Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: dakarys_96    05/12/2015    0 recensioni
"Non ho mai avuto grandi ambizioni per il mio futuro, e per me Eren era un punto di riferimento molto importante in quel periodo. Era la reincarnazione di ciò che sarei voluto diventare, quindi forse era questo il motivo per cui cercai di liberare ogni domenica di ogni settimana per stare con lui."
Jean-Eren.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Eren Jaeger, Jean Kirshtein
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Basta un attimo. Un solo attimo per rovinare tutto ciò per cui hai lottato. Un minuto prima sei la persona più felice del mondo, e un attimo dopo capisci che non gira tutto come piace a te. Questo non riguarda me, questa è la storia di un mio amico.

Conosco Eren dal primo giorno di scuola media. Abbiamo avuto molti alti e bassi con questa nostra "amicizia", discutiamo e ci picchiamo in continuazione, ma è nella nostra routine. I nostri amici ci hanno sempre detto che non capiscono il nostro rapporto, ma non sempre facciamo così gli stupidi. Andiamo spesso uno a casa dell'altro, a volte ci sfidiamo in vari sport come calcio e basket. Quindi nonostante le divergenze abbiamo molte cose in comune, anche il nostro carattere irrequieto. In breve ci sopportiamo a vicenda.

Durante l'ultimo anno delle superiori, mentre Eren era a casa mia e giocavamo a Call of duty su l'xbox, mi confessa di voler tentare l'ammissione in un'accademia militare. Ha sempre avuto questo spirito combattivo e da pazzo suicida, ma non immaginavo che puntasse così in alto.
"Stai attento a non farti ammazzare da quelli dell'ultimo anno" dissi. Ha solo riso, ed abbiamo terminato la partita. Nonostante la sua testa dura ho sempre appoggiato le sue scelte, seppure sconsiderate. Ammetto di essermi sentito solo nel primo periodo dell'anno, aveva il permesso di uscire da lì solo una volta a settimana e voleva comunque andare a trovare i parenti. Passava per stare a casa mia circa due volte al mese, e per me non bastava mai. Mi mancavano quei momenti in cui potevamo stare insieme quando volevamo, anche solo per farci un giro in skateboard fuori città, ma dovevo già solo accontentarmi che per un giorno potesse stare a dormire da me. Dovevo farmi bastare questo.

Durante metà anno, anche grazie ad un anticipo dei suoi genitori, poté permettersi un'auto usata. Con il trasporto veniva più spesso a stare da me, considerando che vivo a circa 15 chilometri da casa sua. Un giorno siamo anche andati a fare campeggio in un bosco fuori città, con conseguenza il ritardo alle lezioni del giorno dopo. Comunque l'unica nota positiva di questa distanza era che non facevamo più risse come prima e parlavamo di più, ormai anche per me il tempo passato insieme era diventato quasi prezioso. Parlavamo soprattutto delle sue attività in accademia, sia degli studi sia degli allenamenti abbastanza rigidi, e vedere i suoi occhi luminosi mi fece capire che lui amava davvero quello che faceva; ero davvero invidioso. Non ho mai avuto grandi ambizioni per il mio futuro, e per me Eren era un punto di riferimento molto importante in quel periodo. Era la reincarnazione di ciò che sarei voluto diventare, quindi forse era questo il motivo per cui cercai di liberare ogni domenica di ogni settimana per stare con lui.

Un giorno cambiò tutto questo, in un modo così rapido da non riuscire ad accettarlo. Era appena finito il primo anno di studi di Eren ed avevamo organizzato di stare insieme in campeggio a fare "gli uomini primitivi", almeno prima di tornare dalla sua famiglia. Lo aspettavo fuori casa mia con un bagaglio leggero, ed era in ritardo di circa due ore. Non riuscivo a non essere preoccupato. Dopo pochi minuti mi chiamò, ma non era sua la voce dall'altra parte del telefono.
"Salve. Lei è un parente di Eren Jaeger?". Risposi di no.
"Il signor Jaeger ha avuto un incidente stradale, ed è in gravi condizioni. Il suo numero era sulla schermata del cellulare, ora chiameremo i familiari. L'ospedale in cui risiede è...".
Non ricordo neanche il resto della conversazione, iniziai a correre senza pensare. Poco dopo arrivai all'ospedale con il batticuore, non solo per la faticosa corsa. Chiesi alla reception di Eren Jaeger, e mi precipitai al secondo piano della struttura. Era in sala operatoria, e l'unica cosa che potevo fare era rimanere lì fuori con i miei sensi di colpa. Successivamente arrivarono anche i suoi genitori, che iniziarono a piangere per la terribile notizia. Dopo un'ora interminabile di silenzi e pianti della madre di Eren uscì dalla sala operatoria un medico, con qualche goccia di sangue sul camice. Disse alla famiglia di aver operato d'urgenza e di aver effettuato l'amputazione della gamba sinistra. Era messa piuttosto male e non avrebbero potuto fare diversamente per salvargli la vita. Rimasi lì inerme, non potevo fare niente e dovevo rimanere da solo con i miei pensieri. Lasciai entrare i genitori e risami fuori la stanza. Pensai con la testa di Eren, avrebbe preferito morire piuttosto che rimanere senza una parte di sé.

Passò un'altra ora, non avevo le forze neanche per alzarmi e tornare a casa. Non potevo lasciarlo da solo. I suoi genitori uscirono dalla stanza in lacrime, la madre prima di andarsene mi disse: "Ora rimani tu con lui, per favore.". Non risposi neanche, entrai lentamente e chiusi la porta.
Era attaccato ad ogni genere di macchinario, aveva la testa e il braccio destro fasciati. Mi avvicinai e toccai la parte dove sarebbe dovuta essere la sua gamba sinistra. Non c'era niente lì, la mia mano toccava il materasso. Cercai di non piangere, nonostante mi sentissi colpevole dell'accaduto. Per non farmi pesare ancora di più tutto questo mi sedetti accanto a lui e gli presi la mano. Speravo davvero che si svegliasse e mi dicesse: "Non dispiacerti, pensavo mi accadesse di peggio". Infine si svegliò il giorno dopo, aveva solo dormito più del solito per via del trauma e dell'amputazione. La sua prima reazione è stata stringermi la mano e dirmi: "Ma ti sei lavato la faccia stamattina, Jean?". Mi misi a ridere anche se non dovevo.
Gli spiegai con il tatto che non mi apparteneva l'incidente, e gli dissi che avevano dovuto amputargli la gamba per salvargli la vita. Non contestò in alcun modo la mia spiegazione, rimase solo in silenzio a fissare la gamba che ormai non aveva più. Infine disse solamente: "Dovrò dire addio alle nostre passeggiate in skateboard, peccato.".
Non riuscì più a trattenermi e lo abbracciai, e non mi importava se passavo per una donnicciola ai suoi occhi o altro. Non mi importava più niente. In silenzio ricambiò il mio abbraccio, stranamente non mi prese in giro ed assecondò la mia tristezza. "È solo colpa mia, odiami fino a quando non sarai soddisfatto." dissi. Rispose solo dopo qualche secondo, stringendo ancora di più la presa con il braccio salvo dalle fasciature. "L'unica cosa che voglio da te è non essere trattato da vittima. Non potrei sopportarlo.". Nonostante il perdono da parte sua, non riuscirò mai a perdonare me stesso.

Le settimane passarono, andai a trovarlo ogni giorno, subito dopo i suoi genitori. Dove aveva le fasciature c'erano solamente delle lievi escoriazioni. La gamba ancora gli faceva male per i molteplici punti, il suo medico disse che non c'era possibilità che avesse una protesi con impianto. La riabilitazione durava almeno cinque mesi e in quel lasso di tempo era obbligato a rimanere su una sedia a rotelle. Ovviamente dovette rinunciare all'accademia militare e al suo sogno. A volte rimanevo a fargli compagnia in ospedale anche di notte, e continuavo a scusarmi. Si, mi sentivo completamente responsabile per il suo incidente. Per colpa mia era obbligato ad una vita sedentaria e solo il pensiero mi faceva venire la nausea. Lui non mi incolpava di nulla, continuava a comportarsi come al solito. Dentro di me sentivo che in qualche modo dovevo rendermi utile, non solo trasportandolo in giro con la sedia a rotelle. Era arrivato il momento in cui dovevo pagare per i miei errori e per renderlo felice.

Dopo la pausa estiva andai a casa sua per annunciare la mia decisione: "Andrò all'accademia militare.". Non disse nulla. Pianse, poi sorrise. "Scusa, e grazie." sussurrò.

Da quel momento sono passati cinque anni. Viaggio spesso per varie operazioni, ed ho già guadagnato qualche cicatrice. Eren è rimasto nella nostra citta e l'ho aiutato a trovare una casa adatta alle sue condizioni, ovviamente al mio ritorno è anche casa mia. Ha una protesi momentanea, ma in casa preferisce l'uso della sedia a rotelle.
Nonostante i miei sforzi so di non poter mai rimediare ai miei errori, ma almeno in questo modo può vedere il suo sogno realizzarsi, e spero valga davvero qualcosa.








Da una vita volevo pubblicare questa mia one-shot su questo sito e finalmente ho trovato la forza di farlo (?).
Amo segretamente questa coppia, e magari in futuro potrei pubblicare altre one-shot o una long, chissà?
   
 
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