Personaggi: Jack Vessalius / Oswald Baskerville
Rating: Arancione
Note dell'autore: Introspettiva / Angst / Drammatica
Disclaimer: Personaggi, luoghi e abitudini sono di proprietà dell'autore; lo scritto e le situazioni sono di mia proprietà.
Tling.
Rintoccava nel buio, una volta lontano, un'altra
volta talmente vicino
da sfiorare il lobo dell'orecchio.
Tling.
Parevan i rintocchi dell'agonia del tempo stesso,
sempre uguali,
incapaci di mutare, incapaci di volgersi indietro, cristallizzati nel
presente.
Tling.
Eran gocce d'argento bollente sul volto, erano gli
incubi che nel buio
venivano a trovarlo. Un vuoto assoluto, un vuoto assordante, un vuoto
senziente.
Lo afferrava alla gola.
Tling tling.
Era un buio diverso, quello che Jack
trovò a sbarrare la strada del suo
sguardo. Le lenzuola, più un sudario oramai, erano intrise
della paura come
ogni notte, ogni volta in cui l'ultima candela veniva spenta con un
flebile
soffio. Il collo bruciava, bruciava, persino deglutire pareva tentare
di
mangiare i tizzoni ardenti nel camino morente, un cenere buio e silente
dall'altro capo della stanza. Le mani sottili e nivee scattarono a
carezzare la
trachea, sentir la pulsazione delle arterie appena al di sotto della
cute,
cercando i segni che quel buio tanto opprimente doveva avergli
lasciato, gli
occhi sbarrati verso un punto ignoto dell'alto baldacchino, il corpo
tremante sotto
talmente tante coperte da averne perso il conto fin dall'inizio.
Le corde vocali vibrarono solo un acuto strozzato,
spaventato, flebile
quanto il battito d'ali di una falena; era tutto troppo buio, troppo
freddo, la
pelle d'oca correva sulla pelle e raggiungeva le ciglia, facendole
tremare,
lasciando che lacrime fredde come il mercurio lasciassero solchi sulle
guance
tirate. Ogni notte Jack Vessalius si sporgeva oltre il limite, guardava
al di
sotto e tentacoli di paura, di pura oscurità, di solitudine
più densa della
pece volevano afferrarlo, lambivano i suoi arti come tante mani rapaci.
Ancora un grido strozzato e i suoi piedi
scalciarono via le coltri come
se queste fossero intessute d'ortica; non v'era salvezza in quel letto,
in
quella stanza, in quel mondo che fin dal principio mai aveva desiderato
che
Jack respirasse, camminasse, amasse. Oh, se solo il rannicchiarsi
contro la
testiera in legno freddo potesse essere d'aiuto: con la camicia da
notte
sollevata su caviglie tremanti e il velo dei capelli sparsi, resi
simili ad un
sipario per non permettere a quelle mani di toccarlo, la soglia del
patetico
era stata superata da troppo tempo.
« N-No, no, no no no no NO!
» La sua intenzione era urlare,
liberarsi dal groppo spinoso artigliatosi nel petto, pronto ad eroderlo
pezzo
per pezzo, battito per battito. Tutto ciò che ottenne fu il
pigolio strozzato
di un pulcino smarrito, avvolto su sé stesso, nascosto al
mondo e alla propria
immagine che si rifletteva distorta, contorta, marcia nello specchio
che crudelmente
gli era stato posto vicino, troppo vicino. I segni di quelle mani erano
rossi e
vividi nella sua mente, stampati sul viso, incisi nell'anima. Neppur si
accorse
del cigolio, del legno che si apriva, del respiro appesantito da troppi
ricordi
che si lasciava scivolare nella stanza, portandosi dietro un profumo di
gigli e
pentagrammi.
« Jack? » Lo sentiva, quasi
poteva vedere Oswald retto accanto allo
stipite ligneo, niente più che una camicia sgualcita addosso
insieme a
quell'espressione perennemente desolata che indossava meglio di quanto
un
nobile avesse potuto indossare un farsetto di diamanti. Trattenne il
respiro
nel sentirlo avvicinare, mordendo ad ogni passo le assi del pavimento,
sussultò
nel percepire il suo peso sul materasso irto di invisibili chiodi.
Non poteva, non doveva, non era quello il suo
posto, avrebbe dovuto
odiarlo, non passargli una mano tra i capelli, Dio,
pietà!
« ... Jack. » Al secondo
richiamo osò sollevare la testa, cercare con le
iridi quel contatto caldo invece, completamente diverso dalle mani di
nero
terrore, e per questo ancor più doloroso. C'era vita in quel
tocco, la vita che
a Jack era sempre stata negata e la anelava e gli provocava ustioni
così
profonde da non poter mai guarire e lo repelleva, incapace di decidere,
incapace
di anche solo respirare. Nella tenue oscurità percepiva
l'immensa tristezza di
quegli occhi, la curva mesta delle labbra; fu lento nel puntellarsi con
le
palme aperte sul lenzuolo ancora umido di paura -voleva riprenderselo,
lo
sentiva, scavava nelle ossa delle braccia fino al cuore!-, nel
sollevare il
busto e premersi, fondersi, distruggersi contro il calore che Oswald
Baskerville rappresentava, quel calore che odiava e anelava nel
medesimo,
critico, istante.
Le dita si arrampicarono sul volto come pallidi
ragni, le labbra secche
e screpolate si distorsero nella smorfia del pianto mentre cercavano
una
risposta, un solo accenno. Lo sentì con la violenza di uno
schiaffo, con la
dolcezza della seta; le mani, il corpo di Oswald, la spinta lieve di
nuovo contro
quei chiodi, erano una tortura che sapeva di meritarsi, che Oswald
doveva
infligge senza avere rimorsi: sarebbe stato il suo carnefice, questo
dicevano
le braccia sollevate verso l'alto, il petto offerto. Le lacrime
andavano
fondendosi e Jack, con una mano sul suo capo, sorrise.
« O-swald... » Lo amava
Oswald, sì, questo Jack lo sapeva; e lui di
quell'amore sarebbe morto nel corpo, lasciandosi corrompere la carne
fino a che
di lui non fosse rimasto che un guscio vuoto. « ... mi odi?
»
Egoista.
« Sì. » Una pausa,
una spinta. « E ti amo. »
Tling.
.Fine.
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Scrivere dal POV di Jack mi fa
soffrire come una dannata, baci e abbracci.