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Autore: Will P    02/03/2009    2 recensioni
Ci sono tanti modi per affrontare una perdita. Raidou si sveglia nel cuore della notte, ed è costretto a sceglierne uno alla svelta.
[Genma/Raidou; post cap. 92]
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Genma Shiranui, Raido Namiashi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Naruto prima serie
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Aftermath

Aftermath

 

È buio pesto quando Raidou apre gli occhi.

Una parte del suo cervello, quella cosciente e appena svegliata, brontola incoerentemente che non ha voglia di andare al lavoro ora, porca miseria, mentre un’altra parte, il suo orologio biologico, lo informa che non è ora di andare al lavoro, anzi, sono le tre di mattina; intanto qualcos’altro, ad un livello più profondo, istintivo, avverte che c’è qualcuno nella stanza.

È addormentato per due terzi ma non ha bisogno di altro per riconoscere quel chakra.

“Mmmn” Rotola sull’altro fianco. “Chèssuccesso?”

La stanza è ampia e vuota, un armadio per i vestiti, uno per le armi, un futon in più sotto una scrivania. Una pianta alla finestra, dall’aria moribonda. Niente tende. La sua vista si sta aggiustando alla luce debole della luna, ma ci sono angoli dove la luce non arriva.

E nessuno gli risponde.

“Genma?”

Genma non risponde, ancora. Raidou sta iniziando a pensare di alzarsi, le dita che si avvolgono automaticamente attorno al manico di un kunai, perché c’è qualcosa che non va.

Genma fa un passo avanti, un’ombra che esce dalle ombre, e si avvicina al letto. La cosa successiva che Raidou registra è che lo sta guardando negli occhi, che Genma è inginocchiato sopra di lui e lo sta scrutando e contemporaneamente non lo sta scrutando, come se cercasse qualcosa oltre. Raidou si è perso il tragitto dall’angolo al letto; è piuttosto convinto che sia colpa del modo in cui il chakra vortica e ribolle e urla - lo sa, lo sente - nel corpo di Genma, più che del sonno o della velocità dell’altro.

C’è qualcosa che non va.

Il chakra di Genma si sta spezzando.

C’è qualcosa che non va, e Genma è in ginocchio sopra di lui e sta piegando la testa di lato, come se stesse studiando un codice particolarmente complicato, lasciando scivolare i capelli fuori dal collo della divisa. Non porta la bandana.

“Genma?”

La pelle di Genma sembra porcellana sotto la luna. È bianca e liscia, senza cicatrici - non che non ne abbia, Raidou sa che ne ha, sotto i vestiti, sotto la pelle, ancora più sotto - innaturale. I capelli biondi gli cadono ai lati del viso, come una cornice; riparano il suo profilo dalla luce, ma qualche raggio passa comunque, illuminando uno zigomo, delle ciglia, la curva del mento.

Raidou non vede nulla di tutto ciò. Non ha tempo prima che Genma si pieghi su di lui e ogni cosa diventi frenetica.

Che hai? dice prendendolo per i fianchi. Parlami dice lasciandosi inchiodare al cuscino da labbra che non baciano, non mordono, non divorano. Sembra che Genma non sappia cosa stia facendo. Che l’unica cosa che gli importi sia essere qui, ora, dappertutto.

Sente il chakra sconvolto nelle dita dell’altro mentre le passa ovunque, toccando, non accarezzando, assicurandosi che Raidou ci sia. Genma gli tocca la spalla, il braccio, il collo, il petto, di nuovo il collo, senza senso, senza sosta, insistente. Sente un ringhio sulla sua bocca, le mani di Genma che artigliano rabbiose la maglietta logora che usa come pigiama, troppo leggera per quel periodo dell’anno, come tutti i vestiti che possiede.

Si staccano, entrambi per respirare. Genma per togliere la maglia di Raidou; Raidou per prendergli il viso tra le mani, restare fronte contro fronte, sentire sotto le dita tensione, energia, guance bagnate.

Genma ha il respiro pesante, e deglutisce ancora e ancora, ma non dice niente. Si strappa di dosso la giacca della divisa, che cade da qualche parte, poi la maglia nera. Non allontana per un attimo il viso da quello di Raidou.

Sono qui dice scostandogli i capelli dietro l’orecchio con un gesto dal sapore antico. Genma continua a fare respiri tremanti, ad occhi chiusi, vagamente più calmo ma non ancora pronto a parlare. Ogni tanto sfiora ancora i polsi di Raidou, o la sua cicatrice, e Raidou non sussulta nemmeno. Ogni tanto trova le sue labbra, alla cieca, non ancora un bacio ma qualcosa che dice a Raidou più di quanto qualsiasi altro gesto gli abbia detto finora.

Genma invece non parla.

Passano ore che sembrano secoli ma più probabilmente sono solo minuti, in silenzio. Raidou continua ad accarezzargli i capelli e tenerlo caldo, ad esserci.

“Hayate è morto.”

C’era qualcosa che non andava.

“Non-” Genma si blocca, deglutisce una, due volte. Raidou non sa se per bagnarsi la gola o respingere la nausea. “Non me l’hanno fatto vedere. Hanno solo detto che il corpo era… top secret.”

Deglutisce. Di nuovo. Di nuovo.

E Raidou aspetta.

“Dovevo esserci io.”

Quando qualcuno cade in missione è sempre colpa di chi è sopravvissuto. Non è vero, ma non c’è nemmeno modo di convincersene, è solo ingiustizia e dolore, e non è un dolore che si può razionalizzare.

Nemmeno se, dopo un po’, ci si dovrebbe abituare.

Soprattutto se chi è caduto in missione è una delle rare persone a cui hai permesso di avvicinarsi, entrare nella tua vita e diventare importanti.

Raidou non lo conosceva bene, ma Hayate è entrato negli ANBU lo stesso anno di Genma. Hanno avuto la loro prima missione insieme.

“Shh” sussurra. Passa un braccio attorno alle spalle di Genma - che sembrano così fragili - e lo fa sdraiare sul materasso al suo fianco, con la schiena al muro e il viso contro il suo collo. “Non è vero. Non c’eri, non potevi esserci. Stavi facendo il tuo lavoro, non c’entri. Non è colpa tua.”

Sa che Genma non ci crederà. Non ci crede mai nessuno, ma c’è sempre bisogno di qualcuno che lo dica. Alla fine si convincerà da solo, come fanno tutti i sopravvissuti. Chi non ce la fa smette ben presto di essere un sopravvissuto.

“Non potevi farci nulla. Non è colpa tua.”

Raidou va avanti, parole dette a voce bassa che scivolano su Genma come aliti di vento, riportando ordine al chakra, riportando la stanchezza a galla insieme a sofferenza e debolezze. Va avanti come se niente fosse quando sente umido contro la clavicola; stringe solo Genma più forte, un braccio attorno alle spalle e uno attorno alla vita, e va avanti.

Va avanti finché la luce dell’alba non sfiora il profilo addormentato di Genma.

 

 

 

 

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Sono tornata in vena dei miei due tokubetsu jounin preferiti, e ne approfitto per giocare un po’ con lo stile (che probabilmente è folle) e delle tematiche che in altri fandom non potrei affrontare… il mio bisogno di morte e sangue si fa sentire, che vi devo dire? Qui c’è stata la morte, presto ci sarà il sangue. Muaha.

Ricordate sempre che Namiashi Raidou e Shiranui Genma sono amore da soli, in coppia, presi dopo i pasti o come vi pare, e si meritano consierazione e fanfiction! E porno! *paladina dei Jounin Ignorati Di Konoha*

Feeeeeeel the jounin love~!

Will

   
 
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