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Autore: giugiboo    05/12/2015    0 recensioni
Portree è una cittadina tranquilla nel nord della Scozia, con pochissimi abitanti.
Per chi la vedesse per la prima volta, non direbbe mai che dietro quelle case colorate vicino ad un porticciolo, si celino personaggi stravaganti.
Nella scuola di Portree ci sono caratteri esuberanti, estroversi, ma anche timidi.
L'amore è uno dei personaggi principali di questa storia, ma anche la vendetta ne fa parte; una vendetta che sarà gustosa e aspirata da anni. Ma la vendetta da parte di chi?
Si sentì un rumore acuto, di un palmo di una mano contro una guancia. Interrompendo ancora una volta James, la preside MacDonald si alzò e diede un manrovescio sulla guancia del ragazzo, lasciando che la parte sinistra del suo viso si arrossasse.
Genere: Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Incest | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Le gambe cominciavano a cedere, era troppo tempo che  stava correndo, senza neanche una vera destinazione. Il fango sotto i suoi piedi si stava accumulando e sembrava come una seconda suola. Il bosco era enorme, più andava avanti, più sembrava non avere fine. Finalmente, eccola lì, una strada trafficata; avrebbe  sicuramente ricevuto l'aiuto di qualcuno. Pochi passi e ce l'avrebbe  fatta, stava  già sospirando di sollievo, quando si sentì afferrare la caviglia da colui che stava cercando di seminare. Non sentiva più nessun tipo di forza provenire dal  suo corpo, non riusciva nemmeno a dimenarsi  un po'. Si sentì così  trascinare, con la faccia a terra oramai coperta di graffi, di nuovo in casa. Non sa se  sarebbe  stato meglio non riuscire a scappare  per non sentire  la delusione  in seguito.
Eccolo lì, con il coltello in mano, pronto a infilzarglielo dentro il petto  più volte, quando finalmente James si svegliò da quel terribile  incubo pieno d'ansia.
Si mise seduto di scatto sul letto, tenendosi il petto con le mani, come  per paura che si potesse aprire  da un momento all'altro.
Senza neanche fare  colazione, uscì di casa per andare  dritto a scuola, cercando di non pensare a quell'incubo  che si ripeteva oramai da settimane.
«Eccoti finalmente pasticcino. Sei tutto sudato, che è successo?» Appena lo vide, Lisa gli si catapultò addosso e, come sempre, cominciò a baciarlo ovunque, per far capire a tutte le ragazze che erano lì, che James era suo e di nessun’altra.
«Dov’è Luke?» James cercò il suo amico con lo sguardo per tutto il corridoio ma non lo trovò. Sperava che almeno il suo migliore amico gli sarebbe stato accanto in quella giornata che si prosperava delle peggiori.
«Non l’ho visto. Meglio non credi? Staremo tutto il giorno solo noi due»Lui sbuffò sonoramente e si tolse dal petto le mani di Lisa. Stava cominciando a stufarsi di lei.
Stava per andare in classe quando in mezzo al corridoio vide Lily; aveva i capelli tutti scapigliati, ma era bella ugualmente. Aveva gli occhi tristi, come persi nel vuoto, e sul suo braccio vide un paio di lividi giallognoli. Voleva con tutto se stesso andare da lei e cominciare una conversazione, ma non appena cercò di fare un passa verso di lei, Lisa gli si parò davanti. «Che cosa vuoi ancora?» non si era accorto del suo tono un po’ troppo alto, infatti molti studenti lì vicino si girarono incuriositi, compresa Lily.
I suoi occhi verdi con quelli nocciola di lui si incrociarono, e non si distolsero per un bel po’.
Qualcuno le andò addosso per sbaglio, urtandole il braccio pieno di lividi e gemette di dolore. Quegli ematomi se li era procurati per via dei suoi rientri a casa ritardatari. Da quando aveva salvato il gatto di quella signora, si recava a casa sua più spesso, un po’ per i brownies, un po’ per la compagnia sua e del suo nipote che incontrava spesso a scuola. Anche se il padre la picchiava più violentemente pensava che ne valesse la pena, anche se per non sfoggiare in giro troppi lividi visibili aveva deciso di smettere di andarci per un po’, e le dispiaceva.
Persa nei suoi pensieri e allo stesso tempo negli occhi di James, si sentì toccare la spalla. «Ehi, Lily, è da un po’ che non ci vieni più a trovare. Tutto bene?» Paul fece il sorriso più ammaliante che riuscì per attirare la sua attenzione. Sapeva perfettamente chi, in quel momento, aveva attirato la sua attenzione tanto da distrarla così a lungo. «Hai ragione, ad esser sincera mi mancano i brownies  alla lavanda di tua nonna» Finalmente riuscì a distogliere lo sguardo da James e, rossa in viso, si spostò una ciocca di capelli color miele, provando con tutta se stessa ad essere disinvolta. «Mi chiede sempre di te sai, credo che tu le sia molto simpatica, anche se non si può dire lo stesso di tuo padre» Quegli occhi color nocciola erano come una calamita; girando gli occhi nuovamente verso quelli scuri di James, si accorse che lui non li aveva mai distolti, anche se la sua ragazza non faceva altro che strusciarglisi esageratamente addosso. Scosse la testa e cercò di ritornare alla realtà, dicendosi che non poteva soffermarsi su un ragazzo già impegnato. «Diamine, ho lasciato gli appunti di scienze al laboratorio. Ti andrebbe di accompagnarmi a prenderli?» Lily gli sorrise, e annuì, si disse che poteva anche perderli dieci minuti di inglese.
Si diressero al laboratorio in silenzio, entrambi erano persi nei loro pensieri. «Eccoci, vieni entra, ci metto subito» lei sbuffò divertita «Ci puoi mettere tutto il tempo che vuoi, sai come sono noiose le ore della Ganesh. Con i suoi discorsi ininterrotti sui grandi scrittori inglesi, come se lei li avessi conosciuti di persona» Paul rise di gusto, prese un foglio che si trovava su uno dei tanti banchi del laboratorio e si avvicinò a Lily. «Allora non ti dispiace se rimaniamo un altro po’ a farci compagnia?» Lei scosse la testa, pensando che per una volta voleva divertirsi come voleva lei e quando voleva lei. «Perfetto allora» Si avvicinò ancora di più finché i loro visi non erano a pochi centimetri di distanza. Si guardarono negli occhi per qualche minuto, come per studiarsi a vicenda, quando entrambi si avvicinarono ancora di più, fino ad annullare il poco spazio che separava le loro labbra.
Si diedero un bacio innocente, poi un altro, per capire se entrambi lo volevano. Constatato ciò, si baciarono più profondamente, più lentamente. Le loro lingue erano impegnate in una danza ritmata, le loro labbra si toccavano a mala pena, come per lasciare spazio solo alle lingue. Paul si allontanò per un attimo, prese Lily di peso e la fece sedere su uno dei bachi lì vicino per poi riprendere a baciarla, ma questa volta con avidità. Cominciò a toccarle il viso, i fianchi e poi a palpare il suo bel seno tondo; quando lui lo strinse tra le sue dita lei fece un gemito di piacere, e volle di più. Lily gli tolse la cravatta con le mani che le tremavano e gli sbottonò la camicia, facendo saltare qualche bottone per la fretta.  Paul sorrise «Anche tu lo aspettavi da un po’ questo momento?» alla domanda non seguì risposta, Lily continuò a baciarlo senza dire niente, in realtà a lei non importava nulla di lui, cercava di mantenere chiusi gli occhi per non vedere il suo viso, perché non era il suo quello che voleva vedere.
Dalle sue labbra che sapevano di ciliegie, Paul cominciò a baciarle il collo, a morderlo e a baciarlo di nuovo. Le sue labbra si spostarono poi più in basso, slacciata la camicia di lei, baciò, leccò e mordè i suoi seni. Ma lui voleva ancora di più. Le tolse la gonna e si slacciò i pantaloni nello stesso momento e, tolte le mutande di entrambi, lui inserì prima un dito dentro di lei, aspettando una reazione positiva. Lily gemette appena, non era abbastanza. Cominciò a masturbarlo per poi sdraiarsi sul banco con lui sopra. Finalmente inserì tre dita, e a quel punto lei gemette aggrappandosi con le unghie alle sue spalle. Quando lui stava per entrare con il membro dentro di lei, la campanella suonò, ed entrambi sobbalzarono. «Continueremo dopo, mia dolce ciliegia» le diede un bacio dolce sulle labbra e cominciò a vestirsi, come già stava facendo lei. “In che guaio mi sono cacciata!”  Non faceva altro che ripetersi che non avrebbe dovuto farlo, anche se si era divertita e gli era piaciuto, ma la cosa che la faceva star male era che lo avrebbe fatto soffrire, e non se lo sarebbe perdonato.
Sapendo che in quello stato non sarebbe riuscita a seguire nemmeno l’ora di matematica, decise di saltare anche quella, recandosi in uno dei balconi della scuola.
Non riusciva a smettere di pensare a suo padre, a come abusava sessualmente di lei ogni tre giorni e a come la picchiava tutti i giorni. Le veniva da vomitare al solo pensiero che le sue mani unte e viscide l’indomani l’avrebbero toccata; sapeva che quella situazione non poteva più sopportarla.
Qualche anno prima, aveva tentato il suicidio, ma purtroppo era rincasato prima del dovuto e l’aveva fermata, non perché gli importasse di lei come padre, ma perché altrimenti non avrebbe più avuto qualcuno con cui fare sesso e da maltrattare. A quei pensieri i suoi occhi le diventarono lucidi, era da tanto che non riusciva a piangere.
«Anche tu stufa della scuola?» Lily sobbalzò e si girò di scatto, trovandosi davanti James con un sorriso beffardo. Cercò di asciugarsi le lacrime e a fargli un sorriso quanto meno decente. «Sinceramente oggi non riesco a sopportare nessuno» Il ragazzo le si avvicinò e si appoggiò al balcone, tirando fuori un pacchetto di sigarette. «Prendine una, ti rilassa» Lily riluttante ne prese una in mano e la studiò con un’espressione critica alzando il sopracciglio. «Non guardarla così, non ti uccide mica» lei rise fragorosamente in modo ironico.
James pensò che quella, anche se finta, fosse la risata più bella che avesse mai sentito.
«Magari una non ti uccide» anche se i suoi dubbi non fossero svaniti, se la portò ugualmente alle labbra e a quel punto, con tutta velocità, James prese l’accendino e gliela accese.
Neanche completò il primo respiro che Lily cominciò subito a tossire forte tenendosi il petto con una mano, mentre il ragazzo rise di gusto.
«Che hai da ridere, sei impazzito?! Non avrei dovuto darti retta» Con faccia imbronciata ma a testa alta, gli ridiede la sigaretta ancora fumante e incrociò le braccia.
«James, piacere» le offrì una mano, mentre l'altra era impegnata a tenere in mano la sigaretta che Lily aveva rifiutato con una tosse sonante.
«Lily, e purtroppo so chi sei» ricambiò la stretta. «Ora vado in classe, ci si vede» senza aspettare una sua risposta, fece un rapido sorriso e si diresse verso il corridoio, ma senza mai entrare nell'aula.

Per l'ennesima volta si sentì prendere il braccio di prepotenza, la buttò giù senza fatica e cominciò a picchiarla, in tutte le parti del corpo, ma non sul viso, non doveva lasciare segni evidenti.
Le percosse non le facevano più male oramai, nemmeno gli abusi che ne seguivano, tanto Lily ne era abituata.
Quando era piccola, quando il padre abusò per la prima volta di lei, non capiva cose le stesse facendo, sapeva solo che le faceva male. Provava ad urlare con tutto il fiato che aveva, ma non bastava.
I vicini sapevano, ma non gli importava. Non importava a nessuno. Oramai non importava più nemmeno a lei.
Ogni volta che il padre finiva ciò che aveva in mente, la lasciava sul pavimento, con le lacrime agli occhi. Così era anche adesso, solo che non urlava né piangeva più. Si era anche arresa nel porre resistenza, era inutile, pensava.
Quel giorno però, stava esagerando con la violenza, come se volesse nuovamente che lei soffrisse, piangesse e cercasse di dimenarsi. Purtroppo ci riuscì, il dolore era troppo forte da sopportare.
Cominciò a graffiarlo, a dargli pugni, calci, persino a sputargli in faccia, ma lui rideva. Lily cercò con lo sguardo qualcosa da tirargli, un oggetto che in qualche modo gli potesse fare male.
Girò lo sgurdo e vide una lampada rotta da tempo. Con un po' di fatica, allungando il bracciò riuscì a prendere l'estramità della lampada. Con tutta la forza che aveva, gliela sbattè sulle tempie, essendo sicura che in quel punto poteva, se non ucciderlo, quantomeno farlo svenire: e ci riuscì.
Egli cadde a peso morto su di lei, fu una botta talmente improvvisa che non se ne rese conto.
Con le forze a lei rimaste, cercò di toglierselo di dosso; ci mise quasi cinque minuti per riuscirci.
Lily tremava, sudava, piangeva, non sapeva che fare. Oramai era fatta, in quella casa non sarebbe potuta rimanere.
Corse al piano superiore, aprì l'armadio per prendere qualsiasi vestito o cosa più importante che aveva, e non erano molte. Mise tutto in uno zaino da palestra e, mettendoselo in spalla, corse di nuovo al piano inferiore.
Il padre era ancora inerme sul pavimento, con una piccola pozza di sangue che gli circondava la nuca.
Per un momento Lily ebbe l'istinto di soccorrerlo, poi si ricordò dell'uomo che era, e senza pensarci oltre, corse verso la porta dell'ingresso e la aprì con forza, uscendo con tutta la velocità che poteva raggiungere.
Si chiese dove potesse andare, in quel paesino così sperduto non aveva molto scampo nello sfuggirgli.
Poi si rese conto, malorosamente, che quello che aveva appena vissuto era un sogno, e che non sarebbe mai riuscita a scappare.
  
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