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Autore: ArtemisiaSando    02/12/2015    1 recensioni
[Arkhamverse]
April, giovane medico di Boston, a soli ventinove anni capisce di aver messo in pausa la propria vita per perseguire una carriera che l'ha condotta ormai alla solitudine di un appartamento vuoto fra i mattoni cotti dal sole della capitale del Massachusetts.
Quel bisogno di amore e famiglia che per anni, dopo la morte di suo padre, ha allontanato come una malattia senza mai desiderarlo per se stessa, torna con insistenza alla porta del suo cuore imponendole un cambiamento di rotta.
Ingoiando la paura che per una vita intera ha guidato i suoi passi, decide di accettare un lavoro nella famigerata metropoli del crimine, lasciandosi alle spalle un passato logoro e le vecchie abitudini.
Si trasferisce così a Gotham City. Una città che, con le sue contraddizioni, i suoi miti e le sue tetre leggende, riuscirà a coinvolgerla in modi inaspettati cambiando il corso della sua esistenza per sempre.
[Questo racconto è ispirato all'opera videoludica Rocksteady "Batman: Arkham Knight" e fa riferimento agli avvenimenti accaduti nel gioco e nel relativo prequel comic.]
Genere: Azione, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Alfred Pennyworth, Batman, Joker, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Violenza
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~4~ What's on the inside


Nonostante dopo la morte di Joker il sottobosco criminale di Gotham fosse caduto in una strana quiete, forse semplicemente in attesa che la piramide del potere si riorganizzasse, Bruce non riusciva a rassegnarsi a quella stasi più che mai sospetta. Il suo istinto gridava al lupo, un istinto che raramente lo aveva portato ad un vicolo cieco. Per questo continuava a pattugliare le strade, notte dopo notte, ossessivamente avrebbe osservato qualcuno ed a volte persino invano. Eppure sapeva quanto importante fosse mantenere un livello costante di terrore persino nei pesci più piccoli della malavita annidata nei peggiori bassifondi, per assicurarsi che nessuno credesse Gotham terreno fertile per nuovi, sordidi affari.

Come i precedenti, i due giorni che seguirono il party Bruce li trascorse nella caverna, senza alcun contatto col mondo esterno che non fosse Alfred, Tim o con indosso l'armatura. Vagliare il computer in cerca di indizi, correlazioni e piste fredde in qualche modo lo tranquillizzava, riusciva a restituirgli quell'illusione di controllo sugli eventi che sempre più spesso negli ultimi tempi era sembrata sfuggirgli.

Eppure più volte si sorprese a mettere da parte il proprio lavoro per concentrarsi sul pensiero di lei e più di una volta fu quasi sul punto di cedere alla tentazione di cercare informazioni sulla ragazza. Con quello che era in ballo al momento nella sua vita, non si sarebbe concesso tanto facilmente una simile sciocchezza come lasciare che un capriccio prendesse il sopravvento sui propri doveri, quindi, ogni qual volta la curiosità si faceva strada fra i suoi pensieri, metteva a tacere la coscienza con la stessa disciplina con cui avrebbe affrontato un caso aperto.

Quella continua indecisione era diventata una lenta tortura, una volontaria agonia che riuscì a spezzare solo il terzo giorno, dopo una meticolosa analisi del loro primo incontro. La pace scese sui suoi pensieri solamente quando si convinse che sarebbe stato necessario sapere qualcosa di più su di lei, prima di cercarla per definire i termini del finanziamento all'ospedale.

Così, dal suo contratto d'impiego e dal curriculum con cui era stata assunta al Gotham Mercy, Bruce risalì come aveva fatto infinite altre volte fino alla cartella medica ed al certificato di nascita, ricostruendo l'intera vita della ragazza fino al suo trasferimento a Gotham. Una volta di fronte a tutte quelle informazioni, mentre le pagine si aprivano una ad una sullo schermo azzurrino, quasi si pentì di averle cercate. Con che diritto stava curiosando nella sua vita come avrebbe fatto per un ricercato qualunque?

- Padron Bruce? - la voce distante di Alfred interruppe bruscamente il filo dei suoi pensieri e, di nuovo, Bruce si accorse di aver saltato la cena per lavorare al computer della caverna.

- Sono qui, Alfred. - chiosò di rimando, lasciandosi andare allo schienale perfettamente sagomato della sedia che si piegò abbastanza da regalargli la visuale del maggiordomo brizzolato in elegante abito scuro nonostante l'ora tarda, abitudine che non aveva perso nei lunghi anni in cui gli era rimasto accanto.

L'uomo arrivò a passi lenti risalendo con calma gli scalini in ferro che separavano le enormi pedane su cui si snodava l'intera caverna e, per un lungo istante, Bruce non poté che sentirsi in colpa, costringendolo ogni giorno a quel continuo andare e venire.

- Le ho portato la cena, che ovviamente non consumerebbe mai calda. - puntualizzò con la solita pungente ironia, posando come d'abitudine il vassoio d'argento accanto a lui sulla plancia d'acciaio temperato. Sapeva che non l'avrebbe toccata, ancora per qualche ora almeno, eppure non sembrò infastidito. Era una giostra quotidiana a cui entrambi, dopo anni di confidenza e di reciproca accettazione, avevano finito per abituarsi.

- Ah, quella non è forse la ragazza alla cui compagnia l'ho strappata qualche sera fa? - osservò invece guardando di sottecchi lo schermo azzurrino oltre la sua spalla. Nella voce misurata dal pacato accento inglese, una lieve inflessione di condiscendenza che Bruce conosceva fin troppo bene, ma a cui non prestò volutamente attenzione.

- Si, è lei. -

- Vedo che è riuscito a reperire una certa quantità d'informazioni. Il perché, se posso chiedere? Ha motivo di sospettare della dottoressa? - continuò imperterrito senza scomporsi, Bruce sapeva che questa volta non l'avrebbe scampata, c'era un motivo per cui aveva voluto frugare nel passato della ragazza ed Alfred era abbastanza intelligente da non poterlo ignorare.

- Non è questo. Si è appena trasferita e volevo saperne di più a riguardo. Nessuno viene volontariamente a Gotham, se non sta scappando da qualcosa. Non è schedata, ma ha comunque un suo fascicolo alla polizia di Boston. - cedette Bruce, grattandosi distrattamente le guance già ispide, le sopracciglia innaturalmente vicine sulla fronte in un cipiglio che abbandonava ormai sempre più raramente.

- Non sarebbe stato sufficiente chiedere direttamente alla signorina? - insinuò Alfred oltre la sua spalla, ma ormai era troppo tardi, i file erano già stati aperti e l'uomo ne stava leggendo mentalmente il contenuto.

- Ovviamente no. - lo rimbeccò sarcasticamente l'anziano maggiordomo, eppure rimase accanto a lui mentre uno dopo l'altro foto, documenti e riconoscimenti della ragazza apparivano ordinatamente sullo schermo al semplice tocco della tastiera olografica.

- È davvero molto bella. Ed intelligente anche. Ha frequentato scuole poliglotte fin da bambina, oltre l'inglese parla fluentemente arabo, spagnolo e francese. Laureata a pieni voti al Massachusetts Medical College, ha seguito per due anni un internato in cardiologia al Boston Memorial prima di trasferirsi. - sembrò leggergli nel pensiero, mentre il sorriso distratto, che Bruce aveva già visto sulle sue labbra durante il loro primo incontro, occupava ora silenziosamente lo schermo illuminato attraverso la foto del profilo accademico. C'era molto su di lei nei file della polizia di Boston, nonostante fosse incensurata e Bruce non tardò ad afferrarne il motivo aprendo la cartella diagnostica allegata.

- La sua cartella clinica, signore? - azzardò Alfred con una nota di malcelato stupore nella voce, quasi avesse valicato una sorta di confine all'umana decenza, mentre Bruce scorreva fra fogli ed esami con la stessa meticolosa attenzione che riservava a chiunque fosse stato passato al vaglio su quello stesso computer.

- Nulla di rilevante, tranne un breve periodo in cui risulta in cura da una certa dottoressa Ross. A quanto pare a tredici è stata in terapia per qualche mese dopo ... la morte in servizio di suo padre, agente anziano alla BCPD. Ecco il perché del fascicolo. - lesse ad alta voce, il cuore che affondava di un poco nel petto, e più che mai sentì il peso della propria intrusione. La giovane dottoressa non aveva un passato felice, non c'era da stupirsi se aveva preferito lasciarsi una vita alle spalle per ricominciare altrove.

- April Holloway, 29 anni, figlia dell'agente Trent Holloway e della biologa Yael Dahan. Quando aveva cinque anni, sua madre morì di una leucemia causata da una rara mutazione genetica tipica del medio oriente. Suo padre è stato dichiarato cerebralmente morto in seguito ad uno scontro a fuoco nei bassifondi di Boston. La custodia fu affidata alla nonna paterna, ancora in vita, con cui ha vissuto fino all'ammissione al college. - continuò a leggere una volta aperto il fascicolo riservato nella banca dati della polizia, sporgendosi appena verso lo schermo che rimandava ora l'immagine smarrita di una bambina in sobria divisa scolastica grigia. Vide qualcosa di dolorosamente familiare nei suoi occhi, una rassegnazione che conosceva fin troppo bene, e fu quasi sul punto di spegnere tutto e scappare il più lontano possibile, impedirle di costringerlo a guardarsi dentro. Invece, stringendo le mani ruvide sotto il mento ed i gomiti puntati alla plancia d'acciaio fino a fargli male, cadde in un silenzio assorto da cui non voleva emergere, non per ora.

Da quanto risultava nel dossier della polizia di Boston, era stata la telefonata della bambina al distretto per avere notizie su suo padre ad allertarli. Le foto della scena parlavano chiaro, non era avvenuta una sparatoria in quel vicolo, ma un'esecuzione. L'uomo aveva chiaramente tentato di interrompere da solo qualcosa di molto pericoloso. Il caso risultava tutt'ora aperto nei server della polizia e Bruce dubitò fermamente che la sua situazione sarebbe cambiata nel breve periodo.

Nonostante un brivido familiare, quanto sgradevole si fosse improvvisamente instillato alla base della sua nuca, la scoperta non aveva fatto altro che acuire quella strana sensazione che aveva provato dal momento in cui si erano conosciuti.

- La ragazza le somiglia più di quanto crede, signore. - sorrise dolcemente Alfred accanto a lui, sapeva cosa volesse dire e per un attimo sembrò aver dato curiosamente voce ai suoi pensieri, ma questo non cambiava affatto le carte in tavola, anzi forse non poteva che rafforzare la sua determinazione.

- E' sola, Alfred. - sussurrò dopo un po', quasi atterrito, il cuore che batteva appena più accelerato nel petto mentre ripensava al sorriso della ragazza, a quanto di lei tenesse nascosto.

- Lei più di chiunque altro sa che cosa si prova, padron Bruce. - azzardò Alfred sibillino, tornando infine sui propri passi, lasciandolo solo ad una riflessione che di certo l'avrebbe costretto a riaprire vecchie ferite.

- Di chi stai parlando ora? Di me o della ragazza? - lo rimbeccò Bruce poco prima che l'uomo potesse sparire oltre le scale che conducevano all'ampia piattaforma principale, costringendolo a voltarsi.

- Questo deve scoprirlo da solo. Ma per farlo, temo che dovrà permetterle di vedere quello che ha dentro. -


   
 
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