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Autore: Robin Nightingale    01/12/2015    1 recensioni
Piccola raccolta di ricordi.
Kanon di Gemini ricorda vari momenti della sua vita: dall'infanzia, all'adolescenza, alla sua vita al Santuario e, soprattutto, ciò che di più prezioso possiede.
Genere: Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Gemini Kanon, Gemini Saga
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Avevi detto di avere una sorpresa per me.
Strano, pensai: tu odiavi le sorprese, sia riceverle che farle; eppure quella sera, quella strana ma piacevolissima sera, ti sei avvicinato al mio orecchio e con una risata quasi isterica, ed uno sguardo che trasudava euforia da tutti i pori, hai sussurrato quelle parole.
Dopo il mio “ ti odio ”, il tuo atteggiamento aveva seriamente cominciato a preoccuparmi. Qualcosa era scattato nelle tua testa e non riuscire ad indentificare bene che cosa fosse, non solo mi faceva cadere in una paranoica attenzione nei tuoi confronti, ma cominciava persino a spaventarmi.
Credevo, soprattutto all’inizio, che le mie parole avessero lasciato più effetti negativi che positivi: prima di tutto, entravi di soppiatto nella mia stanza e vi rimanevi per tutta la notte. Fermo, immobile come una statua ad osservarmi mentre dormivo.
Mi accorgevo della tua presenza, i tuoi occhi erano fissi su di me e non battevano ciglio; quelle notti preferivo fingere di dormire finché non andavi via: mi ricordavi così tanto nostra madre.
Mi seguivi durante gli allenamenti. Ti sedevi sopra il masso più vicino e mi guardavi in silenzio, mentre io, tra un esercizio e l’altro, mi domandavo se fosse il caso, o meno, di intervenire.
Volevo parlarti, chiederti cosa non andava, ma non sapevo da dove cominciare; in più, ero ancora arrabbiato con te e per orgoglio non volevo avvicinarmi.
Riuscivi persino a mettermi soggezione; non gradivo la tua presenza durante gli allenamenti, non in quel modo. Il tuo sguardo perso nel vuoto non trasudava alcuna emozione e avevo come l’impressione che volessi leggermi l’anima e trovarvi solo tu sai cosa. Per questa ragione evitavo di incrociare i tuoi occhi, tentando di concentrarmi più su me stesso che su di te. Ma era difficile.
Mi sentivo in colpa, forse era proprio questo il tuo intento: mi guardavi intensamente per riuscire a farmi ammettere errori di cui non avevo colpa; volevi le mie scuse e usavi la tua malattia come arma per farmi cedere, ne ero sicuro.
Ogni volta che ti davo le spalle per più di due secondi, però, tu mi correvi incontro e ti lasciavi andare ad ambigui slanci d’affetto. Mi abbracciavi, mi accarezzavi, intrecciavi le dita tra i miei capelli,  e solo in questi frangenti vedevo spuntare sul tuo volto un leggero sorriso. Sembravi addirittura lucido.
Ho cominciato a preoccuparmi sul serio quando ti fermarvi di botto, in mezzo al nulla, con il solo scopo di osservare il vuoto. Interrompevi addirittura i discorsi, lasciandoli a metà, per poi riprenderli dopo dieci minuti, o anche dopo un quarto d’ora. Altre volte, invece, non ricordavi neanche di cosa stessi parlando.
 Eri riuscito nel tuo intento: mi sentivo in colpa, sapevo che la causa del tuo comportamento ero io, ma non avevo più voglia di incolparti. Vederti in quelle condizioni mi faceva impazzire e non poter fare niente per aiutarti mi distruggeva ancora di più.
Mi facevi pena.
La notte tremavi impaurito e ti stringevi a me, che ero il tuo unico conforto.
Da quando avevi così paura, tu che eri considerato da tutti come un valoroso dio e guerriero?
La verità era che stavi lentamente perdendo lucidità, la tua mente era confusa, stava cedendo ad un qualcosa che non avevo voglia di rivivere.
Balbettavi, ed era così strano vederti incapace di pronunciare anche un singolo suono. Tu, che eri sempre sicuro di te e che non conoscevi paura.
Volevi dirmi qualcosa, qualcosa di importante; cercavo in tutti i modi di spronarti e darti coraggio: ero sicuro che ciò che volevi dirmi mi avrebbe reso davvero felice, perché lo aspettavo da tempo, ma i singhiozzi te lo impedivano.
Vedevo il panico nei tuoi occhi, mi sentivo del tutto impotente; poi, hai preso il mio volto tra le mani e mi hai dato un bacio.
Un piccolo, caldo, leggero bacio sulla guancia prima di cadere stremato sul cuscino.
E’ stato in quel momento che cominciai a percepire gli effetti positivi del mio “ ti odio ”.
Tutto accade per un motivo, mi sono detto. Le mie parole, per quanto dure e dettate da una frustrazione fin troppo profonda, avevano fatto in modo che tu ti riavvicinassi completamente a me.
Doveva andare così.
Dovevamo ferirci a vicenda per capire quanto fossimo fondamentali l’uno per l’altro.
Dovevo sentirmi nuovamente un perdente per poterti abbracciare come un tempo, e non lo trovavo giusto.
Avevo realizzato il mio sogno, lo stesso che la vita sembrava volermi concedere e che poi mi ha sottratto prima ancora che potessi assaporarne gli effetti.
Il tuo bacio era stato il preludio di una serie di eventi positivi che temevo non arrivassero mai: ci allenavamo di nuovo insieme e la costante vicinanza aveva fatto in modo che le tue crisi sparissero: finalmente rivedevo in te la persona di sempre.
Mi davi consigli, mi facevi complimenti, in poche parole, eri orgoglioso di me e dei miei progressi. Mi guardavi con fierezza, come un qualsiasi fratello maggiore e improvvisamente mi sentivo leggero e meno frustrato.
 
<< Sai, Kanon, credo che tu abbia grandi possibilità di battermi >>
 
Quelle tue parole sono state la mia soddisfazione più grande; ero così felice che, anche io, ho ceduto ai tuoi stessi slanci d’affetto: ti ho stretto talmente forte da farti mancare il respiro.
Mi hai guardato sconvolto, non riuscivi a credere che un tipo come me fosse capace di un simile gesto, e avevi ragione, ma mi eri mancato talmente  tanto in quegli ultimi anni che mi venne naturale.
Inoltre, ciò che mi riempiva veramente di orgoglio e fiducia in me stesso, era sapere che la causa del tuo ritrovato benessere non potevo che essere io.
Chi altri, se non il tuo gemello?
Di certo, le nostre chiacchierate notturne avevano inciso non poco sulla tua fragile mente, riuscendo a destarla del tutto.
E’ stato proprio durante una di esse che hai asserito di avere una sorpresa per me.
Eravamo seduti sull’erba, appoggiati al tronco di un vecchio ulivo, intenti ad ammirare le stelle.
Tu stavi raccontando una storia, mentre io giocherellavo distrattamente con le tue dita e lentamente mi addormentavo con il capo poggiato sulla tua spalla. Improvvisamente, hai interrotto il tuo racconto e ti sei girato verso di me.
Sembravi euforico e con la testa tra le nuvole: avrei voluto vedere quel sorriso luminoso fino alla fine dei miei giorni, e solo perché ne conoscevo la causa.
 
<< Kanon? >>
 
Hai bisbigliato al mio orecchio nel tentativo di svegliarmi.
 
<< Mmh..? >>
 
<< Stai dormendo >>
 
<< No, ti ascolto… >>
 
Tentavo di far mente locale, cercando di ricordare le tue ultime parole, perché sapevo che non amavi parlare da solo, ma la stanchezza, che puntualmente sentivo dopo ogni allenamento, era più forte di qualsiasi avversario mai affrontato.
 
<< Stai dormendo! >>
 
Ridevi, e io che mi aspettavo la tua solita ramanzina.
Mi hai gettato le braccia intorno al collo e tra le tue dolci carezze rischiavo di addormentarmi sul serio.
 
<< Io ti vorrò sempre bene, Kanon >>
 
<< Come? >>
 
Ero riuscito a percepire solo il mio nome.
 
<< Vieni con me all’arena domani. Ci tengo che tu veda una cosa >>
 
<< Che cosa? >>
 
<< E’ una sorpresa. Ti piacerà >>
 
Ho fantasticato a lungo su quella fantomatica sorpresa, ma mai al mondo avrei pensato che si trattasse di lui.
Mi trovavo all’arena e non riuscivo a credere di avere davanti ai miei occhi quel damerino presuntuoso ed egocentrico, nonché unico pretendente alla Gold Cloth del Sagittario.
Era lui la mia sorpresa?!
Ti guardavo sgomento, senza capire se il tuo fosse uno scherzo, oppure no.
Davvero credevi che presentarmi l’essere più irritante del Santuario fosse un regalo per me?
Sempre sorridente, solare, positivo, con i capelli sempre ordinati: non vi era un singolo riccio fuori posto e ciò mi irritava inspiegabilmente.
Lui mi irritava inspiegabilmente.
Come te, anche lui era venerato ed ammirato da tutti: non vi era persona al Grande Tempio che non conoscesse il suo nome; la sua potenza era ineguagliabile, il suo animo era puro, la sua fede nella dea Athena era illimitata, praticamente il cavaliere d’oro perfetto.
Perfetto.
Qualcosa vi accomunava, pensai ironicamente. E vedendovi così uniti, mentre scherzavate e vi comportavate come se foste amici di lunga data, avevo perfettamente intuito il perché di così tanta affinità.
Il soldatino girava sempre con una matassa di capelli ricci al seguito, che appartenevano al suo fratellino, nonché suo allievo, perché era talmente perfetto da avere persino un allievo, che di lì a poco sarebbe diventato il mio peggior incubo.
 
<< Piacere, Aiolos >>
 
Ero troppo occupato ad elencare i suoi difetti per accorgermi delle sue presentazioni.
Mi hai dato una gomitata, destandomi dai miei pensieri, e con un semplice sguardo mi hai intimato di stringergli la mano.
Ho accettato, anche se con riluttanza, solo per farti felice.
Odiavo il suo sorriso, lo trovavo così falso.
 
<< Così, è lui il gemello di cui mi hai tanto parlato? >>
 
Corrugai la fronte e mi girai verso di te confuso: perché mai avevi parlato di me ad uno come lui?
 
<< Sì. Sai, Kanon, è grazie ad Aiolos se sto di nuovo meglio, finalmente. E’ stato lui a convincermi a riavvicinarmi a te, secondo lui era l’unica soluzione per ritrovare la serenità. E aveva ragione >>
 
<< Già. Non dovresti trascurare così tanto tuo fratello. Non ho mai visto nessuno soffrire così tanto per qualcuno, così come tuo fratello; sembrava sull’orlo di impazzire, e non se lo merita >>
 
Non ho ascoltato una singola parola, mi sono fermato alla tua prima frase. Ed è stato un bene, per lui, che io avessi ignorato la sua presunta ramanzina, perché niente mi avrebbe impedito di scagliarmi contro di lui, neanche tu.
Sull’orlo di impazzire? No! Tu stavi impazzendo sul serio, e non era un solo un modo di dire.
Ma cosa ne sapeva lui di te?
Ti avevo rivolto la domanda, anche se in silenzio. Non ti capivo, come tu non capivi come in meno di un secondo mi avevi spezzato il cuore.
Eri sempre attento, sempre vigile, avevi il controllo su tutto, in ogni situazione; eppure, se solo avessi avuto l’accortezza di pesare le parole, io non avrei sofferto per l’ennesima volta.
Ti eri avvicinato a me solo perché te l’aveva detto lui, non perché lo sentivi o ne avevi il bisogno. Se lui fosse stato zitto, cosa sarebbe successo?
Ridevate felici, come se ci fosse davvero qualcosa di divertente. Il mio dolore era divertente?
Vi avrei sgozzato entrambi, senza alcuna pietà. Prima te e poi lui.
Ho finto di ridere con voi, sfoggiando la mia miglior faccia di bronzo, per poi allontanarmi senza aggiungere altro, pregandoti, con un semplice gesto, di non seguirmi per alcuna ragione.
Non volevo vederti, non ne avevo alcuna voglia.
 
“ Doveva andare così. ”
 
Mi ritrovai a pensare, giorni dopo l’accaduto.
Lo pensavo ogni volta che la tristezza bussava alla mia porta; era l’unico modo per andare avanti con tranquillità: fingere che nulla fosse accaduto, nulla di grave o importante, perlomeno.
Ebbene sì, non eri importante, non potevi esserlo. Non dopo aver calpestato i miei sentimenti. Ero disposto ad accettare il fatto che tu non volessi amarmi, lasciandoti nelle mani del tuo nuovo “migliore amico”.
Così lo avevi definito. Certo, che male c’era ad avere un migliore amico, quando a disposizione avevi un fratello gemello che non ti avrebbe mai tradito?
Fiato sprecato.
Ho rinunciato a discutere con te su quest’argomento, anzi, in realtà, avevo del tutto rinunciato a comunicare.
Non mi andava più di litigare, né che tu impazzissi, così mi limitavo ad essere accondiscendente.
Da quando quel damerino era entrato a far parte delle nostre vite, l’unico momento che passavamo insieme era la sera, per la cena.
La mattina tu eri con Aiolos, vi allenavate insieme, mentre io ero da solo, sdraiato sull’erba intento ad annoiarmi, benché il mio unico obiettivo, ciò che davvero contava nella mia vita, era solo la mia armatura.
 
<< Sei sveglio? >>
 
Ero solo. Ero solo.
 
<< Allora?! Sei sveglio?! >>
 
Ma resistere a quella voce, del tutto simile ad uno squittio, era un’impresa impossibile!
 
<< Come mai sei qui? >>
 
<< E tu perché non sei con tuo fratello?! >>
 
Aiolia, così si chiamava quella matassa di ricci, a cui il Buon Cavaliere faceva da chioccia, era un bambino di soli quattro anni. Irritante, petulante, fastidioso, appiccicoso e con un cosmo fuori dal comune.
Dovevo ammetterlo.
Quella piccola peste era destinato a diventare un grandissimo guerriero, magari del mio stesso rango, anche se non me lo auguravo.
Aveva tutti i difetti del fratello e una faccia talmente espressiva che, se si metteva d’impegno, riusciva quasi a farmi sorridere.
Era seduto accanto a me, mi puntava i suoi occhi da cerbiatto, mentre il suo viso si assumeva un’espressione triste, quasi da cane bastonato.
 
<< Mio fratello non c’è. Si sta allenando con Saga da questa mattina, all’alba, e io sono rimasto da solo. Volevo raggiungerlo, ma ogni volta che mi avvicino e gli chiedo di giocare, lui dice di non avere tempo >>
 
<< Come ti capisco! >>
 
Sputai velenoso come un serpente, ma il bambino non colse il mio sarcasmo, difatti si limitò a sorridermi compiaciuto.
 
<< Tu e Saga siete fratelli? >>
 
<< Sì >>
 
<< E perché siete identici? >>
 
<< Siamo gemelli >>
 
<< Che significa? >>
 
<< Che siamo nati lo stesso momento >>
 
Preso dall’entusiasmo, che ho tentato in tutti i modi di nascondere, il bambino cominciò a parlare di suo fratello, del suo addestramento e di come lavori sodo per guadagnarsi la sua armatura.
Ascoltai quel racconto senza prestare attenzione e assecondando le sue idee, non potevo certo attaccare un ragazzino e farlo ricredere su quel finto santo che era suo fratello maggiore.
Parlava come un fiume in piena, tanto che non riuscivo più a seguirlo; così, mi persi nei miei pensieri, domandandomi quando e come, il futuro Sagittario, si fosse guadagnato qualcosa.
Aveva un fratello, proprio come me, eppure a lui non è stato concesso il privilegio di battersi contro il suo stesso sangue,  a differenza nostra. Perché lui poteva avere la strada spianata, concorrendo da solo per la Gold Cloth, mentre noi due non avevamo altra scelta? Suo fratello avrebbe avuto un’armatura tutta sua, uno di noi avrebbe ottenuto solo le risate di scherno dell’intera arena.
Mi chiedevo se tutto questo fosse giusto, e avrei tanto voluto chiederlo alla stessa Athena, che era la dea della giustizia.
 
<< …è proprio un fratello speciale, non trovi? >>
 
Non avevo udito una parola, come al solito.
 
<< Sì, proprio speciale >>
 
Dissi alzandomi.
 
<< Dove vai? >>
 
<< A casa. E dovresti farlo anche tu >>
 
<< Sì. Ma io non so dov’è casa mia…mi sono perso. Aiolos dice sempre che, quando non può occuparsi di me, devo rimanere in casa con le ancelle, ma io mi annoio con loro. Così, sono uscito e mi sono perso >>
 
<< Va bene, va bene! Seguimi >>
 
Quel bambino era decisamente troppo logorroico; avevo intuito perfettamente dove voleva andare a parere e, pur di non sentir nominare quel damerino ancora una volta, accettai di aiutarlo a ritrovare la via del Grande Tempio.
Mi prese la mano e non la lasciò finché non arrivammo a destinazione. La cosa mi infastidì, ma probabilmente lui era abituato così.
Per tutto il tragitto non fece altro che parlare ed inciampare, perché, impegnato com’era a blaterare, non si accorgeva di dove metteva i piedi. Dovetti fare io la parte del fratello maggiore per una volta, e non era per niente male, tanto che una volta trovato il fratello, accompagnato da te, naturalmente, mi dispiaceva lasciarlo andare, ma non lo diedi mai a vedere.
Come da copione, il Buon Cavaliere era in pena per il piccolo, che subito gli andò incontro, tessendo infine le mie lodi, dipingendomi come una persona nobile e dall’animo puro.
Ero il nuovo idolo di un bambino di quattro anni: non sapevo se gioirne, o meno.
 
<< Grazie per averlo riportato a casa >>
 
Scontato. Terribilmente scontato, così come la sua finta cordialità.
 
<< Già. Sai, dovresti occuparti di più di tuo fratello: non è bello ritrovarsi da soli, o rovinare un così bel legame. A volte, bisogna pur farlo qualche sacrificio >>
 
Avevi intuito il vero destinatario di quella mia velata provocazione, ma ti è scivolata addosso come acqua piovana; allo stesso tempo, però, lo volevo il più lontano possibile da te, in fondo, non eri a lui che appartenevi.
 
<< Hai ragione. I sacrifici, però, non si possono sempre pretendere; e, a volte, bisogna avere l’umiltà di capire che non è sempre colpa degli altri >>
 
Era la prima volta che mi trovavo in difficoltà nel dare una risposta. Tu eri d’accordo con lui e fu proprio in quel momento che promisi a me stesso di fargliela pagare cara, un giorno.


Note.
" Mi riprometto di finire l'intera raccolta entro fine Novembre". Sì, continua a crederlo.
Salve a tutti miei cari lettori, eccomi tornata con un capitolo "speciale".
Perché "speciale"? Semplicemente perché non era previsto. Questo è un capitolo che ho aggiunto successivamente, per il semplice motivo che non potevo non parlare di Aiolos, che con molta ingenuità non fa altro che mettere il dito nella piaga; proprio per questo è stata una bella gatta da pelare, nel senso che l'ho riscritto almeno tre volte e la quarta (riscritta totalmente oggi) ha finalmente visto la luce. All'inizio sembrava una vera e propria raccolta di idee, una bozza, e avevo anche intenzione di postarla, poi per fortuna ho avuto l'illuminazione e ho cominciato a scrivere come si deve (?).
Sì, lo so che abbiamo leggermente sfiorato l'incest, ma vi posso assicurare che i due gemelli provano semplice amore fraterno l'un l'altro, o platonico se vi piace di più.
Al momento, se non ricordo male, è il capitolo più lungo dell'intera raccolta e credo che rimarrà figlio unico. Il fatto è che mi sono affezionata alla matassa riccia sin dal primo momento che l'ho citato e non potevo non farlo comparire. Certo, fossi in Kanon lo spedirei in un'altra dimensione, ma quello è un altro discorso.
E se fossi Aiolos scapperei il più lontano possibile.
Detto questo io mi ritiro, vi ringrazio tutti e vi auguro una buona lettura e una buona notte.
P.S: notare l'ingenuità di Saga, con la quale asserisce che la "sorpresa" piacerà al fratello. Non è mai stato così felice, in effetti.
  
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