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Autore: theuncommonreader    04/12/2015    2 recensioni
|Nuova introduzione | Zeus/Persefone; Ade/Persefone|
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Prima della regina degli Inferi, prima di Persefone, c'è Kore, la giovane incarnazione della primavera. Per un Immortale le stagioni scorrono in un ciclo senza fine, ma l'esistenza della figlia di Demetra ha preso a girare impazzita: la vita ritirata che ha condotto in Trinacria non l'ha preparata ad affrontare se stessa e la sua stirpe, e ora un segreto più grande di lei le grava sulla coscienza: un segreto che, privata della sua confidente, deve tenere per sé; che sua madre è disposta a tutto per scoprire; che suo padre non desidera altro che celare.
A tutti è richiesto un sacrificio - ad alcuni più di altri. Ma la bilancia del Fato non tiene conto di Odio e Amore, solo di Necessità, e quando servirà uno sposo, poco importa che si tratti di chi le ha portato via la sua Leuce e che il suo sia un regno remoto e inaccessibile: il Caso non esiste e Kore è fiduciosa di avere una meta. Scoprirà, però, che quando ci si crede arrivati, spesso bisogna ancora partire.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Demetra, Persefone, Zeus
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Triangolo
Capitoli:
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otto

VIII. 

Conoscere

inizia col

domandare




 

 

Una fragranza particolare le solletica l’olfatto.

Impossibile trovare parole per descriverla appieno, a qualcun altro o a se stessa, tanto è sfuggente. Non saprebbe dire con certezza neppure se il profumo ancora aleggi attorno a loro o se, semplicemente, si sia insinuato nelle sue narici e lì si sia annidato dalla mattina quando, di fronte all’altare di pietra imbrattato dal sangue dei sacrifici, ne ha avvertito il primo sentore, mentre i semi d’orzo piovevano loro attorno. [1]

Lo ha percepito, sconosciuto e alieno, pure celato da quello dello stucchevole, metallico liquido colato dalle gole spalancate di pecora e scrofa, e, dopo, camuffato dai fumi inebrianti della carne arrostita sul braciere mentre, tutti insieme, divinità e mortali, sedevano a banchetto [2]; un retrogusto, sottile e pesante assieme, facile da confondere con i teneri effluvi dei fiori spalancatisi alla nuova stagione; ma Kore, che uno per uno li conosce, trova l’estraneo, l’intruso tra essi.

Arriccia il naso, dunque, mentre il lucore del Sole, che accende l’aria immobile della danza di infiniti pulviscoli, le si insinua tra le palpebre socchiuse. Ora, così vicine all’occhio di Helios, il calore non è più una gentile carezza primaverile; si è fatto quello dei più aridi mesi estivi e sotto il peplo leggero, Kore sente il sudore pulito e salato raccogliersi sotto i seni ancora gonfi di latte, sotto le ascelle, nella piega delle braccia che stringono le ginocchia raccolte al petto.

L’argento del carro di Selene pare attirare irresistibilmente la luce del meriggio. Un lieve vapore emana dal sentiero di nuvole preparato per loro da Nefele, un nebbia priva di consistenza sollevata dal passaggio delle ruote e dalle enormi spire di Cicreide [3], mentre il drago striscia silenzioso e lento, per non lasciare indietro il loro seguito appiedato.

In cerca di una distrazione qualunque, Kore posa lo sguardo sulle sue ninfe a pochi passi di distanza, i loro calzari affondati nel sentiero umido che si dipana sulla schiena di Urano. Stando ai racconti di Ciane, una volta il mare stesso si apriva perché il cocchio di Demetra l’attraversasse, e le onde si ritiravano senza neppure bagnarle l’orlo della veste.

A lungo aveva interrogato sua madre sulla natura dei dissapori con lo Scuotitore di terra [4], ma non c’erano state risposte alle sue curiosità infantili. Atena qualcosa ne sa, Kore ne è certa, ma è troppo discreta per vuotare il sacco – e troppo savia per rischiare di offendere Demetra.

Che, di segreti, ne ha più d’uno.

Imponendosi di non guardare in basso, di non lasciare che l’Ellade che sfila via sotto di lei le riporti la mente ai monti che celano il suo piccolo Cacciatore Scalzo [5] – pure, Kore si concede di non incrociare gli occhi con sua madre. Li tiene fissi su Ciane, invece, ritta davanti al carro di Demetra, che conduce l’altro drago per la briglia, seguita dalle poche ancelle che non sono rimaste indietro a curare la stagione bella in vece loro.

Il volto dai lineamenti delicati è composto nella medesima espressione distratta che ha strappato ad Atena una smorfia di disapprovazione, mentre, dopo il banchetto, si scambiavano gli ultimi saluti; la medesima reazione, Kore ne è certa, avrebbe avuto la Cacciatrice – se si fosse presentata a porgere loro i saluti.

Ma no: sua sorella ha mandato Selene a imprestare loro il suo carro per il viaggio sopra il letto di nuvole, e a disapprovare è stata Demetra.

Kore non si è soffermata su certe formalità; neppure sulla fitta al petto nel toccare con mano la verità nei discorsi di Atena.

No.

Invece, ha scrutato Selene.

Un volto tondo e pallido, quasi l’argento del suo carro abbia colorato anche lei della stessa tinta. Le morbide onde dei capelli raccolte nella fascia, la falce di luna sulla fronte alta. Si è chiesta come sarebbe, posare le proprie su quelle labbra pallide, immergere le dita in quella chioma, liberata da ogni costrizione.

Si è chiesta cosa abbia provato, Zeus, nel giacere con la Luna – nel generare figli con quella creatura dall’aria dolce e malinconica, che si inchinava, pronunciava le parole di rito come nuotando in un invisibile oceano – ogni movimento, ogni gesto soffuso di rarefatta eleganza.

Kore tormenta con le dita la stoffa della veste, lo sguardo ancora su Ciane – sugli inequivocabili segni dell’innamoramento nella più cara delle sue ancelle. Chi è lei, che ha concepito un figlio col proprio padre, per rimproverarla? Una padrona ipocrita, se la rimbrottasse; e avvertirla, sebbene lo farà comunque, servirà a poco.

Ciane è destinata a soffrire come ogni altra di loro. Poiché Demetra ha ragione: sono tutte uguali, le femmine infatuate, e condividono una sorte sola.

E infine, Kore la guarda: sua madre, china a parlottare all’orecchio della ninfa che divide con loro l’onore di un posto sul carro.

Kore mai ha veduto una Graia [6], ma, pensa, per forza devono somigliare alla creatura che le siede di fronte.

Fragile come la tela di un ragno, segnata da rughe come crepe sul vetro; infagottata nell’himation, nonostante il caldo soffocante. Il biancore della sua chioma è più puro del sentiero di nuvole trapassato dall’occhio del Sole.

Non ha mai saputo che le ninfe potessero invecchiare – neppure le riesce di immaginare Ciane, o Leuce, con un simile aspetto. Calligeneia muove appena le labbra scarne, senza emettere suono; gli occhi di nebbia sono lontani – svaniti, come la sua fonte, ad Eleusi, e il suo senno. 

La mano di Demetra appare enorme posata su una sua spalla fragile; le dita dorate quasi sporcano tutto quel candore.

Anche sua madre è una figlia.

Kore la osserva di sottecchi, tormentando con le unghie il tessuto sudato del peplo sulle ginocchia. Non per la prima volta, cerca di evocare un’immagine di Demetra giovane: la dea fanciulla amata da Zeus, prima che, assieme, la concepissero.

Scruta i suoi tratti, così simili ai propri. Chronos, divorando anno dopo anno, non deve averli mutati di molto. Non le appare una vecchia, sua madre; solo, non le sembra una ragazza, un bocciolo appena dischiuso.

I petali di Demetra si offrono al sole spalancati e sgargianti, e Kore è certa che, se smettesse gli abiti austeri e l’espressione perennemente preoccupata che si è incisa sul volto, non mancherebbero amanti pronti a rallegrarle i giorni e giacere con lei nelle lunghe notti – ed altrettanto sicura è che Demetra non li accetterebbe.

Che sua madre protegga la santità del matrimonio non cessa di farla sorridere, sorrisi che hanno preso una piega amara.

Sua madre, che l’unione tra maschio e femmina l’ha sempre rifuggita, che ha solo lodi per chi sceglie la verginità – proprio lei divide l’onere con la grande sorella-moglie del suo antico amante, nonché con la dea che più di ogni altra le è lontana per indole.

Pafia.

Kore si morde le labbra, l’eco delle parole di Ecate che le annoda lo stomaco. Vorrebbe aprir bocca e, finalmente, scaricare in parte il fardello che quasi fisicamente le piega le spalle sotto la sua mole.

Sposta lo sguardo sull’anziana Calligeneia, sui suoi occhi perduti nel luccichio di Urano.

Esita.

Di nuovo torna a Demetra, che ora la ricambia – e vorrebbe domandarle cosa ci sia a Pafo – ma quell’odore perforante, il caldo che la soffoca, l’Ellade che si allontana; Selene e la sua faccia di luna; Atena, che osserva con distacco quel figlio che non è suo figlio, il simbolo di carne e scaglie di serpe del suo disonore sfiorato [7]; Artemide, che da troppo tempo la rifugge; Ciane e il suo cuore di innamorata, e Leuce, che l’ha lasciata per sempre: Kore potrebbe piangere per tutto questo, e di più.

Il rombo lontano di un tuono rompe il silenzio esausto della processione – un rimprovero alla sua debolezza, perché lui può sentirla, anche così separati. Kore percepisce la pioggia tremare, nelle nuvole bianche al disotto del carro, e chiude intorno ad essa dita invisibili, tenta di trattenerla dall’abbeverare la Terra.

Demetra la fissa e, sotto quell’esame, Kore si fa aria col dorso della mano.

« Figlia mia, è troppo rosso, il tuo viso, perché sia segno buono. »

Sua madre allunga le dita e le posa sulla fronte di Kore, la consueta preoccupazione a incresparle la fronte.

« Non è nulla di grave, davvero. » La voce le sfugge rauca dalla gola, e Kore deglutisce lenta. « È questo odore nell’aria, che mi confonde i sensi e fa dolere il capo. »

« Devi aver ispirato troppo incenso », sentenzia Demetra saggiamente, estraendo un otre dalla sacca abbandonata sui cuscini accanto a Calligeneia.

Glielo offre e Kore beve avidamente, lasciando che l’ambrosia le porti un qualche sollievo mentre sua madre continua, lo sguardo su un punto oltre le loro spalle. « Vorrei che tuo padre non ti avesse trasmesso questa sua afflizione, che l’avesse tenuta per sé solo. » Il tono è di biasimo, quasi Zeus potesse udirla e vergognarsi di quella manchevolezza inconsapevole.

Kore stacca l’otre dalle labbra, un’ultima occhiata distratta all’aria persa della vecchia balia. « Hai parlato con lui », dichiara, e si muove a disagio sui cuscini gonfi sotto le terga, come sedesse su rovi di spine. Demetra riporta a lei l’attenzione, contrariata. « Parole di troppo volano in casa di Atena. »

« Credeva mi avessi portato i suoi rimproveri, che per questa ragione la pioggia fosse cessata. »

Non c’è accusa, ma le pare di vedere un cremisi vergognoso sulle guance di Demetra.

« Nessun rimprovero per te, melissa [8]. Se qualcuno ha assaggiato il bastone, sono stata io. Per le mie sciocche, irrispettose richieste. » Una smorfia irosa le increspa le labbra. « Le Erinni devono avermi ottenebrato la mente, per impetrare che tuo figlio stesse con sua madre, secondo ogni legge di Natura. »

Un verso scappa a Kore, che abbassa gli occhi, il cuore una bilancia impazzita tra sollievo e dolore. « Non desideravo darti altri crucci, per questo ti ho taciuto il suo ennesimo torto, figlia mia. » Le dita sono sul suo mento, lo sfiorano in un gesto affettuoso.

Se solo sapesse, se solo sapessero tutti.

« Ti ringrazio ugualmente per aver tentato », pigola, un uccellino soffocato da una mano infantile, con la voce fievole e il cuore che scoppia. « Ha avuto altre parole, su di me? Per me? », indaga poi. Follia sarebbe, se le avesse rivelato di questo sposo segreto che non arriva, che Kore neppure attende più per davvero, dopo averlo proibito lui stesso.

Ma sua madre starebbe già rovesciando cielo e terra, se così fosse.

Demetra scuote lieve il capo, i polpastrelli che risalgono sulle sue tempie, come per scacciare da lì il dolore in virtù del solo tocco di madre.

« Nient’altro che lodi per il tuo senno. Deve sentirsi generoso all’eccesso: pensa che, sfidando le ire di mia sorella, ha persino riammesso la sposa di Ares Distruttore [9] a banchetto in Olimpo. »

Pare osservarla più acuta, da dietro le iridi, e Kore ricambia trepida, la domanda ancora sulla punta della lingua. Cosa c’è a Pafo?

« Non è forse durato abbastanza il suo esilio? »

« A non molte è mancata la vista delle sue belle natiche che ondeggiano per il palazzo di Zeus, te lo posso assicurare. » Il sorriso di Demetra è di scherno, ma è solo un attimo prima che il suo viso torni liscio come l’olio scosso nell’anfora. « Il nostro Padre Celeste cerca la lite con le più indomite tra le sue sorelle. »

Di nuovo una smorfia, come inghiottisse una medicina amara.

« Magari, i Mortali sono troppo dediti alle loro piccole guerre per partorirgli belle figliole e giovinetti prestanti da portarsi nel letto, e fornirgli uno spasso. Preferisce guardarci agitare sotto il suo tallone, non vedo altro motivo per questo rifiuto ostinato di compiacerci. »

Kore è tanto impegnata a rompersi la testa al pensiero di Pafia da non restare neppure ferita da quei commenti.

« Perché mai offenderci a tal punto, infilando nelle nostre piaghe il dito, se non per il solo piacere di contrariarci? »

Con la coda dell’occhio Kore coglie un bagliore di consapevolezza nello sguardo di Calligeneia – ma non è che un lampo, e gli occhi della ninfa si fanno di nuovo distanti.

Kore torna a guardare Demetra.

« Davvero non saprei, madre mia. Non lo conosco a sufficienza », replica senza tono, mentendo solamente a metà; senza rendersi conto immediatamente dell’improvviso sollievo che si diffonde nelle sue membra.

Non è la carezza delle dita amorose di sua madre, a farle cessare d’improvviso il dolore alla tempia.

Quell’odore, tanto dolce, tanto infido, pare volatilizzarsi nell’aria scintillante – e, come svanisce, a Kore pare già di averne dimenticata l’essenza, ora che a gravarle il capo restano solo domande a cui non sa dare risposta.

 

I giorni si consumano, ma Kore lo riconosce subito, tuttavia, e si chiede come sia stato possibile cancellarla dalla memoria, quella fragranza tanto fatale, quando di nuovo la coglie – il giorno che, sotto i suoi piedi, la Trinacria trema.

 

 

 

NOTE:

[1]: Coloro che materialmente non eseguivano il sacrificio lanciavano chicchi d’orzo per partecipare al rituale.

[2]: La scrofa incinta e la pecora non tosata erano i sacrifici che Demetra e Kore ed Atena rispettivamente ricevevano nei sacrifici animali per propiziare i raccolti.

[3]: Uno dei draghi che tira il cocchio di Demetra.

[4]: Un epiteto di Poseidone.

[5]: Dioniso Zagreo, il cui nome ha il doppio significato di “cacciatore” e “a piedi nudi”.

[6]: Una creatura dal volto di donna anziana.

[7]: Il figlio concepito da Efesto con Gea durante il tentato stupro di Atena divenne re di Atene all’epoca dei fatti narrati. Si dice che abbia portato la biga trai mortali, per celare le gambe di serpente.

[8]: Vezzeggiativo. Letteralmente, “ape”.

[9]: Epiteto omerico di Ares.

   
 
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