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Autore: Ruta    02/12/2015    1 recensioni
Ricorda come ci si sente: scoprirsi improvvisamente soli, tra le macerie di un mondo vecchio e familiare, a farsi largo nella prepotenza delle pareti di quello nuovo ed estraneo, senza sorrisi affettuosi o parole amiche a dare manforte in quella lotta impari tra colossi (da una parte lo schieramento dei ricordi ancora così recenti, dall’altra la sconfinata vastità dell’ignoto, il ‘dopo’ grigio e smorto che fa da seguito indesiderato a ogni perdita). È l’inferno dei vivi, di chi rimane.
Genere: Erotico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Molly Hooper, Sherlock Holmes
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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infer

L’inferno dei vivi

 

 

 

 

L’uomo che dovrebbe essere morto per il mondo intero, per il microcosmo di persone care a cui lui è sinceramente affezionato, è seduto sul bordo del suo letto e fissa con occhi vacui la lunga trafila di libri sulla mensola del camino che nella semioscurità della camera da letto assomigliano a villette a schiera in miniatura.
Che lui sia stanco è comprensibile, che sia infelicità quell’ombra che gli ha trasfigurato il volto in una maschera da anima dantesca è altrettanto facile da indovinare.
Molly però sa, vede. Sa che non è semplice stanchezza ad appesantirgli le spalle ampie, a irrigidirgli il profilo volitivo della mandibola, a rendere la linea solitamente fiera della sua schiena una visione spezzata, a offuscargli lo sguardo e renderlo muto, sordo, cieco a quanto lo circonda. E non è infelicità quell’incendio di buio che ha manomesso la luce trasparente e affilata dei suoi occhi penetranti. La tenebra di un’ignoranza che genera ansia e timore, che gravita attorno alle predizioni di un’unica parola: quanto
Non è il come a spaventarlo, non è l’enormità della frotta fantasma dei nemici che intende sgominare nell’immediato futuro; non è neppure il perché, quei motivi, sentimenti, che infine ha scoperto essere così importanti e fondamentali. 
La risposta è dolorosamente facile da elaborare. Come un allievo che, dopo anni di studi infruttuosi trascorsi ad armeggiare goffamente con i ferri del mestiere del prestigiatore che ammira, finalmente scopre il trucco magico che è il cuore dell’illusione creata dal maestro, Molly deduce l’uomo che ha aiutato a morire, l’uomo il cui nome non è più unicamente marchiato dentro di lei in stanze di gioia privata, ma sarà presto inciso su pietra, a vegliare una tomba vuota e il segreto di una bugia che le è costato la coscienza.
Ne è valsa la pena. Non intende rimangiarsi nulla di ciò che ha detto, non si rammarica per quanto ha fatto. Non c’è pentimento che tenga di fronte all’altra opzione in oggetto, non se questa equivale alla morte reale, inconcepibile dell’uomo straordinario che occupa la camera da letto del suo appartamento ordinario.    
Ricorda come ci si sente: scoprirsi improvvisamente soli, tra le macerie di un mondo vecchio e familiare, a farsi largo nella prepotenza delle pareti di quello nuovo ed estraneo, senza sorrisi affettuosi o parole amiche a dare manforte in quella lotta impari tra colossi (da una parte lo schieramento dei ricordi ancora così recenti, dall’altra la sconfinata vastità dell’ignoto, il ‘dopo’ grigio e smorto che fa da seguito indesiderato a ogni perdita). È l’inferno dei vivi, di chi rimane.
L’inferno di Sherlock è di un tipo perfino più brutto di quanto sia stato il suo. Nella versione che ha vissuto lei, c’era la certezza inossidabile che tutto si sarebbe sistemato. Non si trattava di sciocco ottimismo o di fatue speranze giovanili. Tutto sarebbe andato per il meglio perché lei avrebbe badato a che ciò accadesse e così è stato. Con la testardaggine che in pochi sono abbastanza bravi da attribuirle, Molly è uscita da quell’abisso di solitudine.
Per l’abisso di Sherlock non c’è una via di fuga istantanea. L’uscita non va trovata, va costruita. Pezzo dopo pezzo dopo pezzo ancora. E ci vorranno anni, occorrerà qualcosa di più forte della testardaggine. Occorrerà… Già. Il pensiero e la consapevolezza le si frantumano dentro, le penetrano fino alle ossa, le risucchiano il respiro. Incrocia il profilo del proprio riflesso nello specchio e l’espressione angosciata che v’intravede la spinge finalmente a disancorarsi dalla porta della camera per riempire la distanza che la separa da Sherlock.
Non voleva imporre la sua presenza come qualcosa d’ingombrante; voleva concedergli del tempo, uno spazio per riprendersi prima del… Che sciocca. Non riesce neppure a pensarlo. Che conforto può offrirgli? Che armi ha nel suo arsenale che non siano frasi di circostanza detestabili? Ha solo verità con sé, ma non è quello di cui lui ha bisogno.
La curva pietrificata del suo corpo longilineo, racchiuso su se stesso e sul proprio dolore, è un boccone amaro da mandare giù. Allo stesso modo lo diventa la completa esplorazione della sua faccia fino a poco prima in ombra. Vestito della propria eleganza come se fosse l’abito smesso di qualcun altro, capelli scarmigliati per le troppe volte che ci ha passato le dita attraverso, colorito esangue e una smorfia che è tutto fuorché inespressiva, Sherlock ha smesso di essere Sherlock. Al tramonto della sua morte, all’alba dell’impresa che incomincerà l’indomani per riscattare il suo nome e riconquistare il diritto a essere se stesso sotto il sole, Sherlock non sa più chi è, o meglio come esserlo. È l’uomo le cui convinzioni ha visto crollare come un castello di sabbia, spazzate via dalla risacca. E’ l’uomo che ha scoperto di avere un cuore e che l’ha perduto nel medesimo giorno. No, che se lo è visto strappar via dal petto, ancora caldo e pulsante di vita.
Verità dappertutto, intorno a loro. A Molly sembra di non vedere altro. Verità che sono riverberi di puro dolore, che s’infrangono ai loro piedi come il ritorno dell’onda, che le crepitano repentinamente ai bordi degli occhi.
- Piangi?
Non c’è sorpresa nella voce di Sherlock, colorita da una lievissima nota di canzonatura, appena percepibile per lei nella baruffa in atto tra anima e mente.
– E’ tipico di te, Molly.
Il breve sorriso che le scocca non è che una controfigura di quello sarcastico e sprezzante che è il suo marchio di fabbrica.

Piango per te che non vuoi.
Tace, ma non per avvilimento. È stufa di mortificare ciò che prova, di castigare se stessa. Credeva che la prospettiva peggiore fosse perderlo. Non aveva capito nulla. Il peggio è vederlo andare via senza avere la sicurezza che ritornerà.
- Sei così prevedibile.
Non è un complimento. Essere prevedibile è noioso, ma da un certo punto di vista, osservato in una certa ottica favorevole, la prevedibilità possiede anche qualcosa di rassicurante. La prevedibilità è affidabile, sulla prevedibilità si può costruire la garanzia di un futuro.
D’altro canto l’imprevedibile non può essere domato o educato, solo incanalato in differenti versioni di sé, meno azzardate. Dell’imprevedibile non puoi fidarti e da lui devi guardarti le spalle.
Nella prevedibilità del suo pianto c’è l’imprevedibilità del silenzio che si protrae da parte sua. È una scelta consapevole. È la sua scelta, pensa Molly. Non c’è conforto che possa offrirgli che lui voglia, perciò gli mette a disposizione il suo silenzio. Al silenzio non possono esserci obiezioni per la stupidità delle sue asserzioni. Sherlock non è uomo di parole, tranne che nei casi in cui quelle parole si assoggettano al suo voler essere magniloquente e brillante, ma d’azione e di ragionamenti e il lutto non lo rende diverso. Il lutto non gli farà apprezzare espressioni di rassicurazione, per quanto gentili possano essere. Sherlock in questo momento non vuole gentilezza. Se non l’ha voluta in passato, infatti, perché dovrebbe adesso? Ecco il perché del suo silenzio.
Eppure non può evitare di essere se stessa e se il suo silenzio è fragoroso, rumoreggia degli echi delle tante frasi inespresse, allora il suo pianto quieto non ha freni inibitori che lo contengano. Non sa se sia a causa dell’uno o dell’altro, se sia per il primo o il secondo o forse per entrambi, ma l’immobilità di Sherlock si attutisce e nell’amarezza contrariata e fiacca delle labbra serrate, degli occhi socchiusi, delle mani strette a pugno ecco che divampa una tristezza che è violenza soppressa e costernazione insieme.
Molly piange più forte, poggia il palmo aperto sulla sua guancia, sente al tatto la tensione che emana, il nodo di trazione di nervosismo ed eccitazione che ancora non si è sciolto. E’ una sorpresa che lui non la scacci via, come un dono inaspettato. Quando Sherlock le prende il polso e glielo piega in modo da averlo davanti alla bocca, Molly può sentire il suo respiro accarezzarle la pelle e non vorrebbe, ogni parte di lei le urla che è scorretto e meschino, ma non può evitarsi di rabbrividire per quanto le risulta piacevole.
Quanto segue, lei non avrebbe mai potuto immaginarlo, figurarsi preventivarlo. Sherlock si spoglia con movimenti meccanici, come un ragazzino che ripeta le azioni che ha visto compiere all’adulto che desidera emulare. Se Molly avesse abbastanza spazio per altri sentimenti, l’idea la riempirebbe di tenerezza e soggezione, ma non c’è spazio che tenga né per sentimenti né per pensieri. Non c’è spazio per niente che non sia il desiderio di lui, di averlo vicino, di sentirlo sopra e dentro di sé, di sentirsi soverchiata da lui, ma non oppressa, mai.
Non si spoglia. Lascia che sia lui a farlo, l’automatico che cerca di nascondere l’impaccio dell’inesperienza. Sherlock le sfila il reggiseno e quanto lo rendeva incerto sembra di colpo sparire. C’è bramosia nelle sue mani, adesso, nella bocca che cerca la sua e la trova con sicurezza, nella scia di baci ruvidi con cui le percorre la spina dorsale.
Lei risponde con uguale forza. Si volta tra le sue braccia e affonda il viso nel suo collo, gli morde il lobo dell’orecchio, annusa il suo odore così diverso dal solito a cui è abituata. Sa di sale e sudore e adrenalina e dei rimasugli di colonia costosa con cui deve essersi irrorato la mandibola il giorno prima. Sapeva cosa lo attendeva, sapeva di essere condannato, ma ha scelto di presentarsi al patibolo senza cedere niente di sé o delle sue abitudini.
- Non ti amo.
È una doccia d’acqua fredda che le si schianta addosso. Agghiacciata, Molly s’irrigidisce nell’abbraccio di Sherlock, ma non molla la presa, non gli permette di allontanarsi. Prova pena, umiliazione, rabbia e costernazione, non in questo preciso ordine. Cerca di non badarci, di non concentrarsi sul boato che quelle tre semplici parole hanno avuto il potere di esercitare su di lei.
Cosa si aspetta da lei, dopo una frase del genere? A che scopo pronunciarla, tanto per cominciare? Specie in quel frangente, con le loro braccia e gambe che collimano e cercano una posizione che non sia di contrasto tra loro?  
- Non ti amo, Molly Hooper.
Gli prende il volto tra le mani e lo bacia con furia cieca per silenziarlo, come se volesse porre una barriera tra lei e il sussurro che lui continua a confessarle contro la gola e poi più giù, lungo i seni. L’abbattimento e lo sconforto le agguantano il petto, comunque non riescono a spegnere l’amore. Molly prova un senso di struggimento attanagliante, sbalordimento e desiderio ardente e tormentoso per la bellezza di lui, più vivo che mai nella sua non-morte, nella disperazione, nella disgrazia di tutto ciò che gli è piombato addosso.
Sherlock continua a ripeterle che non la ama e ogni volta, se possibile, le è più pesante e difficile da gestire.
Molly sa cosa sta facendo, perché lui lo stia facendo. Agisce con cognizione di causa, per lo stesso motivo che spinge lei a non parlare. Il suo amore per lui, ora come ora, è un peso sgradito, indesiderato, tanto quanto lo era prima, anzi forse perfino di più. Molly non si fa illusioni di sorta. Dirgli che lo ama non diventerebbe per lui un motivo in più per fare ritorno, semmai sortirebbe l’effetto opposto. Lo riempirebbe di sgomento e senso di colpa, d’inadeguatezza. Sherlock è fatto per provare grandi sentimenti, ma non per ammetterli. Perciò accetta con un groppo di turbamento che le dica che non la ama. Non è una ragazzina. Non ha bisogno di essere riamata. L’amore non esiste solo in funzione di altro amore, è amore anche quando riceve in risposta odio e disprezzo e indifferenza.
Che sia vero che non la ami o che non sia vero e stia cercando di proteggerla dalla possibilità di un suo ipotetico non ritorno, a Molly non interessa. Si è ripromessa di offrirgli la protezione del suo silenzio, il conforto dell’assenza di frasi fatte. Inoltre non riesce a immaginare un momento meno opportuno per ammettere ciò che prova, non adesso che lui pare convinto che ci sia, per quanto remota possa apparirgli, l’eventualità che quell’addio sia definitivo.
Il regalo che gli sta facendo è il suo silenzio e anche lui, a modo suo, sta cercando di dimostrarsi gentile, di proteggerla nella sua maniera contorta. Le sta lasciando la possibilità di tirarsi indietro, le sta dando una scusa per detestarlo. In questo non ha ancora imparato a conoscerla. Non potrebbe detestarlo neppure se lo volesse e anche se sa che non si tratta dell’addio definitivo, il fatto che lui possa anche solo pensare che lo sia le impedisce di districarsi dalla sua presa.
Nel suo caso era testardaggine. Nel caso di Sherlock, invece, sarà la disperazione a farlo uscire dall’abisso. Il coraggio disperato di chi osa tutto per tutto.     

         

 


N/A:

Sono tornata, più o meno. Con la mia prima storia “a luci rosse”, fondamentalmente senza trama o uno straccio di dialogo -___-. Ma va bene così, facciamocelo bastare xD e ridete con me, pensando al fatto che se l’ho pubblicata è soprattutto perché MIO PADRE (sì, lo so. Paradossale) mi ha spronato a farlo. Tecnicamente non sapeva di che storia stessi parlando, sono rimasta sui generis mentre un paio di giorni fa, forse una settimana fa, al telefono mi lamentavo con lui del fatto che in treno, mentre andavo a lavoro, mi era venuta in mente questa storia strappalacrime che purtroppo si era persa nel labirinto della mia memoria perché come al solito non avevo portato con me carta e penna per appuntarmela. E niente, da quel momento lui mi ha chiesto praticamente OGNI GIORNO se mi fosse tornato in mente qualcosa e a furia di chiedermelo me ne sono ricordata! Il metodo funziona. Credere per provare.
Oddio, che razza di note xD a mia discolpa dico soltanto che esco da un turno di dieci ore e da una settimana di straordinari sul lavoro per coprire i prefestivi di Natale, perciò compatitemi e mostrate un briciolo di simpatia.
Spero che, note a parte, la lettura sia stata tutto sommato piacevole. Come primo tentativo a rating rosso, che ne dite? Può andare? Ai posteri l’ardua sentenza ;)

 

  
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