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Autore: Lapazia    30/11/2015    0 recensioni
Astoria era quello che Daphne sentiva che non sarebbe stata mai.
Libera.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Daphne Greengrass | Coppie: Draco/Astoria
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7, Dopo la II guerra magica/Pace
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La verità era che di base era una ragazzina che si annoiava facilmente. Esattamente ciò che si può aspettare da una bambina del suo rango, Daphne semplicemente si annoiava. Non era molto diverso dal sentimento che aveva reso Pansy quella che era oggi, tutto sommato, con la sola differenza dell’avere un padre come Demetrius.
Daphne amava suo padre. Amava il fatto che lui fosse sempre così presente e pronto a farle vedere cose nuove, insegnarle cose nuove, sempre, incessantemente. A differenza di Astoria, la cui attenzione era volubile e settorializzata, Daphne si applicava fino a sviscerare l’ultima verità per qualsiasi argomento.
Forse era per questo che odiava così profondamente Hermione Granger.
Fu un duro colpo per l’eccellente Daphne scoprire di non essere così eccellente. Fu ancora peggio scoprire che non fosse una sua pari a superarla.
Quello che le persone non sapevano – che nessuno, in verità, sapeva – era che Daphne, spesso, da sola, piangeva.
 
Daphne aveva fatto tutto ciò che era in suo potere per farsi rispettare. I primi anni di scuola fu relativamente facile. Poi, un bel giorno, si ritrovò a guardarsi allo specchio insieme a Millicent Bulstrode. Fu in quel momento che si rese conto di chi fosse, di come apparisse agli altri. In quel momento, con una cattiveria che non sapeva di avere, guardò Millicent dall’alto in basso. Millie, la dolce Millie.
La povera, reietta, Millicent Bulstrode
 
Daphne aveva un ricordo vivido dell’ultima uscita degli Slytherin prima. Daphne datava la sua vita su un prima e un dopo e provava a dimenticare che ci fosse stato un durante.
Gli Slytherin che contavano sapevano che, se volevano divertirsi, l’importante era ritrovarsi da Zabini. E fu così: i risultati dei GUFO erano arrivati, il sesto anno era alle porte, avevano sedici anni ed erano nel pieno della loro bellezza. Nelle mente di Daphne, il party a casa di Zabini è impresso come un quadro. C’era il giusto connubio di felicità, ebbrezza e serenità. Daphne contava i suoi Eccellente e sapeva, era sicura, che sarebbero stati in numero inferiore a quello di Hermione Granger. Nott le disse che almeno era più carina della Gryffindor. Daphne gli versò un boccale di burrobirra sulla testa.
Daphne non voleva essere considerata solo una bella ragazza. Demetrius non l’avrebbe mai permesso.
 
Daphne sentiva il potere. Lo sentiva e lo amava. Lei ed i suoi amici si muovevano per il castello di Hogwarts come se fossero una corte, regali e lontanissimi, perfetti nel loro essere irraggiungibili. Anche se non era perfetta negli studi, anche se non era la prima, la più brava, Daphne era al top della scala sociale di Hogwarts, non c’erano dubbi in merito. Daphne era bella, ammirata, rispettata, invidiata.
Daphne guardava al futuro e lo vedeva costellato di quella stessa ricchezza.
Daphne non sapeva ancora niente della vita.
 
Daphne amava Draco in una maniera quasi viscerale. Lei sapeva, sentiva, che si appartenevano. Non importava quanto Eunice storcesse il naso di fronte anche solo alla possibilità che sua figlia frequentasse un Malfoy, o quanto Demetrius le dicesse di stare attenta. Daphne era intimamente convinta di appartenere a Draco, così com’era certa che Draco le appartenesse. Lo guardava camminare, saccente ed arrogante, e, senza volerlo, Daphne sorrideva. Daphne pensava fosse solo una fase nella vita di Draco.
Daphne non sapeva ancora niente della vita.
Quand’erano piccole, Daphne ed Astoria erano inseparabili. Quando Astoria arrivò ad Hogwarts Daphne era molto fiera di lei, anche per il solo fatto che ci fosse. Lei era una sorella maggiore, una delle poche Slytherin a conoscere le gioie – e i dolori – di avere un fratello, o una sorella. Astoria per Daphne era un cucciolo caldo, carino, che sapeva di casa. Tra gli Slytherin più grandi, Astoria era la piccola peste bionda. Con gli anni, la definizione acquisì tutto un altro significato.
Astoria si muoveva per la Sala Comune con l’innocenza di una vergine inconsapevole, ma Daphne conosceva sua sorella abbastanza da sapere che niente di quello che faceva era fuori controllo. Le infastidiva sapere che i ragazzi la guardassero come si guarda una preda, ma era contenta di sapere – o di voler credere, non lo sapeva – che non fosse frivola. Il suo era un gioco.
 
La verità che era Daphne invidiava profondamente Astoria. Daphne sentiva su di sé tutto il peso della primogenitura, di essere la figlia di Demetrius ed Eunice Greengrass. Essere la prima significava tutto. Astoria non sentiva questo tipo di responsabilità. Astoria era quello che Daphne sentiva che non sarebbe stata mai.
Libera.
 
“Io non lo so cosa stia succedendo, fanciulla. Te lo giuro”.
Daphne aveva spinto furiosamente Blaise nella prima aula vuota che aveva trovato.
“Per amor del cielo, Daphne”.
Daphne era troppo sveglia e troppo intelligente per non vedere. Draco era diventato sfuggente, solitario e taciturno. Aveva sentito da Melinda del suo tentativo di intrufolarsi nello Slug Club e un primino stava raccontando a tutti di aver visto Malfoy scomparire al settimo piano più volte.
Pansy bofonchiava qualcosa riguardo al non vederlo più nudo da prima dell’estate.
“Con me non parla. Non so nemmeno quante lezioni stia seguendo veramente. Ha intorno solo Crabbe e Goyle, ma lo sai anche tu: caveremmo più informazioni dalla puffola pigmea della Weasley che da loro”.
L’impotenza era una sensazione che Daphne non aveva mai provato, prima di allora.
 
Daphne conobbe la rabbia cieca e pura. Se avesse avuto il coraggio, ma chissà se poi l’avrebbe fatto davvero, avrebbe preferito ucciderlo lei stessa, lì, in quel momento, in quella stanza remota del Manor.
Non esattamente il party di fine d’anno che aveva previsto, comunque.
Non capiva perché tutti si stringessero intorno a Draco e nessuno, nessuno urlasse tanto quanto lei. O meglio, Daphne ovviamente capiva. Daphne ovviamente sapeva che non c’erano vie d’uscita. Daphne ovviamente sapeva quanto Draco amasse i suoi genitori. Eppure… non c’era niente di buono in quello che stava per succedere.
Draco raccontò tutto. Dell’Armadio Svanitore, della collana di Katy Bell, della Torre di Astronomia. Delle profezie, del Signore Oscuro e del Marchio Nero. Raccontò di Snape e di Dumbledore nei minimi particolari. Troppi, troppi particolari.
Daphne trovò paradossale pensare che, tra tutto il mare di merda che le stava raccontando, l’assassinio di Dumbledore era la cosa meno oscura che fosse accaduta, nonostante tutto.
Era una follia. Era tutta una follia. Cosa stavano inseguendo? Un morto resuscitato chissà come con delle velleità da tiranno, ecco cos’era il Signore Oscuro! Cosa faceva realmente credere a Draco che l’avrebbe risparmiato, una volta finito?
“Sarebbe meglio che tu te ne vada, Daphne”.
Daphne si era smaterializzata urlando tutti quegli insulti volgari che aveva sentito durante i suoi sei anni di scuola e che mai, mai si era permessa di ripetere a voce alta a chicchessia.
A casa, la solita calma era spezzata da grida che non aveva mai sentito. È giornata, si ritrovò a pensare.
Anche se non apertamente, Demetrius ed Eunice erano sempre stati contrari a tutta quella faccenda del Signore Oscuro, la guerra per la razza ed altre amenità. I suoi si erano tenuti lontani, da ragazzi, dallo scontro che portò alla morte dei Potter e alla – apparente, a questo punto – sconfitta dell’Oscuro. Perché i suoi genitori erano degli intelligenti, concreti Ravenclaw.
Fu uno smacco per Daphne non essere smistata nella stessa casa dei suoi genitori, e fu un sollievo vedere anche Astoria tra le fila degli Slytherin. Durante tutto il primo anno, prima delle vacanze di Natale, la piccola Daphne temeva di dover subire il giudizio di Demetrius; lo immaginava seduto nel suo studio di quercia e frassino a chiedersi dove aveva sbagliato con quella figlia prediletta e quante possibilità ci fossero che Astoria prendesse il suo posto nel cuore del padre. Invece, né il padre né la madre ebbero da ridire in merito, perché “Non è la Casa a cui appartieni che ti rende ciò che sei, ma chi scegli di essere durante il tuo percorso”.
Sua madre stava praticamente implorando suo padre di scappare, la voce rotta dal pianto e dalla paura. Ma Demetrius non sarebbe scappato. Demetrius non poteva scappare. Le loro amicizie lo legavano in qualche modo ai Mangiamorte, questo Daphne lo sapeva anche senza avere una conferma da parte del padre. Scappare significava schierarsi e, nella peggiore dei casi, venire braccati come volpi durante una battuta di caccia.
Astoria era sulle scale. Si reggeva alla balaustra come se fosse l’unica cosa realmente concreta che fosse rimasta. Quando si accorse della sua presenza, Astoria sobbalzò e si ritrovarono faccia a faccia.
Non era più successo dalla faccenda di Blaise. Daphne stava cercando di indagare nella vita di Draco senza alzare un polverone tra i suoi compagni di Casa, e Pansy era la persona meno indicata a cui far intuire una cosa del genere. Pansy non era stupida. Pansy sapeva che Daphne occupava un posto speciale nel cuore di Draco, e ne aveva paura. Per questo continuava a vantarsi di quanto fosse bella lei e quanto fosse bravo Draco con le mani.
Pansy e Daphne erano due leonesse dello stesso branco, ma avevano avuto entrambe l’astuzia di non competere mai apertamente.
“Sarà un anno molto duro, Astoria. Non so se riusciremo a finire la scuola. Non so nemmeno se ci arriveremo. Dobbiamo essere forti”.
 Gli occhi di Astoria divennero grandi e profondi. Daphne, nonostante tutto, aveva fatto qualsiasi cosa fosse possibile affinché la sorella non scoprisse cosa stesse succedendo, per non allarmarla inutilmente – o almeno, così credeva. Daphne pensava di aver fatto la cosa giusta a lasciarla nel mondo delle favole per ancora un altro anno.
“Perché mamma non vuole che torniamo a scuola?”.
“Dumbledore è morto”.
“Lo so, questo! Ma cosa c’entra con…”.
“Dumbledore è morto, Astoria! Nessuno è più al sicuro”.
Come poteva essere così cieca? Come poteva non capire che con la morte di Dumbledore ed il ritorno dell’Oscuro la vita non sarebbe stata più la stessa per nessuno? Nemmeno per loro? Che tuto stava cambiando, andando a rotoli, così velocemente che Daphne non era sicura di essere pronta e capace nello stargli dietro?
Tutto stava andando fuori dal suo controllo. Daphne non era più padrona di niente.
Il castello di carte che per anni Daphne aveva costruito, con pazienza e dedizione, crollò, spazzato via da eventi che non poteva fermare, neanche se avesse voluto farlo. Draco era perduto. Loro lo erano altrettanto. Scoppiò a piangere. Si ritrovò a singhiozzare come una bambina tra le braccia di Astoria, senza sapere come.
 
Checché ne avesse detto il Cappello Parlante, Daphne aveva la capacità di saper utilizzare la dialettica a suo piacimento, come, se non meglio, di una Cho Chang qualsiasi. Si preparò il discorso con calma e solerzia, prima di affrontare la sua arringa.
Aveva stilato una lista dei pro e dei contro che fosse quanto più possibile oggettiva ed acuta. Parlò di “necessaria solidarietà”, “immagine integerrima”, “dimostrazione di estrema abnegazione verso il prossimo”. La Greengrass Foundation ne avrebbe solo giovato. Qualora le cose si sarebbero messe meglio, avrebbero avuto dei favori da poter chiedere ad una delle famiglie più influenti e politicamente legate del Mondo Magico. Se fosse andata male, si sarebbero sì dovuti difendere dall’accusa di aver aiutato una famiglia di assassini e traditori, ma avrebbero comunque potuto giocare la carta del sostegno tra Casate di pari rango.
Dopo due giorni, Demetrius ed Eunice, seppur con qualche vago risentimento, acconsentirono ad essere i tutori della famiglia Malfoy durante l’estate prima del processo a loro carico.
 
Draco e Daphne passavano i pomeriggi chiusi in camera della ragazza a parlare di quanto successo. Daphne aveva bisogno di sapere tutti quei dettagli che Draco le aveva tenuto nascosto, che voleva tenere nascosto anche a se stesso.
Draco dormiva poco e male. Aveva la barba di qualche giorno ed i capelli perennemente scomposti. Nonostante ciò, restava l’uomo più elegante che avesse mai visto. Perché Draco, adesso, era un uomo, e come tale sarebbe stato giudicato.
Draco disse a Daphne ciò che aveva detto e ripetuto durante i vari interrogatori. Chi era coinvolto, e quanto. Quanti minorenni. Quanti innocenti. Con quali e quanti ricatti Lord Voldemort tenesse sotto scatto lui, Lucius e Narcissa. Se e quanta pressione Lucius e Narcissa gli avessero fatto per farsi marchiare. Se avesse mai ucciso qualcuno personalmente. Se e quante volte ci avesse provato.
 
Mentre Hogwarts cadeva lentamente, i Malfoy erano scappati. Il professor Slughorn aveva fatto uscire tutti gli Slytherin, tranne due persone. Nessuno seppe mai cosa disse esattamente il professor Slughorn a Pansy Parkinson prima di lasciarla andare via verso Hogsmeade con gli altri. Quello che più colpì Daphne fu scoprire che l’altra persona che mancava fosse sua sorella Astoria.
È morta, pensava, guardandosi intorno smarrita. Dovrò dire a mio padre e mia madre che ho perso mia sorella e che lei è morta per colpa mia. Iniziò ad urlare, chiamandola. Magari semplicemente era più indietro, quella stolta. Riprese il sentiero verso il Castello, ma fu fermata da Blaise, che la prese di peso e la trascinò via, ripetendole che sarebbe andato tutto bene, che la piccola peste bionda non si sarebbe lasciata ammazzare da un Gryffindor qualsiasi.
Quando Demetrius ed Eunice arrivarono a Hogsmeade per prendere le ragazze, Daphne non seppe cosa dirgli. Fu Eunice a tornare al Castello, trattenendo le lacrime a stento. Non fu un atto di coraggio, quello di Astoria, o almeno così Daphne lo interpretava. Astoria non era una studentessa brillante, ma le piaceva Pozioni e le piaceva Erbologia. Mentre Slughorn faceva uscire tutti, Astoria fece l’unica cosa sensata che poteva fare, nel suo piccolo: cercare di dare una mano a Madama Pomfrey. Così, si nascose nell’ultimo posto dove pensava che i Mangiamorte sarebbero andati – la loro vecchia Sala Comune – si rannicchiò dietro un arazzo e aspettò che tutto fosse finito, poi andò abendare, asciugare e triturare erbe indossando un vecchio completo che non riproducesse lo stemma della sua Casa.
Quando sua madre la vide intenta ad aggiustare gli occhiali di un primino con un gran sorriso rassicurante, Astoria dovette preparare dei sali anche per lei.
 
Ascoltando i racconti di Draco, Daphne provava una serie di emozioni diverse e contrastanti. Si rese conto che il ragazzo che aveva mitizzato per tutti quegli anni forse non era esattamente la persona che si era figurata che fosse. Al di là del mero aspetto oscuro, Draco era meno spaccone, meno irriverente, meno arrogante. Si rese conto che anche Draco sentiva su di sé il peso del nome della sua famiglia e lo stesso assurdo desiderio di piacere a suo padre a tutti i costi.
“A undici anni volevo davvero diventare amico di Harry Potter. Per Salazar, aveva sconfitto un cattivo quand’era ancora in fasce! Lo credevo davvero. Scrissi a mio padre che mi aveva rifiutato, diciamo, e lui mi disse che allora sarebbe stato opportuno fargli capire contro chi si era messo. Non so perché mi disse quelle cose. Forse aveva solo paura che venissi su debole e stupido. Lui voleva solo che diventassi come lui. Non avrei mai creduto se ne sarebbe pentito così tanto”.
Lucius piangeva e chiedeva perdono alla sua famiglia tutti i giorni da quando era iniziata la loro convivenza forzata con il Signore Oscuro. Narcissa gli diceva che sarebbe andato tutto bene, ma Draco, dentro di sé, stava iniziando a colpevolizzarlo di tutta la merda che gli stava girando intorno, di tutto ciò che era diventato per causa sua e di quel suo insensato attaccamento al sangue e alla razza. Il padre era affascinato, ammaliato dal potere ed anche lui lo stava diventando. Per tutta la vita, Draco era stato convinto che il potere fosse l’unica cosa che valeva la pena davvero di possedere.
L’ossessione per Draco si trasformò in voglia di giustizia per lui. Draco non avrebbe dovuto subire una vita di stenti e prigionie per errori commessi da altri e che erano ricaduti su di lui come un macigno. Allo stesso modo, Daphne scoprì che sì, lei e Draco erano davvero, in un certo qual senso, anime gemelle, ma non nel senso romantico del termine. Daphne e Draco erano la stessa faccia della stessa medaglia.
 
In fondo, l’argomento era stato introdotto da Draco. Hogwarts.
Daphne non ci aveva pensato, ma sì, sarebbe stato bello avere dei ricordi più felici e meno raccapriccianti del loro ultimo anno da studenti. E poi, Daphne sapeva perfettamente cosa sarebbe voluta diventare da grande.
La Greengrass Foundation era la fondazione che i Greengrass avevano istituito almeno cento anni prima per dare una mano a quei bisognosi che, per disgrazia o per colpa, necessitavano di un consulto legale senza avere la disponibilità economica per farlo. Demetrius ne andava molto fiero e Daphne voleva assolutamente entrare a farne parte, soprattutto in quel momento.
 
Le ci volle un bel po’ di coraggio per decidere di scrivere a Hermione Granger. Sicuramente anche lei sentiva il desiderio e la necessità di terminare la sua istruzione magica, ed a conti fatti era probabilmente anche l’unica che si sarebbe informata in merito – probabilmente si era informata ben prima di partire con Potter per qualsiasi fosse la loro missione, nel caso ne fossero tornati vivi e capaci ancora di intendere e di volere.
Intestò la lettera alla Sign.na Hermione Granger, scusandosi per il disturbo e chiedendo se, in nome della cultura, fosse in grado di darle delle informazioni riguardo un eventuale ritorno a Hogwarts per gli studenti che lo desiderassero.
Come risposta, Hermione aveva iniziato la lettera con Cara Daphne, ed aveva concluso con l’unica domanda che nessuno, nemmeno suo padre, era stato in grado di farle in tutti quei mesi.
E tu come stai, Daphne?
 
Non appena Draco poggiò le due tazze di the nero sul tavolino del salotto del terzo piano dove stava leggendo l’ultima lettera che Hermione le aveva spedito, Daphne capì che stavano per avere una conversazione che forse non avrebbe voluto avere.
“Prima di iniziare questa conversazione, mia cara, è mio dovere ricordarti che sono tuo ospite, che tecnicamente i tuoi genitori sono i miei tutori e che devi avere la fedina penale pulita se vuoi diventare un avvocato nel Mondo Magico”.  
“Adesso sì che sono curiosa di sentire” mentì.
Daphne non era né stupida né cieca.
“Sono veramente una persona orrenda, Daphne. Lo so. Me ne rendo conto e di questo non smetterò mai di chiederti perdono”.
Daphne sorseggiò il suo the, senza guardarlo. D’altronde, perché rendergli le cose più facili?
“Innanzitutto, voglio chiederti che cosa hai deciso di fare riguardo Pansy e gli altri. Andrai con loro?”.
“Non ti so dire, in verità” era sincera. “Da un lato mi piacerebbe prendermi del tempo e staccare la spina, ma onestamente non lo farei per Pansy. Le voglio bene ed è mia amica, ma penso sia una crociata contro i mulini a vento, se proprio vuoi sapere come la penso. Perché me lo chiedi?”.
“Perché, vedi, io ho ponderato bene e ho deciso che non è il caso che io vada in Grecia con Nott e Blaise”.
“Senti, senti” soffiò sul the. “E come mai?”.
Draco bevve un sorso piuttosto lungo, scottandosi la lingua. Daphne inclinò leggermente la testa da un lato, sbattendo le ciglia. Draco era conscio che Daphne sapesse già cosa stava per dire, ma si stava divertendo troppo per andargli incontro. Era per questo che era finita a Slytherin.
“Innanzitutto, non credo che sia possibile per me lasciare il Paese, se anche lo volessi”.
“Sensato”.
“Inoltre, esiste la possibilità che uno o entrambi i miei genitori vadano ad Azkaban, pertanto sarebbe profondamente ingiusto e mi pentirei amaramente di non passare questo periodo prima dell’udienza con loro”.
“Mi sembra molto giusto, Draco”.
Draco bevve ancora, respirando a fondo.
“Andiamo, Daphne” sospirò alla fine.
“Non so di cosa tu stia parlando” disse la ragazza con voce volutamente acuta, spostandosi i capelli dal viso. Forse era la prima volta che vedeva Draco in difficoltà, da quella volta del Marchio. Anzi, forse era più in difficoltà in quel momento.
Draco si lasciò cadere sullo schienale del divano. Stava forse arrossendo? Daphne non riuscì a trattenersi oltre. Gli rise in faccia.
“Sei veramente una stronza” bofonchiò il ragazzo, fissando il soffitto.
“Io? Scusami, caro, ma non sono io qui quella che se la fa con la sorellina dell’altro”.
“Io non me la faccio con tua sorella, Daphne!” precisò immediatamente Draco.
“Ah no?”.
“No”.
Silenzio. Entrambi si nascosero dietro le rispettive tazze per un momento. Ad osservarli dall’esterno, stavano solo giocando a scacchi l’uno con l’altra.
Daphne non sapeva cosa pensare, in realtà. Aveva intuito ben prima di quella mattina che stava succedendo qualcosa tra Draco ed Astoria, ma per un po’ volle credere fosse solo frutto della sua immaginazione. Daphne non aveva mai permesso ad Astoria di entrare troppo in profondità nella sua vita privata, così le seccava dover tirar fuori lei stessa l’argomento se sua sorella non si decideva a farlo. E poi, detta per com’era, non aveva idea di che tipo di relazione stessero intrattenendo quei due, e forse, non voleva nemmeno saperlo. Poi, semplicemente, Daphne aveva messo insieme i pezzi: Draco aveva ripreso a dormire fino a tardi al mattino, aveva buttato lì la questione Hogwarts come se fosse una faccenda di minima importanza e non aveva nemmeno calcolato l’idea di imbarcarsi in un’avventura liberatoria con gli amici di sempre, piuttosto che tornare nell’ultimo luogo dove si sarebbe mai aspettato di vederlo. Senza considerare il volto cinereo che aveva avuto Astoria durante la cena del giorno prima.
Le dava fastidio? Beh, un po’ sì. Era stata innamorata di Draco per talmente tanto tempo, e quella era sua sorella. Ma la vita andava avanti, doveva farlo, e se Astoria era la persona giusta per rimettere in carreggiata Draco, allora…
“Astoria è libera di fare ciò che vuole. E tu anche”.
“È lei, Daphne”.
“Lei chi?”.
È lei”.
Lo abbracciò, nascondendo le lacrime.
 
Hermione aveva la pazienza che Daphne non aveva mai avuto. Anni e anni di compiti con Ron, diceva sempre lei, mentre spiegava a Blaise quale errore stesse commettendo con gli esercizi di Aritmanzia.
“No, dai, non ce la faccio” Blaise lanciò via la sua piuma.
“Non è così difficile” fece Hermione.
“Non riesco ad essere serio con una che mi fissa con quegli occhiali, dai” Blaise indicò Luna Lovegood seduta di fronte a lui, ridendo.
“Ne vuoi un paio anche tu? Ne ho almeno dieci” sorrise Luna, serafica. “E poi non ti sto affatto fissando”.
“Sì che lo stai facendo” protestò Blaise. “Vuoi disconcentrarmi, ammettilo”.
“È deconcentrarmi, Blaise” Daphne sapeva che non avrebbe dovuto intromettersi in quella conversazione dell’assurdo, ma la lingua fu più rapida del cervello.
“Quello che è”. Luna rise. Alla fine, anche Blaise si aprì in un sorriso e riprese la sua piuma. “Avanti, Granger. Fammi entrare questa lezione in testa prima della fine della giornata”.
Daphne aveva imparato ad accettare i cambiamenti e lasciarsi trascinare da essi. Avrebbe avuto tutta la vita per assumere il controllo sulle cose, ma per adesso, per almeno un altro anno, poteva andare con la corrente.
Alla fine, Hermione non era così male. Certo, dover sopportare di vederla primeggiare in tutto era sconfortante, ma insieme erano lo studente perfetto. Un’altra ragazza inquietante era Luna Lovegood, con quei suoi modi strambi ed il sorriso perenne. Era uscita per un periodo con Neville Longbottom, ma si erano lasciati perché erano troppo amici per poter andare oltre.
In altri tempi e in un’altra vita, Daphne sarebbe stata seriamente preoccupata dall’attenzione che Blaise Zabini aveva per la bionda Ravenclaw.
Astoria e Ginny Weasley stavano ridendo due tavoli più in là nella rinnovata Sala Comune, fatta di tavoli tondi e non divisi per Case. Ovviamente per loro studiare non era un’opzione, specialmente se l’alternativa è far mangiare marshmallow alla grassissima Arnold.
Draco entrò poco dopo, sporco di fango e con la divisa da Quidditch, insieme ad altri membri della squadra. Puntò verso di loro, cercando di spazzolare via la neve dai capelli.
“Come sono andati gli allenamenti, caro?” cinguettò Blaise.
“Ottimamente, tesoro” rispose Malfoy, mandandogli un bacio. “Qui?” indicò i libri.
“Aritmanzia” sospirò Blaise, stiracchiandosi.
“Fantastico! Chi mi fa copiare gli esercizi?”.
“Scordatelo, Malfoy” quello di Daphne e Hermione fu un coro perfetto, senza nemmeno alzare gli occhi dalle rispettive pergamene. Draco storse il naso.
“Non mi piace per niente questa nuova alleanza” sentenziò, puntando il dito prima su Daphne e poi su Hermione, allontanandosi.
Daphne lo seguì con lo sguardo. Draco raggiunse Astoria e le posò un bacio sui capelli, prima di bisbigliarle qualcosa all’orecchio. Astoria rise, Ginny distolse lo sguardo.
“Tutto bene?”. Hermione le toccò leggermente un braccio, ridestandola. Daphne si voltò verso di lei, arricciando il naso per un momento.
“Sì. Sì, andrà tutto bene”.
Andrà tutto bene.
 

 
  
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