Su suggerimento di callas d snape
Sotto la pioggia.
Capitolo 1.
Erano passati cinque anni dal
matrimonio di Kidd e Law. Anche vivendo con lo stesso tetto sopra la
testa e la fede al dito, i due non erano affatto cambiati; la loro
relazione continuava a essere un'altalena fatta di litigi, insulti,
silenzio e sesso. Ma se ad un occhio esterno poteva sembrare tutto a
un passo dalla rottura, il loro rapporto era più che
solido.
Semplicemente erano fatti così.
-Eustass-ya!-
Lo schiocco rumoroso di un giornale
che si infrangeva sul braccio del rosso risuonò per tutta la
camera padronale.
Law, furioso oltre ogni dire, ripeté il
gesto un'altra volta. Il fatto era che mancavano dieci fottutissimi
minuti alle otto e, sebbene fosse sabato, Kidd lavorava;
conoscendolo, Eustass avrebbe fatto tardi se non si fosse alzato
all'istante. Il punto era che Law aveva provato di tutto: lo aveva
chiamato con tono calmo, poi lo aveva scosso con una mano, aveva
fatto il caffè con la speranza che il profumo lo svegliasse,
aveva persino cercato di svegliarlo a suon di baci tutto meno che
casti.
Il risultato? Kidd dormiva ancora, con disappunto
dell'altro che preferì sorvolare sulla reazione mancata ai
suoi baci.
Rinunciando al giornale, il moro gettò
il suddetto in un angolo della stanza per poi illuminarsi. Se non si
svegliava con le buone -perché si, picchiare Eustass col
giornale in confronto era una buona maniera- allora avrebbe usato le
cattive. Cattive... si fa per dire, con la sua idea Law era ancora
magnanimo.
Furtivo come un gatto, salì a cavalcioni si Kidd
che se la dormiva a pancia insù, i capelli morbidi e rossi
erano liberi e sparsi sul cuscino.
Con molta calma e pazienza, Law
posò le mani sui pettorali di Kidd e con la bocca iniziò
a torturare il lobo sinistro di suo marito, alternandosi a dei
“Eustass-ya” molto dolci, fino a sentirlo mugugnare.
-Hmn...-
Con un sorrisetto cattivo e soddisfatto, Law, prese un profondo respiro per poi urlare dritto dritto nel timpano del rosso. -EUSTASS-YA!-
-Che cazzo?!-
Con uno scatto, Law si levò dal
letto e si mise in piedi ridendo della faccia di Kidd. Era impagabile
e se l'era cercata, dopotutto: Eustass se ne stava seduto sul
materasso, le mani ai lati del corpo. Gli occhi erano sgranati dalla
sorpresa mentre la vena sulla sua fronte aveva preso a pulsare
impazzita nel realizzare il tiro mancino giocatogli da Law.
Mentre
il moro correva in cucina fra le risate, il rosso borbottava insulti
e bestemmie ringhiando di tanto in tanto. Non aveva nemmeno fatto in
tempo a dirne quattro in faccia allo stronzo che prima di andarsene
gli aveva indicato l'ora dalla sveglia sul comodino.
Ancora con
tante bestemmie sulla bocca, Kidd si infilò sotto la
doccia.
Cinque minuti dopo, era asciutto e vestito, pronto a
uscire di casa e intento a fare colazione.
-Vaffanculo, Trafalgar!-
-La prossima volta vedi di svegliarti prima, Eustass-ya.-
-Mi hai sfondato un timpano, cazzo!-
-Quante storie. Nemmeno io mi lagno così tanto quando mi sfondi il culo.-
A quella risposta, Kidd stette
astutamente in silenzio. Assottigliò lo sguardo, i denti che
mordevano la punta della lingua, celati dalle labbra serrate. Gli
veniva da insultarlo e chiedergli nella maniera più volgare
possibile che cosa stesse insinuando quel figlio di un demonio, ma
preferì non dire nulla.
Perché se c'era una cosa che
Kidd aveva imparato a sue spese era che quando Law se ne usciva
quelle frasi e con quel sorrisetto odioso, voleva dire rogne amare
per lui e per una volta voleva evitarle.
Tra piccoli silenzi e battute dal
sapore di litigio, il poco tempo a disposizione di Kidd volò,
facendolo correre per arrivare al lavoro in orario.
Tutte le
mattine c'erano quei piccoli screzi tra loro e se non ci fossero
stati avrebbe significato che qualcosa non andava, senza dubbio.
Semplicemente erano fatti così: il matrimonio non li aveva
cambiati, li aveva solo uniti rendendo chiaro a tutti che niente e
nessuno poteva intaccare ciò che erano. Erano sempre loro e
non c'era nulla di più appagante.
Law, da solo in casa,
sorrise sghembo.
Kidd, non visto dai colleghi, ghignò.
La
giornata era partita al meglio.
°°°
Le dieci e mezza. Law sbuffava,
annoiato; avvolto nel suo caldo pigiama, appollaiato sul divano e col
telecomando alla mano, faceva zapping da mezz'ora e nulla, non c'era
nulla che lo interessasse. I film che trovava o erano polpettoni
romantici o li aveva già visti e non c'era gusto; poi c'erano
le repliche, soap opera che non avrebbe guardato mai e poi mai e
cartoni animati così stupidi da essere un insulto alla sua
spiccata intelligenza.
Aveva cercato di ingannare il tempo
riordinando e pulendo casa, ma nulla. I suoi libri facevano più
da decorazione che altro, dato che ormai li aveva letti tutti almeno
dieci volte ciascuno quindi leggere era fuori discussione.
Con un
tic nervosissimo all'occhio destro cambiò canale, prima che i
fottuti My Little Pony gli facessero rigurgitare il cappuccio e le
brioche al cioccolato.
Stufo, spense la tv e gettò il
telecomando in un qualche angolo indefinito del divano bianco a
penisola e si alzò. Era autunno, fuori pioveva e per una volta
Law non aveva nessun turno all'ospedale; annoiato alla massima
potenza, si alzò e andò nella camera che divideva con
Kidd; in poche mosse si vestì di una felpa blu notte e un paio
di jeans stretti.
Prese chiavi, cellulare, portafoglio, infilò
i suoi stivaletti, il giubbotto e si chiuse la porta di casa alle
spalle. Aprì l'ombrello e si incamminò; a dire il vero
non aveva nulla da fare e passeggiare sotto la pioggia non era il
massimo dal punto di vista medico, ma a Law non dispiaceva camminare
sentendo le gocce d'acqua picchiare contro la tela dell'ombrello o
contro il duro asfalto.
Respirò a pieni polmoni l'odore
della pioggia, gli occhi che vagavano ovunque su quella città
vista migliaia di volte. Con un sorriso che aveva un qualcosa di
nostalgico, osservò le vetrine dei negozi: c'era il negozio
che vendeva un po' di tutto per la casa, il negozio di abbigliamento,
quello per bambini e quello per i giocattoli. Quest'ultimo, Law lo
ricordava bene.
La prima volta che Doflamingo lo aveva portato lì
era perché il moro, all'ora un bambino, non era potuto andare
allo zoo; Law ci teneva poter vedere coi suoi occhi gli animali, in
particolare le tigri e il lor manto aranciato. Sentire il loro
ringhio e perdersi nei loro occhi severi e in guardia, osservare il
loro passo cadenzato nel controllare che nessuno violasse quel
territorio che era solo loro.
Quanto era stato arrabbiato quel
giorno Law... non rivolgeva la parola a nessuno e non mangiava,
continuava a covare la rabbia nel non essere potuto andare a vedere
le tigri allo zoo. Doflamingo senza dire una parola lo aveva caricato
in macchina e lo aveva portato lì, in quel negozio; aveva
ignorato il reparto dei giochi da tavolo, delle bambole e di tutti i
giocattoli elettronici e lo aveva piazzato di fronte al reparto di
peluche.
Lì il moro aveva visto il più grande orso
di peluche bianco mai trovato in un negozio; gli occhi erano neri e
lucidi, il nasino piccolo, stava seduto e con addosso un'adorabile
felpa gialla con tanto di cappuccio. Lo aveva indicato con un dito,
guardato Doflamingo e detto “quello”.
Il biondo, con un sorriso enorme e indecifrabile, glielo aveva preso e comprato. Law era tornato a casa con quel peluche che non riusciva a tenere fra le mani, tanto era grande; Doflamingo glielo aveva portato in camera e messo sul letto. Di notte il moro posava la sua testa sulla pancia dell'orso come se fosse un cuscino. Lo zoo dimenticato, privo di importanza.
Specchiandosi nella vetrina del negozio, Law sorrise beffardo, la nostalgia dimenticata e sepolta. Era cresciuto e cambiato, fiero di ciò che era; non per questo dimenticava la sua infanzia, al contrario, ma erano anni che non si soffermava sui suoi ricordi. Quasi si sorprendeva di quanta cura avesse nel ricordarsi tutto. Quasi.
Tornò a camminare, la testa
alta e le spalle dritte mentre il mondo attorno a lui correva
frenetico. Sotto i portici di un vecchio edificio alcuni mercanti
avevano allestito le loro bancarelle, piene di varietà.
Frutta, verdura, cappelli, bigiotteria, maglie e chi più ne ha
più ne metta.
Law ignorò il mercato, limitandosi a
respirare il profumo degli ortaggi mischiato a quello della pioggia;
dopotutto non era uscito per far compere, solo per passeggiare.
-Quella dannata mocciosa... ma ci credi?! Ha di nuovo rubato uno dei miei panini!-
-Ancora?! E non hai fatto nulla?!-
-E che dovevo fare, rincorrerla? Non so se l'hai notato ma ho 60 anni!-
-E allora non lagnarti se ti rubano il cibo! Ah ma se la becco io le do tante di quelle legnate che la prossima volta ci penserà due volte prima di rubare ancora!-
Il moro tirò dritto, fingendo
di non aver sentito. Non gli interessavano particolarmente i
pettegolezzi della gente o le chiacchiere tipiche del mercato ma era
la prima volta che sentiva di una ladra nel mercatino di Sabaody.
Quella era una via modesta, i prezzi delle bancarelle erano economici
quindi non aveva nessun senso rapinare una di queste.
Senza
contare che in quel mercato c'era un mercante di formaggi e salumi
generoso; era un tipo semplice e onesto con la classica pancia da
birra che finiva sempre col avanzare del cibo che donava a chi non
poteva permetterselo.
Scrollando le spalle Law continuò
a camminare; anche se quella ladra ci fosse stata davvero, a sentire
dalle parole dalla donna grassa e più brutta di un pesce dal
ventre squartato, era solo una bambina al massimo una ragazzina.
Davvero quella balena arenata e rugosa aveva il fegato di prendere a
legnate una bambina? Ma dopotutto, non erano affari suoi.
Già,
non lo erano e l'argomento lo toccava solo perché si era
immaginato lui in quanto medico che si ritrovava una bambina nel suo
ospedale su di una barella e i bambini sono i secondi peggior
pazienti che un medico può avere. Sono piccoli, indifesi e non
capisco appieno ciò che succede e tanto meno il perché;
come lo spieghi a un bambino che non può muoversi dal letto,
uscire a giocare con gli altri bimbi, che deve prendere medicine e
fare controlli per assicurarsi le ferite o la malattia non peggiorino
e che guariscono?
Scosse la testa, deciso a non pensare
al lavoro. Era sabato e doveva distrarsi. Ridacchiando di un
cagnolino che abbaiava risoluto a uno di taglia decisamente più
grande, voltò lo sguardo di fronte a sé quando, con la
coda dell'occhio, vide una figura nel vicolo che stava proprio per
superare.
Era distante e ben nascosto dal mercato, ma stretto e
il poco spazio si riduceva a causa dei sacchi della spazzatura, delle
casse di legno abbandonate e qualche scatolone.
A dire il vero,
con tutti quei sacchi e scatoloni, era solo grazie al suo occhio
esperto se Law aveva visto quella bambina che tremava appena e per un
attimo il mondo del medico si fermò.
Quella bambina avrà avuto si e
no otto anni. Stava appoggiata contro il muro di mattoni, affianco a
lei uno scatolone da cui uscirono due adorabili cuccioli di cane
attirati dal profumo del piccolo panino che teneva nella mano destra.
La sinistra reggeva con fatica un ombrello viola; il vestiario era
quanto di più raccapricciante Law potesse vedere in autunno.
Una camicetta bianca più grande e bagnata di pioggia malgrado
l'ombrello, un cortissimo pantaloncino nero e scarponi dello stesso
colore le cui stringhe erano slacciate. I capelli neri avevano un
taglio strano che gli donava molto, ciuffi di frangia tagliata corta,
due ciocche davanti lunghe che toccavano e superavano le spalle
mentre il resto era corto.
Probabilmente se li era tagliata da
sola e Law non volle sapere con cosa.
Ma non era quello a lasciare basito il
moro, non era nemmeno la sua espressione concentrata e seria dedita a
ignorare il freddo che la faceva tremare; per quanto apparisse
orgogliosa nel non mostrare debolezza, per quanto si ostinasse ad
apparire forte e per quanto quella bambina fosse il riflesso di Law,
non era questo a lasciarlo a bocca aperta.
Ciò che era così
incredibile da bloccare ogni azione o pensiero al medico erano quei
grandi occhioni d'ambra. Un'ambra che Law conosceva benissimo: occhi
d'ambra come quelli di Kidd, solo più grandi.
In quegli
occhi vedeva determinazione, forza d'animo... gli sembrava di
guardare gli occhi di un Kidd molto più giovane.
Era una
bambina, reggeva un piccolo panino... era la ladra del mercato.
Piccola, sola, determinata, esattamente come Eustass Kidd da bambino.
Quasi non si accorse di star muovendo dei passi verso la bambina. Non poteva ignorarla, non con quel frammento di carattere che aveva visto, non con quello sguardo che ella portava; risoluto e deciso come poche volte il suo volto mostrava, allungò una mano verso la ragazzina che aveva alzato il volto verso di lui, sgranato gli occhi e guardato con diffidenza e timore celato da una falsa sicurezza.
-Se non vuoi morire di fame e freddo, prendi la mia mano.-
La bambina continuava a fissarlo con
quegli occhi in cui Law si stava perdendo. Stava meditando se
accettare o meno quella mano... perché uno sconosciuto voleva
avvicinarla e aiutarla? Non si fidava, era pur sempre uno sconosciuto
e lei non era scema. Gli era stato insegnato a non rivolgere parola
agli sconosciuti, tanto meno ad accettare un loro passaggio o che
altro. Ma il punto era che stava davvero gelando.
La temperatura
era calata di parecchio, era Novembre e la pioggia era così
fredda da entrare anche nelle ossa in più soffiava un leggero
vento, quello che bastava per far piovere di traverso e quindi
rendere vano l'uso dell'ombrello. Gli unici abiti che aveva rimediato
erano più estivi che autunnali ed erano fradici, avanti di
quel passo si sarebbe ammalata.
Non aveva mai pensato alla morte e
come poteva? Era concentrata a sopravvivere con le sue forze, a
sfuggire a quella megera che dall'uno al due impugnava una mazza di
legno pronta a darla in testa ad eventuali ladri di panini e a
nascondersi da chiunque cercasse di sbatterla nuovamente in
quell'orfanotrofio puzzolente e che sapeva di gabbia da cui era
fuggita.
Non avrebbe voluto accettare quella mano tesa e priva di
guanto, ma doveva se voleva avere la minima possibilità di
sopravvivere. Con i denti che avevano iniziato a battere dal freddo,
allungò scettica la sua piccola mano e la posò su
quella bagnata e bronzea dell'uomo di fronte a lei, l'ombrello viola
cadde abbandonato.
Si lasciò tirare su e condurre
fuori da quel vicolo che puzzava di marcio. Lo osservò,
diffidente come non mai: corti capelli neri, orecchino d'argento e un
viso scolpito in un espressione seria, calma e determinata. La
compostezza dell'uomo dava ai brividi ma bastava incrociare quelle
piccole geme d'argento che erano i suoi occhi per calmarsi.
La
mano che la teneva, notò con curiosità, era dipinta di
tatuaggi neri; il cappotto nero e lungo oltre il ginocchio celava la
minuta figura di lei che passò avanti alle bancarelle senza
essere notata dai due mercanti a cui aveva rubato il piccolo panino.
Lo avrebbe mangiato volentieri quel panino, tanta era la fame, ma era
zuppo di pioggia e l'odore del vicolo si era attaccato al
pane.
Neanche con tutta la fame e volontà di questo mondo
trovava il coraggio di addentare quel panino. Amareggiata, lo lasciò
cadere in un cestino e pregò una qualunque entità di
aver fatto la cosa giusta nell'accettare quella mano.
Law del resto, controllava con la coda
dell'occhio la bambina. Per un attimo aveva temuto che addentasse
quel panino improponibile: era troppo piccolo per sfamarla, si era
inzuppato di pioggia e mandava un pessimo odore di marcio sebbene
fosse stato preparato con ingredienti freschi e ottimi. Grazie al
cielo la fame non aveva prevalso sulla piccola che gettò il
panino.
Law non era così generoso e altruista, non lo era
mi stato; ma quegli occhi... ogni volta che li vedeva, mettevano a
tacere ogni dubbio su quello che faceva, facevano tacere quella sua
natura cinica ed egoista perché quegli occhi erano la
fotocopia più giovane di quelli appartenenti all'uomo che
aveva sposato.
Erano preziosi, maledettamente
preziosi.
Preziosi e spenti. Quegli occhi gli sbattevano in mente
come uno schiaffo l'immagine di Kidd da piccolo con gli stessi occhi
morti e gli sembrava di morire perché Law non era abituato a
vedere degli occhi ambrati così freddi, morti e soli. Non ci
era abituato e non lo poteva accettare.
Costasse quello che
costasse, Law avrebbe visto anche quegli occhi ambrati accendersi.
Angolino Eustassiano_
°coro
di grilli°....Ok. Non posso dire di non sapere cos'è
questa roba né che non so perché l'ho scritta perché
so entrambe le cose. Questa sarà una mini long ed è il
seguito di “Quella strana cosa chiamata matrimonio”.
Perché si, c'è un seguito e io sono già
innamorata di questa mini long e della bimba di cui ho trovato una
foto ed
è la fine del mondo.
Perché lo scritta? Perché
il seguito mi è stato richiesto, perché ci ho
riflettuto e prima ancora di decidere sapevo che avrei scritto il
benedetto seguito. Perché quando ho trovato la foto mi si è
sciolto il cuore e io DOVEVO scriverci su. Mi rendo conto che il
primo cappy è corto ma ehi, è solo l'inizio u.u
Ora,
per chi si aspettava altri aggiornamenti chiedo scusa. Sono scomparsa
per troppo tempo di cui non ho nemmeno tenuto il conto... sapete
l'ironia dove sta? Che ho trovato ispirazione per aprire nuove long.
Lo so, sono un caso perso e affondato nell'oceano più buio.
E
ho anche promesso a Ace of Spades una certa long... chiedo
immensamente scusa anche a te, giuro che appena ce la faccio in
termini mentali e di tempo che completerò e pubblicherò
anche quella! >.<
Prima o poi ce la posso fare u.u
Allora,
la faccio brevissima: oltre ad avere aperto nuovi progetti su One
Piece e oltre ad avere in corso vari aggiornamenti di roba già
pubblicata e che aspettate da tanto, ho aperto un nuovo progettino su
un nuovo fandom, aprite bene gli occhietti: MERLIN. Già. Mi
sono innamorata della Merthur e no, il mio cuore non se l'è
rubato Artù ma Merlino. Quel mago deve avermi fatto un
incantesimo, ne sono certa u.u
Quindi nulla, finirò con
scrivere e postare qualcosina anche su loro due.
E stop, basta,
perché questo benedetto angolino è diventato di
nuovo una
caverna di dimensioni epocali xD
Vi lascio all'immagine, fatemi
sapere che ne pensate!
Alla prossima! <3
Kiss and Bye
Eustass Sara