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Autore: roro    03/03/2009    24 recensioni
“Ehi, mocciosa, come ti chiami?”.
Lei gli sorrise, facendogli cenno di raggiungerla. “Kagome. Er, Kagome Higurashi”. Asserì distrattamente con il capo, armeggiando con i tasti. “E tu?”.
“Inu-Yasha”, ridacchiò, togliendole il telecomando di mano e cambiando lui canale. “Mi chiamo Inu-Yasha,
Kagome”.
Quando un nome può fare la differenza tra una relazione sbagliata ed una giusta.
Genere: Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Inuyasha, Kagome
Note: Alternate Universe (AU), OOC | Avvertimenti: nessuno
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Name - Da postare *\* Orbene, chi segue il mio blog su Splinder ha già letto codesta... roba. E molti mi hanno incoraggiata a postare anche qui, trovando il seguente elaborato degno di nota.
ò.ò Mi chiedo il perché, sinceramente. Io non la trovo né speciale né bella.
Solo strana.
Lo dico francamente: è un banale esperimento, volevo cercare di fare una storia parallela. Un flash back nel racconto, se così vogliamo dire. Nulla di che, in effetti.
Però, è la Shot per il compleanno di Hime, passato da quasi un mese. Ed è anche per San Valentino, ma questo è un altro paio di maniche. -.-
Ebbene, eccola qui. Un po' per migliorare il pensiero delle fan girl su Kikyo, un po' perché era da troppo che non postavo una Shot, un po' perché mi hanno obbligata. ._.

(Nota per chi segue The bothering life of forced writer: ebbene, ho creato un forum dedicato a BL.
Il link è questo * http://botheringlife.forumfree.net *, e sarei davvero felice se voi veniste a farci una passeggiata. ^^ Ho già inserito spoiler sulla storia, informazioni su miei altri lavori, e un angolo dedicato ai lettori. ^^ C'è anche la sezione sclero, per di più! ù.ù
Ovviamente, anche se non avete letto la storia, siete i benvenuti - siamo già un paio di persone, e abbiamo creato anche il gruppo "ARGH!!! KAGOME E' PAZZA!!! O____O" e quello "Pro Spiriti". ù.ù Per di più, ci sono i disegni di Aryuna e tanto altro: cosa aspettate? XD
Ovviamente, metterò informazioni più approfondite sul prossimo capitolo della storia. XD)

A voi l'ardua sentenza: questa cosa fa schifo come temo?
Fatemelo sapere! */*


A Hime. Perché il suo compleanno è passato, ma la Shot resta comunque per lei.
A Elisa. Perché se non me l'avesse detto lei, che dovevo postarla, non l'avrei di certo fatto.
E a tutti quelli che passano per il mio forum e mi lasciano un salutino. Fa sempre piacere. XD

Name

[Chiamami con il mio nome]




Si era seduto.

Come sempre.

E aveva afferrato le sigarette.

Come sempre.

Probabilmente, se avesse potuto, avrebbe anche sospirato. Ma non poteva, perché non era da uomo, sospirare.

E quello che non era da uomo non andava fatto, perché era ridicolo. E quello che era ridicolo non era adatto a lui.


“Io…”.

“Dovresti ridarmi le chiavi di casa”.

“È ridicolo!”.

“Non è ridicolo. È ovvio”.


Il potatile.

Gli appunti.

Le cause.

I libri.


Era tutto inutile.


Aveva voglia di chiudere il libro, richiamare quel cliente fastidioso ed intimargli di cercarsi un altro avvocato sottopagato. E poi andare in camera sua, in quel letto – che sapeva ancora di lei – e addormentarsi abbracciato al cuscino.

Ma non poteva.

Perché essere deboli – così deboli – non era da uomo.

E lui non poteva fare cose ridicole.


“Cerca di ragionare!”.

“Ci ho pensato, Inu-Yasha. Ci ho pensato ore. E giorni. E mesi. Da quant’è che non mi chiami per nome?”.

“È ininfluente”.

“Lo dici tu. Questo lo dici tu, Inu-Yasha”.


Si passò, vagamente infastidito, una mano tra i capelli argentei, cercando di distrarsi.

Essere lasciato era stato doloroso. Non quanto si aspettava, certo, ma pur sempre doloroso.

Perché gli uomini non si fanno lasciare. Gli uomini lasciano, e le donne piangono.

Almeno, così gli era sempre stato detto.


“Altro?”.

“Da quant’è che non mi chiami per nome?”.

“Le relazioni non si basano sui nomi”.

“Sì, invece. Chiamare il proprio compagno con il suo nome è sinonimo di fiducia. Ma, probabilmente, questa fiducia tu non l’hai mai avuta. Non verso di me”.

“È un addio?”.

“Sì”.


Gli doleva lo stomaco – la fame era una bastarda. Una subdola, infida bastarda che ti attacca nei momenti peggiori, costringendo la tua pancia a brontolare. E il tuo orgoglio a farsi un giro alle Hawaii.

Farsi preparare qualcosa dalla governante era fuori discussione. L’aveva congedata un’ora prima, sottolineando che non aveva fame. Richiamarla sarebbe stato un atto profondamente vergognoso, per lui.

Chiamare un ristorante era ridicolo. Non aveva voglia di attendere ore ed ore un piatto elaborato di dubbio gusto, per cui gli avrebbero richiesto una cifra a dir poco abnorme.

Una pizzeria…?

Sebbene ridicolo, sarebbe stato originale. Quantomeno per lui, abituato ad una routine noiosa e continua.


“Cosa c’è di sbagliato in me?”.

“Cosa…? Inu-Yasha, la tua vita è piatta!”.

“Non è vero”.

“No? Quand’è l’ultima volta che hai mangiato una pizza?”.

“A sei anni, per la festa di compleanno di un mio compagno di classe. Un tale Koga, che spero sia morto sotto qualche ponte”.

“Sei diventato pesante. L’Inu-Yasha che ho conosciuto io, dieci anni fa, non era così”.

“Nella vita si cambia”.

“Tu sei cambiato in peggio”.


“Pronto?”, gracchiò una voce euforica dall’altro lato della cornetta. “Qui è la pizzeria Houshi. Parla Miroku, il titolare”.

“Salve”, mormorò infastidito, poggiando la schiena contro la parete da poco ridipinta e impegnandosi per riordinare – vanamente – le idee.

“Ha bisogno di qualcosa?”.

Sbuffò. “Sì. Una pizza”.

“Ah”. La voce si sciolse in una risata genuina. “Beh, perché non l’ha detto subito?”.

Strinse la mano destra a pugno, pregando i Kami di dargli la forza di non spaccargli la faccia così in fretta. Era solo una voce, cazzo!, irritarsi non era normale!

“Che tipo di pizza vuole?”.

“Non lo so”, commentò infastidito. “Faccia lei. Mi basta sapere che giungerà a casa mia in poco”.

“In venti minuti, o la pizza ve la regaliamo noi!”, ripeté – forse per la centesima volta in tutta la serata – la voce, compiaciuta.


“Qualche altra domanda?”.

“Sì”.

“Dimmi”.

“Un fattorino è mai arrivato a casa tua?”.

“In che senso?”.

“Ti sei mai fidato di un estraneo a tal punto da dargli il tuo indirizzo?”.

“In Giappone le strade non hanno un nome”.

“In questo momento siamo in America, Inu-Yasha. E non hai dato il tuo indirizzo neppure a tuo fratello”.


“Allora. Il recapito me l’ha dato, la pizza la stiamo preparando. Credo sia tutto”.

“Sì”, asserì lui, pronto ad riporre la cornetta e sedersi – come sempre – alla scrivania.

“Le manderò Higurashi”.

“Non mi importa”.

La voce – Miroku? – ridacchiò, allegra. “Credo che le importerà, invece. Nessuno resta indifferente, quando c’è Higurashi!”.

“Arrivederci”.

“Altro da chiedermi?”.

“Quand’è che sei divenuto così apatico?”.

“Non sono apatico”.

“Sei la brutta copia di tuo fratello, Inu-Yasha!”.

“Non somiglio assolutamente a Sesshomaru”.

“Non ne sarei così sicura”.

Si gettò a peso morto sul divano, indeciso sul da farsi.

Quando – e se – questo fantomatico – o fantomatica? – Higurashi fosse arrivato – o arrivata? –, che avrebbe dovuto fare?

Aprire?

Prendere quella disgustosa pizza, pagare, abbozzare un sorriso infastidito e mangiarla nervosamente, magari sporcandosi l’intera camicia?

E perché quel tale Miroku gli aveva garantito che non sarebbe rimasto indifferente a Higurashi?

“Ehm…”.

“Da quando le novità hanno iniziato a farti venire crisi d’ansia?”.

“Non ho crisi d’ansia!”.

“Oh, sì, invece. Quando hai scoperto che tuo fratello aveva deciso di sposarsi, hai avuto un attacco di panico. Sei stato ricoverato in ospedale, ricordi?”.

“Ero stressato”.

“Lo stress non c’entrava nulla”.

Respirò profondamente, afferrando il telecomando del suo nuovo televisore – un plasma mai utilizzato – e pigiando un tasto a caso. La sigla di apertura di un anime lo colse impreparato, e grugnì, irritato.

Dopotutto, avrebbe dovuto aspettarselo: un motivo doveva pur esserci, se il Giappone era considerato la patria dei cartoni animati.

Osservò con fare critico la protagonista femminile – poco graziosa e dotata di orribili capelli bluastri – combattere con il suo improponibile fidanzato dai capelli nerastri.

Annoiato.

“Siamo stati bene insieme, però”.

“Il passato è sempre piacevole, per chi non l’ha vissuto”.


“Il campanello”, sibilò irritato, gettando di lato il telecomando ed alzandosi.

Doveva trattarsi della sua pizza. E di Higurashi.

Camminò scalzo sino all’ingresso, rendendosi conto solo infine del suo abbigliamento particolare: il pantalone sformato di una vecchia tuta consunta. E una canottiera.

Punto.

Sembrava uscito da un telefilm americano. Uno di quelli che tanto vengono apprezzati dagli adolescenti stupidi di tutto il mondo.

“Salve”, grugnì, mentre apriva la porta.

“Hai ancora una domanda?”.

“Sì. Da quand’è che non ti ecciti guardando una donna?”.


Higurashi era una ragazza.

Una bella ragazza.

La voce aveva ragione, era impossibile restare impassibili, innanzi a lei.

Non molto alta, in primis. Era quantomeno quindici centimetri più bassa di lui, anche indossando un paio di stivali dotati di tacco.

I capelli erano neri, ondulati, e gli occhi grandi, di una calda colorazione marrone.

La pelle era così pallida da contrastare – piacevolmente – con i capelli, e le labbra erano rosse, ben fatte.

I suoi tratti somatici non erano particolari, ma catalizzavano l’attenzione altrui.

E sorrideva.

Contenta.

“La tua pizza”, ridacchiò, allungandogli un cartone bianco. “Credo di non essere arrivata in orario, però. Sono partita alle otto e quarantacinque, e ora sono le… nove e venti”. Inclinò il capo di lato, osservandolo. “Purtroppo, il mio scooter si è guastato. Mi dispiace”.

“Me lo aspettavo, sai?”.


“Da quand’è che non dai del tu a qualcuno che non conosci?”.


“Mi dispiace comunque. Anche perché Miroku-sama mi aveva già detto di non farti pagare la pizza, e io ci ho messo così tanto tempo da farla divenire fredda”. Sospirò, mordendosi il labbro inferiore. “Se vuoi te la riscaldo”.

“Non ce n’è bisogno”.


“Da quand’è che una donna non ti prepara il pranzo?”.


“Ma io lo faccio volentieri. Dopotutto, ho appena terminato il mio turno”.

Lo spinse appena di lato, mettendo – distrattamente – piede nell’appartamento, a passo spedito.

Sembrava adatta a quell’ambiente. La sua espressione contenta si combinava perfettamente ai mobili, e i suoi occhi nocciola erano della stessa tonalità delle porte.

Quando notò il televisore acceso, lanciò un piccolo urlo di gioia. “Oh. Posso?”, chiese, sedendosi sul divano ed allungando le mani sino a prendere il telecomando.

Lui sospirò. “Fa’ come vuoi”.


“Io non sono la donna giusta per te, Inu-Yasha. Siamo stati bene, ma non sono la donna giusta per te”.

“Ma…”.

“Sono sicura che la troverai, Inu-Yasha”.

“Troverò chi?”.

“La donna che ti farà sorridere. Che si farà chiamare per nome, e che ti spingerà a comprare una pizza. La donna che otterrà la tua fiducia, che ti farà parlare del più e del meno come se nulla fosse e che ti preparerà il pranzo”.

“Quella donna eri tu”.

“Non è vero, e lo sai. La troverai. Me lo sento”.


“Ehi, mocciosa, come ti chiami?”.

Lei gli sorrise, facendogli cenno di raggiungerla. “Kagome. Er, Kagome Higurashi”. Asserì distrattamente con il capo, armeggiando con i tasti. “E tu?”.

“Inu-Yasha”, ridacchiò, togliendole il telecomando di mano e cambiando lui canale. “Mi chiamo Inu-Yasha, Kagome”.

   
 
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