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Autore: Eustass_Sara    06/12/2015    3 recensioni
Buuuuuuon salve! :D Yeah, bimbi, sono tornata!
Seguito di Quella strana cosa chiamata matrimonio: cinque anni dopo il matrimonio di Kidd e Law, i due sposini di ritrovano alle prese con un piccolo uragano che sconvolgerà la loro vita.
Questo piccolo uragano è sicuro di sé e composto, il riflesso di Law, ma è anche determinato e testardo, il riflesso di Kidd.
Un piccolo uragano che ha tanto da imparare, tanto da insegnare e tante sorprese in serbo.
Un piccolo uragano tutto al femminile.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eustass Kidd, Nuovo personaggio, Trafalgar Law | Coppie: Eustass Kidd/Trafalgar Law
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Sotto lo stesso tetto.'
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Su suggerimento di callas d snape

Sotto la pioggia.

Capitolo 1.



Erano passati cinque anni dal matrimonio di Kidd e Law. Anche vivendo con lo stesso tetto sopra la testa e la fede al dito, i due non erano affatto cambiati; la loro relazione continuava a essere un'altalena fatta di litigi, insulti, silenzio e sesso. Ma se ad un occhio esterno poteva sembrare tutto a un passo dalla rottura, il loro rapporto era più che solido.
Semplicemente erano fatti così.

-Eustass-ya!-

Lo schiocco rumoroso di un giornale che si infrangeva sul braccio del rosso risuonò per tutta la camera padronale.
Law, furioso oltre ogni dire, ripeté il gesto un'altra volta. Il fatto era che mancavano dieci fottutissimi minuti alle otto e, sebbene fosse sabato, Kidd lavorava; conoscendolo, Eustass avrebbe fatto tardi se non si fosse alzato all'istante. Il punto era che Law aveva provato di tutto: lo aveva chiamato con tono calmo, poi lo aveva scosso con una mano, aveva fatto il caffè con la speranza che il profumo lo svegliasse, aveva persino cercato di svegliarlo a suon di baci tutto meno che casti.
Il risultato? Kidd dormiva ancora, con disappunto dell'altro che preferì sorvolare sulla reazione mancata ai suoi baci.

Rinunciando al giornale, il moro gettò il suddetto in un angolo della stanza per poi illuminarsi. Se non si svegliava con le buone -perché si, picchiare Eustass col giornale in confronto era una buona maniera- allora avrebbe usato le cattive. Cattive... si fa per dire, con la sua idea Law era ancora magnanimo.
Furtivo come un gatto, salì a cavalcioni si Kidd che se la dormiva a pancia insù, i capelli morbidi e rossi erano liberi e sparsi sul cuscino.
Con molta calma e pazienza, Law posò le mani sui pettorali di Kidd e con la bocca iniziò a torturare il lobo sinistro di suo marito, alternandosi a dei “Eustass-ya” molto dolci, fino a sentirlo mugugnare.

-Hmn...-

Con un sorrisetto cattivo e soddisfatto, Law, prese un profondo respiro per poi urlare dritto dritto nel timpano del rosso. -EUSTASS-YA!-

-Che cazzo?!-

Con uno scatto, Law si levò dal letto e si mise in piedi ridendo della faccia di Kidd. Era impagabile e se l'era cercata, dopotutto: Eustass se ne stava seduto sul materasso, le mani ai lati del corpo. Gli occhi erano sgranati dalla sorpresa mentre la vena sulla sua fronte aveva preso a pulsare impazzita nel realizzare il tiro mancino giocatogli da Law.
Mentre il moro correva in cucina fra le risate, il rosso borbottava insulti e bestemmie ringhiando di tanto in tanto. Non aveva nemmeno fatto in tempo a dirne quattro in faccia allo stronzo che prima di andarsene gli aveva indicato l'ora dalla sveglia sul comodino.
Ancora con tante bestemmie sulla bocca, Kidd si infilò sotto la doccia.
Cinque minuti dopo, era asciutto e vestito, pronto a uscire di casa e intento a fare colazione.

-Vaffanculo, Trafalgar!-

-La prossima volta vedi di svegliarti prima, Eustass-ya.-

-Mi hai sfondato un timpano, cazzo!-

-Quante storie. Nemmeno io mi lagno così tanto quando mi sfondi il culo.-

A quella risposta, Kidd stette astutamente in silenzio. Assottigliò lo sguardo, i denti che mordevano la punta della lingua, celati dalle labbra serrate. Gli veniva da insultarlo e chiedergli nella maniera più volgare possibile che cosa stesse insinuando quel figlio di un demonio, ma preferì non dire nulla.
Perché se c'era una cosa che Kidd aveva imparato a sue spese era che quando Law se ne usciva quelle frasi e con quel sorrisetto odioso, voleva dire rogne amare per lui e per una volta voleva evitarle.

Tra piccoli silenzi e battute dal sapore di litigio, il poco tempo a disposizione di Kidd volò, facendolo correre per arrivare al lavoro in orario.
Tutte le mattine c'erano quei piccoli screzi tra loro e se non ci fossero stati avrebbe significato che qualcosa non andava, senza dubbio. Semplicemente erano fatti così: il matrimonio non li aveva cambiati, li aveva solo uniti rendendo chiaro a tutti che niente e nessuno poteva intaccare ciò che erano. Erano sempre loro e non c'era nulla di più appagante.
Law, da solo in casa, sorrise sghembo.
Kidd, non visto dai colleghi, ghignò.
La giornata era partita al meglio.

°°°

Le dieci e mezza. Law sbuffava, annoiato; avvolto nel suo caldo pigiama, appollaiato sul divano e col telecomando alla mano, faceva zapping da mezz'ora e nulla, non c'era nulla che lo interessasse. I film che trovava o erano polpettoni romantici o li aveva già visti e non c'era gusto; poi c'erano le repliche, soap opera che non avrebbe guardato mai e poi mai e cartoni animati così stupidi da essere un insulto alla sua spiccata intelligenza.
Aveva cercato di ingannare il tempo riordinando e pulendo casa, ma nulla. I suoi libri facevano più da decorazione che altro, dato che ormai li aveva letti tutti almeno dieci volte ciascuno quindi leggere era fuori discussione.
Con un tic nervosissimo all'occhio destro cambiò canale, prima che i fottuti My Little Pony gli facessero rigurgitare il cappuccio e le brioche al cioccolato.

Stufo, spense la tv e gettò il telecomando in un qualche angolo indefinito del divano bianco a penisola e si alzò. Era autunno, fuori pioveva e per una volta Law non aveva nessun turno all'ospedale; annoiato alla massima potenza, si alzò e andò nella camera che divideva con Kidd; in poche mosse si vestì di una felpa blu notte e un paio di jeans stretti.
Prese chiavi, cellulare, portafoglio, infilò i suoi stivaletti, il giubbotto e si chiuse la porta di casa alle spalle. Aprì l'ombrello e si incamminò; a dire il vero non aveva nulla da fare e passeggiare sotto la pioggia non era il massimo dal punto di vista medico, ma a Law non dispiaceva camminare sentendo le gocce d'acqua picchiare contro la tela dell'ombrello o contro il duro asfalto.

Respirò a pieni polmoni l'odore della pioggia, gli occhi che vagavano ovunque su quella città vista migliaia di volte. Con un sorriso che aveva un qualcosa di nostalgico, osservò le vetrine dei negozi: c'era il negozio che vendeva un po' di tutto per la casa, il negozio di abbigliamento, quello per bambini e quello per i giocattoli. Quest'ultimo, Law lo ricordava bene.
La prima volta che Doflamingo lo aveva portato lì era perché il moro, all'ora un bambino, non era potuto andare allo zoo; Law ci teneva poter vedere coi suoi occhi gli animali, in particolare le tigri e il lor manto aranciato. Sentire il loro ringhio e perdersi nei loro occhi severi e in guardia, osservare il loro passo cadenzato nel controllare che nessuno violasse quel territorio che era solo loro.

Quanto era stato arrabbiato quel giorno Law... non rivolgeva la parola a nessuno e non mangiava, continuava a covare la rabbia nel non essere potuto andare a vedere le tigri allo zoo. Doflamingo senza dire una parola lo aveva caricato in macchina e lo aveva portato lì, in quel negozio; aveva ignorato il reparto dei giochi da tavolo, delle bambole e di tutti i giocattoli elettronici e lo aveva piazzato di fronte al reparto di peluche.
Lì il moro aveva visto il più grande orso di peluche bianco mai trovato in un negozio; gli occhi erano neri e lucidi, il nasino piccolo, stava seduto e con addosso un'adorabile felpa gialla con tanto di cappuccio. Lo aveva indicato con un dito, guardato Doflamingo e detto “quello”.

Il biondo, con un sorriso enorme e indecifrabile, glielo aveva preso e comprato. Law era tornato a casa con quel peluche che non riusciva a tenere fra le mani, tanto era grande; Doflamingo glielo aveva portato in camera e messo sul letto. Di notte il moro posava la sua testa sulla pancia dell'orso come se fosse un cuscino. Lo zoo dimenticato, privo di importanza.

Specchiandosi nella vetrina del negozio, Law sorrise beffardo, la nostalgia dimenticata e sepolta. Era cresciuto e cambiato, fiero di ciò che era; non per questo dimenticava la sua infanzia, al contrario, ma erano anni che non si soffermava sui suoi ricordi. Quasi si sorprendeva di quanta cura avesse nel ricordarsi tutto. Quasi.

Tornò a camminare, la testa alta e le spalle dritte mentre il mondo attorno a lui correva frenetico. Sotto i portici di un vecchio edificio alcuni mercanti avevano allestito le loro bancarelle, piene di varietà. Frutta, verdura, cappelli, bigiotteria, maglie e chi più ne ha più ne metta.
Law ignorò il mercato, limitandosi a respirare il profumo degli ortaggi mischiato a quello della pioggia; dopotutto non era uscito per far compere, solo per passeggiare.

-Quella dannata mocciosa... ma ci credi?! Ha di nuovo rubato uno dei miei panini!-

-Ancora?! E non hai fatto nulla?!-

-E che dovevo fare, rincorrerla? Non so se l'hai notato ma ho 60 anni!-

-E allora non lagnarti se ti rubano il cibo! Ah ma se la becco io le do tante di quelle legnate che la prossima volta ci penserà due volte prima di rubare ancora!-

Il moro tirò dritto, fingendo di non aver sentito. Non gli interessavano particolarmente i pettegolezzi della gente o le chiacchiere tipiche del mercato ma era la prima volta che sentiva di una ladra nel mercatino di Sabaody. Quella era una via modesta, i prezzi delle bancarelle erano economici quindi non aveva nessun senso rapinare una di queste.
Senza contare che in quel mercato c'era un mercante di formaggi e salumi generoso; era un tipo semplice e onesto con la classica pancia da birra che finiva sempre col avanzare del cibo che donava a chi non poteva permetterselo.

Scrollando le spalle Law continuò a camminare; anche se quella ladra ci fosse stata davvero, a sentire dalle parole dalla donna grassa e più brutta di un pesce dal ventre squartato, era solo una bambina al massimo una ragazzina. Davvero quella balena arenata e rugosa aveva il fegato di prendere a legnate una bambina? Ma dopotutto, non erano affari suoi.
Già, non lo erano e l'argomento lo toccava solo perché si era immaginato lui in quanto medico che si ritrovava una bambina nel suo ospedale su di una barella e i bambini sono i secondi peggior pazienti che un medico può avere. Sono piccoli, indifesi e non capisco appieno ciò che succede e tanto meno il perché; come lo spieghi a un bambino che non può muoversi dal letto, uscire a giocare con gli altri bimbi, che deve prendere medicine e fare controlli per assicurarsi le ferite o la malattia non peggiorino e che guariscono?

Scosse la testa, deciso a non pensare al lavoro. Era sabato e doveva distrarsi. Ridacchiando di un cagnolino che abbaiava risoluto a uno di taglia decisamente più grande, voltò lo sguardo di fronte a sé quando, con la coda dell'occhio, vide una figura nel vicolo che stava proprio per superare.
Era distante e ben nascosto dal mercato, ma stretto e il poco spazio si riduceva a causa dei sacchi della spazzatura, delle casse di legno abbandonate e qualche scatolone.
A dire il vero, con tutti quei sacchi e scatoloni, era solo grazie al suo occhio esperto se Law aveva visto quella bambina che tremava appena e per un attimo il mondo del medico si fermò.

Quella bambina avrà avuto si e no otto anni. Stava appoggiata contro il muro di mattoni, affianco a lei uno scatolone da cui uscirono due adorabili cuccioli di cane attirati dal profumo del piccolo panino che teneva nella mano destra. La sinistra reggeva con fatica un ombrello viola; il vestiario era quanto di più raccapricciante Law potesse vedere in autunno. Una camicetta bianca più grande e bagnata di pioggia malgrado l'ombrello, un cortissimo pantaloncino nero e scarponi dello stesso colore le cui stringhe erano slacciate. I capelli neri avevano un taglio strano che gli donava molto, ciuffi di frangia tagliata corta, due ciocche davanti lunghe che toccavano e superavano le spalle mentre il resto era corto.
Probabilmente se li era tagliata da sola e Law non volle sapere con cosa.

Ma non era quello a lasciare basito il moro, non era nemmeno la sua espressione concentrata e seria dedita a ignorare il freddo che la faceva tremare; per quanto apparisse orgogliosa nel non mostrare debolezza, per quanto si ostinasse ad apparire forte e per quanto quella bambina fosse il riflesso di Law, non era questo a lasciarlo a bocca aperta.
Ciò che era così incredibile da bloccare ogni azione o pensiero al medico erano quei grandi occhioni d'ambra. Un'ambra che Law conosceva benissimo: occhi d'ambra come quelli di Kidd, solo più grandi.
In quegli occhi vedeva determinazione, forza d'animo... gli sembrava di guardare gli occhi di un Kidd molto più giovane.
Era una bambina, reggeva un piccolo panino... era la ladra del mercato. Piccola, sola, determinata, esattamente come Eustass Kidd da bambino.

Quasi non si accorse di star muovendo dei passi verso la bambina. Non poteva ignorarla, non con quel frammento di carattere che aveva visto, non con quello sguardo che ella portava; risoluto e deciso come poche volte il suo volto mostrava, allungò una mano verso la ragazzina che aveva alzato il volto verso di lui, sgranato gli occhi e guardato con diffidenza e timore celato da una falsa sicurezza.

-Se non vuoi morire di fame e freddo, prendi la mia mano.-

La bambina continuava a fissarlo con quegli occhi in cui Law si stava perdendo. Stava meditando se accettare o meno quella mano... perché uno sconosciuto voleva avvicinarla e aiutarla? Non si fidava, era pur sempre uno sconosciuto e lei non era scema. Gli era stato insegnato a non rivolgere parola agli sconosciuti, tanto meno ad accettare un loro passaggio o che altro. Ma il punto era che stava davvero gelando.
La temperatura era calata di parecchio, era Novembre e la pioggia era così fredda da entrare anche nelle ossa in più soffiava un leggero vento, quello che bastava per far piovere di traverso e quindi rendere vano l'uso dell'ombrello. Gli unici abiti che aveva rimediato erano più estivi che autunnali ed erano fradici, avanti di quel passo si sarebbe ammalata.

Non aveva mai pensato alla morte e come poteva? Era concentrata a sopravvivere con le sue forze, a sfuggire a quella megera che dall'uno al due impugnava una mazza di legno pronta a darla in testa ad eventuali ladri di panini e a nascondersi da chiunque cercasse di sbatterla nuovamente in quell'orfanotrofio puzzolente e che sapeva di gabbia da cui era fuggita.
Non avrebbe voluto accettare quella mano tesa e priva di guanto, ma doveva se voleva avere la minima possibilità di sopravvivere. Con i denti che avevano iniziato a battere dal freddo, allungò scettica la sua piccola mano e la posò su quella bagnata e bronzea dell'uomo di fronte a lei, l'ombrello viola cadde abbandonato.

Si lasciò tirare su e condurre fuori da quel vicolo che puzzava di marcio. Lo osservò, diffidente come non mai: corti capelli neri, orecchino d'argento e un viso scolpito in un espressione seria, calma e determinata. La compostezza dell'uomo dava ai brividi ma bastava incrociare quelle piccole geme d'argento che erano i suoi occhi per calmarsi.
La mano che la teneva, notò con curiosità, era dipinta di tatuaggi neri; il cappotto nero e lungo oltre il ginocchio celava la minuta figura di lei che passò avanti alle bancarelle senza essere notata dai due mercanti a cui aveva rubato il piccolo panino. Lo avrebbe mangiato volentieri quel panino, tanta era la fame, ma era zuppo di pioggia e l'odore del vicolo si era attaccato al pane.
Neanche con tutta la fame e volontà di questo mondo trovava il coraggio di addentare quel panino. Amareggiata, lo lasciò cadere in un cestino e pregò una qualunque entità di aver fatto la cosa giusta nell'accettare quella mano.

Law del resto, controllava con la coda dell'occhio la bambina. Per un attimo aveva temuto che addentasse quel panino improponibile: era troppo piccolo per sfamarla, si era inzuppato di pioggia e mandava un pessimo odore di marcio sebbene fosse stato preparato con ingredienti freschi e ottimi. Grazie al cielo la fame non aveva prevalso sulla piccola che gettò il panino.
Law non era così generoso e altruista, non lo era mi stato; ma quegli occhi... ogni volta che li vedeva, mettevano a tacere ogni dubbio su quello che faceva, facevano tacere quella sua natura cinica ed egoista perché quegli occhi erano la fotocopia più giovane di quelli appartenenti all'uomo che aveva sposato.
Erano preziosi, maledettamente preziosi.
Preziosi e spenti. Quegli occhi gli sbattevano in mente come uno schiaffo l'immagine di Kidd da piccolo con gli stessi occhi morti e gli sembrava di morire perché Law non era abituato a vedere degli occhi ambrati così freddi, morti e soli. Non ci era abituato e non lo poteva accettare.
Costasse quello che costasse, Law avrebbe visto anche quegli occhi ambrati accendersi.



Angolino Eustassiano_

°coro di grilli°....Ok. Non posso dire di non sapere cos'è questa roba né che non so perché l'ho scritta perché so entrambe le cose. Questa sarà una mini long ed è il seguito di “Quella strana cosa chiamata matrimonio”. Perché si, c'è un seguito e io sono già innamorata di questa mini long e della bimba di cui ho trovato una foto ed è la fine del mondo.
Perché lo scritta? Perché il seguito mi è stato richiesto, perché ci ho riflettuto e prima ancora di decidere sapevo che avrei scritto il benedetto seguito. Perché quando ho trovato la foto mi si è sciolto il cuore e io DOVEVO scriverci su. Mi rendo conto che il primo cappy è corto ma ehi, è solo l'inizio u.u
Ora, per chi si aspettava altri aggiornamenti chiedo scusa. Sono scomparsa per troppo tempo di cui non ho nemmeno tenuto il conto... sapete l'ironia dove sta? Che ho trovato ispirazione per aprire nuove long. Lo so, sono un caso perso e affondato nell'oceano più buio.
E ho anche promesso a Ace of Spades una certa long... chiedo immensamente scusa anche a te, giuro che appena ce la faccio in termini mentali e di tempo che completerò e pubblicherò anche quella! >.<
Prima o poi ce la posso fare u.u
Allora, la faccio brevissima: oltre ad avere aperto nuovi progetti su One Piece e oltre ad avere in corso vari aggiornamenti di roba già pubblicata e che aspettate da tanto, ho aperto un nuovo progettino su un nuovo fandom, aprite bene gli occhietti: MERLIN. Già. Mi sono innamorata della Merthur e no, il mio cuore non se l'è rubato Artù ma Merlino. Quel mago deve avermi fatto un incantesimo, ne sono certa u.u
Quindi nulla, finirò con scrivere e postare qualcosina anche su loro due.
E stop, basta, perché questo benedetto angolino è diventato
di nuovo una caverna di dimensioni epocali xD
Vi lascio all'immagine, fatemi sapere che ne pensate!
Alla prossima! <3
Kiss and Bye

Eustass Sara

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