genitori ricevettero la tragica notizia. La ragazzina era tornata a casa per un paio di settimane e, proprio il giorno dopo il rientro, mamma e papà avevano dovuto portarla in ospedale in seguito a un forte malessere e a un esagerato sanguinamento dal naso. Gli esami del sangue avevano evidenziato la presenza della malattia e, grazie alla risonanza magnetica e all’ecografia, si era potuto vedere quanto fosse diffusa nell’organismo di Natalie. 
Fu presa la decisione di mandarla a Hogwarts per i primi giorni del nuovo anno, il tempo necessario per avvertire il Preside Silente di come stavano le cose e chiedergli il permesso di ritirare la loro figlia da scuola.
Natalie ne era contenta: avrebbe potuto salutare Hogwarts un’ultima volta, con tutti i suoi luoghi e gli amici a cui era affezionata.
La notizia della malattia l’aveva mandata completamente nel pallone. La paura la attanagliava; non riusciva a pensare ad altro, al fatto che forse sarebbe morta. La sua mente di tredicenne non riusciva ad accettare una cosa simile, più grande di lei.
Pensava anche a come avrebbe potuto dirlo a Laura e a Dennis, semmai ci fosse riuscita.
Quando tornò a scuola non riuscì a comportarsi normalmente con loro, ma i due non le fecero troppe domande, trovando consueta la sua scarsa loquacità. Il secondo giorno, era talmente sconfortata e sotto stress che ebbe bisogno di allontanarsi da tutti per un po’ e scappò, letteralmente, nel primo posto che le sovvenne: la Guferia. 
Il tubare dei gufi era piuttosto forte, ma lei non ci fece caso. Si lasciò cadere in un angolo, strisciando con la schiena contro la parete. La stanza era immersa nella semioscurità: stava calando la sera. Natalie si rannicchiò con le ginocchia contro il petto e le cinse con le braccia, poggiandovi sopra il mento. In pochi secondi le sue spalle furono scosse da violenti singhiozzi. Le lacrime, che aveva già versato in quei giorni, sembravano inesauribili. Voleva vivere, vivere, perché il destino le toglieva la vita così presto? Si sentiva come se avesse un macigno enorme che le gravava addosso. Non c’era nessuna via d’uscita. Non si poteva sfuggire alla morte. Se fosse venuta a prenderla, avrebbe dovuto accettare quella fatalità.
Un suono di passi la fece sobbalzare per lo spavento. Alzò il viso bagnato di lacrime e si trovò davanti Hermione Granger, che teneva una lettera ben stretta in mano.
Hermione la salutò con cortesia, ma subito si accorse che qualcosa non andava e la guardò con aria interrogativa.
- Ma tu stai piangendo - constatò, stupita, accovacciandosi di fronte a lei. - Come ti chiami?
- Natalie - fu la risposta della ragazzina, che si passò la manica della veste sulle guance per scacciare le lacrime.
- Cos’è successo? - domandò Hermione con aria premurosa.
Natalie affondò la testa tra le braccia, tirando su col naso. I capelli scivolarono a coprirle il viso. Non voleva che la brillante Hermione Granger la vedesse piangere. Si vergognava alquanto in quello stato, ma sembrava che Hermione non volesse demordere. Le posò una mano sulla spalla. - Puoi dirmelo, se vuoi. Sono un Prefetto, se qualche ragazzino ti ha dato fastidio in qualche modo lo riferirò subito alla McGranitt…
Natalie sentiva di potersi fidare di lei. Non la conosceva di persona, ma in un certo senso era come se fosse così. Forse era la stima che nutriva per il trio più famoso di Hogwarts che le dava questa sensazione, stima che, com’era naturale, si era anche evoluta in un principio di affetto.
Così sollevò la testa e, tra molte lacrime e balbettamenti, riuscì a buttare fuori tutto quello che la tormentava.
Hermione ne rimase molto turbata, tanto che per un momento restò senza parole.
- Mio Dio… È terribile - mormorò, portandosi una mano alla bocca. - Mi dispiace molto. - La strinse in un abbraccio e Natalie ricambiò goffamente, senza fare troppo caso ai capelli crespi della ragazza che le solleticavano la faccia. Hermione la allontanò da sé e la guardò con aria decisa.
- Senti… Natalie. Tu sei giovanissima, ma devi cercare di essere più forte che puoi. So che hai una paura terribile ma, a quanto mi dici, non è ancora detto che questa brutta situazione vada a finire male. Devi restare calma e curarti il meglio possibile. Sono sicura che andrà tutto bene.
- Non credo… - Natalie scosse il capo, il labbro che le tremava. - Ho guardato il dottore in faccia, ho capito che sono molto grave… ha detto che ho poche possibilità…
- Non pensare al peggio. Può darsi che tra tutte quelle possibilità, anche se sono poche, quella buona capiti a te. Devi andare avanti. - Hermione annuiva, come a volerla convincere. - Non pensare a quello che potrebbe succedere, altrimenti peggiorerai il tuo stato. Sei una Grifondoro. Puoi farcela. 
Gli occhi di Hermione le trasmettevano fiducia. Natalie deglutì un paio di volte. Non aveva niente da perdere: poteva sfogarsi di tutto quello che aveva dentro. Si schiarì la voce: - Prima di andarmene da Hogwarts, vorrei dirti una cosa.
E le confessò l’ammirazione che nutriva per lei, per Ron e per Harry. Che era rimasta incantata dai racconti che i suoi cugini le avevano fatto di loro e che, quando aveva iniziato il suo percorso a Hogwarts, li aveva osservati da lontano ogni volta che ne aveva l’occasione, sin dal primo giorno. Che le sarebbe tanto piaciuto diventare come loro, ma che non avrebbe potuto farlo più.
Le ultime parole vennero soffocate da un’altra ondata di pianto. Hermione le strinse il braccio con dolcezza.
- Sono molto lusingata e sono sicura che anche Harry e Ron lo sarebbero, ma… credo che tu ci abbia un po’ idealizzato - disse,
incerta. - Io e Ron non abbiamo mai fatto granché; semmai è Harry quello che merita delle lodi.
- T-tu e Ron l’avete sem-mpre aiutato - singhiozzò Natalie. - Sono sicura che un giorno diventerete persone importanti…
Hermione la guardava con aria immensamente dispiaciuta. - Vuoi che vada a chiamare Harry e Ron? - chiese. - Vuoi parlare con loro?
- No. - Non voleva farsi vedere anche da loro in quelle condizioni e, soprattutto, non voleva che la guardassero con compassione. Avrebbe tenuto nel cuore il ricordo delle pochissime battute che si erano scambiati l’anno precedente, in sole due occasioni. In quel momento era Hermione la persona di cui aveva bisogno tra i tre, con la sua saggezza e le sue parole di conforto.
- Sono certa che dentro di te c’è uno spirito forte, devi solo tirarlo fuori - disse la ragazza. Le sorrideva per infonderle coraggio. - Altrimenti non saresti finita in Grifondoro. E sai come puoi farlo? - La voce di Hermione si fece più sommessa. - Superando questa malattia con tutte le tue energie. Sono sicura che puoi trovare dentro di te la forza di volontà necessaria. 
- E se la forza di volontà non è sufficiente? - chiese Natalie con voce tremante.
Hermione tacque per un attimo, la mano ancora sul suo braccio. - Se, e solo se, verrà la morte, affrontala - disse, pronunciando con lentezza le parole. - Affrontala a testa alta. L’atto di coraggio più grande che si possa compiere, secondo me, è accettare la morte senza temerla.
I lineamenti di Natalie, contratti a causa del pianto, si distesero appena. Tirò su col naso un paio di volte, fissando Hermione in silenzio. Quelle parole le entrarono nel cuore e vi si annidarono: un regalo prezioso da custodire fino alla fine dei suoi giorni.
- Grazie - mormorò, sforzandosi di sorridere come lei.   
Quel giorno stesso, Natalie lasciò Hogwarts per sempre.
      
                                                                                                         ***

Un mese, un mese aveva resistito, ma ormai sentiva che le forze la abbandonavano.
Distesa in un letto d’ospedale, Natalie rivolgeva lo sguardo al sole fuori dalla finestra, che la abbracciava con i suoi raggi. Tutte le mattine si soffermava a guardare il sole, il cielo striato di nuvole, le piante che ondeggiavano al vento, e ogni giorno li trovava più belli e più degni di essere ammirati.
Sorrise allo spettacolo della natura e lo sguardo le cadde sulle lettere ammucchiate sul comodino. Una di esse aveva come mittenti Dennis e Laura. L’aveva quasi imparata a memoria a furia di rileggerla; le mancavano tanto, ma per fortuna aveva il supporto dei suoi genitori e dei parenti, che andavano a trovarla ogni giorno e cercavano di non farla annoiare in quel luogo così triste per una ragazzina della sua età. 
Lanciò un’occhiata all’orologio: le dieci del mattino. Mamma e papà sarebbero arrivati a momenti.
D’improvviso la assalì una terribile stanchezza, che le provocò un capogiro da cui ci mise qualche attimo a riprendersi. Strinse le lenzuola, mentre il viso sottile le diventava bianco come un cencio nel giro di dieci secondi.
Era vero che si era svegliata non riposata, ma non pensava nemmeno di avere tutta quella debolezza addosso.
Non passava.
Un nuovo capogiro la colse e stavolta vide tutto sfocato per istanti che sembrarono interminabili. D’istinto cominciò a boccheggiare, ma il grido le rimase chiuso in gola.
Nella sua mente si accese subito un campanello d’allarme. Episodi di quel tipo capitavano, ma quello era… diverso.
Non era mai successo. Non così.
Quella volta, temeva che il momento fatale fosse vicino.
Proprio in quel momento la porta si aprì ed entrarono sua madre e suo padre, che superarono i letti delle due signore che condividevano la stanza con lei e la salutarono con baci e sorrisi, augurandole il buongiorno. Fu questione di attimi perché si accorgessero che qualcosa non andava. Sua madre le domandò se si sentisse bene e, avendo ricevuto una risposta negativa, esortò il marito ad andare a chiamare un dottore. Mentre il padre di Natalie abbandonava la stanza di corsa, sua madre, pallida in volto quasi quanto lei, le prese una mano e le tastò la fronte: entrambe erano fredde.
Cercò di rassicurarla, disse che sarebbe andato tutto per il meglio, ma Natalie si limitò a farfugliare di starle vicino e, quando il medico irruppe nella stanza seguito da suo padre, chiese ai genitori di darle un bacio. Poi afferrò le loro mani e le tenne strette, come le poche forze che le erano rimaste le consentivano.
Ogni secondo poteva essere l’ultimo, non doveva mai perderlo di vista.
Quella consapevolezza le provocò un magone terribile, mentre lacrime di disperazione affioravano ai suoi occhi scuri. La mente le si offuscò: era troppo terrorizzata per capire qualunque cosa. Sentiva le voci del medico e dei genitori ovattate, come da molto lontano. Non riusciva più a distinguere le figure; sentiva solo che qualcuno si affaccendava sopra di lei e una mano che le scostava i capelli dalla fronte. Cominciò a respirare male.
Dopo un po’ non udì più nemmeno le voci: il cuore le pulsava nelle orecchie così forte che sembrava volesse scoppiare da un momento all’altro. Le palpebre si fecero pesanti.
Sentiva che la vita lentamente la stava abbandonando e lei, impotente, non poteva fare niente per impedirlo.
Il suo pensiero corse con tristezza a mamma e papà, ai familiari, ai suoi amici. A tutte le persone che le volevano bene e che non voleva lasciare. Pensò ai luoghi in cui era cresciuta e che l’avevano fatta sentire a casa. La villetta dove abitava sin da quando era nata, il vecchio parco a due isolati di distanza, la montagna dove andavano sempre durante le vacanze. Hogwarts.
Pensò a Harry, a Ron, a Hermione. A quello che avrebbe voluto diventare. Chissà se, un giorno, avrebbe potuto riuscirci, se ne avesse avuta l’occasione. Non l’avrebbe mai saputo.
Sono certa che dentro di te c’è uno spirito forte, devi solo tirarlo fuori. E sai come puoi farlo? Superando questa malattia con tutte le tue energie. Se, e solo se, verrà la morte, affrontala. Affrontala a testa alta.
Le parole che aveva stampato nel cuore e a cui aveva pensato tante volte in quelle settimane le risuonarono nella mente per l’ennesima volta. Sapeva che Hermione aveva ragione: doveva andare incontro alla morte con serenità. In certi momenti, aveva creduto che avrebbe potuto farcela; che, come aveva cercato di tirar fuori uno spirito forte e di non lasciarsi andare, avrebbe potuto non cedere al terrore di fronte alla morte. Ma in quel momento non ne era tanto sicura.
L’atto di coraggio più grande che si possa fare, secondo me, è accettare la morte senza temerla.
Hermione, Harry e Ron l’avrebbero fatto. Se si fossero trovati faccia a faccia con il peggior incubo di ogni uomo, ci avrebbero almeno provato, ne era sicura. Doveva provarci anche lei. Solo così poteva rendere loro onore.
Le parole di Hermione continuavano ad affiorarle nella mente, mescolandosi con i suoi pensieri che si accavallavano in modo confusionario. 
Forse non era troppo tardi. Forse poteva ancora compiere un gesto di cui essere fiera, prima di lasciare tutto. L’atto più coraggioso della sua vita e l’ultimo.
Non devo temere la morte. La morte non mi fa paura, pensò.
Ma se l’unica cosa che sentiva era proprio paura, profonda, destabilizzante?
No, no, no. Non ho paura. Non ho paura. Andrò in un bel posto. La morte non è spaventosa. Devo accettarla. Devo essere serena.
Continuava a ripetersi quelle parole come una litania, aggrappandovisi disperatamente, fino a quando l’ombra di terrore che aveva avvolto il suo cuore cominciò un po’ a dissiparsi e il suo corpo, teso come un elastico, lentamente si rilassò. 
Sarebbe morta da Grifondoro.
Un debole sorriso spuntò sul viso di Natalie, mentre una lacrima le sfuggiva dall’occhio sinistro e le rigava la guancia.
Chiuse gli occhi.

 

 

 

 

 

 

 

  
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