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Autore: Roxar    06/12/2015    3 recensioni
Haymitch ed Effie: due vite passate al setaccio e messe al confronto, dall'inizio alla fine, fino alla promessa di una rinascita.
«La vita dopo gli Hunger Games non è come l’avevi immaginata.
Forse è perfino migliore.»

[Haymitch/Effie]
Genere: Generale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Effie Trinket, Haymitch Abernathy
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Crew&Ship: Haymitch Abernathy, Effie Trinket, Altri | Haymitch/Effie

Warnings: Romance, Post-saga, Slices of life, Hurt/Comfort

Dove la Rana dice cose: questa fanfiction nasce esattamente tre anni e quattro mesi fa. Se non ricordo male, fu anche pubblicata tre anni e quattro mesi fa, salvo poi essere rimossa perché la miss perfettina che è in me è perennemente scontenta di quel che scrive, perennemente volenterosa di migliorare il migliorabile, ragion per cui decisi, non troppi mesi fa, di rimuovere ogni singola storia hayffie - con il buon proposito di restaurarle e ributtarle quassù nella loro forma riveduta e corretta.

Questa è la prima storia che ho "ristrutturato", una delle poche che ancora mi piaciucchiava (sebbene abbia subito pesanti modifiche). Ve la ripropongo a distanza di anni, vuoi perché questi due adorabili scemi non ho mai smesso di amarli, vuoi perché l'ultimo film è stato decisivo. Vuoi perché sentivo il bisogno di riprenderli in mano, ecco.

La struttura della fanfic si ricollega direttamente a quella di Dubliners, di Joyce, eccezion fatta per l'ultimo punto.

Penso di aver finito con le note; non mi resta che augurarvi una buona lettura!

 

 

 

___

 

 

I. La nascita.

 

 

La camera d'ospedale è una bolla tiepida che sa di fiori e sole, schizzata dal polline che ad ogni piccolo refolo di vento si libra in aria, piroettando aggraziato come una ballerina. La voce della città che i pesanti vetri rinforzati chiudono fuori è sostituita da un silenzio rilassato, interrotto di tanto in tanto da un vagito acuto, secco, quasi stizzito, come se la bambina, pur sonnecchiando, volesse perennemente reclamare l'attenzione di chi l'ha messa al mondo.

Un giovane uomo e una giovane donna sorridono estasiati, carezzando con dita lievi e piene d'amore la testa della loro neonata, piccola come quelle gerbere gialle come il sole e rosse come il fuoco che addobbano il davanzale e coperta di sottile lanugine bionda.

Hanno deciso che il suo nome sarà Effie.

 

Infine, l'uomo sorride e quella curva mesta è una fenditura dura e incartapecorita che traccia un reticolo di crepe sottili tutt'intorno, come se la pelle consumata dal carbone dovesse sgretolarsi, cadere a pezzi; si china sul volto smagrito e arrossato della moglie, baciandole gli occhi umidi di commozione e altro, quel maledetto altro che oggi deve aspettare fuori dalla porta.

Il bambino giace tranquillo tra le braccia della madre, dorme profondamente e non emette un singolo lamento; se il minuscolo petto non si muovesse al ritmo di un respiro lento e profondo, lo si direbbe morto.

Nonostante il cibo che manca in tavola e l'immenso interrogativo che è il loro futuro, guardando il loro primogenito ancora impiastricciato di sangue e muco, i coniugi scambiano uno sguardo e le palpebre calano un po', addolcendo i tratti dei visi patiti. Osano essere felici.

Hanno deciso che il suo nome sarà Haymitch.

 

 

 

II. L’infanzia.

 

 

I capelli biondo miele le sferzano il viso mentre piroetta su se stessa.

Ride, ride mentre il dorso della mano cala inevitabile e preciso come un battito di ciglia, ride perfino quando la testa della sua bambola viene scaraventata contro il pavimento. Le ricorda l'ultimo ragazzino che è morto negli Hunger Games, un misero pastore spedito nell'Arena direttamente dal lontanissimo distretto 10. Un vero peccato; i suoi continuano a ripetere che era un ragazzo capace e intelligente, che avrebbe potuto farcela se solo non fosse stato precipitoso, abbeverandosi da una fonte avvelenata dai Favoriti.

Effie ama gli Hunger Games.

 

Il bambino spinge la testa contro il collo della madre, affondando il viso in quel pezzo di mondo che lo fa realmente sentire salvo, premendo il naso contro la stoffa lisa della sua camicia. La donna non parla, non si muove; si limita a tenerlo in grembo e stringerlo forte, fortissimo.

Gli bacia ripetutamente i capelli, prima di lisciarglieli sulla nuca; una stringa di azioni che sembrano rasserenarle l’animo, che le suggeriscono che può tenere al sicuro il suo figlioletto ancora per un po'.

Il bimbo sbircia il televisore e sopprime svelto uno spasmo della schiena quando l'Hovercraft raccoglie membra sparse di quello che era il Tributo del loro distretto.

Haymitch odia gli Hunger Games.

 

 

 

 

III. La preadolescenza.

 

 

La ragazzina osserva scrupolosamente il proprio riflesso. Il trucco è venuto bene, certo, ma non le valorizza gli occhi come sperava. Stizzita, spruzza abbondante acqua sul viso e ricomincia da capo. Il secondo tentativo è addirittura più scadente del primo. Avvicina il volto allo specchio, il fiato che condensa sulla superficie.

Il trucco non riuscirà mai ad illuminarle gli occhi incupiti, che riflettono ancora la morte di un tributo che le aggradava in particolar modo.

Sbuffa e solleva il mento, fissando con sfida il suo doppio e calzando il sorriso più smagliante di cui dispone.

Non può permettersi passi falsi. Oggi Effie verrà introdotta nella buona società di Capitol City.

 

Il ragazzino ringrazia e se ne va.

La bisaccia appuntata ai calzoni strappati dondola seguendo il ritmo dei suoi passi, appesantita dalla fragrante presenza delle pagnotte ancora bollenti.

La crepa nel muro della panetteria era più profonda di quanto mai avrebbe potuto sperare; il ricordo gli suscita un vago sorriso trionfante, colmo di arroganza. La fortuna, di tanto in tanto, pare ricordarsi anche di lui. E del suo fratellino, piccolo e smunto come un frutto acerbo. E domani andrà ancora meglio, si dice, domani compirà finalmente dodici anni.

Da domani, la fame dovrà allentare la morsa che ha su Haymitch.

 

 

 

IV. L’adolescenza.

 

 

È tutto pronto.

La ragazzina si accuccia contro lo schienale della poltrona, soffiando sulle unghie appena smaltate, azzurre e brillanti.

Tra non molto verrà trasmessa la Mietitura, tra non molto i protagonisti dei cinquantesimi Hunger Games, della seconda Edizione della Memoria, avranno finalmente un volto, un nome e un cognome.

Lo schermo si anima del primo piano di Caesar Flickerman che, con il suo inappuntabile carisma, inaugura i Giochi, collegandosi via via con i dodici distretti di Panem.

Quando è la volta del dodicesimo, la ragazzina si sporge un poco in avanti. Tra i quattro tributi richiesti, un ragazzo attira la sua attenzione. Alto, vigoroso. Bello.

Le labbra di Effie si piegano in un sorriso involontario.

 

La Mietitura è accompagnata da un’insolita calura che si allunga sulle loro teste, come una cappa soffocante, inevitabile.

Si passa una mano tra i capelli, sul viso liscio, sulla camicia pulita, ma spiegazzata.

Molti ragazzi se ne stanno immobili, a testa bassa, mal celando le emozioni tradite dalle lacrime. Lui, invece, solleva il mento con fare arrogante, determinato. Nessuno potrà tacciarlo di debolezza. Nessuno dovrà farlo.

Poi tutto si sussegue in silenzio, come un vecchio film muto: la mano della donna che affonda nella boccia cristallina, le sue dita che estraggono un biglietto finemente ripiegato, le sue labbra che modulano due parole. L’applauso si leva discreto, il caldo brucia un nome ed un cognome.

Haymitch Abernathy.

 

 

 

 

V. La maturità.

 

 

Della ragazzina bionda e lentigginosa restano solo una spruzzata di efelidi sulle gote e lunghi capelli biondi, disordinati e spessi, celati opportunamente dalle più variopinte parrucche.

I ragazzi iniziano perfino ad adocchiarla, battendosi il gomito quando passa loro davanti.

Ne è contenta. Ama la popolarità, ama le occhiate languide, ma soprattutto ama intrattenere.

Canticchia qualcosa mentre scarta l'ennesimo regalo foderato di carta dorata.

Mancano solo un paio d'anni. Poi, con un pizzico di fortuna e qualche parolina alla persona giusta, tutti si ricorderanno di Effie come dell'accompagnatrice di qualche prestigioso distretto.

 

Bevi, gli dice.

Ecco, bevine un altro, lo incoraggia.

Salvati, ragazzo, gli consiglia.

E così, bicchiere dopo bicchiere, Sae la Zozza lo travia, iniziandolo al disgustoso mondo dell’alcol.

Un bicchiere ti aiuta a distrarti; ecco, prendi.

Ne ha bevuti molti, di bicchieri, ma Sae è una dannata bugiarda.

Bere non aiuta, bere non distrae. Bere ammansisce i demoni, li confonde, li spinge oltre la cortina di fumo per la durata di una sbornia, rilasciandoli poi di notte, ogni notte, con la promessa di un incubo nuovo di zecca che lo scorta fino all'ennesima alba esangue, grigia.

Salvati, ragazzo.

È tardi. Per Haymitch non c’è più nulla da fare.

 

 

 

 

VI. La vita pubblica.

 

 

È livida. È abbattuta. È incredula.

Le buone raccomandazioni sono state vane, la prassi impossibile da scavalcare.

Così si apre la sua carriera: con il Distretto 12, a stretto contatto con quello zotico che ogni anno è un Mentore solo sulla carta, un onore che rigetta, rinnega e rifiuta nei modi più imbarazzanti e irrispettosi. Ha avuto occasione di conoscerlo due anni fa, ad una cerimonia, e la ricorda come una delle esperienze più negative della propria vita. E pensare che il ragazzino dai capelli scuri gli aveva fatto una cosi bell’impressione!

Pensando a lui, è costretta tuttavia a spezzare una lancia a favore della sua bellezza, affievolita certo, ma pur sempre degna di nota.

Eppure, si dice, la bellezza non può sopperire una tale assenza di buone maniere, di civiltà perfino.

Spazzola con foga i capelli biondi, strillando quando una ciocca resta impigliata nelle setole della spazzola.

Non ha ancora avuto modo di lavorare con lui, ma Effie lo detesta già.

E mai, mai, la sua opinione in merito muterà.

Ma chissà perché il pensiero non attecchisce come dovrebbe.


È perplesso. È stupito. È ubriaco.

Non ricorda neppure quando o come sia arrivato al Palazzo di Giustizia, non ricorda neppure di essere andato a dormire, la sera prima.

Non ricorda neppure che da quest’anno avrà al fianco una nuova accompagnatrice.

Si sfrega gli occhi e il liquore gorgoglia nella bottiglia che ancora stringe tra le dita.

Osserva la stanza – leggermente inclinata a destra e leggermente sfocata – fino ad individuare una macchia verde come acido e come acido brillante.

Un nuovo quadro? Una suppellettile d’arredo? Stringe le palpebre e, a fatica, risolve l’enigma.

E crede di essere più ubriaco di quanto lo sia mai stato negli ultimi anni.

Chi mai indosserebbe una parrucca tanto assurda quanto disgustosa?

Chi mai riderebbe con voce così stridula, al limite dell’umana tolleranza?

Un barlume di lucidità guizza nella foschia dei postumi da sbornia. La nuova accompagnatrice.

Una nuova, stupida, vuota donna di Capitol City le cui preoccupazioni si limitano ad appuntamenti da rispettare e trucco da rifare.

Arranca di un passo o due, arcuando le labbra in un sorrisetto ubriaco, dispettoso, irriverente e la sua mente ubriaca riesce a trovare la forza di notare certi dettagli della sua nuova amica: gusti discutibili in fatto di vestiario, uso eccentrico del trucco, lezioso accento da capitale e abuso della gestualità.

Eppure c’è qualcosa, nascosto tra le pieghe del suo trucco o tra le ciglia dei suoi occhi, che cattura la sua attenzione, senza tuttavia palesarsi.

Fantastico, si dice stizzito, brillo.

Haymitch scuote la testa e beve.

 

 

 

 

+I. La vita dopo.

 

 

Haymitch, con la fatica di chi non riesce a tenere a mente molti dati, pronuncia lentamente nomi su nomi, riportando in vita decine di Tributi, ed Effie, laddove ne sia capace, subentra in suo aiuto, fornendo altri preziosi dettagli che la mano capace di Peeta traspone in ritratti particolareggiati che germogliano sulla carta ingiallita e rosa dal tempo. Katniss, al suo fianco, carezza con fare distratto il pelo di Ranuncolo. A volte il suo sguardo mette a fuoco qualcosa di lontano, di molto più lontano di questo salotto dai mobili spaiati, e torna in sé con un brivido che le percuote la spina dorsale.

Siedono tutti e quattro al tavolo tondo e rendono un tributo ai tributi, costringendo i demoni a mostrarsi per esorcizzarli, giocando con lo scorrere del tempo, balzando da un’edizione all'altra dei Giochi.

Peeta riempie molte pagine, la sua mano schizza ordinatamente file e file di parole, fa delle memorie di Haymitch un omaggio ad ogni martire del defunto governo di Snow, le trascrive arricchendole dei propri pensieri, di quelli più sporadici ed evasivi di Katniss, di quelli vivaci nostalgici di Effie.

Ma quando si fa sera e fuori ammiccano le prime stelle, Haymitch sfiora il gomito di Effie con il fondo della sua bottiglietta di succo d'ananas, facendole presente che è ora di andare. Salutano Katniss e Peeta con la promessa di rivedersi all'indomani, perché molte di quelle pagine sono ancora intonse e aspettano solo di accogliere altre vite perdute.

Nella penombra del crepuscolo, rischiarata solo da qualche lampada di recente installazione, dalla cui campana di vetro pendono ancora brandelli di plastica protettiva, Haymitch ed Effie camminano piano. Effie lo tiene sottobraccio e lui se ne sta con le mani affondate nelle tasche, dando l'impressione di sopportare stoicamente la sua presenza, la sua vicinanza, ma la verità è che le cose tra loro sono cambiate molto tempo prima, quando, nell'ostilità di un mondo che non li ha voluti più, si sono avvicinati e mai separati.

Effie parla. Parla tanto, a volte ride, gesticola e in certi momenti si separa da lui per illustrare meglio quel che intende dire; è questione di attimi, di pochi gesti, ma il freddo lasciato dalla sua lontananza lo infastidisce al punto che gli costa molta fatica trattenere il braccio e impedire alle sue dita di chiudersi sulla sua mano, riportandola al proprio fianco. A guardarla ora, priva delle sue parrucche, con un semplice fazzoletto pezzato a coprirle la testa, e un filo di trucco vivace ma non violento come una volta, si direbbe che la guerra non l'abbia neppure sfiorata, che i sotterranei di Capitol City non siano mai esistiti. Haymitch sa che non è così. Certe notti la sente sussultare con violenza e svegliarsi di soprassalto, scendendo poi dal letto con passo felpato e silenzioso per accostarsi la finestra e premere la fronte contro il vetro gelido. Allora, altrettanto silenzioso, Haymitch afferra una coperta di scorta che giace sulla piediera, la spiega e la poggia piano sulle sue spalle, fermandola con le mani che aderiscono alla sua carne come nella speranza di arrestare anche il tremito del suo corpo.

Effie non ha dimenticato; semplicemente, ha solo celato. La molta abilità sviluppata nell’applicare il trucco al volto le è servita per mascherare anche gli orrori di cui è stata vittima o testimone.

Per sopravvivere, Effie maschera i suoi demoni truccandoli di sorrisi, risate e moine.

E d'altro canto, neppure lui ha dimenticato; semplicemente ha imparato a convivere con se stesso. I tempi in cui viveva sul fondo di un bicchiere sempre pieno sono finiti quando Effie, occhi spenti e bagagli alla mano, si è presentata sulla soglia di casa sua, per restare, come aveva poi aggiunto qualche minuto dopo.

Con molti sforzi, molte liti e molta pazienza, Effie e Haymitch hanno fatto dell’odio e del rancore e delle ferite aperte qualcosa di diverso. In qualche modo, sono stati capaci di trarne della forza, raggiungendo un equilibrio che assomiglia all'amore e che, tuttavia, non lo è del tutto.

Effie ci si è messa di impegno per capire cosa stesse succedendo nelle loro teste e nella loro casa, ma Haymitch non ha fatto altro che scoraggiarla.

«Effie, perché devi sempre analizzare tutto fino alla morte?»

«Ma Haymitch» aveva detto, incerta, «dopo qualche anno dovremo pur dare un nome a questa cosa, no?»

«No», le ha sempre risposto, «non ce n'è bisogno».

Forse non ce n'è davvero bisogno, dopotutto. Stanno bene – per quanto possano stare bene dopo tutto quello che li ha travolti, scaraventati lontano e feriti irrimediabilmente – e per la prima volta nella vita non c'è bisogno di affannarsi, di pianificare, di complottare, di sopravvivere. La Ghiandaia ha ripiegato le ali e il suo stormo insieme a lei.

«A cosa stai pensando?»

La voce infreddolita di Effie, che adesso si è fatta più vicina e che se ne sta in silenzio da almeno dieci minuti, interrompe il flusso infelice dei suoi pensieri. Haymitch si ferma sotto il cono di luce bianca di un lampione, proprio mentre il primo fiocco di neve dell'anno si posa indisturbato sul naso di Effie, che rabbrividisce e tira indietro il viso, alzandolo al cielo che, non si sa come o quando, si è annuvolato, portando le prime nevi di stagione.

Haymitch allunga un dito e passa il polpastrello gelido proprio sul punto in cui è caduto quel misero fiocco di neve; senza riuscire a impedirselo, sta già sorridendo. Sta già piegando il collo e chiudendo gli occhi per baciarle le labbra fredde. Questo, insieme al fiocco di neve, è il primo vero gesto d'affetto che osa manifestarle in quel primo anno di convivenza. Non c'è niente di malizioso, o violento, o troppo colorato, in quel bacio. Forse – e solo forse – la promessa di una vita che può ancora andare avanti, che può e deve ancora essere vissuta.

 

La vita dopo gli Hunger Games non è come l’avevi immaginata.

Forse è perfino migliore.

 

   
 
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