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Autore: Curleyswife3    03/12/2015    1 recensioni
[M.A.S.K.]
[M.A.S.K.][M.A.S.K.]Il 30 settembre 1985 veniva trasmesso negli USA il primo episodio di M.A.S.K.
Oggi, trent'anni dopo, fioriscono le iniziative per festeggiare un compleanno tanto impegnativo e io voglio dare il mio piccolo contributo con questo racconto.
Che è soprattutto una storia d'amore, ma non solo. È anche una storia sull'amore, il monello con le ali che tutto vince e tutto sconvolge. Sulle sue sorelle maggiori - colpa, redenzione, speranza - e sul suo fratello più ingombrante, il dovere.
Su ciò che siamo o non siamo disposti a mettere in discussione per amore.
Un racconto che ha l'ambizione di dare alla serie ciò che gli autori non hanno ritenuto necessario, vale a dire un finale. Un finale vero, corale, in cui ciascuno trova il suo posto come le tessere di un puzzle riuscito.
Al racconto è agganciata una playlist di canzoni (a ogni capitolo corrisponde un titolo) che potete già ascoltare su youtube nel mio account, che ha lo stesso nickname: è una specie di "sommario emozionale" della storia, fatemi sapere se l'idea di piace! Vi lascio di seguito il link.
https://www.youtube.com/playlist?list=PLTL5afe9YpdjzGwDOuNpkZymR_g9EL4qp
Genere: Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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A NEW DAY HAS COME  
 

Aggrappata al piccolo lavabo di metallo, Vanessa aspettò qualche secondo sperando che la nausea passasse; le girava la testa e sentiva in bocca un disgustoso sapore di fiele.
Si sciacquò energicamente il viso, convinta che l’acqua fresca le avrebbe dato sollievo, e si sforzò di respirare profondamente e con lentezza fino a che il malessere non le diede una tregua.
Accidenti – considerò, asciugandosi la faccia - nessuno mi aveva spiegato che sarebbe stato così fastidioso!
Quando uscì dalla toilette doveva avere un’aria così pallida e sbattuta che entrambe le hostess che incrociò lungo il corridoio le domandarono se avesse bisogno di qualcosa e se si sentisse bene.
Tranquille - pensò sarcastica - non ho nessuna malattia contagiosa, sono solo incinta.   
Si sedette al suo posto, tentando di trovare una posizione comoda, e lasciò vagare lo sguardo fuori dal finestrino dove si scorgeva luccicare la superficie argentea dell’oceano sotto i primi raggi rosati dell’alba.
Chiuse gli occhi un istante, rilassando i muscoli della schiena.
Una piccola fitta all’inguine la costrinse a riaprire le palpebre.
Si guardò la pancia: era ancora quasi impercettibile, ma ben presto avrebbe cominciato a vedersi.
A ben pensarci, era stato quasi un miracolo che Matt la sera prima non se ne fosse accorto.
Aveva rischiato grosso: sapeva che era stato un errore fare l’amore con lui, che così aveva corso il rischio di rovinare tutto, eppure ancora una volta non era riuscita a non cedere.
Inutile - considerò amaramente - quell’uomo esercitava ancora, e nonostante tutto, un incredibile potere su di lei.
Del resto, come avrebbe potuto essere diverso? Anche senza volerlo, anche se non l’avrebbe mai amata davvero, era riuscito a cambiare la sua vita come nessun altro.
Era stato devastante non potergli dire la verità, ma l’alternativa sarebbe stata anche peggiore.
Per lui, soprattutto per lui.
Se ne era resa conto fin dal primo momento in cui aveva capito di essere incinta: dirglielo sarebbe stato un atto di egoismo, avrebbe sconvolto tutta la sua esistenza, l’avrebbe fatto sentire costretto - era certa che non si sarebbe mai tirato indietro - ad assumersi delle responsabilità che forse non voleva. E che di sicuro non voleva assumersi insieme a lei. 
Si strinse nelle spalle.
Non le era mai capitato di immaginarsi con un bambino… anzi per dirla tutta aveva sempre preso ogni precauzione necessaria affinché non succedesse niente del genere; certamente, la vita che faceva era incompatibile con qualsiasi idea di maternità e lei si sentiva lontana anni luce rispetto a un’idea tradizionale di famiglia che non aveva mai conosciuto e che le pareva solo una fastidiosa prigione.
Era sempre stata attenta, sì, ma non quella volta. E non solo perché non avrebbe potuto, ma soprattutto perché non aveva minimamente pensato alle conseguenze di ciò che stava facendo.
Contro ogni buon senso, contro ogni prudenza, si era abbandonata completamente a lui.
Del resto, perché non avrebbe dovuto fidarsi? Era lui il buono, tra loro due. Quella inaffidabile, sleale, subdola, era sempre e solo lei.
Aveva lasciato che accadesse senza riflettere e adesso non poteva tornare indietro.
Forse allora era quello essere innamorati? Che ogni cosa detta o fatta aveva delle conseguenze dalle quali non sarebbe mai più stata in grado di tornare indietro?
Quando aveva capito di essere incinta la prima reazione era stata di incredulità. Subito dopo, quando si era resa conto che non si trattava di un errore, era stata presa dal panico: era terrorizzata per le conseguenze, sicura che non sarebbe mai stata capace di essere una madre decente.
Sola, completamente sola.
Eppure, al di là di tutto, l’idea di quella nuova vita che stava crescendo dentro di lei la riempiva di calore, di speranza. Era essa stessa una nuova speranza.
Il pensiero che nonostante l’enorme distanza tra loro, nonostante il suo passato, qualcosa di ciò che erano stati per un breve momento sarebbe sopravvissuto… ecco, questo pensiero l’aveva sorretta nel dolore, l’aveva fatta sorridere anche nei momenti più bui, persino quando pensava che tutto fosse perduto.
Invece il destino le aveva regalato una seconda occasione, anche se probabilmente non la meritava, e non doveva lasciarsela scappare.
Adesso doveva smetterla e guardare avanti.
In fondo - sospirò con un sorriso amaro - un amore non corrisposto non era una pena fin troppo mite per i suoi innumerevoli crimini?
Si guardò di nuovo la pancia, ora con profonda tenerezza.
Un nuovo inizio, una nuova vita la aspettavano.
 
***
Matt si passò una mano sul viso pallido e teso e si appoggiò contro lo schienale della poltrona di pelle, che si inclinò appena.
Aveva centinaia di cose da fare - la documentazione per la fusione con una società coreana che il suo ufficio legale gli aveva sottoposto già due giorni prima ancora da esaminare, un giornalista francese che aspettava fuori dal suo ufficio da un’ora per l’intervista che avevano concordato da almeno sei mesi e la conference call con New York del pomeriggio che doveva ancora preparare - ma la sua mente continuava a rifiutarsi di obbedire.
Vanessa Warfield era riuscita ancora una volta a spiazzarlo.
Non gli era mai capitato di svegliarsi da solo dopo aver trascorso la notte con una donna; anzi, a volte era stato lui a sgattaiolare via frettolosamente accampando la scusa di qualche impegno di lavoro indifferibile.
E invece lei non solo lo aveva piantato così, ma pareva essersi volatilizzata. L’aveva cercata, ma da quel poco che era riuscito a sapere - per lui era dannatamente difficile farlo senza destare sospetti - sembrava di nuovo sparita nel nulla.
Chiuse gli occhi e sospirò, ricordando ciò che era accaduto la sera prima. 
La sua nemica gli aveva aperto il cuore completamente, senza riserve. L’emozione che le sue parole gli avevano lasciato dentro era ancora viva, tangibile.
Sì, lei era stata sincera… ma lui, lui, lo era stato altrettanto?
Prima di lei tutto era stato infinitamente più semplice: conoscere Claire all’università, innamorarsene e poi sposarla.
Così facile, naturale, quasi scontato.
Poi però la sorte si era presa una terribile rivincita e improvvisamente la sua vita era stata sconvolta.
Dopo Claire c’erano stati il vuoto e la solitudine nel suo cuore per tanto, troppo tempo. Fino a che, per un incredibile scherzo del destino, nella sua vita non era entrata Vanessa.
Incrociò le mani dietro la testa, gli occhi socchiusi.
I momenti con lei non erano stati molti, eppure erano bastati per rendergli impossibile dimenticarla, dimenticare come era tra loro e come avrebbe forse potuto essere.
Se si fossero incontrati su un pianeta diverso.
Trasse un respiro profondo e si raddrizzò.
Basta.
Doveva smetterla di rimuginare su di lei.
Ora che aveva la certezza che non avrebbe mai rivelato il suo segreto, ora che sapeva che stava bene e aveva deciso di cominciare una nuova vita lontano da lui, era arrivato il momento di chiudere.
Con lei e con tutto ciò che aveva rappresentato.
In fondo, gli ricordò il suo orgoglio maschile ferito, non era stata lei a piantarlo in asso?
Certo, lo aveva fatto perché lui le aveva lasciato credere qualcosa che non era vero fino in fondo.
Forse avrebbe potuto spiegarle che si sbagliava, che le cose avrebbero magari potuto essere diverse per loro. O forse aveva sperato che lo capisse da sola.
No, la verità era che ancora una volta gli era mancato il coraggio.
Che si era lasciato sopraffare dai milioni di ostacoli che ancora esistevano sul loro cammino, dai pregiudizi, dalla diffidenza, dalla paura di perdere la sua credibilità, il controllo della sua vita perfetta e tutta la sua preziosa autorevolezza.
D’improvviso gli tornò in mente una frase che Bruce aveva tirato fuori mesi prima e che sul momento non gli aveva suscitato alcuna emozione.
Il suo amico giapponese aveva citato Lao-Tsu, dicendo qualcosa del tipo: “chi vince gli altri è potente, ma solo chi vince se stesso è forte”.  
“Basta” ripeté ad alta voce.
Respirò ancora una volta profondamente, deglutì e premette il pulsante dell’interfono.
“Jennifer” disse, con tono perfettamente calmo “Faccia entrare monsieur Dupont”.
   
 
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