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Autore: Nori Namow    30/11/2015    2 recensioni
Nessuno aveva mai messo piede all’interno di casa Tomlinson, eppure era ormai tradizione dalle mie parti chiamarla ‘il Castello delle Bugie’.
Veniva chiamata così perché si diceva che, al suo interno, avvenissero cose fuori dal comune e che, seppur sembrasse una casa come tante altre, al suo interno si nascondessero le peggiori insidie.
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Louis Tomlinson, Un po' tutti
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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"I nostri pensieri danno forma a ciò che noi supponiamo sia la realtà."

 

Eigenartigkeit

Quando realizzai che l’unico modo per non far preoccupare i miei né per far destare loro sospetti sul perché fossi nella periferia di Tadley, fosse andare a bussare a quella porta, rabbrividii. Pochi giorni prima avevo furiosamente litigato con quel tipo, non potevo semplicemente sorridere e bussare alla sua porta, chiedendogli di aiutarmi.
Per prima cosa, Mister Strambo non invitava mai nessuno in casa sua. Secondo, erano pochissime le persone che avevano avuto la fortuna di mettere piede in quel posto, quando tutto era più o meno… normale.
Quando i genitori di Louis erano vivi.
Perché dieci anni prima, i genitori di Louis furono trovati morti all’interno di quella casa. La cosa che spaventava di più, però, era che nessuno sapeva come erano morti. Li avevano semplicemente trovati stesi a terra nella loro cucina, privi di vita. Come se il loro assassino avesse tolto loro solo l’anima. Nessun avvelenamento, nessun colpo di pistola. Assolutamente nulla.
Louis stava giocando una partita di calcio, nei lontani tempi in cui aveva qualche amico.
Da quel giorno si barricò in casa, nella stessa casa dove i suoi erano morti e viveva con la nonna paterna, Susan. Anche lei era come un essere mitologico, visto che praticamente nessuno la vedeva mai in paese, proprio come il nipote. Qualcuno diceva di averla vista sul ciglio della porta mentre aspettava paziente che il nipote tornasse da scuola.
Louis veniva soprannominato Mister Strambo per vari motivi: troppo secchione, troppo silenzioso (quando gli conveniva), troppo timoroso, troppo diffidente. A volte sembrava così spaventato da farci pensare che lui vedesse mostri che noi non potevamo vedere.
Per non parlare del fatto che a volte cominciava a tremare e usciva fuori dalla classe come un fulmine. Marie, una ragazza del terzo anno, disse di averlo trovato nello sgabuzzino dei bidelli mentre si teneva la testa fra le mani.
 

Respirai profondamente, cominciando a muovermi in avanti. Non potevo sperare nel miracolo di un’auto che passava di lì, nessuno passava di lì se non i residenti.
E i residenti ormai erano tutti nelle loro case, al caldo, incuranti di una ragazzina ferma in mezzo alla strada.
Più camminavo, più casa Tomlinson si avvicinava, più avevo paura.
Quella casa era diversa dalle normali case inglesi, partendo dalla sua forma.
Sembrava proprio un castello formato da varie torri. Aveva un portico ampio e fatto di legno dipinto di un bianco ormai scrostato. Il portone era nero e lussuoso, mentre da ogni rilievo delle mura vi era una finestra grande e addobbata da una tenda di colore rigorosamente scuro. Quando il mio sguardo si posò su una finestra illuminata, vidi una piccola ombra che si apprestava a svanire dalla mia vista. Probabilmente era Susan, pensai.
Una cosa era certa, quella casa era grande, vecchia, ma perfetta e lussuosa proprio come la vita dei Tomlinson prima dell’incidente. Suo padre era un biologo ed insegnava anche all’Università, mentre sua madre era un’agente immobiliare.
Mi fermai con le gambe tremanti vicino al primo scalino bianco del portico, respirando piano.
Nessuno aveva mai messo piede all’interno di casa Tomlinson dopo quel giorno, eppure era ormai tradizione dalle mie parti chiamarla ‘il Castello delle bugie’.
Veniva chiamata così perché si diceva che, al suo interno, avvenissero cose fuori dal comune e che, seppur sembrasse una casa come tante altre, al suo interno si nascondessero le peggiori insidie.
Alcuni pensavano che i genitori morti di Louis vivessero ancora lì, spaventando chiunque si fosse avvicinato al figlio; pregai con tutta me stessa che quelle fossero solo dicerie.
Salii i tre scalini, poi mi avvicinai alla porta e bussai cautamente.
Pochi secondi dopo, un Louis Tomlinson circospetto e stralunato venne ad aprirmi. Quando mi vide, con il trucco colato a causa della pioggia e i capelli ridotti ad una vera cagata, inarcò un sopracciglio.
«E tu che vuoi?» sbottò infastidito, squadrandomi da capo a piedi. Ok, avevo una terza scarsa di seno, che per di più si vedeva a causa della maglietta bagnata, e quindi?
Gli schioccai le dita davanti al viso, convincendolo a guardare la mia orribile faccia.
Dovevo essere gentile, o mi avrebbe sbattuto la porta in faccia e sarei stata messa in punizione dai miei per il resto dei miei giorni. E la punizione comprendeva niente wifi, cellulare, netbook. Potevo morirne.
«Mi si è bucata la ruota dell’auto ed il mio cellulare in questo buco di posto non prende. Pertanto, visto che casa tua è l’unica nel raggio di tre chilometri, vorrei chiederti se gentilmente seppellissimo l’ascia di guerra. In poche parole, prestami il tuo cellulare e te ne sarò grata per sempre.» dissi tutto d’un fiato, aspettando una sua qualsiasi reazione. Louis sembrò in imbarazzo, spostando il suo peso da un piede all’altro come a pensare alle mie parole.
Ero stata formale e gentile, non mi avrebbe detto di no.
«Ehm scusa ma ho dei lavori in casa e…» sussurrò a mezza voce, grattandosi dietro la nuca.
Fui tentata di dargli un pugno in faccia, ma non potevo perdere quell’unica occasione.
«Senti, Louis. Devi solo farmi fare una chiamata, poi tornerò fuori, al freddo e al gelo, mentre la pioggia acida consumerà il mio povero corpo da diciottenne, ok?» sillabai, cercando di calmare la mia ira funesta. Invano.
«N-No, scusami ma n-non p-posso….» balbettò, osservando poi qualcosa dietro di sé. Forse era la nonna.
«Perché no?»
«Perché.. beh… cosa vuoi? Prima m’insulti e mi disprezzi, poi vieni a chiedermi aiuto?» si scaldò a quel punto, serrando i pugni.
«Oh, scusami se la mia macchina ha deciso di farsi bucare una ruota nei pressi di casa tua.»
Un rumore sordo, come una sedia che strusciava. Doveva essere sicuramente la nonna.
«Oh, salve signora Susan.» urlai verso l’interno della casa, sperando che mi sentisse. Magari lei sarebbe stata più gentile del nipote.
Louis si chiuse la porta dietro di sé, fronteggiandomi. I nostri petti quasi si toccavano, ma io non avrei fatto un passo indietro.
Mi serviva il suo aiuto, e lui me lo avrebbe dato, volente o nolente.
«Senti, è complicato, ok?»
«Cosa c’è di complicato? Devi solo darmi un telefono e farmi chiamare, mica ho detto che voglio fare sesso sul soffitto. Quello, è complicato.» ribattei, mentre il mio cervello contorto immaginava una scena del genere. Dannazione, quella casa aveva brutti effetti su di me.
«E poi sarei io quello strambo…» Louis scosse la testa, facendomi segno di aspettarlo. Fuori. Al freddo.
Tornò pochi secondi dopo con il cordless in mano, mentre ne osservava lo schermo. Me lo porse e io tentai invano di comporre il numero di mio padre, ché Louis me lo strappò di mano.
«Vedi di essere più gentile con me. Non ti chiedo di essere la mia migliore amica, ma almeno abbi la decenza di non sputtanarmi davanti a tutta la classe.»
Oh, da che pulpito.
«Tu mi hai fatta passare per una sgualdrina, lo sai?» gli puntai l’indice sul suo petto che sì, era anche muscoloso e caldo, mentre lui indietreggiava appena.
«Ero solo… arrabbiato.»
«Tu sei sempre arrabbiato.»
«No, non sempre.»
«Beh, quando non sei arrabbiato sei strano. E ora dammi il telefono o giuro che entrerò in casa tua.» lo minacciai, affilando lo sguardo.
Composi il numero di mio padre, lo chiamai dicendogli che avevo restituito degli appunti che Louis aveva dimenticato a scuola, poi attaccai in sua attesa. Louis inarcò un sopracciglio, indispettito.
«Mi hai portato degli appunti, certo.» convenne ironicamente, mentre io sorridevo sghemba.
«Beh, non potevo di certo dirgli: “Hey pà, volevo fumare una sigaretta.”. Quindi tu mi terrai il gioco, Tomlinson.»
«Altrimenti?» sorrise sincero, il primo sorriso che vedevo spuntare sulle sue labbra sottili. Quando sorrideva era ancora più bello, avrebbe dovuto farlo più spesso. Per un attimo ebbi l’istinto di portare gli indici delle mie mani ai contorni della sua bocca, e tenerli così. Facendolo sorridere ancora un po’, ancora di più.
«Posso entrare? Devo aspettare mio padre e qui si congela.» spiegai, facendolo imbarazzare nuovamente.
Forse aveva la casa in disordine, o c’era qualcosa che non voleva farmi vedere. Doveva esserci un motivo valido, se quella casa veniva chiamata ‘il Castello delle Bugie.’
«Ehm, no. Mia nonna non si sente molto bene e… e non può muoversi, è confinata a letto per qualche giorno. È molto debole.»
«Un’altra scusa, Tomlinson?» dissi con voce monotona, capendo il suo giochetto.
«La casa è in disordine, e non stavo mentendo su mia nonna. Lei davvero…»
«Oh, ma tu devi essere Deike Evans, la figlia di Luke!» una voce femminile e soave arrivò alle mie orecchie. Due secondi dopo una donna anziana, sui settantotto anni, comparve sulla soglia. Era vestita bene nonostante fosse in casa, e sembrava decisamente in ottima forma.
«Salve, signora Susan.» sfoggiai il mio sorrisetto innocente e da ragazzina, mentre il mio cuore desiderava porre fine alla vita di Louis.
Sua nonna stava più che bene, anzi, benissimo.
«Oh, ma cosa fai lì, tutta infreddolita? Falla entrare, Lou.» si aggiustò gli occhiali a mezza luna, poi mi rivolse un sorriso dolce e rientrò in casa.
«Confinata a letto, certo.» sibilai a denti stretti, tirando un pizzicotto all’avambraccio di Louis, che mi guardò indignato. Era improvvisamente impallidito.
Così imparava a mentirmi.
Il mio cuore perse un battito quando misi piede all’interno dell’abitazione. Era bellissima, l’arredamento era idilliaco e perfetto.
Non c’era un filo di polvere, e ciò mi fede capire che Louis spendeva abbastanza bene il suo tempo libero, in fondo.
Seguii un Louis offeso in cucina, mentre io cercavo con lo sguardo sua nonna. Stava bene però sembrava strana, quasi diversa.
Louis mi indicò una delle sei sedie che erano poste attorno al tavolo, e mi sedetti guardandomi intorno. Il mio sguardo poi si posò su un caminetto acceso che si trovava nel soggiorno, dentro al quale scoppiettava un fuoco anch’esso dall’aspetto tetro.
Mi chiesi dove fosse finita Susan. Per essere anziana, si muoveva davvero in fretta e me ne accorsi quando sentii un tonfo provenire sopra di me, nella stanza del piano superiore. Louis sobbalzò, osservando spaventato il punto in cui proveniva quel rumore.
Prese la pentolina con l’acqua bollente messa a riscaldare poco prima, poi la versò in due tazze uguali, dove già vi era il filtro per il the.
Un altro rumore, questa volta un po’ più forte e quasi arrabbiato. Louis strabuzzò gli occhi, deglutendo a fatica.
«Cosa sta combinando Susan?» sorrisi ingenuamente, cercando di sciogliere la tensione e il silenzio imbarazzante creatosi poco prima.
Louis scosse la testa, scacciando chissà quale pensiero, poi mi guardò. «Niente.»
Mi voltò le spalle, giocherellando con il liquido della sua tazza che pian piano diventava ambrato.
Fu allora, che decisi di compiere quell’azione che forse fu stupida e infantile. Non sappiamo mai per certo se un semplice gesto potrà stravolgere la nostra vita. Quell’azione idiota, semplice, calcolata, ebbe il potere di stravolgere la mia intera esistenza e questo l’avrei capito solo in futuro.

Pescai un quaderno qualsiasi dal mio zaino e lo misi sotto al tavolo cercando di non produrre alcun rumore.
Mi serviva una scusa per tornare lì e per rivedere Louis.
C’era un motivo, se quella casa veniva chiamata Castello delle Bugie, e io avrei scoperto perché.
Una porta al piano superiore sbatté furiosamente e Louis rovesciò il contenuto della sua tazza a causa dello spavento.
Perché si spaventava tanto nel avvertire quei rumori? Si comportava come se in casa ci fosse solo lui. Sua nonna era misteriosamente scomparsa e doveva essere lei, al piano superiore. Però non sembrava avere la forza di produrre tanto rumore, né sembrava il tipo.
«D-Devi andartene, ok? Mi dispiace Deike.» balbettò, toccandomi una spalla per invitarmi ad uscire. Quella sua paura, quel terrore che provava, mi convinsero della mia scelta.
Sarei tornata nel Castello delle Bugie con la scusa di riprendermi il quaderno. Salutai Louis e corsi sotto la pioggia, raggiungendo la mia auto e aspettando mio padre.
Mentre dal sedile anteriore osservavo casa Tomlinson, notai che la luce della cucina si spegneva e si accendeva ad intermittenza.
Come se qualcuno si stesse divertendo a premere l’interruttore.



Ciao. Ecco il secondo capitolo.
Diciamo che fino all'ottavo cercherò di procedere abbastanza spedita.
Dall'ottavo in poi credo aggiornerò una volta a settimana in quanto voglio
portarmi molto avanti con i capitoli u.u
parliamo del capitolo: deike piccola bastarda sfruttatrice ♥
La casa di Lou è quella nel banner, è da quella foto che ho preso spunto per
la "forma" da dare al castello. A proposito del banner, sto ancora decidendo se
lasciare questo o se farne un altro. Magari più in là, sì.
So, cosa ne pensate? Schifo/Brutto/Orribile/Accettabile?
TELL ME, mi sento così insicura.
E boh, vi lascio una gif di Deike e scompaio.
Ho gli appunti di zoologia da copiare e sono very sad
Bye.
@marvelastic

   
 
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