Nightmares Are Back
9
Avanti
e indietro come una belva braccata, era da un tempo indefinito che Pitch Black
camminava senza sosta nello spazio angusto che era quella sua dimora, come
un’anima senza requie vaga nella notte nelle stanze ormai abbandonate di un
castello fatiscente, in cerca di una vendetta irrealizzabile.
Lo odiava. Adesso
ne era più che certo: aveva ancora davanti agli occhi lo sguardo carico di
sfida di Ethan, e se all’inizio non se ne era preoccupato poi tanto adesso
invece il bisogno di sbarazzarsi di quel ragazzino petulante era diventata la
sua massima priorità. Aveva sempre saputo che lui sarebbe stato il suo ostacolo
più grande, ma aveva pensato di poterlo tenere a bada con le sue ombre, e
lasciare loro il compito di sbarazzarsene quando lo avrebbero ritenuto
opportuno. Ora il desiderio di metterlo a tacere era impellente, tuttavia il porre
fine alla sua esistenza in maniera tanto brusca non garbava affatto all’Uomo
Nero. Se c’era una cosa che sapeva bene era che la tortura era peggiore della
morte, che la lenta agonia di un avversario donava più soddisfazione dello
sbarazzarsene in fretta. Inoltre, aveva capito che a Ethan sarebbe importato
ben poco di un nuovo scontro tra loro due, e ancora meno gli sarebbe importato
di tutte le minacce dirette alla sua persona che Pitch avrebbe potuto mettere
in atto; se c’era una cosa a cui Ethan teneva davvero, erano i suoi amici.
Pitch ricordava bene di come il ragazzo si fosse infuriato quando era venuto a
sapere del suo tradimento verso Octavia, e sapeva che la rabbia iniziale
avrebbe lasciato il suo posto ad una tristezza ben più feroce. Dunque, se
voleva colpirlo davvero, non era direttamente a lui che doveva mirare.
L’Uomo
Nero si fermò, sollevando il braccio che Ethan gli aveva toccato durante il
loro ultimo incontro: aveva smesso di bruciare, ma attraverso la consistenza
semitrasparente adesso erano visibili i mattoni grezzi e graffiati del suo
rifugio, era come nebbia evanescente alla quale sarebbe bastato un minimo cenno
per dissolversi.
Pitch
strinse il pugno, determinato più che mai. Tra le mura diroccate si levò una
risata di trionfo, e sulle pareti iniziò ad innalzarsi una sfrenata danza di
ombre.
******
Ethan
sbuffò infastidito: era già la seconda volta che il telefono squillava
insistentemente, e lui non aveva poi una gran voglia di alzarsi per rispondere.
Gettò un’occhiata all’orologio: erano le otto di sera e in casa non c’era
nessuno oltre lui, nessuno a cui rifilare l’indegno incarico. Cos’era meglio
fare? Ignorare lo squillare incessante e tornare a concentrarsi sui libri, o
rispondere e mandare al diavolo la ragazza delle televendite? Era matematico:
ogni qualvolta interrompesse qualcosa di importante per rispondere al telefono,
quasi sempre era l’esasperante signorina pronta ad offrirgli il più grande
affare della sua vita. Infine Ethan dovette cedere: non riusciva a concentrarsi
con quel chiasso in sottofondo.
La voce
che gli rispose, però, non era affatto quella di un’impiegata, bensì quella
della signora Jefferson.
-Ethan?
Mio figlio è lì con te?-
-Cosa…?
No, Sam non è qui-
Aveva
intuito una malcelata preoccupazione nel tono della donna. Una strana fitta gli
serrò lo stomaco, mentre dall’altro capo del telefono gli giungeva un silenzio
non certo rincuorante.
-Non vi
siete visti oggi?-
-No, mi
aveva detto che aveva l’allenamento per il calcio-
Cosa
voleva dire tutto quello? Quasi gli pareva di vedere il viso contratto dalla
preoccupazione della madre di Sam, di vederla mordersi il labbro inferiore e
sistemarsi gli occhiali con quel gesto rapido dell’indice che Sam doveva aver
ereditato da lei. Il suo respiro gli giungeva rapido e irregolare, e gli parve
persino di udire un singhiozzo sommesso.
-Aveva
l’allenamento- gli giunse la risposta stentata –ma avrebbe dovuto tornare alle
sette. È passata un’ora, e ancora qui non è arrivato nessuno. Pensavo… io e mio
marito abbiamo pensato che potesse essere venuto da te-
Ethan
si appoggiò al muro, senza avere la forza per replicare. Si accorse di ansimare
come dopo una lunga corsa, un peso insostenibile gli si era fatto largo in
petto.
Non poteva essere vero.
Non
sapeva cosa dire, né cosa fare. Un nome gli era subito balzato alla mente, ma
aveva fatto di tutto per mettere a tacere quell’improvviso timore. Non poteva
certo farne parola con Lilian Jefferson. Non poteva certo dirle che sospettava
che l’Uomo Nero avesse fatto qualcosa a suo figlio.
-Desmond
vuole chiamare la polizia- la voce della signora Jefferson chiamò in causa il
marito –se non è da te o da qualche altro compagno, né da mia sorella… non
sappiamo dove altro cercare-
-Avete
chiesto al campo di calcio?-
Il
ragazzo si accostò alla finestra e scrutò nell’oscurità, quasi sperasse di
vedere Sam dirigersi verso casa sua. Invece la strada era deserta. Nessuno che
tornasse dal lavoro, nessun bambino in bici che si affrettava per tornare a
casa. Solo il freddo della notte, la strada innevata, e le tenebre. Il regno di
Pitch Black, la notte, in cui il suo potere giungeva al culmine. Il solo
pensare che Sam fosse disperso chissà dove là fuori lo faceva star male.
-Abbiamo
girato più volte l’intera città. Abbiamo chiesto a tutti quelli che conosciamo,
ma nessuno lo ha visto. L’allenatore ha detto che è uscito insieme ai suoi
compagni, come al solito. Non c’erano state risse né incomprensioni, nessuna
ragione per la quale qualcuno avrebbe potuto tentare di regolare i conti una
volta soli. Prima di tornare a casa c’è sempre una parte di tragitto che deve
fare da solo, ma non c’erano mai stati problemi fino ad ora-
Ethan
chiuse gli occhi. Gli girava la testa. Aveva ancora bene in mente la promessa
dell’Uomo Nero: “Questa me la pagherai
cara”. Possibile che quella fosse solo una coincidenza? Che la scomparsa di
Samuel fosse indipendente da Pitch Black? Gli riusciva difficile crederlo.
Si fece
promettere dalla donna di tenerlo informato, poi riattaccò. Iniziò a girare per
la casa senza una meta, con l’impressione di dover fare qualcosa senza sapere
cosa.
Cercava
di convincersi che Pitch non c’entrasse con tutto quello. Poco prima aveva
nevicato: forse Sam era semplicemente entrato in qualche bar in attesa che la
tormenta terminasse. Sì, doveva essere così. Sarebbe tornato a casa fra poco,
sano e salvo, al sicuro da Black. Nonostante per tutto il resto della serata
Ethan avesse continuato a ripetersi quella versione dei fatti, non era riuscito
a convincersi del tutto. E infine, quando era andato a letto, dormire gli era
sembrata un’impresa che mai sarebbe riuscito a compiere.
******
Samuel
non aveva avuto neanche il tempo di capire cosa stesse succedendo. Stava
attraversando la piazza deserta per tornare a casa quando un improvviso rumore
lo aveva convinto a fermarsi: era come un fruscio prolungato, come se decine di
serpenti stessero strisciando tutti nella stessa direzione. E serpenti gli era
sembrato di vedere subito dopo, lunghe ombre dense e sinuose che si riversavano
sulla strada dai tetti degli edifici, veloci e implacabili, tutte con un unico
obiettivo che, era più che chiaro, era lui.
Era
risaputo, Sam detestava i serpenti, lo avevano sempre disgustato sin da
bambino, li trovava crudeli, inquietanti, con i loro corpi ruvidi di scaglie e
gli occhietti neri che scintillavano malevoli, e quelle lunghe lingue biforcute
che sibilavano in un perenne avvertimento di attacco.
Di
certo, per donargli quell’accoglienza chiunque lo stesse aspettando voleva da
subito mettere le cose in chiaro: da quel momento si giocava sul serio. E Sam
sapeva bene chi stava per incontrare: Ethan e i Guardiani lo avevano messo in
guardia: Pitch Black non si sarebbe fermato fin quando loro non fossero stati
resi inoffensivi, uno per uno. Li avrebbe cacciati ovunque, braccandoli
nell’ombra, e aggrediti con le forme che ai loro occhi erano più odiose. Sam
aveva sempre saputo che quell’incontro sarebbe giunto, aveva spesso pensato al
momento in cui l’Uomo Nero si sarebbe rivelato anche a lui, ma non riusciva mai
ad andare oltre in quel pensiero: il suo non era uno spirito combattivo, men
che mai aveva un animo intrepido propenso alla lotta o comunque forte
abbastanza da reggere la tensione di quella situazione. Non sapeva immaginarsi
fronteggiare l’Uomo Nero così come aveva fatto Ethan, e non avrebbe saputo
allontanarlo come era riuscita a fare Nicole per il semplice fatto che il solo
pensiero di toccarlo lo terrorizzava. Non sapeva immaginare qualcuno di meno
adatto a lui a cui affidare il compito di proteggere la terra.
Era arretrato
mentre le ombre si accavallavano e si innalzavano tra fischi e sibili; il suo
unico pensiero, per quanto poco cavalleresco, era quello di darsela a gambe,
allontanarsi il più possibile da quell’oscurità tanto viva da far spavento.
Aveva iniziato a correre, e una voce l’aveva richiamato proprio mentre, come
un’onda anomala, dietro di lui si levava un cupo muro di ombra fitta pronta a
travolgerlo. Qualcosa, subito dopo, ne aveva per un attimo spezzato la compattezza:
un boomerang gli aveva dato l’occasione di guadagnare pochi seppur
preziosissimi metri.
Sam
aveva sollevato lo sguardo: sui tetti delle case il Coniglio di Pasqua saltava
come fosse la sua ombra, incitandolo a non fermarsi. Con un balzo, la Leggenda
gli era atterrata dietro, frapponendosi tra lui e le ombre di Pitch. Poi il
ragazzino non avrebbe più saputo spiegare cosa fosse accaduto, se non che, in
un modo o nell’altro, quel mare nero di oscurità gli era precipitato addosso e
l’aveva trascinato con sé.
Adesso era
seduto su un pavimento di pietra grezza e fredda, in una stanza scura e umida.
Tutto era immobile, e proprio quella calma era ciò che di più inquietante
potesse mai esistere. Era tutto troppo tranquillo, un silenzio irreale regnava
su quel luogo, come se tutti i rumori del mondo fossero stati cancellati per
sempre, come se non potesse esistere più musica o il suono di una risata. Sam
aveva timore persino di chiedere se mai ci fosse qualcuno, lì. Aveva paura
della forza con la quale la sua voce avrebbe spezzato quella quiete surreale, e
aveva ancora più paura di non ricevere una risposta.
Si
alzò, il rumore dei suoi passi risuonò tra le pareti graffiate perdendosi in
un’eco infinita. Poté allontanarsi solo di pochi metri dal muro: tutto d’un
tratto si levarono dal pavimento una serie di lunghi busti d’ombra che
sembrarono formare le sbarre di una cella di prigione. L’oscurità tremava e
crepitava a tratti quasi fosse viva, e l’atmosfera del luogo si fece ancora più
pesante. Samuel si ritrovò con le spalle al muro, tanto si era spaventato dalla
velocità con la quale la sua prigione era stata delineata. Si sistemò gli
occhiali e cercò di scrutare la sala sporgendosi appena dalla sua postazione.
-Così
tu sei il quarto ragazzo-
Qualcosa
saettò nella sua direzione: subito dopo gli si presentò per la prima volta il
ghigno compiaciuto dell’Uomo Nero. Sam aveva visto molte versioni di lui nei
vari libri di fiabe: in alcune illustrazioni era nient’altro che un’ombra
indistinta, in altre era un uomo imponente dal sorriso malevolo o ancora un bel
ragazzo dagli occhi scarlatti; nessuna di quelle figure somigliava anche solo
lontanamente allo spirito che aveva davanti. I suoi occhi d’oro splendevano
nell’oscurità come le più preziose delle gemme, e sul suo viso c’era qualcosa
che attenuava la cattiveria dando alla sua intera figura una parvenza di un
fascino arcano e senza tempo. Una malinconia velata nel suo sguardo era in
netto contrasto con la rabbia che sembrava formare un’aura di odio tutt’intorno
a lui.
Per un
attimo Sam dimenticò che avrebbe dovuto dire qualcosa. Riuscì a staccare gli
occhi dal viso affilato a pochi centimetri da lui, confuso per una ragione che
non riusciva a spiegarsi. Di certo, qualsiasi fosse stata la sua idea dell’Uomo
Nero, Pitch, con le sue emozioni contrastanti, sempre in bilico tra rancore e
nostalgia, lo aveva colto alla sprovvista.
-Che
cosa vuoi?-
Sì,
avrebbe anche potuto trovare qualcosa di più originale da dire. Pitch Black
sorrise di nuovo, quella volta senza la benché minima traccia di rimpianto.
-Bè,
immagino che ti terrò qui fin quando i tuoi amici non arriveranno a cercarti.
Mi farà bene un po’ di compagnia-
-Oh-
Sam non poté fare a meno di sentirsi sollevato –quindi è una trappola per
attirare gli altri? Sai, avrei potuto pensarci. Non è poi così geniale, come
piano. Anzi, mi sembra piuttosto scon-...-
-Preferisci
forse che ti uccida e faccia trovare il tuo cadavere da qualche parte?-
Black
lo aveva afferrato per il colletto del giubbotto e lo aveva strattonato per
tirarlo vicino a sé. La soglia della sua pazienza era quasi nulla, e questo non
era di grande consolazione. Samuel deglutì rumorosamente e si affrettò a
scuotere la testa. L’altro lo lasciò andare e prese a massaggiarsi le tempie
come se già non ne potesse più di avere a che fare con lui.
-Certo,
sempre ammesso che ti trovino… se non saranno qui entro tre giorni immagino che
mi toccherà procurarti del cibo. Oh, ma di che mi preoccupo? Ti lascerò morire
di fame. D’altronde non sono mai stato bravo a prendermi cura degli animali-
-Hei!-
L’Uomo
Nero non badò alla sua protesta. Prese a camminare nella sala, le dita che
tamburellavano sul marmo freddo delle pareti, lasciando scie di ombre scure che
si dissolvevano sulla pietra come inchiostro nell’acqua.
Sam lo
osservava, facendo al contempo lavorare la mente: doveva pure esserci un modo
per uscire da lì, o trovare una maniera di avvertire qualcuno della sua
posizione. Un’idea gli risollevò lo spirito: fece scivolare lentamente una mano
nella tasca del giubbotto, aspettandosi di sentire l’ormai familiare forma
rotonda sotto le dita. Il fischietto,
quello che i Guardiani gli avevano consegnato per avvertirli in caso di
pericolo. Quello sarebbe stata la sua salvezza: gli bastava riuscire a fischiare
una volta sola. Poi si bloccò. Avere le Leggende lì era quello che Pitch
voleva. Non aspettava altro se non poter giungere alla resa dei conti, certo di
uscirne vincitore. Non poteva rischiare di velocizzare i piani dell’Uomo Nero,
avrebbe significato condannare i Guardiani. Ma, in un modo o nell’altro, prima
o poi lo avrebbero trovato lo stesso, no? Loro stessi cercavano il nascondiglio
di Pitch Black da mesi. Samuel esitò, combattuto. Non era proprio il tipo da
prendere certe decisioni. Infine, tutti i suoi piani sfumarono: per quanto
tastasse non trovava in alcun modo l’oggetto della sua ricerca. Gli si strinse
il cuore: doveva essergli caduto durante la fuga dagli Incubi. Era del tutto
isolato. Se prima c’era stata anche una remota speranza di poter comunicare con
i Guardiani, adesso si trovava completamente solo, per di più in compagnia di
uno spirito vendicativo braccato dalla sua stessa smania di potere, e
senz’altro instabile mentalmente.
Non
poteva proprio andare meglio.
Doveva
trovare un modo per uscire da quella trappola, o anche solo scoprire le
intenzioni dell’Uomo Nero. Se non altro, avrebbe saputo cosa aspettava Ethan e
gli altri, e se solo ci fosse stato modo di avvertire gli amici avrebbe saputo
cosa dire per metterli in guardia. Ma
doveva fare tutto da solo. Nella sua vita, quella era forse la prima volta che
si trovava a dover prendere il controllo della situazione. Samuel non era nato
per essere un leader, si immaginava più che altro come l’aiutante impacciato
dell’eroe nelle favole, non era certo il cavaliere valoroso dal quale
dipendevano le sorti dell’umanità.
-E poi,
cos’hai intenzione di fare?-
Pitch
era rimasto in silenzio per molto tempo, rimuginando su chissà cosa. A quelle
parole sollevò appena lo sguardo su di lui.
-Voglio
distruggerli- la sua voce era un sibilo di minaccia, graffiante e impaziente
–uno per uno. E anche voi, voi, dannati
ragazzini, che vi siete frapposti tra me e il mio trionfo. Vi distruggerò uno
per uno. E il primo sarà Ethan-
Sam
sentì un’improvvisa scarica di rabbia, del tutto fuori luogo e in contrasto con
il timore che fino a pochi istanti fa lo aveva gelato. L’odio di quell’uomo nei
confronti di Ethan lo spaventava, era un sentimento viscerale, che non avrebbe
ammesso una nuova sconfitta e non avrebbe lasciato spazio per la pietà. Eppure,
oltre alla paura riusciva a suscitare nell’animo del ragazzino una collera che
non aveva mai creduto di poter provare.
-Non
riuscirai a sconfiggere Ethan-
Pitch
sollevò il capo: sembrava sorpreso dalla sicurezza con la quale gli aveva
rivolto quelle parole. Sul suo viso si dipinse una smorfia che presto fece
largo ad un sorriso sbieco.
-Staremo
a vedere. Ti lascerò a guardare, se vuoi, come il tuo eroe svanirà per mano
mia. E poi, che cosa farai? Non sei un animo che aspira alla vendetta-
Sam fu
costretto ad abbassare lo sguardo, colpito nel segno. Era vero, Sam non aveva
mai pensato alla vendetta, mai nella sua vita aveva pensato di castigare un
torto subìto, o rispondere alla violenza con altra violenza. Ora, che Pitch
aveva minacciato Ethan, però, sentiva che per difenderlo avrebbe potuto fare di
tutto.
-Non essere
così sicuro della mia clemenza. Per difendere ciò che più è gli è prezioso
l’uomo è disposto a commettere le più audaci follie-
E
quello, cosa voleva significare? Doveva averlo letto in qualche libro, doveva
essere una di quelle frasi retoriche di qualche astruso filosofo arcaico. Però,
doveva ammettere che suonava abbastanza bene.
Tutta
la soddisfazione di Samuel svanì al suono della risata dell’Uomo Nero –Follie,
tu? Non mi fare ridere, Samuel. L’unica cosa che ti riesce bene è nasconderti
sotto le coperte al minimo rumore sospetto-
Pitch lo guardava con uno strano sorriso, si
massaggiava il mento e pareva riflettere su qualcosa. Si avvicinò di nuovo al
ragazzino, scrutandolo con maggiore attenzione. L’espressione saccente che
aveva messo su non piaceva a Sam neanche un po’.
-Ah, ma
forse se ti dimostrassi intrepido Ethan potrebbe degnarti di una seconda
occhiata, non è così? Già… uno come
lui meriterebbe un degno compagno al proprio fianco. Non penserai mica che
possa ancora accettarti così, debole e serafico come sei. Quanto tempo ci vorrà
prima che si stanchi di te?-
-Non
puoi parlare di queste cose- tentò di difendersi il ragazzino –tu non sai ni-…-
-Oh,
fidati, piccolo, io conosco molte più cose di quanto credi. Anch’io sono capace
di leggere l’animo umano, per quanto a volte questo possa essere noioso. E
credimi, tu e Ethan avete degli animi troppo diversi tra loro. Incompatibili, direbbe qualcuno. Lui è
così forte, dallo spirito battagliero… e poi ci sei tu, la dolce quanto superflua spalla destra. Dici che saresti
pronto a combattere per lui, e io ti credo. Ma lo faresti davvero solo nei tuoi
sogni. Nella realtà non saresti in grado di affrontare il pericolo. Ti
ritroveresti a scappare, volteresti le spalle ai tuoi amici con il solo scopo
di metterti in salvo. Sei consapevole di non essere all’altezza di Ethan.
Persino quella bambinetta irritante è più forte di te. E in caso di un
conflitto, hai pensato a quello che succederebbe? Tu saresti solo di peso.
Metteresti in pericolo Ethan più di quanto già non sarebbe, perché si
ritroverebbe costretto a dover badare a te, e metterebbe la tua sicurezza prima
della sua. Se solo gli dovesse succedere qualcosa in questa battaglia, sappi
che sarà solo colpa tua-
-No, non è vero!-
Sam si
allontanò con uno scatto dalle sbarre della sua cella improvvisata, abbassando
al contempo lo sguardo come in un’amissione silenziosa delle sue colpe. Per quanto
fosse duro ammetterlo nelle parole di Pitch c’era un fondo di verità: lui non
era mai stato un guerriero, non era mai stato capace di affrontare situazioni
che potevano comportare anche il minimo rischio. A scuola incassava le
provocazioni senza neanche provare a difendersi, e girava alla larga quando
avvertiva l’avvicinarsi di una rissa. Non era certo coraggioso, né capace di
far fronte alle difficoltà grazie allo spirito pratico. Dopotutto, l’Uomo Nero
aveva ragione: nel loro gruppo lui era forse il più debole, quello che avrebbe
finito col mettere in pericolo tutti gli altri.
Tutto quello
era troppo. Le parole spietate di Black, la consapevolezza di trovarsi lontano
da casa, in un luogo sconosciuto, e incapace di poter avvertire qualcuno della
sua posizione, tutto quello lo investì come una tempesta implacabile di
sconforto. Sam non avrebbe voluto cedere lì, davanti al nemico, ma non poté
fare a meno di lasciarsi scivolare contro il muro per finire seduto sul
pavimento freddo, le ginocchia strette al petto. Nonostante lottasse per
ricacciarle indietro, alla fine lasciò che le lacrime gli scivolassero libere
sul viso.
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Buongiorno, sono di nuovo qui :D ecco, cominciate a capire cosa
intendo quando dico che torturo le mie creature e distruggo i sogni delle
coppie? Anzi, non avete letto niente, di solito faccio moooolto
di peggio >: )
Avete visto Le 5 Leggende sabato
sera? *^* e dire che io ero fuori con le amiche e smaniavo per tornare a casa
in tempo xD ovviamente dopo mi è calata la
depressione causa Pitch-tesoro-morbidolce-di-zia-Rory. Per me quel poverino è un trauma. Solo perché è
piccolo e nero T__T prima o poi troverò un modo per rapirlo e tenerlo con me *si
apposta sul letto con un retino da pesca*
Sorvolando, coraggio, armiamoci di pale e forconi (?) e partiamo
alla ricerca di Sam (in fondo averlo come animaletto da compagnia deve pure
essere carino, voi che dite? Mi ricorda tanto un criceto).
È tutto? Credo di sì, smetto di inveire contro i vostri poveri
neuroni, che si sprecano tanto a seguire le mie pippe mentali xD
Vi ringrazio al solito per seguirmi *-*
Alla prossima,
Rory_Chan