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Autore: MissSmoak    02/12/2015    0 recensioni
La Seconda Guerra Magica è ormai un ricordo, sempre presente e pressante, nelle menti di chi l'ha vissuta.
Non può essere dimenticata, e forse la vittoria non è quella che tutti si aspettavano.
Tornando ad Hogwarts, dopo pochi mesi dalla fine della Battaglia, tutto è cambiato, eppure sembra che nessuno voglia ammetterlo.
"Gli davano il voltastomaco, tutti quei teatrini per far credere al Mondo Magico che la guerra fosse finita, quando in realtà nessuno ancora aveva iniziato a sentirsi al sicuro. Persino – o forse soprattutto – Hogwarts era un covo di sospettosi studenti che sobbalzavano al minimo rumore, che si guardavano intorno come animali braccati; qualcuno scoppiava a piangere nel mezzo di una lezione o del pranzo, altri si rinchiudevano nei Dormitori in cerca di solitudine."
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Blaise Zabini, Draco Malfoy, Harry Potter, Hermione Granger, Ron Weasley | Coppie: Draco/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Altro contesto
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Prologo

"Healing"

They say that time’s supposed to heal ya,
but I ain’t done much healing.

 

Vedere i corridoi così vuoti non faceva altro che ampliare il senso di inadeguatezza che si percepiva nel percorrerli. Pareti tutte uguali, pietre fredde, cornici rimosse e altre che semplicemente mostravano paesaggi abbandonati, stanze lasciate in fretta e furia in cerca di rifugio. Soltanto guardandoli distrattamente si potevano sentire i ricordi affiorare. 
Il tempo che era passato non era abbastanza, ma Hermione dubitava che sarebbe mai stato abbastanza. I minuti continuavano a scorrere, portandosi appresso ore, giorni, mesi. Il fatto che la sofferenza si potesse prevedere non la rendeva meno amara, d'altronde.
Un altro passo, un altro ancora e i suoi piedi che percorrevano indolenti un percorso che sapeva a memoria. Con la borsa ben fissata sulla spalla e una mano a sorreggerla, gli occhi fissi davanti a sé ma inevitabilmente persi in un pensiero, o in sguardi e volti che non volevano saperne di abbandonarla.
Hermione aveva deciso che contare il tempo trascorso dalla fine della Seconda Guerra Magica era inutile, oltre che dannoso. Eppure a volte si ritrovava a domandarsi se la consapevolezza di aver messo distanza da quell'avvenimento l'avrebbe fatta sentire più sicura. Sebbene non ricordasse il giorno o l'ora in cui un preciso avvenimento aveva avuto luogo, aveva ben chiari i dettagli delle scene che più l'avevano toccata; ad esempio, ricordava perfettamente il taglio che Ronald aveva sotto l'occhio destro quando l'aveva baciata, nella Camera dei Segreti. Era trasversale, abbastanza innocuo, e un rivolo di sangue era colato fin sotto lo zigomo. Anche il suo sapore era quello del sangue, ma lei non ci aveva fatto molto caso e quei minuti le erano parsi così perfetti che, per la prima volta da tanto tempo, non si era soffermata ad analizzarli con minuzia.
Avevano vinto. O almeno, così si diceva. Hermione non la vedeva propriamente così, ma a questo ci era arrivata qualche giorno dopo la sconfitta di Voldemort. Più precisamente il giorno del funerale organizzato dal Ministero – sorretto da un Consiglio provvisorio – per le vittime di guerra. Lei, Ron ed Harry, silenziosi, si erano ritrovati in un grande parco poco lontano da Hogwarts, a fissare inebetiti tutte quelle bare chiuse, e tutte quelle persone dagli occhi spalancati che le guardavano, come loro. La stessa espressione sembrava improvvisamente comparsa sul volto di ogni presente, un dolore che sapeva di consapevolezza: non era stata una vittoria, ma solo una battaglia che aveva visto l'odio e la sofferenza spargersi a macchia d'olio, imbrattando ogni singolo essere che si fosse trovato nei paraggi, buono o cattivo, povero o ricco, mago e non.
Hermione si bloccò di colpo e si rese conto di non essere più sola. Era giunta davanti l'aula di Trasfigurazione, trascinata dall'abitudine, e Ron ed Harry la guardavano con relativa tranquillità, scambiandosi qualche parola tra di loro.
- Ciao – li salutò, avvicinandosi.
Harry le sorrise, Ron si avvicinò e le poggiò una mano sulla spalla, spingendola delicatamente davanti a sé per entrare nell'aula insieme. Quei contatti dolci e casuali le ricordavano l'estate che avevano appena passato insieme, alla Tana. Un'estate molto intensa, in cui aveva visto la famiglia Weasley affrontare un lutto che non poteva essere affrontato, tentare di rimanere in piedi quando sarebbe stato molto più semplice crollare.
Lei e Ron avevano passato quasi tutto il tempo insieme, sorreggendosi a vicenda quando il peso dei ricordi diventava eccessivo; Hermione aveva fatto molte ricerche per ritrovare i suoi genitori, ma solo alla fine dell'estate era riuscita a rintracciarli e a farli tornare in Inghilterra.
Il resto del tempo era trascorso in maniera surreale, tra baci che sapevano di felicità rubata e tocchi gentili, necessari per dare un po' di sollievo alle loro anime. Avevano vissuto la loro storia come ci si gode la prima giornata primaverile, assaporandone ogni momento senza pretese e con la consapevolezza che prima o poi sarebbe finita.
- Buongiorno a tutti – esordì la professoressa McGranitt, osservando con attenzione ogni singolo studente, - Sedetevi, prego, tra un paio di minuti iniziamo.
Harry prese posto alla sua sinistra, Ron alla sua destra.
L'aula era mezza vuota. Il Ministero aveva decretato che il primo settembre le lezioni sarebbero riprese e che gli studenti dell'ultimo anno avrebbero potuto tornare per terminare la propria istruzione, mentre nuove frotte di bambini avrebbero riempito il Castello. Come previsto, però, erano stati pochissimi i ragazzi che avevano deciso di rimettere piede ad Hogwarts, ridotto a santuario di una battaglia che l'aveva messa in ginocchio solo qualche mese prima.
I Gryffindor erano i più numerosi, il loro proverbiale coraggio li aveva spinti nuovamente nelle braccia di mura colme di ricordi dolorosi, mentre i Ravenclaw e gli Hufflepuff erano più che dimezzati; la casa che contava meno presenze, ovviamente, era Slytherin: soltanto una trentina di studenti riempivano il tavolo in Sala Grande, alle ore dei pasti, e tra questi meno di dieci erano “ripetenti” - come venivano chiamati coloro che avevano deciso di tornare.
Data la scarsità di studenti che seguivano le lezioni avanzate, il direttivo composto dai Direttori delle quattro Case aveva decretato che avrebbero accorpato in un solo gruppo i “ripetenti”, generando un clima di profondo turbamento. In particolare, per gli Slytherin.
Hermione si guardò intorno distrattamente, facendosi dondolare la piuma tra le dita. Alla destra di Harry era seduta Lisa Turpin e, dietro di lei, Ernie Macmillan parlottava sotto voce con Terry Steeval. Sembrava che a nessuno importasse più la Casa di appartenenza.
Tranne se eri membro di Slytherin, ovviamente: dall'altro lato della classe, leggermente più in ombra rispetto al resto dell'aula, il gruppo di studenti verde-argento sembrava rinchiuso in un mutismo ostinato. Le prime due file erano occupate dagli otto studenti che costituivano l'intero settimo anno Slytherin e tutti si limitavano a fissare, con sguardo assente, un punto indefinito al di là della cattedra.
Hermione riportò lo sguardo su Harry, poi su Ron, e si accorse che i suoi due amici stavano osservando, come lei, quello sparuto gruppo di ragazzi troppo gelidi e fuori luogo per non attirare l'attenzione.
La McGranitt li riportò tutti quanti alla lezione del giorno con un secco colpo della bacchetta, che ebbe l'effetto di far levitare dei fogli dalla cattedra fino al banco di ciascuno studente.
- Non prendetelo come un test d'ingresso, - stava spiegando, quieta ma con rigore, - mi serve soltanto per capire il livello generale della classe e regolarmi sul programma da svolgere durante l'anno scolastico.
Nessuno parve molto rassicurato dal discorso della professoressa, soprattutto quando una serie di più di trenta domande giaceva davanti ai loro occhi. L'unica a non batter ciglio fu Hermione, che annuì compita alle parole dell'insegnante, grata del fatto che l'avesse distratta dalle sue elucubrazioni sugli Slytherin. Harry si voltò verso di lei e aggrottò le sopracciglia, forse pensando a quanto e in quali modi avrebbe potuto copiare, o se lei gliel'avesse permesso o meno. Ron era passato già all'attacco, sussurrandole piano per chiederle di spostarsi più verso di lui in modo da agevolargli la visione delle risposte.
- Non ci provare, – lo redarguì Hermione in un sussurro, - non è valutativo, se ti facessi copiare risulterebbe falsato.
Ron sospirò, ed Harry lo seguì a ruota. Neville, dietro di lei, si afflosciò sulla sedia.
La McGranitt fece abilmente finta di non accorgersi di ciò che stava accadendo.
- Molto bene, avete un'ora e mezza di tempo per rispondere alle domande. Siate più esaurienti possibili, senza andare fuori tema. Al tre girerò la clessidra e voi potrete girare il foglio. - Girò intorno alla cattedra per portarsi dietro ad essa, dopo di che cominciò a contare e, al tre, con un colpo di bacchetta, la sabbia della clessidra cominciò a scorrere verso il basso.
Mentre Hermione faceva scorrere velocemente la piuma sul foglio, nel lato Slytherin della classe Draco Malfoy fissava indolente il parco al di là della finestra. Nonostante fosse appena settembre, il caldo estivo e il sole sembravano lontani anni luce: nuvole grige e piovose si muovevano veloci, proiettando ombre scure sulla vallata; gli alberi erano agitati da un vento insistente e i rami si contorcevano lasciando cadere foglie a manciate.
Riportò gli occhi sul foglio e provò di nuovo a leggere la prima domanda, assottigliando gli occhi nel tentativo di racimolare un po' di concentrazione. Niente da fare, vedeva a malapena le parole. Sbirciò alla sua destra, dove Blaise Zabini ricambiò il suo sguardo confuso, aggiungendovi un'alzata di spalle che attirò l'attenzione di Theodore Nott. Quest'ultimo prese il foglio tra le mani e lo avvicinò ancora di più agli occhi, ma a giudicare dalla sua espressione, doveva avere lo stesso problema dei suoi due compagni.
Prima che Draco potesse anche solo reagire a quello strano avvenimento, un urlo acuto proveniente dalla fila dietro la sua lo fece voltare di scatto: Daphne Greengrass si agitava convulsamente le mani davanti agli occhi, spalancati e vacui in maniera inquietante, con una maschera di terrore sul volto.
Il resto della classe si era girata all'unisono per rintracciare la fonte di quell'urlo, e ora la stava osservando con espressioni che andavano dallo spaventato al basito, le piume ormai abbandonate sul tavolo.
- Greengrass? - chiamò la McGranitt, affrettandosi a raggiungere la studentessa, - che cosa succede? Cos'hai?
Daphne aveva iniziato a gemere in maniera insistente e gli occhi erano affollati da lacrime che chiedevano di uscire. - Io... - balbettò, la voce solitamente tagliente fattasi incredibilmente stridula, - Non ci vedo! 
In meno di trenta secondi la classe si era svuotata. Gli studenti erano stati esonerati dalla lezione, mentre i Caposcuola avrebbero dovuto seguire Daphne Greengrass e la McGranitt in Infermeria per aiutarla a ricostruire le dinamiche dell'accaduto. La Professoressa si muoveva veloce tra i corridoi, tenendo un braccio intorno alle spalle di Daphne e sussurrandole di stare tranquilla. Chiaramente quelle parole non stavano avendo l'effetto desiderato, dati i singhiozzi che la ragazza continuava ad emettere ad intervalli sempre minori.
Dietro di loro, Hermione Granger, Caposcuola Gryffindor, cercava di mantenere l'andatura dettata dalla McGranitt, affiancata da Hannah Abbot e Lisa Turpin, Caposcuola rispettivamente di Hufflepuff e Ravenclaw.
- Dov'è Zabini? - domandò Hermione, buttandosi un'occhiata alle spalle.
Hannah le rispose con un'alzata di spalle, mentre Lisa batté un paio di volte le palpebre e si guardò intorno. - Non saprei – mormorò, - Era al mio fianco fino a qualche secondo fa.
Di certo la solidarietà che un tempo animava i membri di Slytherin doveva essere andata perduta durante la battaglia, pensò amaramente Hermione, dato che il Caposcuola aveva deciso di non accompagnare nemmeno la sua compagna in Infermeria. In ogni caso, non erano affari suoi, e di certo non provava tanta simpatia per Daphne da preoccuparsi più di tanto per lei.



- Avanti, Draco, decidi in fretta, devo raggiungerli.
Malfoy sbuffò e si staccò svogliatamente dalla parete di pietra alla quale si era appoggiato; incrociò le braccia al petto, un gesto noncurante con cui solitamente si apprestava a chiudere qualsiasi conversazione lo stesse infastidendo. - Sai bene qual è la mia opinione in proposito, Blaise.
- Sì, ma è la seconda volta in due giorni, e non credo che tenercelo per noi possa risolvere la questione.
- Non la risolverà – ribatté l'altro, - così come non la risolverà la McGranitt o qualunque altro professore. Nessuno è disposto ad aiutarci, e se nella scuola si diffondesse la voce che qualcuno cerca di affondarci, di sicuro si offrirebbero tutti volontari per velocizzare il processo di annegamento.
La voce di Draco era stata tagliente come la lama di un coltello, ma la lama era rovente come la rabbia insita in quelle parole.
Blaise strinse i denti e si allontanò da lui di un paio di passi. Aveva un'espressione dura in volto, ma l'indecisione si leggeva chiaramente negli occhi scuri. - Come vuoi, - bisbigliò piano, forse nel tentativo di trattenersi dall'urlargli contro, - Ma quando saremo tutti morti, non avrai neppure la soddisfazione di aver avuto ragione. - concluse, dopo di che si voltò e cominciò a correre per il corridoio, affrettandosi per raggiungere gli altri Caposcuola.
Draco chiuse lentamente gli occhi e sospirò. Che almeno arrivasse presto, questa morte, perché lui davvero non ne poteva più di aspettarla. Erano anni, ormai, che qualcuno gli augurava di crepare, e tra questi poteva orgogliosamente annoverare persino il Signore Oscuro, un onore che purtroppo condivideva con Potter. In ogni caso – pensò, riaprendo gli occhi e incamminandosi verso l'Infermeria – anche se di certo non aveva abbastanza fegato per togliersi la vita, era pur vero che non aveva molta voglia di impegnarsi per mantenerla.
Gli davano il voltastomaco, tutti quei teatrini per far credere al Mondo Magico che la guerra fosse finita, quando in realtà nessuno ancora aveva iniziato a sentirsi al sicuro. Persino – o forse soprattutto – Hogwarts era un covo di sospettosi studenti che sobbalzavano al minimo rumore, che si guardavano intorno come animali braccati; qualcuno scoppiava a piangere nel mezzo di una lezione o del pranzo, altri si rinchiudevano nei Dormitori in cerca di solitudine.
Lui per primo tentava di aprire bocca il meno possibile, sapendo bene che l'unico motivo per cui anche loro erano stati riammessi a Hogwarts era l'indulgenza del corpo insegnanti e la loro sottomissione a chiare direttive del Ministero, tutte riguardanti la necessità di far tornare le cose normali. Sì, a quanto pareva secondo il Ministero persino gli Slytherin erano parte di quella normalità che, a dirla tutta, non era mai stata tale. Dall'alba dei tempi una barriera divideva la sua casa dalle altre tre, probabilmente eretta principalmente da Slytherin stessa, per proteggersi dagli ideali spiccioli che quella massa di poveracci si ostinava ancora a propinare con orgoglio, dopo anni e anni dalla fondazione di Hogwarts.
Non era più il disprezzo di un tempo a guidare i suoi pensieri, ma la semplice constatazione che la Vittoria sul Lato Oscuro che i “buoni” tanto vantavano di aver ottenuto, non aveva affatto risolto gli intricati problemi che la guerra aveva generato.

I “buoni”. Una massa di ipocriti, ecco cos'erano, tanto ipocriti quanto lui era vigliacco. Aveva ben presenti gli sguardi dei suoi compagni, dei suoi insegnanti e di tutti coloro che avevano assistito alla scena della sua diserzione; ricordava perfettamente il disgusto e l'insofferenza negli occhi di chi l'aveva visto andare via, insieme a suo padre e sua madre, quando ancora il destino della battaglia era nelle mani di chi sarebbe rimasto a combattere.
Per cosa sarebbe dovuto rimanere a morire? Per chi? Nessuno, in quella schiera di persone che lo guardavano con disprezzo, avrebbe esitato a puntargli la bacchetta contro, neppure se avesse deciso di restare. Lui era un Malfoy, un codardo, un bugiardo; faceva solo i propri interessi, le sue parole erano vuote, vane. E, soprattutto, lui era Draco Malfoy, e questa era senza dubbio un'aggravante.
Ma se lui era un codardo, loro erano tutti ipocriti che sbandieravano la filastrocca dell'unità delle quattro case, di quanto i pregiudizi fossero errati, di come tutti potessero fare la scelta giusta, quando nemmeno loro credevano davvero alle loro parole. Nessuno ci credeva.
Giunto davanti al portone dell'Infermeria, Draco si fermò.
Gli occhi alti, fissi davanti a sé, e le mani ficcate nelle tasche. Stava pensando, il più velocemente possibile, ma la sua mente quel giorno non voleva affatto collaborare. Alla fine, non fu lui a decidere se aprire o no: il portone si spalancò e Blaise lo guardò per un attimo smarrito, prima di tirarlo dentro con uno strattone.
- Che diavolo stai facendo?
Draco lo guardò oltraggiato – Ma che diavolo fai tu, - ringhiò, a bassa voce, scrollandosi di dosso la mano dell'amico, - io sono venuto a trovare la mia compagna di casa, ovviamente.
Blaise si ricompose velocemente e si gettò un'occhiata alle spalle, dove Daphne, stesa su un letto e circondata dagli altri Caposcuola e dalla McGranitt, veniva visitata da una preoccupata Madama Chips. - Vattene via prima che ti vedano, lascia che me la sbrighi io.
- Non che non mi fidi di te, - precisò Draco, con una smorfia, - ma preferisco essere presente. Oltretutto, – continuò, alzando appena la voce quando l'altro aveva tentato di aprir bocca e replicare – non vedo perché ti preoccupi tanto della mia presenza. Non ho intenzione di fare nulla, a parte ascoltare.
Blaise lo guardò male. Malissimo. - Tanto fai sempre come ti pare, - sospirò, voltandosi per tornare dai suoi colleghi. Draco mugugnò un “ovviamente” dietro le spalle di Zabini, tanto per avere l'ultima parola, e lo seguì a qualche passo di distanza.
Nessuno si accorse della presenza del biondo, occupati com'erano ad ascoltare Madama Chips, che aveva appena terminato di visitare Daphne. - E' tutto ok, - stava mormorando, sovrappensiero – credo che sia un effetto momentaneo, già sta svanendo.
La McGranitt annuì, - Bene, ma da cosa è stato causato? Un incantesimo? Una pozione?
- Non saprei dire con certezza, - rispose l'Infermiera, sinceramente confusa, - dovrei fare una visita più approfondita per capire se escludere o meno l'effetto di una pozione.
- Capisco. Fammi sapere appena possibile, Poppy, mi troverai nel mio ufficio tra un'ora circa.
Madama Chips annuì e versò un liquido blu notte in un misurino, - Ti aiuterà a riposare, - mormorò a Daphne, visibilmente più tranquilla, - così quando ti sveglierai sarai come nuova.
In quel momento Hermione si voltò, distogliendo lo sguardo dalla studentessa che beveva obbediente il preparato, e si ritrovò ad alzare la testa per osservare due occhi grigio chiaro, stranamente limpidi, che la guardavano di rimando. - Malfoy – si lasciò sfuggire, in un sussurro. Non aveva inteso chiamarlo, e neppure salutarlo; era più che altro una constatazione, un riconoscimento.
- Granger, - rispose lui, con fredda cortesia; tuttavia, nel farlo distolse lo sguardo e lo portò con affettata lentezza sulla sua compagna.
- Che ci fai qui? - domandò lei, riprendendosi dalla momentanea sorpresa di ritrovarselo accanto.
Draco continuò imperterrito a tenere gli occhi su Daphne. - Non sono affari tuoi. - rispose, laconico.
La Gryffindor aggrottò le sopracciglia e si disse che certe cose proprio non cambiavano mai, neppure quando era l'interno Mondo Magico ad essere stato rivoltato più e più volte. Era una strana sensazione parlare con lui come se niente fosse; in fondo, la persona che Hermione si ritrovava davanti era stata la causa di troppo dolore per far finta di provare altro che disprezzo o, al massimo, una velata compassione, per lui.
- Hai ragione, - disse, quindi, scostandosi da lui con un gesto calcolato, - non sono affari miei. - confermò. Senza aspettare una qualsivoglia reazione, si voltò per seguire la McGranitt, Zabini, la Abbott e la Turpin, che si stavano allontanando di qualche passo per discutere di ciò che era successo. Li raggiunse con due passi, senza accorgersi che gli occhi di Draco erano tornati su di lei, rabbiosi, mentre le sue mani erano strette a pugno dentro le tasche. - Insopportabile. - masticò Malfoy tra i denti, tendendo l'orecchio per ascoltare ciò che il gruppetto, riunito intorno alla professoressa, stava discutendo.
- Non ho visto nulla, mi dispiace – mormorò Hermione, rispondendo alla domanda che la McGranitt aveva posto a tutti quanti, - ero occupata a scrivere.
Blaise la guardò stranito, poi parlò – Neppure io.
- Credo che l'unica che possa aver visto qualcosa sia Pansy Parkinson, – fece presente Lisa Turpin, con tranquillità – dato che era seduta proprio accanto a lei.
La McGranitt annuì, poi si rivolse ad Hannah Abbott, - Vai a chiamare la Signorina Parkinson, e anche il resto degli Slytherin presenti, per sicurezza. Dì loro di raggiungermi nel mio ufficio nel pomeriggio.
La Abbott annuì e lasciò l'infermeria, mentre Zabini lanciò uno sguardo di soppiatto a Draco, in piedi vicino al letto di Daphne e impegnato a sussurrarle qualcosa all'orecchio.
Hermione seguì il suo sguardo e strinse gli occhi in un'espressione sospettosa; poi si voltò verso la professoressa, che aveva appena mandato la Turpin a chiamare gli altri professori, - Malfoy è già qui – fece presente, nel tono più innocente che riuscì a trovare.
La McGranitt alzò lo sguardo e solo in quel momento si rese conto della presenza del biondo. Accanto ad Hermione, Zabini la fulminò con lo sguardo.
- Molto bene, allora voi due – indicò i due Caposcuola rimasti – fatemi il piacere di chiedergli se ha visto o meno qualcosa, dopo di che siete pregati di raggiungermi nel mio ufficio insieme agli altri.
Lanciata la bomba, la Professoressa non si trattenne neppure un istante in più e sparì oltre la porta dell'Infermeria in un fruscio di mantello.
Blaise non aveva ancora smesso di augurare alla piccola Gryffindor accanto a lui ogni male, per cui continuava a guardarla come se si aspettasse di vederla prendere fuoco da un momento all'altro. Lei, però, che era alquanto più pragmatica e non si lasciava certo intimidire da un'occhiataccia di un pomposo Slytherin, seppur decisamente scocciata di dover avere a che fare di nuovo con Malfoy, decise di prendere in mano la situazione ed afferrare Zabini per un gomito, tentando di farlo avvicinare al letto d'infermeria accanto a cui sostava – ancora – il suo compagno di malefatte.
- Non ho bisogno della balia – borbottò Blaise, liberandosi del tocco della Granger con un'espressione piccata. Hermione sbuffò in totale disaccordo, ma decise che era meglio non approfondire la questione.
Quando Draco Malfoy si girò – in maniera del tutto casuale – verso loro due, un'espressione quasi divertita gli piegava il lato destro delle labbra leggermente all'insù, mentre gli occhi rimanevano di quel particolare grigio ardesia, tanto limpido da dare l'impressione di essere trasparente.
Ad Hermione, comunque, non sfuggì lo sguardo d'intesa che si erano appena scambiati i due Slytherin, e il disappunto per essere esclusa da quella silenziosa conversazione le piegò i lineamenti del viso.
- Posso fare qualcosa per voi? - domandò Malfoy, in un tono cortese così incredibilmente falso che sembrava quasi li avesse appena insultati.
Blaise spostò gli occhi da Draco ad Hermione, poi si portò le dita alle tempie e, chiusi gli occhi, cominciò a massaggiarle lentamente, come se tutt'un tratto l'avesse colto un incipiente mal di testa.
- Sì, - rispose invece la ragazza, senza riuscire a reprimere l'impressione di essersi ritrovata in mezzo un gruppo di pazzi, - la professoressa McGranitt si chiedeva se avessi visto qualcosa di ciò che è successo, mentre io personalmente mi chiedo se tu sappia qualcosa di questa storia.
Draco assottigliò pericolosamente gli occhi ed incrociò le braccia al petto. - No – rispose, laconico.
- Bene, - esordì Blaise, mentre gli altri due continuavano a guardarsi con circospezione, - direi che possiamo andare!
Nessuno sembrò ascoltarlo. Daphne, ormai addormentata, non sembrava essere minimamente disturbata da quella “conversazione” tutt'altro che silenziosa. Draco ed Hermione, ignorando del tutto le parole – e la presenza – di Zabini, si stavano squadrando con circospezione, gli occhi nocciola scuro di lei che si riflettevano, decisi, in quelli di lui.
- D'accordo – sospirò infine Hermione, che si sentiva come se fosse uscita sconfitta da una sfida col biondo, ma che davvero non aveva tempo né abbastanza pazienza per sottostare a quei giochetti infantili, - Andiamo, Zabini, la McGranitt ci aspetta.
Blaise lanciò un'ultima occhiata a Draco, nell'estremo tentativo di renderlo partecipe di qualcosa, ma Malfoy era troppo concentrato a fissare la schiena della Granger che stava uscendo dall'Infermeria, per dare retta al suo migliore amico. Scosse la testa, sconsolato e confuso, e seguì la Caposcuola Gryffindor. 

   
 
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