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Autore: RandomWriter    05/12/2015    9 recensioni
Si era trasferita con il corpo, ma la sua mente tornava sempre là. Cambiare aria le avrebbe fatto bene, era quello che sentiva ripetere da mesi. E forse avevano ragione. Perchè anche se il dolore a volte tornava, Erin poteva far finta che fosse tutto un sogno, dove lei non esisteva più. Le bastava essere qualcun altro.
"In her shoes" è la storia dai toni rosa e vivaci, che però cela una vena di mistero dietro il passato dei suoi personaggi. Ognuno di essi ha una caratterizzazione compiuta, un suo ruolo ben definito all'interno dell storia che si svilupperà nel corso di numerosi capitoli. Lascio a voi la l'incarico di trovare la pazienza per leggerli. Nel caso decidiate di inoltrarvi in questa attività, non mi rimane che augurarvi: BUONA LETTURA
Genere: Commedia, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'In her shoes'
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53.
WELCOME TO BAHAMAS
 

Seppur una sonnolenza quasi soffocante tentasse strenuamente di imporsi nelle loro menti, le palpebre dei cestisti della Atlantic High School resistevano eroicamente, svelando alla vista un via vai frenetico e inarrestabile: il JFK International Airport di New York non dormiva mai, nemmeno alle quattro di quella mattina di marzo.
Pesanti bagagli facevano da seguito ad ansiosi e scattanti passeggeri, che li trascinavano scrutando con apprensione le indicazioni segnate su enormi tabelloni. Oltre a quei passeggeri così allarmati e nervosi, si potevano individuare anche uomini d’affari, dall’atteggiamento diametralmente opposto che palesavano un’evidente apatia per uno stile di vita al quale erano fin troppo avvezzi. L’emozione di salire su un velivolo era scomparsa da tempo, lasciando spazio ad una sorta di sprezzante derisione verso chi riusciva a vedere in un viaggio aereo, un’esperienza unica e nuova.  
Per i ragazzi della Atlantic High School, uno dei licei più prestigiosi di Morristown, quello scenario era sicuramente interessante, ma non al punto da meritare la loro completa attenzione; restare svegli si era rivelata un’impresa particolarmente ardua. Non riuscivano nemmeno ad avviare una conversazione senza che le loro parole fossero interrotte da uno sbadiglio sguaiato. La vivacità e rumorosità della squadra di basket del Dolce Amoris sembravano evaporate, lasciando quasi disorientata la ragazza del gruppo che meglio li conosceva. Erin non riusciva a smettere di sorridere, nel vedere i tentativi di Trevor e Wes di abbandonarsi sulla schiena di Steve, per schiacciare un pisolino in piedi; c’era poi Kentin che continuava a stropicciarsi gli occhi come un bambino e tutti gli altri che avevano lo sguardo perso nel vuoto.
Solo in lei pareva brillare una luce di eccitazione e curiosità: non era mai salita su un aereo in vita sua e non avrebbe permesso alla stanchezza di prendere il sopravvento. Intendeva godersi ogni dettaglio di quell’ambiente, a partire dalle luci invitanti dei locali che li circondavano, il via vai frenetico, il borbottio dei passeggeri che, come loro, dovevano sostare in fila al check-in.
Aveva cercato qualcuno che condividesse il suo puerile entusiasmo, ma avevo riscontrato solo facce assonnate e apatiche. Persino Rosalya, da sempre garanzia di energia, se ne stava in silenzio, fissando lo schermo del cellulare da cui compariva un lungo messaggio del suo ragazzo, Nathaniel.
La mora la vide sorridere e non osò invadere la sua privacy. Cercò allora Iris, che era intenta ad ascoltare l’unico ragazzo che dava qualche segno di vita, Dakota. Il surfista gesticolava animatamente, riuscendo a strappare un sorriso divertito alla rossa, sottolineando un’invidiabile complicità tra di loro. Anche Kentin sembrò accorgersi di quello scambio di battute in atto, accigliandosi non appena il biondo incrociò il suo sguardo.
Erin abbandonò il campo di quella tacita guerra fredda, accorgendosi di un movimento brusco accanto a sé. Spostò quindi la sua attenzione verso il pavimento, dove vide il braccio di Castiel intercettare il suo trolley:
« Stava cadendo » borbottò il ragazzo, riferendosi al precario equilibrio del bagaglio a mano.
« Ah grazie »
« Si può sapere che ci hai messo dentro? Un cadavere? Pesa un quintale » si lagnò.
Erin sollevò gli occhi al cielo, rassegnata. Si era sorpresa del fatto che l’amico non avesse ancora trovato qualcosa di cui lamentarsi e quella piccola constatazione era giunta a conferma di quanto lo conoscesse fin troppo bene.
« Non pesa tanto, Cas » convenne, con una leggera nota di indecisione nella voce.
« Secondo me invece hai sforato le trentacinque libbre » la punzecchiò lui « pagherai la maggiorazione, Cip »
Si guadagnò un’occhiata sprezzante ed intimidatoria. Non gli avrebbe permesso di guastarle quell’attesa, lasciandosi attorniare dal dubbio di aver infranto il regolamento imposto dalla compagnia aerea.
Questo almeno era quanto Erin continuava a ripetersi.
I dubbi iniziarono infatti a tormentarla e, dopo poco, lasciandosi alle spalle una risata divertita del rosso, la ragazza iniziò a chiedere ai presenti di stimare approssimativamente il peso del suo bagaglio.
« E’ sotto le trentacinque libbre, Erin » sbadigliò infine Dajan « lascia perdere Black »
Rimasero in coda per un tempo che sembrò interminabile, che prolungò la loro agonia fino al limite di sopportazione; quando finalmente il viso gentile dell’addetta comparve davanti a loro, ci fu un diversivo che sembrò destare la sonnolenza generale: Wes aveva smarrito la carta d’imbarco.
Il resto della compagnia aveva già superato il controllo, solo Erin e Kentin erano rimasti con lui e la prima, compatibilmente con la sua natura premurosa e gentile, si offrì immediatamente di aiutarlo. Aprirono il bagaglio a mano, sotto gli sguardi spazientit degli altri viaggiatori in attesa e, senza troppi riguardi, la mora rovistò tra i vestiti. Le sue mani afferrarono distrattamente un pacchetto che, troppo tardi, si rivelò una confezione di preservativi aromatici. La ripose in fretta e furia all’interno della valigia, seppellendola più a fondo possibile tra gli effetti personali del ragazzo. Quest’ultimo, per nulla turbato da quell’uscita che aveva strappato qualche sorriso imbarazzato attorno a loro, continuava a gettare all’aria il contenuto del bagaglio, fino ad accorgersi che il documento era sempre stato nella tasca esterna del trolley. 
Riuscirono così a effettuare il check-in, passando poi alla fase successiva: il metal detector.
Quell’apparecchio incuteva un certo timore in Erin, che aveva passato in rassegna più volte gli oggetti metallici in suo possesso; non aveva una cintura e il braccialetto che le aveva regalato Alexy se l’era già tolto, eliminando così ogni pretesto per far suonare quel varco tecnologico. Con la figuraccia dei preservativi, aveva già focalizzato l’attenzione su di sé e non intendeva ripetere l’esperienza. 
Nonostante le sue paranoie, superò il controllo, recuperando poi gli effetti personali sul nastro trasportatore in cui aveva dovuto riporli.
Trevor impiegò dieci minuti buoni a togliersi i piercing metallici, ma fu Wes che riuscì a far scattare l’allarme del dispositivo. L’addetta alla sicurezza aeroportuale allora, fece sorvolare sul corpo del ragazzo un metal detector portatile, il quale iniziò a suonare all’altezza dell’inguine:
Quell’occasione fu troppo ghiotta per il cestista che, scambiando un’occhiata maliziosa all’amico Trevor, esclamò:
« E’ di metallo! » in riferimento ad una nota pubblicità di caramelle alla menta.
I ragazzi scoppiarono a ridere fragorosamente, così come buona parte delle persone nei paraggi, mentre Erin e il resto delle ragazze arrossirono imbarazzate.
Quella era solo l’anticipazione di una vacanza che si prospettava carica di allegria ed emozioni.
Dopo quella piccola gag, si scoprì la presenza di un portachiavi all’interno della tasca dei jeans del cestista, che finalmente ottenne il via libera definitivo.
Il gruppo, capeggiato da Dajan e Kim, ebbe così accesso ad una delle tante sale d’attesa, con ampie vetrate aggettanti sulle piste di decollo. Il pavimento era tirato a lucido ed incredibilmente pulito, nonostante l’indicibile numero di piedi che lo calpestavano quotidianamente.
Mosse dalla trepidazione, Erin ed Iris corsero eccitate verso il panorama, ad incollare mani e naso sul vetro che le separava da un aereo fermo, poco lontano. Anche nella rossa sembrava essersi destato quel tenero interesse, quasi infantile, alla vista di un velivolo su cui era salita solo una volta in vita sua.
« E’ enorme! » squittì la mora affascinata.
Iris ne assecondò la reazione, ma ci pensò Kentin a sgonfiare ogni entusiasmo:
« Quante storie per un aereo » sbadigliò annoiato e con le mani conserte dietro la nuca. Non fu un’uscita felice, dal momento che Iris lo gelò con lo sguardo, per poi aggiungere:
« Scusa se sono anni che non vedo un aereo da vicino »
La innervosiva quando il militare tendeva a ridimensionare dettagli che per lei erano importanti. Con quel genere di commenti, dimostrava di peccare di quella sensibilità di cui, in altre circostanze, sembrava dotato.
« E’ sempre emozionante vedere un simile bolide da vicino » convenne una voce. Riconoscendo in essa quella di Dake, Kentin emise un grugnito, allontanandosi contrariato mentre Iris sorrideva grata al surfista.
Il gruppo si sparpagliò, in attesa del loro volo che sarebbe stato chiamato non prima di un’ora. Trevor e Wes entrarono nell’edicola, per fare scorta di riviste sportive, raggiunti poco dopo da Kim e Dajan. Dai compagni, Steve aveva ottenuto il permesso di portare la sua ragazza Paula, che in quel momento lo stava trascinando verso la profumeria, con l’astuto intento di strappare al fidanzato un regalo.
« In aeroporto i prodotti sono tax free » gli aveva sorriso maliziosa « costano meno, amore »
L’unico musicista del gruppo, Castiel, non aveva saputo resistere al richiamo di un paio di ammalianti cuffie stereo e si era appostato davanti alla vetrina di un negozio di elettronica per ammirarle in tutto il loro tecnologico splendore. Erin, Iris e Rosalya, dapprima si erano lanciate in un’animata conversazione, ma con il passare dei minuti, il sonno aveva preso il sopravvento sulle ultime due, che si appisolarono l’una accanto all’altra sulle scomode poltrone della sala d’attesa.
Priva di passatempi e distrazioni, la mora si alzò dal suo posto e iniziò a passeggiare, buttando ogni tanto lo sguardo sul suo bagaglio a mano, lasciato incustodito vicino alle amiche. Le sembrava di muoversi in un limbo di irrealtà: l’atmosfera era come sospesa, poiché faticava a capacitarsi del fatto che di lì a poco sarebbe salita su un aereo. Era come sognare, e non riuscire a metabolizzare completamente le emozioni che le vorticavano dentro.
« Che numero hai? »
Si voltò, trovandosi davanti lo sguardo vispo di Dakota, reso ancora più accattivante da un sorriso bianchissimo.
« Il 37 A, corridoio » recitò Erin con un certo disappunto, mostrando la carta d’imbarco. Aveva desiderato fortemente un posto accanto al finestrino, ma lo smistamento dei posti da parte dell’agenzia di viaggi, aveva stabilito diversamente.
« Sei seduta vicino ad Iris? » incalzò.
La mora annuì, mentre le labbra del ragazzo s’incurvavano ancora di più verso l’alto, vittoriose:
« Che ne diresti di uno scambio? »
Le iridi luminose, unite all’espressione vivace e stuzzicante, ammaliarono la sua interlocutrice; seppur non provasse alcun sentimento romantico verso di lui, Dake riusciva ad incantarla con la sua spontaneità e sicurezza.
« Ti offro un posto vicino al finestrino » la lusingò il biondo. Da bravo stratega, non puntualizzò che nell’offerta era incluso Trevor come vicino, consapevole che quel dettaglio non fosse a vantaggio della causa che voleva perorare. Per Erin comunque, bastava la posizione accanto all’oblò per accettare la proposta: finalmente avrebbe realizzato il sogno di volare tra le nuvole. Felice per quell’opportunità, l’unica ovvia considerazione con cui Erin riuscì a replicare, fu:
« Vuoi stare vicino a Iris? »
La risposta fu rappresentata da un fugace occhiolino che la fece sorridere ancora di più.
 
Quando tornò dalle sue amiche, venne come investita dall’occhiataccia circospetta di Rosalya:
« Che voleva Dake? » le sussurrò, per non svegliare la rossa che ancora dormiva.
« Fare cambio di posto »
La stilista aggrottò la fronte e ribatté indispettita:
« Non avrai accettato, spero »
Spiazzata da quella velata recriminazione, Erin non fiatò, reazione che bastò all’amica per sbottare:
« Porca paletta, Erin! Ma che ti dice il cervello? »
Si era alzata di scatto, allontanandosi a grandi passi. Con il suo scatto, venne meno il sostegno ad Iris che, tuttavia, non accennò alcun risveglio. Erin la vide pendere pericolosamente di lato, così si rassegnò a sorreggerla, per poi sedersi accanto a lei.
« Dove stai andando? » questionò confusa, rivolgendosi a Rosalya.
« A rimediare » sputò l’altra nervosamente.
Le oscillazioni emozionali di Rosalya erano più repentine e drastiche di chiunque altro, riusciva a passare da una calma zen all’irritazione isterica nell’arco di pochi secondi. Intavolare una discussione sarebbe stato, oltre che inutile, assolutamente controproducente.
L’unica soluzione era lasciarla agire, anche se non sempre tollerava di buon grado quegli scatti d’irragionevole irritazione dell’amica. Del resto però, sembrava che quel genere di personalità esercitassero un certo fascino su Erin, che vedeva in Castiel l’emblema dell’impulsività rabbiosa. Si limitò così a sospirare, mentre un addetto alla sicurezza aeroportuale batteva Rosalya sul tempo e si rivolgeva al suo obiettivo: Kentin. Il cadetto infatti teneva una sigaretta in bilico tra le labbra, ancora spenta, mentre l’uomo inveiva sul divieto di fumare. Era stato un gesto istintivo, probabilmente prima ancora che la fiammella dell’accendino avviasse la combustione, il ragazzo avrebbe realizzato che quella che stava commettendo era un’infrazione. Non potè fare altro che scusarsi, così quando l’uomo si allontanò, lasciando a Rosalya la possibilità di parlare con il moro, lo trovò di pessimo umore. Per nulla intimorita, gli sorrise invitante e, con voce suadente, domandò:
« Kennino, ti va di fare uno scambio? »
Lui la fissò dapprima perplesso, poi arrossì a disagio.
Kennino.
Lo stesso soprannome con cui, nell’intimità e segretezza delle mura domestiche, sua madre si rivolgeva a lui. Odiava quel nomignolo ma le sue proteste non avevano mai arginato l’affettuosità di Yvonne.  
« Che vuoi, White? » scattò lui sulla difensiva. Nelle iridi dorate fiammeggiava un’espressione vispa e felina, quasi subdola per la mente ingenua del militare.
« Offrirti un posto in una posizione spettacolare sull’aereo »
« Accanto al finestrino? » tirò ad indovinare lui, scrutandola diffidente.
« Meglio » miagolò prontamente, sventolandogli sotto il naso la sua carta d’imbarco. Guadagnò solo un’espressione confusa, così la stilista precisò:
« Scommetto che ti interessa un posto accanto ad Iris »
Preso in contropiede per quella proposta, il ragazzo sgranò gli occhi: sentì il battito accelerare, mentre un’irritazione pulsante prendeva possesso di lui. Istintivamente cercò Castiel con lo sguardo, convinto che fosse lui il responsabile dello smascheramento del suo segreto. Lo intravide all’interno del negozio di elettronica ma di lui si sarebbe occupato successivamente. In quel momento l’urgenza era smentire la teoria di Rosalya:
« No, ti sbagli, cosa vuoi che me ne freghi? » borbottò accigliato e in evidente imbarazzo.
La ragazza, dando sfoggio delle sue migliori qualità di attrice, si finse sinceramente stupita e, con un’ipocrisia che riuscì a farla apparire ingenua e svampita, mugolò mortificata:
« Ah scusa, pensavo che… »
Sin da quando aveva scoperto che Kentin era lo stesso ragazzo che Iris aveva conosciuto in biblioteca durante le festività natalizie, Rosalya aveva stabilito che, in un modo o nell’altro, i due dovevano formare coppia fissa. Nessun titolo l’autorizzava ad esercitare una simile ingerenza nella vita dell’amica, ma ciò non bastava certo a scoraggiarla. Aveva addirittura cercato l’appoggio di Erin che, tuttavia, aveva deciso di non assecondarla in quell’impresa. La mora infatti, sosteneva una politica di rispetto reciproco della privacy, consapevole che lei per prima non avrebbe tollerato pressioni nel suo rapporto con Castiel.
Rosalya era sola, ma agguerrita più che mai: ai suoi occhi Kentin appariva come un cucciolo ingenuo ed inesperto. Raggirarlo sarebbe stato fin troppo facile.
« Pensavi male » aveva tagliato corto il militare, fissando i monitor in cui venivano annunciati i voli in partenza. Si sottraeva al suo sguardo, e ciò gli impedì di notare il ghigno divertito della stilista quando annunciò con non curanza, ammirando la sua impeccabile nail art:
« Vorrà dire che Iris si sorbirà Dake tutto il viaggio, dal momento che io dormirò in aereo »
Aspettò qualche secondo, il tempo necessario affinché il cadetto metabolizzasse la notizia. Apparentemente il ragazzo sembrava calmo e indifferente, ma il leggero rossore che gli colorò il viso tradì ben altri pensieri:
« Non c’è Erin con voi? »
Rosalya attese qualche secondo, per godersi il divertimento sadico nel stuzzicare la gelosia del ragazzo, poi spiegò:
« No, ha fatto scambio con Dake »
Attese ancora qualche istante ed infine aggiunse « però, a quanto pare, preferisci stare dove sei… » lo liquidò, allontanandosi trionfante.
Aveva già vinto, lo sapeva, si trattava solo di aspettare che il nemico realizzasse la propria sconfitta. Non dovette attendere molto per tale dichiarazione, poiché dopo pochi passi sentì la voce alle sue spalle esclamare:
« Accetto lo scambio! »
Sorrise sorniona, prima di voltarsi. Avrebbe voluto punzecchiarlo ulteriormente, fingere di stupirsi per quel cambio repentino di intenzioni, ma era abbastanza scaltra da saper dosare le parole per non compromettere il raggiungimento del suo obiettivo.
« Ottimo » replicò quindi con un sorriso accondiscendente.
 
« Si può sapere che stai combinando? » indagò Erin non appena l’amica si accomodò accanto a lei. Rosalya accavallò le gambe con eleganza e in un primo momento sembrò restia a intrattenersi in quella discussione. Infine, rassegnata dall’ottusità della sua migliore amica, sbottò:
« Cerco di smuovere un po’ le acque, Cip, perché se aspetto voi due, qua rimane calma piatta » ed indicò Iris, che ancora sonnecchiava beatamente.
« Ho solo fatto scambio di posto con Dake… »
« Appunto Erin: con-Dake » scandì, muovendo le mani « non eravamo d’accordo che Iris doveva mettersi con Kentin? »
« Non eravamo d’accordo per niente, sono fatti loro »
La stilista sbuffò e, dopo aver alzato lo sguardo al cielo, spiegò:
« E’ mio dovere come amica immischiarmi… e poi, non vedi che carini che sono insieme? »
Erin rimase senza parole:
« Lei e Kentin? » cercò conferma la mora. Quella domanda, per quanto retorica, le fece guadagnare l’ennesima occhiataccia di biasimo. Agli occhi di Erin, Kentin ed Iris interagivano poco tra di loro, come se il loro rapporto fosse vincolato unicamente alle loro amicizie comuni:
« A volte sei proprio tarda, Erin, lasciamelo dire! Sarà per questa tua ingenuità che piaci tanto a Castiel? »
Se anche Rosalya avesse voluto aggiungere un altro commento, il tentativo le fu impossibilitato dalla mano dell’amica che arrivò a tapparle la bocca:
« Vuoi parlare piano, scema? » si agitò, scrutando attorno a sé circospetta « non dire cavolate e, soprattutto, non farti sentire! »
« Tzè figurati » sbottò l’altra, liberandosi dal bavaglio improvvisato « possibile che non ti rompa questa situazione di stallo? Io voglio azione! »
« Allora concentrati su Iris » sviò l’amica « perché non voglio nessuna intromissione nella mia amicizia con Castiel… te l’ho ripetuto non so quante volte »
« Io infatti sto cercando di pensare al bene di Iris ma sei tu che mi complichi i piani »
Le labbra di Erin si incresparono mentre Rosalya sbottava:
« Però se Affleck non si sbriga a fare il primo passo, passo dalla parte di Dake » sentenziò d’un tratto.
Erin sollevò le spalle, imponendo di restare neutrale in quella guerra in cui l’amica voleva per forza prendere parte:
« Comunque » esclamò la mora « se Kentin è seduto accanto ad Iris, chi avrai vicino in aereo? »
 
« No, questo è fuori discussione! »
Sul viso di Rosalya si era dipinta un’espressione di sconcerto e disgusto. Le mani arpionavano saldamente i suoi fianchi stretti, mentre dietro di lei, cominciava ad accumularsi una fila di passeggeri spazientiti. Il corridoio dell’aereo era troppo stretto per permettere a loro di superarla, ma nonostante l’ingorgo, la stilista non si spostava di un millimetro:
« Spostati da lì, White, sei in mezzo alle palle, lascia passare la gente » mormorò Castiel, fissandola dal basso verso l’alto: comodamente seduto sul suo sedile, il ragazzo stava studiando la confezione in cui erano imballate le cuffie recentemente acquistate.
Made in Germany, sorrise soddisfatto.
« C’è qualche problema, signorina? » domandò una hostess, allarmata dall’intasamento del piccolo corridoio:
« Non posso stare seduta accanto a questo soggetto » replicò Rosalya, indicando il rosso.
« E chi ti vuole? » sbottò lui  « qui c’è Affleck… non che sia una compagnia tanto migliore »
« Ecco cosa succede nel fare buone azioni! » sbuffò la stilista, sollevando gli occhi al cielo.
« Signorina, potrebbe sedersi? » la invitò pazientemente la hostess « sta ostacolando il resto dei passeggeri »
« No, lei non capisce » s’impuntò la ragazza, agitando le mani « se io e questo tizio restiamo seduti vicini per più di cinque minuti, qua scatta un omicidio, è una questione di sicurezza personale e collettiva »
Il cipiglio della donna si alzò, mentre un uomo anziano, esasperato, scattò:
« Senta, trovi qualcuno con cui cambiare il posto e finiamola! » aggiungendo poi qualcosa circa l’immaturità degli adolescenti. Destata da quelle parole, l’espressione di Rosalya cambiò drasticamente: sapeva esattamente a chi proporre quello scambio.
 
Erin si guardò attorno elettrizzata: anche se l’aereo rientrava nella classe economy, le sembrò estremamente confortevole e raffinato. I sedili erano abbastanza larghi e di certo con il suo fisico minuto poteva starci comoda. Il vocio dei passeggeri non era eccessivamente alto, l’unico rimpianto era che il suo posto si affacciasse verso il corridoio. Se non altro, era in una delle due file laterali, biposto, seduta accanto alla persona che più di ogni altra rappresentava qualcosa di importante per lei su quel velivolo. Per stargli accanto, aveva rinunciato a un posto accanto al finestrino ma non le importava granché, anzi, era talmente di buon umore, che non pensò nemmeno di chiedere a Castiel di scambiarsi.
« Io e Rosa abbiamo fatto cambio » gli aveva spiegato, mentre si sedeva.
« Come mai? Non riesci a starmi lontana? » non perse occasione per schernirla.
« Ovvio » replicò lei con indifferenza, anche se sapeva quanta verità fosse celata dietro quella battuta « comunque, c’è stato un traffico di posti solo perché a Ken interessa Iris »
Si lasciò sfuggire quel commento troppo in fretta; inoltre, che al ragazzo piacesse Iris, era solo una supposizione di Rosalya, non avevano mai ricevuto alcuna conferma in merito. Stava per rimediare, aggiungendo qualcos’altro quando Castiel esclamò:
« Ha buon gusto, allora »
Anche se tra lui e il cadetto c’era un rapporto di dichiarata belligeranza, non sarebbe stato lui a tradire il suo segreto. Tuttavia, quella risposta aveva allarmato Erin, che si era pietrificata. Notando il suo sgomento, il rosso sorrise beffardo:
« Iris ha proprio due belle tette »
« Pervertito » mugolò lei, gettando un’occhiata furtiva alla desolante coppia di collinette che rappresentava il suo misero panorama. Non riusciva a capire perché per certi ragazzi la vista di un seno prosperoso dovesse essere qualcosa di così eccitante ed ammirevole, e il fatto che Castiel rientrasse nella categoria, la sconsolò un po’, accentuando in lei delle insicurezze sopite.
Lo vide liberare dalla confezione le cuffie che aveva comprato poco prima e collegarle tramite Bluetooth allo smartphone:
« Adesso Cip, vedi di startene buona finché non arriviamo »
« Non trattarmi come una bambina! » s’infastidì lei. Non solo non la vedeva come una donna, la trattava addirittura come una ragazzina, petulante e infantile.
« Allora te lo dirò diversamente: non rompermi i coglioni perché stanotte non ho chiuso occhio »
Mentre le palpebre del ragazzo si serravano e il suo corpo veniva abbandonato contro lo schienale del sedile, lei incrociò le braccia al petto, risentita. Erano loro due soli, accanto non aveva nessun altro con cui fare conversazione e l’unica alternativa era sporgersi a fissare il paesaggio fuori dall’oblò, posizionato accanto all’amico. Castiel era stato così scorbutico, più del solito, al punto da instillarle il dubbio che la sua vicinanza fosse qualcosa di sgradito. Forse preferiva la compagnia di Kentin.
Solo anni più tardi, scoprì che dietro ai modi grezzi e schivi del ragazzo, si nascondeva un leggero nervosismo, frammisto alla contentezza di averla vicino.
 
L’hostess aveva appena finito di illustrare le misure di sicurezza al termine delle quali, Erin si scoprì inspiegabilmente ansiosa e nervosa. Venire a conoscenza di tutti i comportamenti da adottare in caso di incidenti, l’aveva resa cosciente dei rischi associati ad un viaggio aereo. Volare a centinaia di chilometri dal suolo era prima di tutto un’esperienza rischiosa. Lo stress iniziò così a germinare in lei: improvvisamente il sedile le sembrò scomodo, l’aria condizionata troppo fredda e i timpani ernao investiti da un brusio fastidioso.
Aveva il terrore di volare e l’aveva realizzato troppo tardi.
Dal vetro circolare dell’oblò, intravide che l’aereo acquisiva sempre più velocità, senza staccarsi ancora dal suolo:
« Merdamerdamerda » pensò tra sè e sé, mentre il cuore le accelerava.
Strinse disperatamente le mani contro i poggioli ai lati dei sedili, al punto che le nocche le si imbiancarono.
« Guarda che non siamo sulle montagne russe » la schernì Castiel, dopo averle lanciato una sbirciatina ed essere tornato a dormire.
La paura l’aveva resa sorda a qualsiasi suono, così non le fu difficile ignorarlo.
Rimpianse amaramente di aver ceduto allo scambio di posti, almeno avrebbe potuto contare su qualche parola di conforto da parte dell’amichevole presenza di Iris.
Strinse le palpebre, i muscoli del collo erano rigidi e le spalle un blocco di marmo. Alla lingua, arrivò l’appena percettibile sapore salato del sangue, fuoriuscito dalle labbra screpolate; più passavano i secondi, più la sua ansia cresceva.
Stava per cercare una rivista da usare come ventaglio quando si sentì avvolgere da una musica dolce e malinconica: sulle sue orecchie si erano posate, come d’incanto, un paio di cuffie, che la isolarono completamente.
Alzò lo sguardo, mentre le braccia di Castiel tornavano ad abbassarsi, dopo essersi rese fautrici di quella premura.
« È - è una tua canzone? » balbettò Erin, avvampando.
In un attimo aveva dimenticato la sua paura di volare, il malessere fisico e psicologico che l’aveva pervasa.
C’erano solo lei e quel ragazzo dalla sensibilità inaspettata:
« Magari... sono i Radiohead... Let down... » masticò senza guarda in faccia « possibile che tu non la abbia mai sentita? »
Quell’ultimo rimprovero era necessario e inevitabile per mascherare la dolcezza del suo premuroso gesto. Erin sorrise, ormai abituata alla contraddittorietà del rosso e, dopo qualche nota, riconobbe una delle sue canzoni preferite del gruppo. L’aveva sentita suonare in passato dall’amico, che le aveva permesso di allargare il suo repertorio musicale in fatto di musica rock.
Voleva aggiungere qualcosa, quando una forza invisibile e invincibile, la schiacciò contro lo schienale. I condotti uditivi le si tapparono, nonostante i suoi ripetuti tentativi di deglutire e l’aereo iniziò ad inclinarsi verso l’alto, lentamente ma inesorabilmente. Con la coda dell’occhio, intravide quello che sembrava un ghigno divertito alla sua destra, che si spense nell’istante stesso in cui lei cercò la sua mano. Quasi gliela stritolò, perché in quel gesto ritrovò un po’ di quella calma e rassicurazione che solo lui poteva darle; non vide tuttavia come fosse radicalmente cambiata l’espressione di Castiel. Rimasero così per secondi che se ad Erin sembrarono interminabili, per il ragazzo non furono abbastanza.
Quando l’aereo tornò orizzontale, la mora sciolse quella stretta dettata dall’impulso, nascondendo frettolosamente la mano sotto le maniche della maglia:
« Scusa » mormorò a disagio, anche se dal punto di vista del ragazzo, avrebbe dovuto scusarsi per aver interrotto quel contatto, non per averlo creato. Si tolse le cuffie proprio quando i Radiohead avevano suonato l’ultima nota di quella triste ballata e gliele restituì:
« Grazie, mi sono servite »
Lui scrollò le spalle e si sistemò le cuffie, chiudendo gli occhi:
« Adesso però, lasciami dormire » brontolò.
Girò il capo verso l’oblò, in modo che Erin non potesse vedere il leggero rossore che gli aveva tinto le guance. Già sentiva la nostalgia per un contatto che era durato appena pochi secondi, e se un gesto così innocente era bastato a destabilizzarlo, non osò ricordare quanto avrebbe voluto risentire il tocco di quelle morbide labbra sulle sue, conosciutesi la notte del concerto del liceo.
In mancanza di compagnia, Erin dapprima cercò, nella rivista fornitale dall’hostess, la distrazione di cui aveva bisogno, ma l’interesse durò appena minuti: quanto era appena successo tra lei e Castiel aveva la precedenza sui suoi pensieri.
Gli lanciò un'occhiata fugace e si accorse che era tornato a rivolgere il capo dal suo lato. Aveva gli occhi chiusi, totalmente immerso nella sua musica. Dal display del cellulare, intravide il titolo del gruppo che le aveva fatto ascoltare e che sembrava conciliare la serenità dell'ascoltatore.
Le sue palpebre, minuto dopo minuto, rimanevano ostinatamente abbassate, nessun tremito o tentativo di sollevarsi. Quasi complici, nell'invitare gli occhi di Erin a continuare a soffermarsi indisturbata sul ragazzo.
Non aveva mai negato che fosse intrigante, anche quando lo reputava un individuo insopportabile ed immaturo, ma con l'acquisita consapevolezza dei suoi sentimenti, in lei si era anche radicata la romantica concezione che non esistessero ragazzi più belli di lui.
Si perse a guardare il mento con quel leggero accenno di barba scura, rasata appena due giorni prima, la mascella squadrata e delineata, che il rosso aveva l’abitudine di accarezzare distrattamente quanto era sovrappensiero.
Stargli accanto, la faceva sentire protetta, sicura e in quel momento le era impossibile soffermarsi su qualcosa che non fosse lui. Le piaceva da impazzire, la lontananza degli ultimi due mesi non aveva fatto altro che alimentare quei sentimenti che erano sempre più incontenibili.
Il suo sguardo indugiò infine sulle sue labbra, immobili e solo leggermente dischiuse. Era chiaro che si fosse già addormentato ma come fosse riuscito a farlo in un lasso di tempo così ristretto, Erin non riuscì a spiegarselo; il ragazzo era dotato di quell'invidiabile capacità di addormentarsi nei posti più scomodi, tanto che sin da quando era bambino, suo padre sosteneva che avrebbe potuto anche dormire sui sassi. Pur nella vulnerabilità di quel momento, Castiel non perdeva la compostezza e la fierezza che agli occhi di lei lo rendevano così affascinante e virile.
Le labbra.
Ancora una volta gli occhi di Erin caddero in quel punto, come stregati, circostanza che si rivelò ancora più tentatrice del primo tentativo. Erano rosee, all'apparenza un po’ ruvide ma il desiderio di toccarle iniziò a farsi strada in lei sempre più prepotentemente. Non si sarebbe accontentata di sfiorarle con la punta delle dita, voleva qualcosa in più, voleva che ad appoggiarsi su di esse fosse la sua bocca.
Lui continuava a dormire, ignaro delle macchinazioni della ragazza che, forse, pure lei stessa ignorava. Aveva scollegato il cervello, a guidarla era solo l'istinto e quel desiderio sempre più irrefrenabile di assecondarlo. Nessuno si sarebbe accorto di loro, erano gli unici seduti in quel posto, erano lontani dalle occhiate indiscrete dei loro amici e le persone dall'altro lato del corridoio erano impegnate nella conversazione.
Non si era mai trovata in una situazione simile: combattuta tra la paura e il rischio del proibito, ma eccitata al contempo da quella sensazione. Voleva solo rubargli un bacio innocente, si sarebbe trattato di un piccolo furto che non avrebbe impoverito nessuno, le avrebbe solo regalato per un attimo una gioia indimenticabile.
Iniziò a piegare il busto in avanti, portandosi davanti a lui:
« Dorme » osservò tra sé e sè,  con un sorriso tenero, indugiando per un attimo sulle ciglia del rosso.
Inclinò la testa di lato, accorciando la distanza.
Sentì il suo respiro solleticarle il mento e un brivido percorrerla.
A quel punto non pensò più a nulla: il suo corpo non rispondeva e seguiva la sua bocca che veniva attratta come una calamita da quella del ragazzo.
Erano così vicini, come non lo erano mai stati, almeno per quanto ricordasse Erin.
Le sue labbra si erano impercettibilmente schiuse quando le palpebre del ragazzo vibrarono per poi spalancarsi improvvisamente.
« OHI! » esclamò paonazzo e schiacciando la schiena all’indietro, contro lo schienale.
Erin dapprima si pietrificò mentre buona parte dei passeggeri si voltarono spaventati verso la coppia.
Alcuni dei cestisti, come Wes e Trevor, erano balzati in piedi, mossi dalla curiosità e, a causa del pessimo tempismo della tweener, la trovarono che era ancora a pochi centimetri dal loro ex capitano.
« Maddai Black, ti sottrai ad Erin? » lo sfotté smaliziato l’ala grande.
La ragazza nel frattempo era diventata rigida come un asse, ed era tornata a stagliare la schiena contro il sedile, avvampando per la vergogna. Non si capacitò di quanto era stata sul punto di fare e non osava rialzare lo sguardo verso Castiel. Al brusio mormorante dei passeggeri, si unì il ticchettio frenetico di un paio di tacchi, seguiti da una prevedibile richiesta da parte dell’hostess:
« Signore, si sente bene? » chiese apprensivamente la donna, chinandosi verso Castiel.
« Tutto ok » borbottò lui, ancora confuso.
La donna, anziché rassicurarsi però, strinse le labbra contrariata:
« Allora, la prego di non disturbare il resto dei passeggeri » lo liquidò, voltandosi e lasciandolo piuttosto in difficoltà. Suo malgrado, il ragazzo era riuscito a guadagnarsi l’antipatia della donna, dapprima con le lamentele di Rosalya ed in quel momento con l’iniziativa audace di Erin. Anche se in entrambe le circostanze non era colpevole, aveva finito per passare dalla parte del torto.
Nell’aereo, ognuno tornò a farsi i fatti propri, alimentando un vocio che risultava quasi fastidioso.
« Ho qualcosa in faccia? »
Erin alzò il viso di scatto, ancora arrossato, incrociando l'espressione imperscrutabile dell'amico e lo fissò stranita: non aveva capito nulla.
Castiel non aveva capito nulla.
L’amica stava per tirare un sospiro di sollievo, quando lui specificò:
« ... perché in caso contrario, dovrei pensare che volessi baciarmi »
Buttò lì quella battuta con estrema naturalezza, perché convinto nella maniera più assoluta di quanto potesse essere remota quella possibilità.
Il battito cardiaco della mora accelerò, battendo ad un ritmo sostenuto. Lei lo fissava inebetita, cercando di riordinare le idee e darsi una compostezza tale da celare la verità dietro quell’episodio.
Sì, aveva tentato di baciare Castiel e nella confusione del momento, non capiva se essere più sconvolta dall'aver assecondato quella tentazione, o frustrata dal non averla portata a termine. Il suo silenzio prolungato parlava da sé e nel disperato tentativo di giustificarsi, l'occhio le cadde sull'orecchio sinistro del rosso. Ora che i capelli erano più corti rispetto a qualche mese prima, poté notare un dettaglio che le era sempre sfuggito:
« -tuaggio » mormorò tenendo il capo chino.
« Che? »
« Volevo vedere il tatuaggio che hai dietro l'orecchio » ripeté con più determinazione.
Non che Erin avesse grandi doti nella recitazione, ma la sua spiegazione convinse Castiel all’istante; sbattè le palpebre, meditando per un paio di secondi ed infine, farfugliò:
« Allora la prossima volta avvertimi, piuttosto di prendere inquietanti iniziative »
Inquietante iniziativa.
Ecco come giudicava l'idea che Erin potesse baciarlo.
La ragazza storse le labbra, schiantando pesantemente il capo contro il sedile e chiuse gli occhi, restando in silenzio. Era talmente amareggiata da quella risposta che non insistette per vedere quel simbolo giapponese di cui le aveva parlato Alexy il giorno del suo compleanno.
Castiel alzò nuovamente il volume dell'i-pod e, con un sorrisetto divertito, chiuse gli occhi fantasticando sulla tanto impossibile quanto lusinghiera eventualità che quella di Erin fosse solo una bugia.
 
« Vuoi un altro po’ di succo, tesoro? »
« No grazie, sono apposto così »
Evelyn piegò la testa di lato, deliziata: la ragazza di suo figlio era bellissima, educata e posata, completamente diversa da Armin, il cui sguardo, non era mai stato così tenero. Il moro ogni tanto si perdeva per qualche secondo a fissarla dolcemente, finché non era la bionda a ricambiare quell’occhiata con un sorriso complice.
Evelyn tuttavia aveva dovuto aspettare che fosse Alexy a lasciarsi sfuggire un commento a riguardo, visto che il gemello moro era assolutamente riservato circa la sua vita privata.
« Mamma, dacci un taglio » la redarguì quest’ultimo a disagio « non hai qualcos’altro da fare? »
Non era facile allontanare l’invadente presenza della madre, figura che sembrava essere mal tollerata solo dal figlio minore. Anche se a distanza di un’ora l’uno dall’altro, l’ordine di nascita aveva imposto una sorta di gerarchia nei gemelli, attribuendo ad Alexy il ruolo del maggiore.
« Non dovevi andare in farmacia? » intervenne il ragazzo, in aiuto al fratello.
La donna sbuffò contrariata, ricordando quella commissione che doveva essere improcrastinabilmente svolta e, dopo essersi congedata a malincuore dai giovani, sparì:
« Grazie ancora Ambra per aver accettato di aiutarci » esordì Lysandre con diplomazia, appena l’unico adulto abbandonò la stanza. Lei alzò le spalle, a minimizzare l’altruismo del suo gesto e proseguì:
« Allora, da dove iniziamo? »
« Da quello che sai tu » rispose Alexy « noi ti abbiamo già detto le conclusioni a cui siamo giunti qualche giorno fa »
Ambra annuì e replicò:
« Purtroppo, come vi ho detto, non so altro su Tracy Leroy, quindi il mio suggerimento sarebbe quello di andare a Pittsburgh, che a quanto so è la sua città d’origine »
« Credi che là troveremo qualcosa? » domandò Armin.
« Vale la pena tentare: quando una città dà i natali ad un personaggio divenuto poi famoso, tende ad ostentare tale fatto, è motivo di orgoglio, no? Secondo me ci sono buone probabilità che in qualche biblioteca troveremo dei libri su di lei e sulle sue opere. In questo senso internet è stato piuttosto deludente »
« Giusto » convenne Lysandre « ma Pittsburgh non è dietro l’angolo e poi mica possiamo andarci tutti »
« … e di certo non mentre gli altri sono via. Erin deve esserci per forza » aggiunse Alexy.
« Secondo me dovrebbero andare lei e Ambra di sicuro… » spiegò Lysandre « la prima perché è coinvolta personalmente in questa faccenda, mentre tu » disse soffermandosi sulla bionda « perché sei tu la nostra vera mente»
Lei arrossì leggermente, lusingata ma non tanto per il complimento, quanto per quella stupenda e confortante sensazione di essere considerata parte di un gruppo. Sensazione che, dopo anni di solitudine, era nuova ed eccitante.
« Sono quasi sei ore di macchina, Lys » obiettò Armin « dovranno fermarsi lì per più di un giorno, non è il caso che vada qualcun altro con loro? »
« Certo, non mi hai dato il tempo di finire » convenne il poeta « vuoi andarci tu allora? »
Il moro alzò il pollice, mentre Alexy interveniva:
« Sì, ma con che macchina? Dopo la multa per eccesso di velocità, papà non te la lascerà di certo »
Un grumo di saliva si seccò in gola ad Ambra, che fu costretta ad inghiottire a disagio: temeva che qualcuno dei presenti le proponesse di usare la sua macchina, ma questa era stata venduta poche settimane prima; suo padre le aveva assicurato che dietro quella decisione, c’era la volontà di acquistargliene una di più lussuosa, ma la figlia sapeva perfettamente che era solo l’ennesimo segnale di quanto si fosse aggravata la loro situazione economica. Gustave Daniels continuava ad ostentare una ricchezza che ormai non gli apparteneva più: non aveva ridotto il personale della villa, proprio per non dare alito a voci circa il suo tracollo finanziario e autorizzava ogni spesa folle della moglie, con un’apparente leggerezza che inizialmente mandava Ambra su tutte le furie.
 « Castiel ha la macchina. Suo padre gliel’ha lasciata qui » osservò Alexy.
« Direi allora che la spedizione è formata » concluse Lysandre soddisfatto. Aveva già pensato a quel pretesto per agglomerare l’amico al gruppo, fornendogli l’ennesima occasione per stare con Erin, anche se aveva imparato a non nutrire più alcuna speranza circa una loro unione. Non aveva senso forzare il rosso a dichiararsi, ormai si era rassegnato che le sue insicurezze fossero più grandi dei suoi sentimenti verso la mora, ma questo non significava negare loro la possibilità di passare del tempo insieme.
« Beh, intanto potremo cercare di scoprire qualcosa di più su chi ha dipinto il quadro » esordì Ambra.
Alexy allora annuì e dichiarò:
« Chiamo Violet e le chiedo se passa a prenderlo dalla zia di Erin, prima di venire qua »
 
« Stupida Sophia, che rompe le palle per quel quadro del cavolo… » farfugliava da solo Space per strada.
Calciò un sasso, ma con la sua pessima mira di calciatore, centrò in pieno la carrozzeria di una macchina parcheggiata poco più avanti, emettendo un tonfo preoccupante.
Sbiancò, guardandosi attorno circospetto. Accelerò il passo, allontanandosi dal luogo del reato e pregando che nessuno l’avesse notato.
Il giorno prima si era recato ad Allentown e, dopo essersi presentato ai signori Travis, aveva scoperto che il quadro che la sua amica custodiva tanto gelosamente, era stato portato a Morristown dalla gemella:
« Erin se l’è portato via?! » aveva sbraitato Sophia, sconvolta.
« Che è colpa mia? » era scattato lui sulla difensiva.
« Corri a Morristown e prendilo Space! So che ora Erin è alle Bahamas, chiamo mia zia e le dico di dartelo »
« Frena frena! Non sono un piccione viaggiatore! »
« Timothy » lo aveva redarguito lei, chiamandolo con il suo nome di battesimo, che lui tanto detestava « te lo chiedo per favore. Ormai sei lì, che ti costa farti un’oretta di macchina? »
Alla fine il buon cuore di Space si era lasciato corrompere e aveva così ricevuto l’indirizzo di Pamela Travis. Odiava dover interagire con persone sconosciute, misantropo patentato qual era.
Sophia doveva essergli grata per aver anticipato di tanto il suo arrivo ad Allentown, quando invece le aveva promesso che vi si sarebbe recato dopo il matrimonio della sorella maggiore.
Camminò di malumore fino ad accorgersi di essere arrivato a destinazione. Ricontrollò il nome della via, appuntato sul retro di uno scontrino di una tavola calda.
Kennedy Street.
Il posto era quello.
Doveva solo cercare il civico 41, ma nonostante avesse perlustrato la via in lungo e in largo, non riuscì ad individuare il posto corretto. In lontananza, vide una figura che si muoveva lentamente sul marciapiede e, controvoglia, si affrettò a raggiungerla, per fare una cosa assolutamente estranea alla sua natura: interagire con degli sconosciuti.
« Ehi, scusa! »
Quella che si voltò però non era uno dei tanti volti anonimi e indegni di suscitare il suo interesse: era piuttosto una creaturina innocente e pudica, la più dolce che avesse mai visto. Il colore purpureo dei capelli, che intravide sotto un basco, la fece apparire una sorta di fatina, così come l’espressione trasognante e gentile.
Appena la ragazza si accorse dell’arrivo trafelato di Space, sussultò, arrossendo e abbassando il capo. Era intimorita dalla presenza di quello sconosciuto ma d’altronde, erano ben poche le cose che non suscitavano la preoccupazione e il disagio di Violet M. Fisher:
« Scusa » ripetè lui, ancora un po’ disorientato dalla quella figura timorosa « per caso sai dov- »
S’interruppe, notando l’oggetto voluminoso che la ragazza custodiva sotto il braccio:
« M-ma che ci fai con quello? » la attaccò sconvolto.
Sbagliò completamente approccio, ma se ne accorse solo quando vide il viso della ragazza diventare paonazzo e gli occhi sbarrarsi dal timore. La presa sul quadro divenne ancora più salda e determinata, poiché lo strinse al petto con tutta la fermezza che quelle dita sottili le consentivano.
« E’- è di una mia amica » balbettò, con una poco credibile sicurezza.
« Stavo per dire la stessa cosa » commentò lui, perplesso. Si grattò la nuca, palesemente in difficoltà mentre l’artista incurvò le spalle, a disagio e, cercando di farsi coraggio, proseguì:
« Cosa volevi chiedermi? »
« In realtà stavo solo cercando quello » ammise lui, indicando il quadro.
« Perché? »
« La sua padrona lo vuole indietro »
« E chi sarebbe? »
« Sophia »
« La sorella di Erin? »
« A quanto pare abbiamo delle conoscenze comuni » commentò il moro, grattandosi il capo. Si sentiva un idiota con quel continuo sfregare le mani contro il proprio capo, come se fosse un cane randagio, ma era l’unico sistema che aveva sperimentato per attenuare il suo livello di stress e disagio. Violet, come suo solito, non rispose, mettendo ulteriormente in difficoltà l’aspirante astronauta. Non riusciva a staccare gli occhi dall’asfalto grigio, incurvata sotto il peso di una logorante tensione. Doveva proteggere quel quadro, viveva quasi come una missione il suo compito di portarlo a casa dei gemelli Evans e non poteva di certo lasciarlo nelle mani di quel ragazzo misterioso e strambo.
« Senti, non è che potresti darmelo? Sono venuto apposta per riprenderlo »
« Mi dispiace, ma non posso » sentenziò, sollevando finalmente lo sguardo.
Cercò di risultare convincente, ma anziché intimorire Space, quest’ultimo sospirò e sollevò gli occhi al cielo. L’operazione di recupero di quel quadro si stava rivelando più complicata del previsto. Inoltre, non capiva perché la zia di Sophia l’avesse consegnato a quella ragazza, quando era lui il corriere che era stato inviato a ritirarlo.
« Senti » sbottò, massaggiandosi nervosamente il collo « non ho tanto tempo da perdere e- »
Fu costretto ad interrompersi, per la seconda volta, perché rimase imbambolato e spiazzato dall’espressione vulnerabile e ferita di Violet. I suoi occhi neri sembravano supplicarlo di non insistere, per non temprare un carattere già di per sé fragile.
« Ti prego… » gli sussurrò, riabbassando il capo mortificata.
Space deglutì, disorientato e il suo silenzio venne interpretato dall’artista come un assenso.
« Grazie » bisbigliò infine, con un sorriso dolcissimo. Gli occhi le brillavano, mentre Space arrossiva leggermente, guardandola allontanarsi con una frettolosa corsetta. Non si accorse che le sue labbra si erano incurvate verso l’alto, nel vedere quella figura leggiadra e aggraziata che svoltava l’angolo tra la Kennedy e la quinta strada.
Era la prima volta che parlava con una ragazza così timida e riservata, o più in generale, era una delle poche volte che aveva una conversazione così lunga con una ragazza che non fosse Sophia.
Quella sconosciuta era introversa, misurata e garbata, completamente diversa dall’irruenza e la vivacità di Sophia che, a volte, lo irritava. A distoglierlo da quei dolci pensieri, ci pensò il cellulare e, con un tempismo impeccabile, la chiamata si rivelò essere proprio da parte della sua amica dai capelli rossi.
« Space! Disastro! » esordì catastrofica « ho appena chiamato mia zia, e ho scoperto che è già passata un’amica di mia sorella a prendere il quadro »
« Buongiorno a te, splendore »
Seguì un silenzio circospetto, poi Sophia borbottò:
« Space? Che ti sei fumato? »
Il ragazzo scosse il capo, cercando di sopire l’insana allegria che sentiva in corpo e borbottò cinicamente:
« Stavo scherzando… »
Sophia ignorò lo strano saluto dell’amico e ripetè:
« Mia zia mi ha detto il nome di questa ragazza, ma non ho idea di dove abiti e di certo non posso chiederlo ad Erin »
« Come si chiama? »
« Violet, l’ho conosciuta il mese scorso, al torneo »
« Le si addice proprio » farfugliò il ragazzo.
« Perché, la conosci? »
« Mi è appena passata davanti, con il quadro sottomano »
Seguì qualche secondo di mutismo da parte di entrambi, poi Sophia imprecò:
« M-MA SEI CRETINO!? Perché caspita non l’hai fermata? »
Space sollevò le spalle ma ciò che avvertì Sophia, fu solo un silenzio ingiustificato:
« Space, perché l’hai lasciata andare? » tornò a ripetere, con più calma.
« Che dovevo fare? Strapparglielo dalle mani? »
« Se necessario sì! Ti ho spiegato quanto è importante che »
« Non mi hai spiegato un tubo, Fia » la bloccò lui.
La recriminazione del suo tono zittì la rossa, che per qualche istante non riuscì a replicare.
Space aveva dannatamente ragione.
 
Dopo essere atterrati a Nassau, capitale delle Bahamas, si accorsero immediatamente della differenza di temperatura: il termometro infatti segnava dodici gradi in più rispetto al clima che si erano lasciati a Morristown. Le acque tropicali inoltre, si diceva fossero calde tutto l’anno ed erano troppo ansiosi all’idea di testare la veridicità di quella notizia.
Trovarono un piccolo autobus, noleggiato appositamente dall’agenzia, ad attenderli all’uscita dell’aeroporto e che li condusse attraverso la città. Percorsero l’Indipendence Drive, passando per la capitale, rappresentata da colorate e pittoresche abitazioni, sormontate da imponenti alberghi.
« Voi alloggerete in tre bungalow disposti lungo la spiaggia » spiegò il loro accompagnatore, Vic. Aveva il compito di condurli fino ai loro alloggi, istruirli su alcune procedure e dileguarsi dopo aver assolto le sue poche mansioni. Si sarebbero rivisti il giorno della partenza, di lì ad una settimana.
Il pullman si fermò quindi di fronte ad un giardino, traboccante di palme e piante tropicali.
« Ommioddio! » squittì Iris, strattonando il top a pois di Rosalya.
« Sì, carino » commentò l’altra, con finta sufficienza.
Erin le sorrise divertita, mentre la smorfia della stilista si allargava sempre più: portò un braccio attorno al collo della rossa, con l’altro avvinghiò la mora ed esclamò:
« LA SPIAGGIA E’ NOSTRA! »
Attraversarono il giardino, percorrendo un vialetto sabbioso e, finalmente, il panorama paradisiaco che fino a quel momento avevano solo visto nelle riviste, si materializzò davanti a loro: una distesa d’acqua cristallina brillava sotto i raggi di un sole caldo, mentre la polvere soffice e candida della sabbia, si depositava sulle infradito.
Le ragazze trattennero un gridolino di eccitazione, che fece sghignazzare buona parte dei presenti: il posto era favoloso, così lontano dal grigiore industrializzato di Morristown che sembrava di sognare.
Sin da piccola, Erin aveva sempre amato il mare. Suo padre, in quanto insegnante di nuoto, aveva preteso che le figlie imparassero a nuotare e, tra le due gemelle, lei era indubbiamente la più portata per quello sport. Aveva sviluppato una notevole resistenza, era velocissima a tagliare l’acqua anche se quelle capacità risalivano ad anni fa, prima che la danza classica modellasse il suo corpo a quello di una ballerina. Inspirò a fondo il profumo inebriante della salsedine e si lasciò cullare dal vento caldo che le scompigliava i capelli. Assaporò ogni sensazione ed emozione che quell’oceano poteva regalarle, convinta che mai l’avrebbe dimenticata.
« Vi mostro i vostri alloggi » spiegò la guida, invitando gli ospiti a proseguire.
Mentre il gruppo assecondava diligentemente l’uomo, Erin non si era mossa di un passo.
« Che c’è, Cip? Intendi mettere le radici qui? » la provocò Castiel, notando la fissità dell’amica.
Lei scosse il capo e scherzò:
« Come fai ad essere indifferente di fronte a tanta bellezza, Ariel? Sei tornata a casa! »
« Sì, infatti laggiù c’è papà Tritone che mi aspetta a braccia aperte »
Erin sghignazzò, prima di commentare:
« Certo che li conosci proprio bene i film della Disney »
 
Per quei dodici ragazzi, erano stati disposti tre bungalow, costruiti sulla struttura di una palafitta, a cento metri di distanza dall’acqua.
« Ci hanno comunicato che siete cinque ragazze » commentò la guida, posando gli occhi su Erin, Iris, Rosalya, Kim e Paula « quindi vi abbiamo allestito una camera da tre e una da due. Il vostro alloggio è questo » ed indicò la costruzione più vicina a loro « in quello centrale ci sono cinque posti e in quell’altro altri quattro; ogni bungalow è attrezzato con una piccola cucina, così se volete cucinare qualcosa voi, siete liberi di farlo. C’è un supermercato poco distante da qui »
La guida consegnò le chiavi di ciascuna delle abitazioni e, dopo qualche ultima raccomandazione, si congedò.
« Voglio vedere le camere! » canticchiò Rosalya, trascinandosi dietro Erin. Salirono la decina di gradini che sopraelevavano la struttura dalla sabbia e si trovarono su un’ampia terrazza, con il parapetto in legno scuro:
« Qua c’è posto per tutti » commentò Erin estasiata « potremo organizzare le cene »
« La vista è spettacolare » aggiunse Iris, ammirando i riflessi cristallini dell’acqua in lontananza.
Rosalya infilò la chiave nella toppa, che dopo due scatti, consentì loro di vedere uno spazio luminoso e accogliente: un tavolo ligneo, attorniato da cinque sedie impagliate era al centro di un soggiorno piccolo ma funzionale, connesso direttamente alla cucina, in quanto open space.
« Voglio vedere le stanze! » ripetè Rosayla, seguita a breve distanza da Erin ed Iris. Kim e Paula, nel frattempo, si erano fiondate alla ricerca del bagno. Rosalya beccò al primo colpo la stanza con tre letti, che si rivelarono uno a castello e uno singolo.
« Quello sopra è mio! » dichiarò.
Sembrava una bambina e la sua allegria aumentò ancora di più l’eccitazione e il buon umore delle amiche.
« Rosa, datti una calmata » ridacchiò Erin, che in realtà non aveva nessuna intenzione di ridimensionare il suo entusiasmo.
« Come faccio? Non è tutto fantastico? Siamo qui, noi tre, insieme, in una delle isole più belle al mondo! » dichiarò, gettandosi di peso sul letto singolo « non sono mai stata più felice in vita mia! »
Rosalya squittiva felice, nel pieno di una spensierata euforia che su di lei esercitava un’azione contagiosa: Erin ed Iris sorridevano estasiate, incapaci di contenere la loro gioia.
« A parte quando tu e Nath vi siete dichiarati » puntualizzò la rossa, con un sorrisino.
« A proposito, devo chiamarlo! » esclamò la stilista mentre abbandonava la stanza.
Iris si sedette pesantemente sul letto singolo cercando lo sguardo dell’amica.
« Sarà una vacanza fantastica, Iris »
« Non ho dubbi, Erin… non ho dubbi »
 
« Perché devo condividere un letto matrimoniale con te, Barbie? »
Il sopracciglio di Castiel stava vibrando sensibilmente, sotto il cipiglio risentito del suo compagno di classe:
« Ehi, non è colpa mia se Wes e Steve si sono già presi la stanza con i due singoli. Dormirei sul terrazzo, pur di non condividere lo spazio con te, Castiella »
« Hai paura che ti salti addosso durante la notte? » lo provocò l’altro, con un sorriso malizioso.
« Non credo tu possa resistere al mio fascino conturbante… » si adulò l’altro.
In quel momento Wes fece capolino nella stanza, fissando perplesso i due:
« Ehm… sto interrompendo qualcosa? »
« Affleck mi stava facendo una dichiarazione » spiegò Castiel tranquillo, mentre Kentin avvampava:
« Coglione! »
« Ti imbarazzi come una ragazza » osservò il musicista.
Kentin emise un grugnito, mentre Steve faceva la sua comparsa nella stanza:
« Che succede? » domandò, appoggiandosi allo stipite della porta.
« Perché devo dormire io con questo psicopatico? » sbottò Kentin.
« Wes russa da morire, fossi in te non mi lamenterei » replicò il centro della Atlantic.
« Eddai Ste! Non sono poi così rumoroso! »
Il pivot cercò lo sguardo dell’ex capitano insieme al quale, durante una trasferta, avevano avuto modo di appurare quanto potesse essere fastidioso il sonno del compagno.
« Io non ho mai sentito nulla » insisteva candidamente la guardia.
 
La sabbia sottile e morbida. Il sole caldo sulla pelle e il profumo della crema solare.
Erin non riusciva a fare a meno di ripetere mentalmente ogni dettaglio che la affascinasse, ogni aspetto che rendevano l’oceano il suo habitat naturale.
« I ragazzi sono laggiù » li additò Rosalya, indicando un gruppo di persone poco lontane.
Si voltò verso le ragazze e con un certo sprezzo, notò che erano tutte ancora vestite.
« Pensate di farvi vedere in costume, o volete anche un burqa, per completare il look? » si accigliò, mentre lo sguardo delle quattro si posava sull’audacia del suo look: pur trattandosi di un costume intero, risultava estremamente sexy grazie ad un’apertura sul davanti, parzialmente coperta da un intreccio di nastri.
« Mi chiedo dove li trovi certi vestiti, Rosa » ridacchiò Erin.
« E io dove compri quelle mutande orrende, anti sesso, che ho visto in valigia » la rimbeccò l’altra, cogliendo il senso sotteso della perplessità dell’amica.
« Sono quelle che abbiamo comprato insieme prima della gita, a Novembre»
« Il fatto che fossi presente al momento dell’acquisto, non significa che l’abbia approvato » esclamò lei, mentre si avvicinava ai ragazzi, che le fissavano incuriositi.
« Mi pareva di sentire un brusio fastidioso » commentò Wes « sempre a far casino, voi »
Rosalya lo ignorò e, rivolgendosi a Castiel e Kentin, accovacciati sull’asciugamano, domandò schietta:
« Sentiamo un parere maschile, Erin, così ti convincerai che ho ragione: preferite una ragazza in perizoma o con le mutande della nonna? »
Erin avvampò, mentre i due le fissarono perplessi:
« Che cazzo di domande fai? » sbottò infine Castiel che, involontariamente, aveva immaginato Erin nella prima e ben più seducente mise.
« Sei diventato rosso per caso? » lo stuzzicò Rosalya leggermente sorpresa, curvandosi felina verso di lui.
« Magari se mi fate vedere dal vivo, posso darvi un parere professionale » s’intromise Wes, ma mentre alcuni dei ragazzi ridacchiarono, Castiel lo sfottè:
« Pensavo fossi più interessato ai surfisti australiani »
L’umiliazione di scoprire che la presunta nipote di Boris fosse in realtà un maschio, ancora bruciava nell’animo di Wesley, soprattutto perché talvolta i suoi compagni di squadra si divertivano a rinfacciargli quella mancata conquista. Dakota invece aveva dimostrato un buon senso dell’umorismo e ridacchiava quando la questione veniva portata a galla.
« Comunque non avete risposto… » s’impuntò Rosalya.
« La vuoi piantare? » la rimproverò Erin, pizzicandole il braccio, a disagio.
« Allora, chi viene in acqua? » domandò Dakota, svettando in piedi e interrompendo il discorso.
Erin non era l’unica ad avvertire un richiamo soprannaturale verso l’acqua: il ragazzo infatti, forse addirittura in misura maggiore della mora, era attratto da quella distesa, seppure calma e piatta. Non c’erano le onde australiane che aveva imparato a cavalcare, ma il mare era sempre mare e lui voleva solo immergersi nel suo elemento naturale. Iris arrossì nel vedere quel fisico abbronzato e tonico che si ergeva orgoglioso, pronto a sfidare le onde ma per evitare di essere beccata, cercò distrazione nella sua crema solare al cocco.
« Vengo io! » si elettrizzò Erin e, voltandosi verso Castiel chiese:
« Allora Ariel? Ancora lì sei? »
« Adesso non mi va, me ne resto qui ad ascoltare musica » borbottò disinteressato.
« Che c’è? » s’intromise Kentin « hai il ciclo, Castiella? »
Si guadagnò una fastidiosa spolverata di sabbia sui capelli, mentre i presenti sogghignavano:
« Andate proprio d’accordo voi due » commentò Dajan divertito.
« Come la merda e la carta igienica » replicò Kentin, in quella che voleva essere una battuta sarcastica.
« Bonjour finesse » commentò Steve, mentre Paula trovava posto accanto a lui sull’asciugamano.
« Ehi, andiamo o no? » sbottò Dake, impaziente.
Trevor e Wes si alzarono in piedi, mentre Erin esclamava:
« Mi metto la crema e arrivo, voi andate pure »
Il surfista immancabilmente deviò lo sguardo verso Iris che, anticipandone la domanda, replicò:
« Anche io, vi raggiungo tra poco »
Kentin corrugò le labbra, mentre Castiel lo scrutava di traverso: era divertente analizzare le reazioni del moro, inconsapevole che erano le stesse che adottava lui quando c’era di mezzo Erin.
Mentre i tre si allontanavano, Dajan si avvicinò a Kim, che gli propose una camminata sulla spiaggia, alla quale si unì la seconda coppia del gruppo, Steve e Paula.
« Tu Rosa vieni in acqua? » le chiese Erin, spalmandosi la crema sulle braccia.
La stilista, dopo aver tirato fuori un voluminoso cappello da diva e accomodato gli occhiali da sole intonati con quello stile, si era distesa beatamente su uno dei lettini solari a disposizione:
« Magari più tardi, stella… ora voglio solo pensare all’abbronzatura » annunciò serafica.
Le due amiche le sorrisero, mentre i suoi occhi sparivano dietro una montatura da vamp.
« Voi due vi siete messi la crema? » domandò Erin, finendo di spalmarla sulle spalle di Iris.
« No mamma, ma sta’ tranquilla » borbottò Castiel, cercando le cuffie nella sacca dietro di lui.
« Ti prenderai un’ustione di quarto grado con questo sole » si premurò Erin e, senza alcun preavviso, si portò alle sue spalle, schiaffeggiando una generosa quantità di crema sulle scapole.
Forse per la trepidazione di quella particolare giornata, ma non provava alcun imbarazzo a toccare la sua pelle nuda, pensava unicamente a quando i suoi piedi avrebbero toccato quell’acqua azzurra. Il resto dei presenti però era a dir poco sbigottito dall’audacia di quel gesto, specialmente il suo beneficiario:
« Ma guarda un po’ Ariel: sei un tutt’uno con i capelli » lo sfottè sottovoce Kentin, così Castiel, sbottò:
« Iris, perché non la metti tu a Kentin? »
La rossa socchiuse le labbra, nel tentativo di dire qualcosa ma in quel momento, un gocciolante Dakota fece la sua comparsa:
« Allora Iris, che aspetti? L’acqua è fantastica »
Non le diede nemmeno il tempo di replicare che già le aveva affettato il polso, trascinandola via mentre lei borbottava qualche parola confusa. Gli astanti rimasero a fissare la coppia che si allontanava, tra le cui reazioni spiccava lo spiazzamento di Kentin:
« Te la fai proprio soffiare sotto il naso » gli sussurrò Castiel divertito. Lanciandogli un’occhiata gelida, il moro si voltò verso la sua compagna di classe che era rimasta con loro ed esclamò:
« Erin, la metteresti anche a me? »
La ragazza annuì, ancora disorientata dall’impeto di Dakota e si portò dietro la schiena del cadetto, quando sentì che la confezione di crema le veniva strappata bruscamente dalle mani.
« Te la metto io, Barbie » asserì Castiel, guardando minaccioso il ragazzo. La mora dapprima sgranò gli occhi, poi si lasciò sfuggire un risolino. Kentin invece, sconvolto, avvampò per l’imbarazzo:
« M-ma chi ti ha chiesto niente? Mica mi faccio mettere la crema da te! »
« Ti fai problemi? » lo schernì il rosso.
« Ovvio! Sembriamo due gay! »
« Parla per te, Affleck. Io sono a posto con il mio orientamento sessuale » commentò acido il moro.
« Tu non sei a posto un corno! Erin mettimela tu » protestò Kentin.
Dopo quello scambio di battute però, la ragazza aveva deciso di ritrattare la sua generosa offerta. Anche se non se ne spiegava il motivo, era troppo buffo assistere a quello sketch tra i due ragazzi. Tra di loro si stava instaurando una bella amicizia, ma entrambi erano troppo orgogliosi e ottusi per ammetterlo:
« Una volta tanto che Castiel ti fa un favore, non posso negargli questo piacere »
« Stai scherzando? » esclamò Kentin basito.
« Affatto » replicò la ragazza divertita e, prima di raggiungere Dakota ed Iris, esclamò:
« Mi raccomando Cas, mettigliela bene sennò si scotta »
La guardarono allontanarsi di ottimo umore, saltellando sulla sabbia calda.
Kentin allora guardò Castiel in cagnesco.
« Devo cominciare a pensare che sei seriamente attratto da me, Castiella? »
In tutta risposta il rosso si mise un po’ di crema sulla mano e gliela schiaffeggiò violentamene contro la schiena, strappandogli un urlo di dolore.
« Ehi coglione! » lo riprese Kentin « fa’ piano »
Davanti ai loro occhi, videro Erin che entrava in acqua, avvicinandosi a Dakota ed Iris. Il surfista fece un commento, che strappò una grossa risata alla mora. Fu in quel mentre che Kentin sentì che la sua povera spalla veniva stritolata:
« Ma allora lo fai apposta! »
« Se vuoi vado a chiedere a Iris se è così gentile da mettertela lei » lo schernì, infastidito.
Di fronte a quella beffa, Kentin rispose con un’imprecazione, gli strappò la confezione di crema dalle mani e se la mise a casaccio, senza curarsi di coprire ogni lembo di pelle scoperta. Castiel tornò a stendersi sul proprio asciugamano, riaccendendo la musica.
In tutto quello scambio di gesti e battute, Rosalya non aveva preso parte; si era limitata a scuotere il capo divertita e commentare tra sé e sé:
« Che due idioti »
 
Sua madre stava piangendo.
Come se quella scena non fosse abbastanza penosa, in Mackenzie gravava la consapevolezza di esserne la responsabile.
No, non lo sei, tesoro, la rassicurava la sua coscienza.
E’ quello stronzo che lei vuole che tu chiami papà.
Che tu vuoi chiamare papà.
Ma un uomo che conduce una vita come la sua, non merita quel titolo.
I singhiozzi di sua madre si affievolivano sempre più, ma nella testa della ragazzina rimbombavano le dure parole che le aveva vomitato contro:
« Come puoi accettare questa vita? »
Quando Dianne le aveva risposto che Jack era la loro famiglia, Mackenzie non era più riuscita a trattenere la rabbia:
« E CHI LA VORREBBE UNA FAMIGLIA COSI’? NON VEDI CHE E’ TUTTO IN PEZZI? »
La donna aveva boccheggiato, avvilita e sconfitta. Lo sguardo accusatore di sua figlia le bruciava dentro, alimentato dallo sconforto di averla delusa come madre. Mackenzie era la sua ragione d’esistere, lo scopo della sua vita: ogni suo gesto e decisione, era in funzione di quella bambina troppo cresciuta.
Dianne aveva fallito, come madre e come donna.
Aveva lottato disperatamente per creare un nucleo familiare, per quanto imperfetto, ma non solo non era bastato, aveva addirittura peggiorato la situazione.
«COME POSSO CONSIDERARMI SUA FIGLIA, SE SI RIFIUTA DI RICONOSCERMI? »
E a quell’ultima accusa, Dianne era crollata.
Si era accasciata su stessa, mentre Mackenzie abbandonava la stanza.
Era corsa fuori, nonostante il gelo e aveva lasciato finalmente che anche le sue lacrime fossero libere di uscire. Pianse rabbia, rancore e amarezza.
« E tu mamma? » pensò « cosa stai piangendo? Quell’uomo non merita una sola goccia della nostra sofferenza »
Era rimasta lì fuori in un tempo che non riuscì a quantificare; il cielo si era tinto di rosso e l’aria era diventata ancora più fredda e pungente.
 
Si trascinò dentro casa solo quando vide spegnersi la luce della cucina.
Sua madre non era più accovacciata sul pavimento, ma dalla sua stanza provenivano dei singhiozzi.
Si era avvicinata alla porta, furtiva e con il cuore stretto in una morsa.
Doveva essere forte per entrambe, sua madre non doveva vederla piangere:
« Mamma… »
Vide una figura di spalle, seduta sul letto.
Non osò accarezzarla, rimase a pochi metri da lei, in attesa che Dianne rompesse quel silenzio.
« Mi dispiace, Mack »
« Anche a me, mamma »
Nessuna delle due aggiunse altro.
La ragazzina si sentiva svuotata, ormai anestetizzata da ogni emozione e sensazione. Quanto alla madre, sapeva che ogni tentativo di aggiungere qualcosa, sarebbe capitolato in un pianto disperato.
 
Rosalya si era tolta gli occhiali da sole, rivolgendo il viso verso i raggi solari, nel tentativo di regalarsi una perfetta abbronzatura. Si stava rilassando totalmente quando una fastidiosa ombra si frapposte tra lei e la fonte luminosa:
« Castiel o Kentin che sia, togliti dalle palle » borbottò irritata, senza aprire gli occhi. Se l’avesse fatto, si sarebbe accorta che il rosso era ancora sdraiato sul proprio asciugamano, così come Kentin. I due fissavano quindi la sagoma ai piedi di Rosalya, che non si era mossa di un millimetro dopo le proteste della ragazza. Kentin si era accorto di quel ragazzo, quando ancora distava da loro qualche metro e Castiel aveva reagito con un sorriso sornione. Lo sconosciuto infatti, si era portato l’indice alle labbra, facendo così segno ai due si non svelare il suo arrivo.
 
Erin era davvero un pesce: con Trevor e Wes aveva fatto sparire completamente le sue tracce, nuotando al largo dalla spiaggia. Iris invece, che dell’acqua fonda aveva sempre avuto un certo timore, perseverava nel restare con i piedi incollati al suolo sabbioso, seppur quella decisione la facesse sentire un po’ in colpa verso Dakota:
« Sei sicuro Dake che non preferisci andare con gli altri? Tu ami nuotare e non voglio rovinarti il divertimento » si stava scusando la rossa.
Il biondo però replicò con un sorriso gentile:
« Staremo qui una settimana, ne avrò di occasioni, figurati »
Il ragazzo era sempre molto premuroso verso di lei, quasi protettivo ma quelle attenzioni, prima che lusingarla, la confondevano. Non capiva se quella contentezza che sentiva dentro di sé era dovuta al fatto di essere importante per qualcuno, o se fosse proprio quel qualcuno, ad essere importante per lei. In risposta, sorrise a sua volta, ma la sua smorfia di intiepidì quando lo trovò a pochi centimetri da lei.
« Preferisco di gran lunga la tua compagnia, Iris » le sussurrò con una dolcezza infinita.
Lui la faceva sentire unica e speciale. Agli occhi di Dake, persino una come Rosalya non meritava la sua considerazione. Proprio lei, Iris Levine, che si era sempre considerata una persona anonima e insignificante, poteva meritare l’attenzione di un ragazzo.
 
« Non sei una che si dimentica facilmente »
 
Era stato Kentin a dirle quelle parole, che come un fulmine, attraversarono istantanee la sua mente.
Il moro non era galante come Dakota e non aveva palesato alcun interesse nei suoi confronti, eppure quella frase l’aveva turbata profondamente ma positivamente. Si dimenticò di avere davanti il biondo e, istintivamente, cercò il cadetto con la coda dell’occhio.
Dakota era vicinissimo a lei che, a quel punto però, voltò il viso di lato, totalmente ignara della brutalità del suo rifiuto; il ragazzo rimase immobile mentre lei, sgranando i grandi occhi verdi, esclamò:
« M-ma quello è… »
 
Rosalya sbuffò infastidita. Erin ed Iris l’avevano lasciata in compagnia di Castiel e Kentin, la cui sola presenza, bastava ad irritarla. Avrebbe voluto prenderli entrambi per il collo e urlargli di darsi una mossa con le rispettive amiche, ma aveva promesso di non fare nulla di avventato. Qualche spintarella d’incoraggiamento ogni tanto, ma niente di più. La loro ottusità era quasi comparabile alla stupidità dei discorsi che era stata costretta ad ascoltare negli ultimi venti minuti: erano partiti a commentare la partita di basket della settimana prima, finendo a disquisire dell’odore delle flatulenze, in relazione al tipo di dieta.
« Black, idiota, se non ti sposti giuro che… » iniziò a minacciarlo ma quando aprì gli occhi, non riuscì a completare la frase:
« Noto che il tuo amore per Castiel cresce sempre di più » scherzò Nathaniel.
Aveva una T-shirt verde, sul cui collo aveva sistemato un paio di occhiali da sole.
La stilista boccheggiò, mettendosi seduta, mentre il rosso aveva un ghigno compiaciuto stampato in faccia.
« Nathaniel! » esalò infine, adorante e incredula.
« Sorpresa »  replicò lui, allargando le braccia.
« Ma come facevi a sapere… cioè » ma Rosalya non aspettò una risposta, direzionando l’attenzione verso il chitarrista:
« E’ opera tua, Ariel? » indagò, fissandolo con circospezione.
« Un grazie non sarebbe sgradito » replicò lui, con indifferenza.
Rosalya lo ignorò e lanciò le braccia al collo al suo ragazzo, stampandogli un bacio frettoloso. L’intento iniziale perlomeno era quello, ma la passione tenuta a freno in quelle settimane, sentiva il bisogno di esplodere, così la castità del gesto assunse ben altri connotati:
« Potete andare da un’altra parte a limonare? » sbottò seccato il rosso.
Nathaniel si staccò, ghignando divertito, mentre la ragazza lo fulminava con lo sguardo:
« La solita mestruata: non fare l’acida, Castiella »
« Ariel, Castiella… da dove derivano tutti questi soprannomi? » s’incuriosì il biondo, guardando il suo migliore amico.
« Castiella è opera di Kentin » spiegò la stilista, indicando il ragazzo che era rimasto in silenzio, seduto accanto al rosso. Nathaniel allora rivolse l’attenzione verso lo sconosciuto, che lo fissava neutrale. Stava per allungargli la mano, in segno di cordialità, quando intervennero Iris ed Erin.
La mora era bagnata dalla testa ai piedi e con un fiatone che in un primo momento le impedì di formulare una frase. Dietro di loro stava giungendo Dakota, mentre di tutti gli altri si erano perse le tracce. Castiel deglutì e distolse velocemente lo sguardo quando si accorse di fissare con eccessiva attenzione le gocce d’acqua salmastra che scivolavano lungo la pelle liscia dell’amica mora.
« Nathaniel… » ansimò Erin esterrefatta « che ci fai qui? »
« Un giro » replicò l’altro, guardando complice Castiel.
« Tu lo sapevi? » quasi lo accusò lei « perché non me l’hai detto? »
« A te? Sei l’ultima persona a cui l’avrei detto: non sai tenerti un segreto »
« Non è vero » mugolò Erin, scarsamente convinta.
Dall’arrivo di Nathaniel, Kentin aveva iniziato a percepire dell’elettricità nell’aria: Rosalya si era completamente trasformata in uno zuccherino, tutta moine e sorrisetti, Castiel era di ottimo umore ed Erin ed Iris sembravano ancora più eccitate di quando avevano visto la spiaggia per la prima volta.
Il biondo aveva un sorriso carismatico, sicuro di sé e contagioso. Lui però non riusciva a farsi trascinare dall’allegria generale, sentendosi di troppo in quel gruppo consolidato di amici.
Quando anche Dakota si unì al quintetto, dimostrando di essere un amico di vecchia data di Nathaniel, Kentin decretò mentalmente il proprio isolamento.
Si sentì solo, come non gli accadeva da tempo.
Come gli accadeva quando era solo un ragazzino imbranato e considerato un perdente da tutti. Quando il resto del mondo sembrava schifarlo, come se fosse indegno dell’attenzione altrui.
Notò che Castiel si era appena alzato, sgranchendosi le gambe:
« Allora Nate, intendi muovere quel culo e venire in acqua, o rimani qui con Cerbero? »
Si guadagnò uno scappellotto dall’amico che esclamò:
« Vi raggiungo dopo »
Il rosso increspò le labbra, facendo sorridere Erin: sembrava quasi che avesse messo il broncio, come un bambino geloso delle mancate attenzioni del suo amichetto del cuore. Un po’ risentito infatti, Castiel sbottò:
« Fa’ come ti pare, io mi sono rotto di stare qua sotto il sole »
« Ok, a dopo » lo salutò il biondo, con candore.
Per quanto volesse bene a Castiel, era innanzitutto con la sua Rosalya che voleva passare i suoi primi momenti alle Bahamas.
« Allora torniamo in acqua » dichiarò Dake, seguito dal rosso. Il musicista non pensò minimamente di estendere la proposta a Kentin, che rimase seduto a fissarli. Quando si voltò però, il cadetto quasi sussultò speranzoso, ma il ragazzo rivolse la sua attenzione a qualcun altro.
« Tu Travis non vieni? »
Erin, che nel frattempo si era accomodata sul proprio asciugamano, si stava strizzando via l’acqua dai lunghi capelli:
« Cos’è questa novità che mi chiami per cognome? » s’indispettì. Ottenne come risposta una scrollata di spalle e replicò:
« Comunque no, un granchio mi ha pizzicato il piede » annunciò, allungando la gamba verso l’alto « preferisco restare un po’ qui »
« Non vieni in acqua? » domandò Iris, con una punta di urgenza nella voce.
« No, voi andate pure » la rassicurò.
« Ti fa male? » s’intromise Castiel.
« Cip non morirà, sta’ tranquillo » lo sfottè Rosalya « se ti preoccupa tanto, rimani qui con lei »
« Rosa, non fare la scema » borbottò l’amica mentre il rosso replicava con un verso seccato:
« Non mi preoccupo affatto » e girò i tacchi.
 
Hilary aveva appena acceso la lavastoviglie, dopo aver dato un colpo secco allo sportello:
« O così, o niente » aveva spiegato, rivolgendosi verso una perplessa Sophia.
« E poi vi lamentate che gli elettrodomestici non funzionano » aveva ridacchiato la rossa.
«Era già così quando siamo arrivate » si giustificò « e per fortuna che Joe l’ha un po’ sistemata »
« A proposito, come sta? Avete fatto pace? »
La studentessa sorrise e scrollò le spalle:
« Certo, certo. Tanto sa che ho sempre ragione io, dovevo solo lasciargli del tempo per capirlo »
La rossa sogghignò; aveva sempre ammirato il rapporto tra la sua vicina e il suo ragazzo, che si basava su un perfetto equilibrio tra la maturità di lei e la leggerezza di lui. Joe era un ragazzo in gamba, apparentemente un po’ superficiale, ma quando stava con Hilary, si trasformava completamente.
« Parlando di boys » indagò l’aspirante magistrato « Nathaniel dov’è? »
« Alle Bahamas »
« Sarebbe una battuta? »
« E’ la verità. Lì c’è la sua ragazza »
« Ah, quindi è partita anche lei con tua sorella e il resto della squadra? »
Sophia annuì e tornò a fissare la tazza in ceramica.
« Ti fa proprio schifo il mio infuso, oppure stai pensando a qualcosa? »
Alzò lo sguardo, mentre Hilary si accomodava davanti a lei, sedendosi attorno al tavolo del soggiorno. Aveva una mano appoggiata contro il mento, e la fissava con la dolce premura di una sorella maggiore:
« Fiafia, che ti sta succedendo ultimamente? »
« Nulla »
Hilary inarcò le sopracciglia, mentre l’altra distoglieva lo sguardo.
« Obiezione respinta » asserì Hilary.
« E’ una constatazione! »
« Fasulla » completò la mora, sorseggiando placidamente la propria tazza « crederei che c’entri tua sorella, se non fosse che hai iniziato ad essere strana solo da quando un certo biondino ha iniziato a ronzarti attorno »
Sophia strinse le labbra, mentre Hilary continuava ad apparire rilassata e controllata. Per una studentessa del suo calibro, sostenere quel tipo di discussione era fin troppo stimolante e gestibile. Sapeva analizzare la situazione sotto ogni punto di vista, scoprendo in essa i lati salienti.
« Ti ho detto che non ho nulla… è solo una tua impressione, sono sempre stata strana » scattò sulla difensiva la rossa. Si alzò e cominciò a camminare avanti e indietro per il salotto, soffermandosi poi davanti alla libreria, rifornita principalmente di manuali di giurisprudenza.
Sin da quando si era trasferita in quel condominio, Hilary si era sentita in dovere di sorreggere quella ragazza così apparentemente forte e indipendente. Ci aveva messo poco a scorgere in lei delle fragilità che, se aggravate, l’avrebbero mandata in pezzi.
« E’ difficile l’università? »
Quella domanda prese un po’ alla sprovvista la padrona di casa, che però, nonostante il palese tentativo di cambiare argomento, si limitò a replicare:
« Diciamo che non è facile, poi dipende dai corsi che scegli » minimizzò modestamente.
«Giurisprudenza è tosta » insistette Sophia sovrappensiero.
« Direi di sì » si rassegnò allora l’altra.
La ragazza sembrava non accorgersi dello sguardo insistente di Hilary, continuava a passeggiare avanti e indietro per quella libreria, totalmente immersa nelle sue riflessioni. Negli ultimi due mesi, era profondamente cambiata, sembrava molto più introspettiva e meditabonda. Più volte Hilary l’aveva vista isolarsi in se stessa, anche quando in una stanza erano presenti molte persone. Ne aveva discusso con Felicity e le due avevano convenuto che la causa di quella malinconia, fosse un amore non corrisposto. Quando poi, un affascinante biondino si era materializzato sul loro pianerottolo, le due giuriste avevano avuto la conferma della loro tesi.
« Lui è molto in gamba »
Quel sussurro flebile, destò l’udito di Hilary, mentre Sophia continuava a darle le spalle:
« Troppo, per una fallita come me »
La mora non potè vedere il suo sorriso amaro e gli occhi velati di malinconia. Avrebbe stentato a credere che anche una personalità frizzante e spensierata come Sophia fosse in grado di esternare simili emozioni. Mossa dalla compassione, si alzò, raggiungendola accanto ai libri.
La rossa finse allora di cercarne uno in particolare, aprendo un manuale a caso e iniziando a sfogliarlo.
« Nessuno è troppo per una come te, Fiafia »
La voce di Hilary era impastata di tenerezza e conforto, ma la sua interlocutrice non voleva credere alla sincerità delle sue parole.
« Non… » mugolò disarmata.
Non era abbastanza.
Non era abbastanza carina, femminile, intelligente, sensibile, divertente, realizzata, matura, gentile.
Non era abbastanza per Nathaniel.
Rosalya lo era.
Era questo che le faceva rabbia.
Accettare quel suo essere così sbagliata per lui, che invece, aveva già trovato la persona adatta, che lo completasse.
Eppure, continuava a pensare a lui.
« Lui è… così… »
Si sentiva stupida e vergognosamente vulnerabile.
Troppo per il suo orgoglio.
Sentiva il bisogno di sfogarsi con qualcuno, altrimenti sarebbe esplosa. Si lasciò allora prendere dal nervoso, e sbottò:
« E’ un idiota che si perderebbe persino nel bagno di casa sua, permaloso come una donna in meno pausa, incapace di cucinarsi un uovo, fastidiosamente saccente » cominciò a vomitare, elencando i difetti che aveva scoperto nel biondo in quegli ultimi mesi.
Hilary ascoltava quello sfogo, senza interrompere quel flusso di parole, finché Sophia, ormai paonazza, sussurrò:
« Eppure… »
« E’ di lui che sei innamorata »
 
Dopo un fugace scambio di battute con Erin, Rosalya e Nathaniel si erano allontanati, lasciandola sola con un silenzioso Kentin. Appena la coppia non fu più visibile, la mora sussurrò:
« Che ti prende Ken? Non hai aperto bocca da quando sono qui »
Il ragazzo non cambiò posizione, rimanendo con una gamba piegata contro il petto e l’altra stesa davanti a lui; a causa della sua altezza, sfuggiva dall’asciugamano, impolverandogli di sabbia parte del polpaccio. Era raro vederlo così taciturno e assente, motivo per il quale l’amica iniziava a preoccuparsi.
« Così quello è l’amico di Black, il famoso Nathaniel? »
Erin emise un verso d’assenso, addentrandosi in punta di piedi in quella conversazione; voleva capire cosa balenasse nella mente del moro ma sapeva di dover usare più tatto possibile per riuscire a scovare i suoi pensieri più profondi.
« Sono come fratelli quei due » commentò, per non lasciar cadere l’argomento.
« Lo vedo infatti che vanno d’accordo » osservò l’altro, meditabondo.
Poiché il ragazzo non si sbilanciava ad ulteriori commenti, Erin fu costretta ad azzardare:
« C’è qualcosa che non va, Kentin? »
Finalmente il cadetto si decise a guardarla, incontrando un paio di occhi verdi intensi che lo fissavano preoccupati.
« No » sminuì, scuotendo leggermente il capo « è solo che è strano vedere Castiel così di buon umore… si vede proprio che sono molto legati »
« Per me è strano sentire te che lo chiami per nome » sorrise Erin.
Lui le lanciò un sorrisetto complice e rimase zitto.
Capiva perfettamente perché al rosso quella ragazza piacesse tanto. Lui stesso del resto, se ne era invaghito ai tempi delle medie. Erin era una persona gentile, premurosa e comprensiva. Si trovava perfettamente a suo agio, nel parlare con lei e, se non fosse stata una delle migliori amiche di Iris, le avrebbe anche raccontato dei suoi sentimenti per la rossa.
« Non te la prendere se a volte Castiel ti risponde male, lui è fatto così: con le persone che gli ispirano simpatia, in un primo momento è odioso e sarcastico… anche con me i primi tempi… non che ora sia la dolcezza fatta persona » convenne, divertita.
I continui punzecchiamenti da parte del musicista infatti, avevano sempre lasciato  perplesso Kentin, che in un primo momento aveva faticato a realizzare che fosse realmente innamorato di lei. Probabilmente era un modo un po’ discutibile per tenere segreti i suoi sentimenti verso l’amica, ma in alcune circostanze era più forte di lui farli emergere. Era proprio notando quei piccoli dettagli che, pian piano, il moro aveva imparato ad apprezzarlo. Castiel era sicuramente un tipo scontroso e arrogante, ma alla fine, celava una grande lealtà verso i suoi amici.
Lo stimava, perché in lui vedeva delle qualità che aveva rincorso per tutta la vita, ma si sarebbe sottoposto ad una ceretta inguinale piuttosto che ammettere una simile verità.
« Non me la prendo » obiettò Kentin « cosa vuoi che mi importi di quello lì »
I suoi occhi rimanevano piantonati sulla distesa oceanica, per non lasciare ad Erin la possibilità di leggergli dentro. Tuttavia, con una delicatezza che poche persone riuscivano ad avere, la ragazza sapeva quali tasti toccare in un momento come quello, così gli confidò:
« Lo sai Ken, per un po’ di tempo, ho invidiato la loro amicizia. Si fidano ciecamente l’uno dell’altro e quando sentivo i nostri amici parlare del loro rapporto, mi venivano quasi i brividi… si capiscono al volo… provano una stima profonda l’uno dell’altro »
« Tu e Sophia eravate così » la interruppe il ragazzo, tornado indietro con la mente ai tempi delle medie.
« E’ per questo che li invidiavo… perché loro avevano qualcosa di così prezioso che avevano finito per mandare in pezzi a causa del loro stupido orgoglio. Per questo, quando ho saputo della loro amicizia passata, ho fatto di tutto per farli riappacificare. So che in quel periodo entrambi mal tolleravano i miei continui tentativi di trovare un punto di accordo tra di loro e in effetti credo di aver solo peggiorato la situazione »
« Come mai? »
« Beh, io e Nath siamo stati insieme, tanto per dirne una e Castiel non la prese bene »
« E ti sei mai chiesta il perché? »
Quella domanda la colse impreparata.
Ovviamente se l’era chiesto, e la risposta le era sembrata scontata. Ora però che doveva riferirla al moro, cominciava ad avere qualche dubbio:
« Perché lui e Nathaniel si odiavano no? Io ero amica di Castiel, in un certo senso l’avevo tradito »
« Capisco » commentò Kentin laconico.
Non stava a lui aprirle gli occhi, il rosso non gliel’avrebbe perdonato. Lasciò quindi che un’ingenua Erin continuasse a parlare, senza interromperla.
« Poi però, non so come, ma pian piano si sono accorti che tutti i rancori passati potevano essere accantonati e, quasi senza che ce ne accorgessimo, sono tornati amici. Credo che dopo quella rottura, il loro rapporto ne sia uscito fortificato, niente e nessuno potrà più metterlo in discussione »
« Avevano litigato per via di quella tizia, Debrah, giusto? »
Il viso di Erin si rabbuiò, ma prima che Kentin potesse chiederle il motivo del suo improvviso silenzio, lei sussurrò:
« E’ stato Castiel a parlarti di lei vero? Credo che, nonostante quello che gli ha fatto, ne sia ancora innamorato »
Il ragazzo si grattò il capo e ammise:
« No, credo che me l’avesse detto Alexy in realtà »
« Quel ragazzo parla troppo » convenne Erin con un sorriso triste « ma del resto, è stato grazie a lui che ho scoperto cosa fosse successo l’anno scorso »
« Alexy è in gamba » puntualizzò il cadetto.
« Certo » convenne Erin, accarezzando la sabbia « quello che conta comunque, è che ora sia tornato tutto alla normalità. E’ tutto così… »
« Sbagliato » pensarono entrambi.
« Perfetto » completarono in coro.
Per raggiungere la perfezione, Castiel non doveva ancora essere innamorato di Debrah.
Per considerare quella situazione assolutamente impeccabile, doveva esserci Kentin in mare con Iris.
Ma era più facile continuare a far finta di nulla, accontentarsi di una finta felicità che non poteva essere messa in discussione in nome di qualcosa di più grande. Nessuno dei due avrebbe messo a rischio i propri sentimenti, quelli andavano custoditi con cura e in segreto.
« Siamo fortunati ad aver trovato degli amici così » commentò Erin, guardando dei punti in lontananza.
« Già » replicò semplicemente Kentin « tu però, non lo dire a Castiel »
Erin scoppiò in una risatina, a cui seguì a ruota quella del cadetto.
 
Gli occhi di Iris sembravano persi nel vuoto, ma in realtà la ragazza li teneva fissi in un punto in lontananza. Le figure di Erin e Kentin era facilmente distinguibili, così come la complicità che si leggeva nei loro volti.  Non cercò di spiegarsi l’amarezza che l’aveva pervasa, sentimento che, a pochi metri di distanza da lei, in Castiel, era pura gelosia.
Erin infatti aveva un sorriso dolce stampato in viso, mentre il moro le stava raccontando qualcosa che nessun altro poteva sentire. Fosse anche vero che gli piaceva Iris, il compositore non riusciva ad essere indifferente alla confidenza con cui quegli occhi verde bosco che si posavano su un ragazzo che non fosse lui.
« Black, facciamo una sfida » gli propose Trevor.
L’ex capitano però non lo ascoltò. Cominciò a nuotare in direzione opposta, verso la spiaggia, guidato unicamente dall’istinto. Impulsivo com’era, non poteva agire diversamente.
Raggiunse con una leggera corsa i due e, piegandosi gocciolante verso il cadetto, esclamò:
« Affleck, smettila di fare la femminuccia e vieni a nuotare »
Mentre Kentin lo fissava sorpreso, toccò ad Erin arrossire alla vista del ragazzo. Quella figura infatti le ricordò la fredda serata di dicembre a casa sua, due mesi prima. Non provò nemmeno a distogliere lo sguardo, visto che l’amico non la degnava della benché minima considerazione.
« Ti sfido a chi arriva prima a quello scoglio laggiù » continuò Castiel, indicando una roccia in lontananza.
Il cadetto non valutò nemmeno la fattibilità dell’impresa: il chitarrista era uscito dall’acqua per chiamare lui. Era la prima volta in vita sua che qualcuno lo chiamava a sé.
Proprio lui, che era l’ultima scelta ogni volta che da bambini venivano formate le squadre di baseball o football, lui che doveva sempre mettersi in disparte e seguire gli altri da lontano, incapace di integrarsi e farsi integrare.
Per quanto detestasse ammetterlo e per quanto il suo comportamento manifestasse una considerazione contraria, sin da quando aveva conosciuto Castiel, Kentin aveva desiderato la sua amicizia. Il rosso era riuscito a svegliare in lui un carattere più forte, per certi versi spavaldo e spocchioso, ma ciò gli aveva consentito di definire un lato che non credeva di avere nella sua personalità. Sorrise, alzandosi dal suo posto, ignaro che ben altri pretesti avevano guidato il comportamento del ragazzo. Anche se in quella circostanza era stata la semplice gelosia a mobilitare una reazione nel musicista, in futuro il rapporto tra i due era destinato a consolidarsi sempre più verso una belligerante ma complice amicizia.
Proprio mentre i due si dirigevano verso la spiaggia, Iris era uscita dall’acqua, arrotolando lateralmente i lunghi capelli per rimuovere l’eccesso di acqua:
« Che succede? » questionò, sedendosi accanto all’amica.
« Sfide tra maschi » spiegò Erin.
 
« Soffri di una qualche sindrome pre-menopausa, Castiella? Non c’è un minimo di coerenza del tuo comportamento » stava dicendo Kentin, mentre camminavano verso l’acqua. Mai gli avrebbe detto quanto l’avesse lusingato quell’invito, come del resto il rosso non era intenzionato ad ammettere le sue reali intenzioni. In fondo tuttavia, il suo spirito competitivo lo istigava a cercarsi un degno avversario per quella nuotata, specie dopo che Nathaniel si era defilato per stare con la sua ragazza. Kentin del resto era un ex cadetto dell’accademia militare e, per questo, il suo fisico doveva essere allenato allo sforzo. Mentre l’acqua raggiungeva il livello dell’addome, il cadetto sentì una domanda, pronunciata con apparente disinteresse e senza che il suo interlocutore lo guardasse in faccia:
« Di cosa parlavi con Erin? »
Le pessimi doti di attore di Castiel però, si palesarono in quell’unica domanda: più passava il tempo e più la capacità di dissimulare le proprie intenzioni, spariva nel ragazzo. Anche se non realizzò la gelosia dietro quella richiesta, Kentin ne approfittò per schernirlo:
« Di quanto ti piaccia il suo culo »
Si trovò la testa sott’acqua per qualche secondo, riemergendo con in bocca un fastidioso sapore salato; tossicchiò, mentre Castiel riprese ad avanzare in acqua furente:
« Come sei permaloso, Black… »
 
Ambra stava studiando attentamente il dipinto da ormai cinque minuti: l’aveva rigirato un paio di volte, analizzandone scrupolosamente ogni dettaglio. I presenti la fissavano curiosi, carichi di aspettative, finchè lei sbottò:
« Insomma, la smettete di fare quelle facce? Mi mettete a disagio » mormorò.
« Contiamo tutti su di te » spiegò Alexy con allegria.
« Sopravvalutate le mie capacità »
« Sei tu che non le valuti abbastanza » puntualizzò Lysandre, conciliante « allora? Nessun’idea? »
Ambra riappoggiò il dipinto sul tavolo e commentò:
« Mi incuriosisce questo edificio » esordì, puntando il dito contro una costruzione sullo sfondo « questo simbolo sembra un cupcake, mentre quest’altro una pagnotta di pane »
« Pensi sia importante? » domandò Armin.
« Se siamo fortunati sì » ragionò Ambra « ma dovremo esserlo davvero tanto: questa è sicuramente una pasticceria o, più probabilmente, un panificio. Se questo dipinto è stato fatto ispirandosi ad un parco realmente esistente, anche il negozio deve trovarsi nei paraggi di questo posto. Dobbiamo riuscire ad interpretare cosa è scritto in quest’insegna… » continuò, puntando il dito contro una parola troneggiante sul negozio « e potremo avere già la città in cui è stato realizzato »
« Secondo noi è scritto pork pink’s paradise » convenne Alexy.
Ambra ridacchiò e ripetè:
« il paradiso del rosa maiale? »
« Convince poco anche noi » convenne Lysandre.
« Sul paradise, concordo con voi, ma credo che la prima parola sia un’altra: guardate qui, questa che sembra una pagnotta cicciotta: non mi fa venire in mente altro? »
Violet si sporse di più a guardare e sussurrò insicura:
« Una zucca… »
Ambra annuì incoraggiante:
«Esatto Violet. Pumpink’s paradise. Il paradiso della zucca. Sono sicura che è questo il nome di questo negozio: ora non ci resta che cercarlo su internet e sperare di aver fortuna »
 
Dopo il pomeriggio in spiaggia, il gruppo si era riunito nel bungalow delle ragazze, per organizzare la cena; poche ore prima, Rosalya e Nathaniel avevano fatto la spesa, ma si erano accorti di non aver comprato tutto il necessario.
« Cinque persone vadano a prendere quello che manca e già che ci siete, comprate qualcosa anche per i prossimi giorni » diresse i lavori Rosalya « mentre gli altri, rimangono con me in cucina »
« Non ci staremo tutti » obiettò Steve « siamo troppi ».
« Lo so, infatti alcuni si occuperanno di preparare la tavola, altri di cucinare. Iris, Erin rimangono con me, Paula e Kim, preferisco che voi vi occupiate della spesa »
Le due ragazze non si opposero a quella scelta, così a loro si aggiunsero i rispettivi fidanzati e Trevor.
Ben presto, sotto a leadership di Rosalya, vennero ripartiti i compiti: Dakota, Wes e Nathaniel si occuparono di radunare nel terrazzo delle ragazze i tre tavoli in legno, mentre Castiel e Kentin, si guardavano attorno spaesati:
« Non pensate di restarvene con le mani in mano! » brontolò prontamente Rosalya, mettendo in mano a Kentin una cipolla e un’altra a Castiel.
« Che ci dobbiamo fare con questa? » domandò quest’ultimo.
« Sminuzzarla » spiegò la stilista, giungendo con due taglieri e due coltelli.
« Sono lavori da donne, non pretenderai sul serio che… » stava borbottando il cadetto, quando l’occhiata inferocita della ragazza lo zittì. Erin ed Iris ridacchiarono, mentre l’una era impegnata a pulire dalla polvere le stoviglie, l’altra tirava fuori gli utensili da cucina.
I due iniziarono così a svolgere il loro compito, sbirciando l’un l’altro per capire come muoversi.
« Tagliate via le radici » aveva suggerito Iris, notando la loro perplessità.
« E pelate via lo strato esterno » aggiunse Erin divertita.
Non appena iniziò ad affettare l’ortaggio, il musicista sentì che il naso cominciava a prudergli in modo fastidioso e gli occhi a bruciargli: si girò verso il suo compare, ma realizzò che fosse messo peggio di lui. Con due enormi lacrimoni agli angoli degli occhi, Kentin lottava disperatamente contro la sua nemica, che aveva sferrato un attacco chimico più potente di quello incassato dal rosso:
« Cipolla di merda » mugugnava, lacrimando come un bambino.
« Sei una mezza sega, Affleck » gli rise dietro l’altro « ti fai mettere K.O. da un ortaggio »
« E’ perché io la sto tritando come si deve, mentre tu fai tutto lo schizzinoso » si difese l’altro, la cui cipolla era effettivamente sminuzzata in modo migliore. In tutta risposta, Castiel iniziò ad affettare forsennatamente l’innocente ortaggio, gesticolando pericolosamente con il coltello, fino al prevedibile epilogo:
« Cazzo! » sbottò.
« Ti sei tagliato? »
Kentin lo vide portarsi l’indice alle labbra, aspirando quel po’ di sangue che usciva.
« Brucia? »
Nemmeno a quella domanda rispose, così il moro lo sfottè:
« Vuoi che chieda ad Erin se ti dà un bacino che passa la bua? »
Si trovò un coltello puntato contro, che anziché intimorirlo, lo fece sghignazzare:
« Che succede? » chiese Erin, curiosando tra i due.
« Black si è tagliato »
« Sul serio? Fa’ vedere » si sporse, mettendosi in punta di piedi.
« Non è niente » replicò l’altro, strofinando il dito contro i jeans.
« Aspetta, ti cerco un cerotto » lo ignorò l’amica « anzi, vieni con me in camera »
Lui abbandonò la postazione, seguendola docilmente come un cagnolino, ma appena abbandonarono la cucina, la provocò:
« Cos’è Cip? Una scusa per portarmi nella tua tana? »
« Sei hai paura che ti salti addosso, non c’è nessun pericolo »
« Ah no? Come stamattina in aereo? » scherzò lui, mentre lei avvampava a disagio. Fortunatamente gli dava le spalle, così approfittò della scusa di dover cercare il cerotto per non rispondergli.
Castiel si sedette sul letto singolo, che quella notte sarebbe stato occupato da Iris e si distese beatamente:
« Non potete arrangiarvi voi con la cena? Odio cucinare »
« E la cucina odia te, a quanto pare » ribattè Erin, continuando a frugare nella borsa. Le sue mani emersero poi tenendo un piccolo kit di pronto soccorso. Immerse un batuffolo di cotone nel disinfettante e si avvicinò al ragazzo:
« Allora? Questo dito? »
« E’ un taglietto » minimizzò lui « non serve disinfettarlo »
« Continua ad uscire sangue » osservò lei, prendendogli la mano.
Lui sussultò, ma lei era troppo concentrata sulla ferita per accorgersene. Sulla falange dell'indice scorreva un rivolo di sangue rosso intenso che aveva intinto il cotone idrofilo usato per la medicazione. Si trattava di un taglio superficiale, ma la cura con cui Erin se ne occupava quasi emozionarono l’infortunato.
« Devi trattarle con più cura queste dita, Castiel… sei un chitarrista, dopotutto »
Lui rimase in silenzio mentre lei, con estrema delicatezza, circondava il livido con un cerotto. Era talmente rapito che non protestò nemmeno quando realizzò che la sua medicazione aveva stampati dei fiorellini rosa.
« Speriamo che non sia così profondo » commentò.
« Ti preoccupi per niente » minimizzò lui, gettandosi di schiena sul letto « ma già che ci sei, dì a Rosalya che mi sono amputato la mano e che non posso aiutarvi »
 
Brigitte uscì dallo studio medico in silenzio.
Attraversò il corridoio, popolato da ragazze e donne di varie età. Chissà quante tra le presenti avrebbero potuto capire la sua situazione.
Voleva solo affrettarsi ad uscire da quel consultorio, da quelle pareti tinte di uno squallido e soffocante caramello:
« Stai tranquilla Brigitte » l’aveva consolata la ginecologa « non sei incinta »
Ora che finalmente era sola, la tensione si sciolse di colpo, liberando con essa un pianto irrefrenabile di sollievo.
 
La serata passò in allegria: attorno ai tre bungalow, non c’erano altre abitazioni nelle vicinanze e questo autorizzò i ragazzi a non contenere la loro rumorosità.
Le ragazze ebbero occasione di conoscere meglio Paula, la ragazza di Steve e si erano isolate inizialmente in una conversazione esclusiva tra di loro, mentre i ragazzi erano impegnati a parlare di sport. Con il proseguire della serata, il clima era diventato sempre più rilassato e amichevole: Kim era rimasta coinvolta in una gara a braccio di ferro, in cui riuscì a umiliare un depresso Wes, mentre Kentin scoprì in Nathaniel e Steve una passione comune per i libri. Iris aveva intercettato quello stralcio di conversazione a cui avrebbe voluto prendere parte, ma Rosalya insisteva nel volerle leggere la mano.
« Fammi vedere la tua mano, Cas! » aveva poi litigato con il rosso. Ricevendo come risposta un dito medio, era sbottata:
« Morirai giovane di una morte lenta e dolorosa, circondato solo da Demon e dalla vecchietta che abita sopra casa tua »
Erin non aveva assistito a quella diatriba, poiché impegnata in una discussione con Trevor:
« Ma esattamente cosa ti ha detto Jordan, quando ti ha portato il cellulare? »
« Non ricordo, comunque nulla di particolare »
Il cestista sembrò deluso, così lei domandò:
« Come mai questa domanda? »
« Naa, così, giusto per chiedere… ehi Dake, c’è ancora della birra là? » sviò, indicando una bottiglia vicino al surfista.
« GARA DI RUTTI! » aveva esclamato improvvisamente Wes, il più ubriaco tra i presenti. Castiel e Trevor non si erano sottratti a quella sfida, mentre Rosalya inorridiva:
« Siete dei porci! »
A metà serata, Iris aveva chiesto a Castiel di dire qualche frase in tedesco e, tra lo sbigottimento generale, il musicista era riuscito a formulare un pensiero lungo e complesso.
« Hai imparato il tedesco mentre eri a Berlino? » domandò Nathaniel basito.
« Ti sembra così strano? »
« Hai problemi ad esprimerti nella tua lingua, ovvio che siamo sorpresi! » era intervenuta Rosalya, scatenando una risata generale.
Quando la stilista scoprì che la madre di Dajan era proprietaria di un negozio di vestiti, cercò in tutti i modi di suscitare l’interesse del ragazzo verso le sue creazioni, ma tanto lui quanto Kim erano piuttosto indifferenti alla moda.
« Questo è un vestito che sto facendo per Erin » esclamò orgogliosa, esibendo una foto dal cellulare.
« Mi stai facendo un vestito? » squittì la mora, sporgendosi verso lo schermo.
« Via Cip, sarà una sorpresa, non devi vederlo! »
Per caso l’occhio di Castiel cadde sull’immagine e, intercettandone l’espressione, Erin cercò nell’amico degli indizi per capire cosa la aspettava:
« Che ne pensi Castiel? »
Lo vide ghignare divertito e, dopo aver incrociato le braccia al petto, sentenziò strafottente:
« E’ un bel vestito, però quella scollatura non fa per te »
« Perché? » domandò Erin, sentendosi avvampare e immaginando un capo troppo audace per la sua personalità.
« Perché non hai abbastanza tette per riempirla »
Con quel commento, Castiel si guadagnò uno scappellotto da parte di Steve e Dajan, seduti accanto a lui:
« Smettila di tormentare la nostra mascotte, Black »
Erin sorrise grata a quei ragazzi. Adorava quella squadra di cestisti, così premurosi verso lei e Kim, in quanto ragazze. Mentre il rosso di massaggiava il capo indolenzito, Dakota propose una partita a strip poker, che incontrò l’opposizione di Nathaniel, Dajan e Steve, che non intendevano correre il rischio che le rispettive ragazze fosse viste dagli altri uomini in intimo.
La proposta alla fine si risolve in una normale partita a poker, a cui parteciparono tutti i ragazzi, mentre le donne iniziarono a sparecchiare i tavoli.  Finirono alle due, quando il sonno cominciò a farsi sentire. Quella mattina si erano alzati troppo presto per riuscire a resistere ancora. Quella magnifica serata era volta al termine, anche se Dakota e Kentin insistevano per un’ultima partita a poker, dal momento che avevano concluso con lo stesso numero di vittorie.
« Io non ho sonno » esclamò Kim, appoggiandosi alla spalla di Dajan.
« Ah no? » le sorrise lui, scostandole un ciuffo ribelle.
« Sul serio… andiamo a fare una camminata sulla spiaggia? »
« A quest’ora? » s’intromise Dakota, con un sonoro sbadiglio. Dajan si alzò e, dopo aver augurato la buona notte agli amici, abbandonò la veranda seguito da Kim.
Wes e Trevor, che avevano esagerato con l’alcol, si reggevano a mala pena in piedi, così Steve e Paula li aiutarono a tornare nel loro bungalow; il surfista li seguì, così sulla veranda con Erin e le sue amiche, rimasero Castiel, Nathaniel e Kentin.
« Che serata » sorrise Rosalya, seduta sulle ginocchia del biondo, che la teneva tra le braccia. La temperatura si era abbassata di qualche grado, mentre un venticello leggero soffiava in quella spiaggia silenziosa. La stilista di era avvolta in un ampio foulard, ma era soprattutto dal corpo del suo ragazzo che traeva un più piacevole tepore.
« E pensa che sarà così per tutta la settimana » aggiunse Erin con un sorriso stanco.
Kentin si accese una sigaretta e, quel gesto, non passò inosservato da parte degli altri due ragazzi che ne approfittarono per scroccargli un po’ di tabacco:
« Allora Nathaniel, come va in California? » domandò Iris « non ci hai detto granchè prima »
Durante la cena infatti, l’argomento di conversazione si era spostato sul biondo, ma lui era rimasto alquanto evasivo:
« Beh, non volevo annoiarvi con il resoconto della mia esperienza… comunque non c’è granchè da dire: i corsi universitari sono interessanti, ma sinceramente non credo che sia questa la strada che fa per me »
« Sono corsi di contabilità aziendale, giusto? » intervenne Castiel.
« Sì, ma non mi ci vedo a farlo come lavoro »
« Tuo padre farà i salti di gioia » commentò sarcastico il rosso.
« Se ne farà una ragione. Ultimamente Ambra mi ha detto che si è rabbonito »
« Già il fatto che non abbia spennato Armin con la storia di Nuvola Rossa, in effetti è in miracolo » ridacchiò Erin.
« A proposito… hai sentito della nuova coppia? » squittì Rosalya. il biondo annuì e precisò:
« Me l’ha detto Castiel »
La stilista gonfiò le guance indispettita e velenò:
« Parlate proprio tanto voi due… perché non vi fidanzate tra di voi, a questo punto? » sbottò, infastidita per aver perso l’esclusiva su quella notizia.
« Gelosa, eh? » la sfottè il rosso.
« Quanto mi dai sui nervi Ariel! Mi chiedo come possa piacerti questo soggetto, Erin! »
Dopo quell’esclamazione, calò il gelo.
Erin era sbiancata, nonostante il suo cuore stesse pompando a ritmo forsennato.
Castiel aveva un’espressione perplessa, finchè Rosalya, cogliendo il tremendo disagio dell’amica, rimediò:
« Sei il suo migliore amico, no? »
Il rosso rilassò la mascella, mentre Erin tornava a respirare normalmente, dopo aver incenerito la stilista.
« Sei tu che non sai apprezzarmi come merito, Rosa » dichiarò l’altro.
Sarebbero potuti andare avanti su quella scia per altri venti minuti, così Nathaniel propose:
« Perché non ci guardiamo un film? »
« Non hai sonno? » domandò Iris.
« Non particolarmente »
« Se è per questo nemmeno io » convenne Kentin.
Erin invece sentiva che le palpebre erano pesanti. Il suo fisico la implorava di riposare, ma la gioia e la contentezza di stare insieme ai suoi amici più cari, la facevano desistere dal desiderio di ricongiungersi al letto.
« Che guardiamo? » domandò quindi.
 
Le onde del mare continuavano ad avanzare ed arretrare lentamente, in una sorta di danza aggraziata, che accarezzava i piedi nudi dei due ragazzi.
Le loro mani erano teneramente intrecciate, mentre camminavano in silenzio lungo la battigia.
« E’ un posto fantastico » mormorò Dajan, mentre il suo timbro caldo e grave si perdeva in un silenzio assoluto.
« Già » commentò Kim, guardando il profilo dell’oceano.
Il rumore del mare tornò ad essere l’unico suono di sottofondo per un altro istante, finchè il ragazzo esclamò:
« Domani verrai in mare? E’ un peccato essere qui e non farlo »
« Lo so » mormorò lei, avvilita « ma mi fa troppa paura l’acqua »
« Ci sono io » la rassicurò, con uno dei suoi sorrisi migliori.
« Fidati che se comincio ad agitarmi non c’è verso di farmi stare a galla… Erin ne sa qualcosa »
Dajan ridacchiò, intenerito dalla fragilità della sua ragazza e, determinato a perorare la sua causa, insistette:
« Rimarremo fino a dove si tocca. Non hai niente di cui preoccuparti »
Lei lo squadrò titubante, spostando poi l’attenzione sulla distesa accanto a loro.
Si fermò e ammirò quei riflessi resi argentei da una luna piena.
L’acqua era calma e sembrava quasi richiamarla a sé.
« Andiamoci subito » sussurrò, tra sé e sé, talmente piano, che Dajan fu costretto a chiederle di ripetere:
« Voglio provarci ora… ad andare in acqua » affermò lei, con una timida determinazione.
Incredulo, il ragazzo guardò il mare che aveva davanti, in silenzio, quasi a ponderare la proposta che gli era appena stata avanzata. Il clima non era dei migliori, ma era noto che di notte l’acqua fosse più calda rispetto al mattino:
« Hai ancora il costume sotto? » domandò infine.
 
Si spogliarono in silenzio, abbandonando i vestiti sulla spiaggia, accanto ad una piccola imbarcazione in legno.
Dajan avanzò di qualche passo, finchè sentì l’acqua accarezzargli le caviglie. Il contatto fu piacevole e la temperatura assolutamente più gradevole rispetto a quella che aveva testato nel pomeriggio:
« L’acqua è calda » le sorrise, voltandosi.
Trovò Kim, rigida come un palo e a braccia conserte, che lo fissava indecisa.
Lui scosse il capo, divertito, e tornò da lei.
« Dai, non vorrai farti spaventare così facilmente »
« E se ci fossero dei granchi? » miagolò lei.
Vide che la mano del ragazzo si allungava verso di lei, invitandola ad afferrargliela:
« Segui i miei passi » le disse semplicemente.
Per la seconda volta, Kim si trovò ad annuire e, con circospezione, il suo piede entrò in contatto con l’acqua. Sembrava un felino, sia nel suo modo di muoversi, che di guardare guardinga l’acqua.
« Sono una deficiente: già mi fa paura l’acqua, figuriamoci ora che è così… buio » mormorò, rimpiangendo la sua audacia.
« Dai Kim, non fare la codarda » la provocò Dajan.
« Non sono una codarda » reagì lei, ferita nell’orgoglio.
« Allora vieni qui » sorrise lui.
Le abbassò lo sguardo, sondando il livello dell’acqua che arrivava alle ginocchia del suo ragazzo.
« Ok, però poi non andiamo oltre, d’accordo? »
Iniziò ad avanzare, ma appena fu a pochi centimetri da lui, il cestista osservò:
« Qualche metro in più che differenza fa? »
Gli occhi di Kim si ridussero a due fessure e, sbottò:
« Questa non è una terapia comportamentale, sai? »
« Smettila di lamentarti e cammina » le ordinò lui, divertito « non vorrai farmi credere che sei davvero spaventata per qualche centimetro di acqua »
« E dalla possibilità che ci siano granchi aggressivi » puntualizzò lei.
« Piuttosto potresti essere preoccupata per gli squali… quella sì sarebbe una fobia più sensata, visto che siamo nell’Oceano »
Sentì il rumore di spruzzi d’acqua e si voltò vedendo che Kim aveva iniziato a darsi alla fuga:
« Dimmelo prima no?! » sbraitò terrorizzata, correndo con poca eleganza verso la spiaggia.
Non fece neanche a tempo a fare un altro metro che si sentì bloccare all’altezza della vita:
« Eddai, sciocchina… non c’è nessuno squalo » le sussurrò, trascinandola verso di sé.
Kim sentì la sua schiena stagliarsi contro il petto del ragazzo, arrossendo per l’imbarazzo di quell’intimità a cui, ne era consapevole, doveva abituarsi.
« Come fai a saperlo? Potrebbe sbucare da un momento all’altro… » mormorò spaventata.
« Kim, non ti facevo così fifona »
Lei sbuffò come una bambina.
« Dì la verità: ti stai divertendo »
« Un pochino sì » ammise Dajan « ma vorrei davvero che riuscissi a venire un po’ più avanti. Ci sono io con te »
Lei espirò, cercando di rilassare le spalle.
« Mi sento un’idiota »
« Sei solo spaventata e, una volta tanto, è divertente vedere che anche tu hai paura di qualcosa » le disse, invitandola a seguirlo. La teneva per mano, precedendo ogni suo passo.
Avanzavano lentamente, spostando l’acqua che sembrava accogliere il loro passaggio.
« E tu di cosa hai paura? »
Dajan non rispose, continuando a camminare, così lei sbottò:
« Ehi, voglio sapere una risposta! » s’impuntò, bloccandosi.
« Sto pensando » pazientò lui « tu intanto però non fermarti, continua a camminare »
L’acqua nel frattempo era arrivata alla vita e Kim cercava di non calcolare quanto velocemente si stesse alzando quel livello. Anziché considerare il proprio corpo come metro di paragone, fissava quello del ragazzo che, essendo più alto di lei, le regalava l’illusione di avere qualche centimetro in meno di liquido a sommergerla.
« Io da piccolo avevo una paura folle del buio.. quello assoluto, senza neanche una luce attorno»
« E ora? Non hai nessuna paura? » incalzò Kim « guarda che non devi far la parte dell’uomo forte e coraggioso davanti a me »
Dajan ridacchiò e continuò ad avanzare:
« Sul serio, non mi viene in mente niente » ammise, grattandosi il capo con la mano rimasta libera.
« I ragni? Le api? Gli ascensori? Le cabine blindate delle banche? » cominciò ad elencare Kim, mentre Dajan la guardava dubbioso.
« Le che? »
Il livello dell’acqua era arrivato a metà busto, ma Kim quasi non se ne accorse, tanto era presa dalla spiegazione:
« Mia cugina da piccola c’è rimasta chiusa dentro per un paio di minuti, a causa di un disguido tecnico e da allora, ogni volta che deve andare in banca, fa gli scongiuri perché non le ricapiti »
Dajan ridacchiò e osservò:
« Tua cugina è strana »
« Parecchio, ma da parte della famiglia di mia mamma lo sono tutti »
Rimasero in silenzio e, proprio quando Kim stava per chiedergli di fermarsi, Dajan dichiarò:
« Mi piacerebbe che venissi a cena a casa mia, quando torneremo a Morristown… ho detto a mia madre di te… di noi » precisò « e mi ha chiesto di invitarti… ti va? »
La ragazza notò un leggero imbarazzo nel suo ragazzo che la intenerì. Adorava Whitney, la madre di Dajan anche se avevano avuto solo un’occasione per conoscersi.
« Come ha preso la notizia che stiamo insieme? »
« Era contenta… mia sorella un po’ meno, lo ammetto.. tende ad essere possessiva verso di me »
« Non dirmi che devo ingraziarmi Blake? Sono pessima con i bambini » sbiancò la velocista.
« Dille che le insegnerai a giocare a basket e la conquisterai » le fece l’occhiolino il ragazzo.
Sentì che la stretta della ragazza nella sua mano si era fatta più salda: solo allora Dajan si accorse che, se a lui il livello dell’acqua arrivava alle scapole, Kim aveva le spalle coperte.
« Dajan, non mi sento sicura, torniamo più indietro… sono sulle punte » mormorò lei, preoccupata.
Lui le sorrise e, senza darle il tempo di aggiungere altro, la prese tra le braccia: da quella posizione, Kim aveva acquisito quei pochi centimetri che la fecero sentire protetta, assieme alla stretta rassicurante del suo ragazzo:
« Sei leggera »
« La spinta di Pitagora fa miracoli »
Dajan scoppiò a ridere, per poi spiegare:
« Semmai Archimede, Pitagora è quello dei triangoli »
« Lo sai che lo studio non è il mio forte: Trevor lo dice sempre che sono una capra »
Lui si limitò a sorriderle teneramente, guardandola con affetto. I capelli erano ancora asciutti, mentre la pelle era bagnata da gocce di quell’acqua tropicale. Le sue labbra a bocciolo erano dischiuse, rendendole ancora più invitanti ed ammalianti:
« Non cambierei una virgola di te, Kim » le sussurrò con dolcezza, guardandola intensamente negli occhi.
Lei abbassò il capo, sorrise e arrossì lusingata, mentre il ragazzo si chinava verso di lei.
Si baciarono con una passione che aumentava di giorno in giorno, spinta da dei sentimenti che maturavano assieme alla loro relazione. Stavano assieme da circa due settimane, ma a lei sembrava di conoscerlo da sempre.
Sentì che le braccia di lui si portavano verso il basso, lasciandola scivolare finchè i suoi piedi toccarono nuovamente il suolo. L’acqua tornò a coprirle le spalle ma si sentiva rassicurata dall’abbraccio caldo del ragazzo, il cui corpo nudo sfregava contro il suo; ben presto capì perché era stata costretta ad abbandonare la posizione precedente: Dajan aveva bisogno di avere le mani libere, di toccarla, esplorare il suo corpo e, sorprendendosi lei stessa, Kim scoprì di avere una necessità analoga; una delle mani di lui scivolava lungo la sua schiena, soffermandosi sul sedere, per poi continuare verso la gamba con cui Kim si era avvinghiata naturalmente a lui. L’altra mano le scompigliava i corti capelli, ma di quelli a Kim non era mai importato nulla: poteva farne ciò che voleva, lei non si sarebbe ribellata. Era paradisiaco sentirsi massaggiare dal suo tocco passionale.
Istintivamente, schiacciò sempre di più il suo corpo, coperto solo dal bikini, contro quello di lui e, in quel mentre, avvertì una reazione strana sotto la cintola del ragazzo, qualcosa che era del tutto estraneo alla sua esperienza, ma di cui ne intuì perfettamente la natura.
Dajan infatti fu costretto, di malavoglia, a staccarsi da lei, mormorando:
« Scusami, ma se continuiamo così, poi non credo che riuscirei a trattenermi a lungo »
Aveva lo sguardo sfuggente, imbarazzato, di chi vorrebbe qualcosa disperatamente, ma che si vergogna ad ammetterlo.
Due settimane.
Erano solo due settimane che erano una coppia.
Era troppo presto?
Lei, che non aveva nessuna esperienza precedente.
Non avevano ancora sfiorato quell’argomento, ma prima o poi sarebbe successo.
Forse era troppo “prima”.
Forse, non le importava affatto: che senso aveva aspettare di più? Ogni fibra del suo corpo, era convinta al cento per cento che fosse lui il ragazzo giusto, perché era l’unico ad essere riuscito a scalfire la sua corazza.
« E chi ti ha chiesto di trattenerti? » mormorò infine, senza guardarlo in faccia. Non poteva credere nella sua audacia, ma in quanto ragazza, toccava a lei rassicurarlo circa i propri timori.
Dajan boccheggiò poi, con un sorriso incredulo, le diede un ultimo appassionante bacio, prima di condurla fuori dall’acqua.
 
 
 



 
Note dell’autrice
 
Welcome back!!!! *piange commossa T_T*
 
Oddio non sapete il sollievo che ho provato nel pubblicare questo capitolo u.u
Se torno indietro ad un paio di mesi fa, presa dall’angoscia di laurearmi, ora mi sembra quasi di sognare T_T
Credetemi se vi dico che quest’assenza mi è pesata, il fatto di non poter dedicare ore e ore alla mia storia, era una tortura :S… non che in queste ultime settimane l’abbia totalmente ignorata eh, di fatto il capitolo era completamente abbozzato da Settembre, ma sapete che ultimamente cerco di metterci più cura possibile nel revisionarlo… e visto che si parla di oltre trenta pagine, la cosa richiede molto più tempo di una stesura di getto  -.-‘’
A proposito di lunghezza, so che sono ripetitiva e casco sempre sui soliti argomenti, ma vi chiedo scusa se i capitoli sono sempre più infiniti u.u; io mi trovo meglio a pubblicare meno spesso, ma condensare i fatti in un unico pezzo, piuttosto che frammentarli in più parti.
A tal proposito, durante la mia “pausa di laurea” ho definito una scaletta che, se rispetterò, farà sì che la storia si concluderà ufficialmente con 80 capitoli, più un extra per i ringraziamenti doverosi e altro u.u
Cominciate quindi a fare il conto alla rovescia (naa, è presto in realtà), ma da questo momento in poi, ogni dettaglio della trama mi è chiaro e definito, devo solo stare attenta a non farvi arrivare alla soluzione del mistero prima dei personaggi xD
Quanto al capitolo, spero che come promesso mesi fa, vi sia risultato leggero e frizzante, in perfetto stile fanfiction… il mio obiettivo almeno era quello ^^’.
Anche il prossimo prevedo di arricchirlo di scene di questo genere, visto che con il 55 torneremo a concentrarci su temi più delicati, come il rapporto tra genitori e figli (oh yeah, è arrivato il momento di conoscere Tyra ed Hailey u.u).
Altra cosa che ci tenevo a dire, che ad alcune di voi ho già anticipato, è stato il motivo dietro al cambio di nickname: per chi ha visto la screenshot su Instagram, la decisione è stata presa definitivamente una sera, chattando con due mie amiche.
Partendo dal principio, con l’esperienza (resa gratificante dai vostri commenti) di IHS, mi è balenata l’idea di voler provare a pubblicare un mio libro (un giorno), a cui inizierò a lavorare prossimamente. Vorrei farmi conoscere con uno pseudonimo e visto che RandomWriter è nato come nick identificativo di un’autrice improvvisata come tante, ho optato per qualcosa che avesse un’identità definita… così ecco nascere Ellen March ^^ . Poi, non so se davvero riuscirò nel mio intento, ma già il fatto che a distanza di un anno e mezzo stia proseguendo con la fanfiction, è la dimostrazione che quando sono ispirata, so essere perseverante u.u.
Poi, poi…. Un grazie particolare ad EvelynWolfman che ha realizzato la nuova copertina di IHS che trovate su Wattpad :3.
Un grazie a tutte voi che mi avete supportato in questi mesi e avete pazientemente atteso il ritorno di questa fanfiction… giuro che vorrei dilungarmi in un discorso molto meno sbrigativo, ma per rispettare la scadenza di pubblicare oggi, questo pomeriggio ho letteralmente corso per pubblicare e ora sono a corto di parole xD Comunque grazie, grazie, grazie :)
Quanto al sondaggio che lanciai tempo fa, su quale argomento dovevo trattare nella prossima OS di IHS, ecco a voi l’esito:
 
Come vedete, hanno stravinto i Tenia xD
Ho iniziato a scriverla e mi scuso se non ho rispettato la scadenza del 14 Novembre, comunque dovrei farcela a pubblicarla prima di Gennaio :)
 
Credo che il mio sproloquiare possa concludersi qui, nel tentativo di trattenere me stessa dall’aggiungere altro per non tediarvi ulteriormente con la mia gioia di una studentessa che studentessa non è più *^*.
 
Alla prossima!
 
P.S. Mi siete mancate, girls :,)
 

 

 
Caro Babbo Natale,

visto che In Her Shoes è sparita dalla circolazione per quattro mesi e la sua autrice ha più voglia di noi di vedere sfornato qualcosa di nuovo, che ne diresti di intercedere tu e suggerirle qualche iniziativa per rallegrare il nostro Natale?

Best regards,

A Random Girl


Dopo questo incipit idiota, sento il bisogno di rimpolpare la mia mania di egocentrismo mediatico (giuro che di persona sono l'opposto u.u).

Di fatto, ho solo alcune comunicazioni di servizio che mi auguro vi facciano piacere e che riguardano il giorno 25 dicembre. A Natale infatti:
- uscirà il capitolo 55;
- uscirà la OS dei Tenia
, vincitrice del sondaggio lanciato mesi fa;
- uscirà una OS piccina piccina, ad atmosfera natalizia, su Erin e Sophia, ambientata prima degli eventi di IHS;
- si concluderà un sondaggio che mi appresto a spiegarvi e che inizia da oggi. Per chi se lo fosse perso, più di un anno fa, ho proposto un'iniziativa intitolata "IHS - Behind the scenes", in cui invitavo le lettrici a pormi delle domande sulla storia.
Visto che la cosa ha avuto un discreto successo e dal momento che sono passati più di dodici mesi da allora, ho pensato di riproporre questa idea, in versione 2.0.
Questa volta infatti, non sarà più necessario scrivermi privatamente, vi basterà inserire la/le vostra/e domanda/e nell'apposito campo e il 25 dicembre le raccoglierò tutte, le riporterò in un nuovo sondaggio in cui potrete scegliere le domande che più vi incuriosiscono. Mi piacerebbe sceglierne una ventina (ammesso di arrivare a quel numero) XD
Ah, il link per inserire le domande è questo:
https://docs.google.com/forms/d/1KiL7MJR34pzukgyxERtJ9YXKPgUj7xaE_uppIhHVqxA/viewform

Grazie a @SaraDeeb1, che con la nostra chattata su Whatsapp, mi ha permesso di sfornare questi piccoli pensierini *^*
  
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