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Autore: MelBlake    07/12/2015    5 recensioni
Sono passati sei anni da quando Clarke Griffin è partita per il college. Sei anni e un dolore autodistruttivo dovuto alla morte del padre di cui non è mai stato preso l’assassino.
A ventitré anni, Clarke fa ritorno a casa, ma non aveva immaginato che tornare nei luoghi della sua adolescenza avrebbe riportato di nuovo a galla tanti ricordi e tanto dolore.
Un dolore che pare esploderle dentro dopo l’incontro con l’unica persona ad averla vista nel suo momento peggiore, la notte dell’omicidio del padre.
Bellamy Blake è cambiato anche se Clarke non lo crede possibile e per questo, rimane diffidente come nei confronti di chiunque altro, tranne che degli amici più stretti.
Le cose cambiano quando, in città, arriva Lexa War: nuovo comandante di polizia e allora Clarke vede una speranza per riaprire il caso di suo padre. Ma la situazione è più complessa di quanto sembrasse all’inizio. Suo padre era morto in una rapina, o almeno così le era stato riferito.
Quanto a fondo sarà disposta a spingersi e quanto è disposta a rischiare pur di scoprire la verità? Soprattutto… quando capisce che adesso in ballo c’è anche la sua vita e ormai per tirarsi indietro è troppo tardi…
Genere: Drammatico, Romantico, Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellamy Blake, Clarke Griffin, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO 18: LET IT BURN




Your light is inside of me
Like a raging roar
Like an ocean born
You're in my veins
Your voice is serenity
When the Sun goes down
And the strength I've found
Is in my veins

You're never far from where I am
Like a lighthouse, bring me home
You're never far from me
Let your spirit glow



La tua luce è dentro di me
Come un ruggito furioso
Come un oceano nato
Sei nelle mie vene
La tua voce è la serenità
Quando il sole cala
E la forza che ho trovato
È nelle mie vene

Non sei mai lontano da dove mi trovo
Come un faro, portami a casa
Non sei mai lontano da me
Lascia che il tuo spirito brilli



Seduta in quella macchina, Clarke cominciava ad innervosirsi. Bellamy l’aveva innervosita. Che diavolo voleva dire con la frase di poco prima? La credeva davvero tanto frivola? Forse si era sbagliata, forse per lui era tutto un gioco. Forse non gli importava poi così tanto.

Spazientita dall’assenza del ragazzo, che ormai era scomparso in quella casa da un quarto d’ora buono, decise di uscire dall’auto e fare un giro in quella zona. Non c’era mai stata e voleva tenersi occupata in qualche modo. Magari avrebbe trovato qualcosa di interessante.

Tolse la sicura allo sportello e balzò fuori, osservandosi intorno.

Tutto attorno a lei sembrava essere triste e grigio, in completo decadimento e la cosa la inquietò. Ogni cosa era immobile e le parve di essere finita nella scena iniziale di un film dell’orrore. Non si vedevano animali, un parco giochi abbandonato distava pochi metri, ma non c’era alcun bambino, non si vedeva nessuno per le strade. Eppure era comunque il 5 agosto di una caldissima estate a New York, una calma del genere era totalmente anormale. Sembrava di essere in una città fantasma.

Non si rese conto di essere andata tanto lontano fino a che, voltandosi, non vide più l’auto scura di Bellamy, né trovò qualche punto di riferimento che la aiutasse a trovare la via del ritorno.

Camminò, fino a quando un movimento repentino alle sue spalle le fece balzare il cuore in gola e, dopo un attimo, una sagoma scura le si avventò contro, facendola cadere per terra.

Per la sorpresa Clarke urlò, ma subito qualcosa di freddo e appuntito le si posò sulla gola, paralizzandola. Un coltello.

«Non ti conviene urlare biondina».

La voce era fredda quasi quanto quella lama che, dolorosa, premeva proprio sulla sua carotide, ma, a differenza di quanto Clarke si sarebbe immaginata, improvvisamente riprese il controllo del suo corpo, scrollandosi di dosso il malintenzionato con uno scatto potente delle gambe e delle spalle, rotolando di lato.

Lui però non si fece sorprendere troppo a lungo e, coltello alla mano, si scagliò nuovamente verso di lei, puntando proprio allo stomaco.

Riuscì a scansarlo e quello cadde rovinosamente a terra, calciò il coltello distante e iniziò a correre nella direzione opposta, bruciando tutto il fiato che aveva in corpo. Corse fino a che non le fece male la milza, senza sapere dove stesse andando, poi andò a sbattere contro… Bellamy, che inizialmente le circondò la vita con un braccio, poi la spinse dietro il suo corpo imponente, proprio mentre lo sconosciuto, che aveva inseguito Clarke, si lanciava verso di loro tenendo nuovamente in alto il coltello.

Per la sorpresa, Bellamy non riuscì a schivarlo in tempo e lui lo prese di striscio ad un fianco. Subito uno squarcio gli si aprì sulla maglietta e il sangue iniziò a colare impregnandogli gli abiti. Clarke sgranò gli occhi, raggelandosi a quella vista.

Accadde in un istante: il ragazzo al suo fianco divenne solo una sagoma scura, travolgendo l’estraneo con la forza di un uragano. I due cozzarono, rotolando sull’asfalto per qualche metro, in un groviglio di gambe e braccia e solo quando si furono fermati Clarke riuscì a distinguere Bellamy, con un’espressione più minacciosa di quanto lo avesse mai visto fino a quel momento.

In un attimo disarmò lo sconosciuto, facendo scivolare il coltello a parecchi metri di distanza, dopodiché gli assestò un pugno talmente potente sulla mandibola, che quello rimase fermo immobile, svenuto.

Il moro prese un profondo respiro e puntò gli occhi neri come l’ossidiana in quelli di Clarke. Non aveva mai visto tanta furia in quegli occhi fino a quel momento e la ragazza indietreggiò di un passo.

Bellamy chiuse gli occhi sospirando pesantemente, poi le voltò le spalle.

«Andiamo» disse solo e il tuo tono intimidatorio le fece capire che non avrebbe accettato nessun tipo di replica, così si limitò a seguirlo, quasi correndo per tenere il suo passo.

Arrivarono alla macchina e lui sbatté lo sportello con ferocia, partendo subito a velocità folle.

Ci impiegarono la metà del tempo per tornare a casa e, quando furono lì, Bellamy non la aspettò, scendendo subito e avviandosi verso la porta.

Solo in quel momento Clarke si accorse del suo braccio sanguinante laddove la pelle aveva sfregato sull’asfalto, sentendosi terribilmente in colpa, oltre che per la ferita del coltello. Se avesse fatto come lui le aveva detto, restando all’interno dell’auto, niente di tutto quello sarebbe successo.

Saltò giù, percorrendo di corsa il vialetto di casa Blake fino ad arrivare alla veranda, anche se il moro le sbatté quasi la porta in faccia.

«Bellamy fermati!» gli urlò contro ad un certo punto e lui si arrestò così di colpo che per poco lei non gli andò addosso un’altra volta.

«Ti avevo detto di restare in macchina» più che parlare ringhiò.

«Mi dispiace».

«Ti dispiace?! Clarke, potevi farti ammazzare!» alzò la voce lui, sembrava fuori di sé, tanto che, di nuovo, lei indietreggiò. Quella versione di Bellamy non le piaceva affatto, era come tornare indietro nel tempo, a quando lui era ancora il bullo del quartiere e tutti gli stavano alla larga e cambiavano strada non appena lo incrociavano.

Lui chiuse gli occhi, passandosi una mano prima sul volto e poi tra i capelli.

«Perché devi fare sempre di testa tua? Eh Clarke? Si può sapere?!».

Lei si strinse nelle spalle.

«Ero arrabbiata».

A quelle parole, lui sgranò gli occhi.

«Eri arrabbiata?! Eri…? Santo Dio, stava per ucciderti!».

«Lo so! Lo so Bellamy, che cosa vuoi che ti dica?».

«Niente! Voglio che tu stia zitta e non parli più!».

«Ma…!».

«Clarke!».

«Sei ferito! Dobbiamo andare in ospedale» disse con fermezza.

Solo a quel punto Bellamy si diede un’occhiata al fianco e al braccio. Il fianco sanguinava ancora, mentre sul braccio il sangue era ormai incrostato.

«Non è grave, niente ospedale» rispose risoluto lui, come se niente fosse.

«Bellamy Blake!» tuonò Clarke a quel punto, posizionandosi dinnanzi a lui con le braccia minacciosamente puntate sui fianchi.

I due si fronteggiarono per un momento, poi Bellamy sospirò pesantemente.

«Bene… Principessa, ma niente ospedale. Sei un medico no? Fa’ qualcosa da medico senza che debba perdere l’intera giornata al pronto soccorso».

La ragazza lo osservò di traverso, poi annuì.

«Bene. Però allora dobbiamo spostarci a casa mia».

Detto fatto, in un attimo erano di nuovo in macchina, chiusi per la seconda volta in un mutismo reciproco assoluto.

Quando arrivarono, scesero dall’auto e si diressero verso l’ingresso principale.

Clarke lanciò uno sguardo fugace a Bellamy prima di aprire la porta; il ragazzo sembrava di granito, doveva essere parecchio arrabbiato e lei, in fin dei conti, non poteva biasimarlo.

Entrarono nell’atrio di casa Griffin, bagnato dalla luce estiva di un inizio agosto newyorkese e la ragazza fece cenno all’altro di seguirla lungo le scale, fino a trovarsi nel bagno della sua stanza.

«Togliti la maglietta, Bellamy» disse cercando di nascondere il tremito nella sua voce.

Per un momento, le parve come se il ragazzo la osservasse un po’ più a lungo, gli occhi ridotti a due fessure, poi obbedì al suo ordine e il cuore di Clarke perse un battito.

Maledizione, perché doveva reagire sempre così? Era semplicemente Bellamy e sì, si erano anche baciati, quindi teoricamente ormai l’imbarazzo avrebbe dovuto diminuire, no?

«Qualche problema, Principessa?».

La voce di lui la richiamò all’ordine e lei si maledisse.

Lo aveva baciato, aveva accarezzato quegli addominali pelle contro pelle, allora perché continuava a farle un tale effetto?

Osservando meglio la sua espressione però, Clarke notò che qualcosa era cambiato: adesso negli occhi scuri del ragazzo era apparsa una scintilla divertita.

«Nessun problema, Blake».

Innanzitutto prese delle garze, con le quali tamponò la ferita al fianco, poi disse a lui di fare pressione mentre lei si occupava dell’escoriazione al braccio.

«Mi dispiace Bellamy, ma questa brucerà» disse versando sulla ferita dell’acqua ossigenata.

Vide lo sguardo di lui indurirsi, ma non disse nulla e, quando ebbe completato il tutto, lo medicò e poi esaminò con occhio clinico il taglio sul fianco.

«Credo sia meglio se ti sdrai, vieni in camera, e distenditi sul letto».

Così la ragazza estrasse un ampio asciugamano da un mobile e lo posizionò sul materasso, in modo da non dover cambiare tutta la biancheria del letto se si fosse sporcata di sangue.

«Mi dispiace, devo darti qualche punto».

«Accomodati» disse lui con le braccia incrociate dietro la nuca, come se la cosa non lo toccasse particolarmente.

«Prima ti faccio un po’ di anestesia locale, ma farà un po’ male anche quella».

Bellamy scrollò le spalle.

«Come mai tieni tutta questa roba a casa? Anestesia, filo da sutura, bisturi… ».

Clarke inarcò un angolo della bocca.

«Siamo una famiglia di medici, Bellamy… mia madre, mio pa… » ma s’interruppe bruscamente.

Era strano. Nel tempo che trascorreva insieme a quel ragazzo, era come se dimenticasse il resto. Come se dimenticasse i suoi problemi. Come se dimenticasse che suo padre fosse morto e che sua madre era probabilmente coinvolta nel suo omicidio.

Dopo quella mezza frase lasciata in sospeso, il silenzio aleggiò per qualche istante all’interno della stanza.

Clarke tamponò e ripulì la ferita di Bellamy, sempre con gesti delicati, ma al contempo esperti, cercando di fargli meno male possibile.

Era colpa sua se adesso il ragazzo si trovava in quello stato.

Prese una siringa per iniettargli l’anestesia intorno alla zona ferita, poi lo avvertì.

«Come dicevo anche prima, darà un certo fastidio. Fermami se dovesse essere insopportabile, ma cerca di resistere perché non c’è altro modo e darti i punti senza sarebbe molto peggio».

Iniettò la prima dose e sentì Bellamy irrigidirsi e trattenere il respiro.

«Lo so che è una frase stupida e che probabilmente avresti voglia di darmi un pugno, ma cerca di restare rilassato».

Bellamy emise una mezza risata, ma non disse niente.

Clarke dovette ripetere l’operazione altre tre volte prima di poter cominciare a suturare il taglio e ogni volta lui trattenne il respiro. Si sentiva tremendamente in colpa.

«Cosa senti?» chiese la ragazza mentre ricuciva la sua ferita.

«Non lo so… non è dolore… né fastidio, non saprei, è una sensazione strana».

Clarke sorrise.

«Bene, vuol dire che l’anestesia ha fatto effetto. Potresti restare un po’ intontito per il resto della giornata, basta macchina per oggi».

«Niente macchina? E io come ci torno a casa?».

«Posso sempre riaccompagnarti io… oppure potresti restare qui… ».

Bellamy la osservò tra il divertito e l’incuriosito.

«Perché stai arrossendo, Principessa?».

Clarke, che ormai aveva finito, tagliò il filo, finì di medicarlo e poi gli diede un leggero pizzicotto sull’altro fianco.

«Taci Blake».

A quelle parole il ragazzo scoppiò a ridere, ma se ne pentì ben presto, portandosi una mano al fianco ferito.

«Maledizione».

«Ecco, questa è una cosa che io chiamo “punizione divina”».

Bellamy la osservò corrucciato prima di afferrarla per un polso e trascinarla su di sé.

«Ma davvero?» disse a meno di un centimetro dal volto di lei.

«Ehi, aspetta, così ti faccio male».

«Non mi fai proprio niente Principessa. E adesso smettila di parlare» e, con quella frase, le afferrò la nuca con una mano, azzerando la distanza tra loro due e baciandola.

Fu un bacio lungo e carico di passione, alla fine del quale entrambi si guardarono ansimando.

«Quindi non sei più arrabbiato?» disse lei fissandolo dritto negli occhi.

«Tu mi fai sempre infuriare Clarke. O perché ti metti nei guai rischiando di farti male, o perché non mi dai retta o perché sei dannatamente testarda… ma non saresti tu se non fossi così, quindi… » lasciò in sospeso la frase, sporgendosi a baciarla di nuovo e lei si lasciò andare a quel contatto.

Le labbra di Bellamy erano fuoco puro sulle sue e le sue mani le afferrarono i fianchi con fermezza, ma senza farle male.

Sentiva il desiderio dipanarsi tra i loro corpi, era qualcosa di tangibile e incredibilmente reale. Qualcosa che con Finn non aveva mai provato.

Una mano di Bellamy si insinuò sotto la sua canotta e Clarke trasalì. Quella sua reazione parve surriscaldare maggiormente il ragazzo, che la baciò con maggior trasporto e lei accarezzò il petto, sentendo ben distintamente le linee scolpite dei suoi muscoli, scendendo poi verso gli addominali… e la cintura.

In quel momento il telefono della ragazza prese a squillare facendoli sobbalzare entrambi.

Bellamy imprecò, a Clarke balzò il cuore in gola più di quanto già non fosse.

Il nome di Jasper capeggiava sul display.

«Pronto!» rispose subito e si accorse di quanto la sua voce suonasse affannosa e alterata.

«Ehi Clarke! Ehm… è tutto a posto? Mi sembri un po’ strana… ».

Meraviglioso… appena il tempo di rispondere al telefono e già si era accorto che era… impegnata in altre attività.

«No, Jasper! Tranquillo, va tutto bene».

Al solo sentire quel nome, la ragazza vide Bellamy alzare gli occhi al cielo e quasi le venne da ridere.

«Volevo chiederti se magari non ti andava di venire da me… in serata visto che ormai sono le cinque di pomeriggio o insomma… quando vuoi. È un po’ che non ci vediamo e pensavo che potremmo organizzare qualcosa io, te e Monty… proprio come ai vecchi tempi. So che sei molto impegnata con la preparazione per l’esame di ammissione a medicina, ma se vuoi puoi portarti i libri per studiare! In realtà devo preparare un esame anch’io, quindi potremmo dividere la serata e fare prima studio e poi quello che ci pare. Come al solito i miei sono fuori città e Denise, ti ricordi la nostra domestica? Non fa altro che chiedermi di te da quando ha saputo che sei tornata a Fort Hill! Poi ovviamente vi fermereste a dormire da me».

Ma Clarke era distratta… distratta dal petto di Bellamy che premeva contro la sua schiena, dalle sue mani intorno ai suoi fianchi e dalle sue labbra sul suo collo.

«Mhm… direi… direi che è un ottimo programma!» esclamò lei cercando di mascherare il tumulto dentro di sé.

«Clarke, sei sicura che vada tutto bene?».

«Sì! Non ti preoccupare, è tutto a posto» ma il suo parlare con un tono di un ottava più alto del necessario era un chiaro segnale del fatto che non era tutto così a posto come voleva lasciar credere all’amico.

«Allora come facciamo? Ti va magari… questa sera? Prima di cena si studia e poi possiamo mangiare a base di schifezze e serie tv, proprio come ai tempi del liceo. Sai, è uscita una nuova serie proprio pazzesca e Monty mi sta assillando, quindi potremmo iniziarla!».

Ma Clarke capì dal ringhio di Bellamy e da come si era avventato sul suo collo e le stava stringendo i fianchi che era alquanto contrariato da quella proposta. Era così vicino da aver sentito ogni parola di Jasper.

«Che cos’era quel rumore? Ti sei presa anche un cane adesso?».

La bionda sentì il corpo del ragazzo irrigidirsi contro il suo e quasi scoppiò a ridere, ma cercò di mantenere una certa serietà.

«Mmm… Jasper, che ne dici di fare domani? Per la serata ho preso un altro impegno… e poi così domani potrei dedicarvi tutta la giornata! Posso venire la mattina, in modo da studiare più a lungo e la sera… beh, quello che hai detto tu».

«Nessun problema! Allora avverto Monty, sarà certamente entusiasta!».

«Ottimo!» quasi strillò quando Bellamy le mordicchiò la carne tenera dietro l’orecchio. «Allora a domani Jasper, fammi sapere l’orario!» e detto questo riagganciò senza nemmeno dare all’amico la possibilità di replicare.

Gettò il telefono sul letto e si voltò di scatto per fronteggiare Bellamy, il cuore che batteva a mille.

«Ma sei impazzito?! Mi dici che ti è preso?».

Lui la osservò con il ghigno strafottente che tanto la mandava in bestia.

«A me? Nulla Principessa, è che… semplicemente non mi piace dividere le mie cose con gli altri… ».

«Le tue cose? Quindi io per te cosa sarei di preciso? Un soprammobile?».

Il ragazzo ricoprì la distanza che li separava, prendendo il mento di lei tra pollice e indice e facendole alzare lo sguardo.

«Sai cosa intendevo Clarke, quindi non cominciare a fare la rompipalle. E poi sapevo che dovevo uccidere Jordan quando ne ho avuto l’occasione».

Lei stava per replicare quando lui la zittì con l’ennesimo bacio, facendola sciogliere contro il suo petto ancora nudo, passando poi ad accarezzare i muscoli della sua schiena.

Fu con uno sforzo non da poco che si staccò da lui.

«Bellamy… dobbiamo proseguire le nostre ricerche. Devi dirmi di cosa è successo stamattina. Chi sei andato a trovare in quella casa fatiscente? Chi è il nostro hacker?».

«Prendi fiato Principessa. La sua identità non ha importanza, ha detto che ci aiuterà. Gli ho lasciato qualcosa su cui lavorare, mi richiamerà non appena avrà qualcosa di certo in mano».

«La sua identità ha importanza per me, Bellamy» adesso la bionda si era fatta più seria.

«Senti… fidati di me, d’accordo? È tutto ciò che ti chiedo» detto questo, il ragazzo le posò un bacio sulla fronte e recuperò la sua t-shirt dal letto.

«Non vorrai mica rimetterti quella? È strappata e sporca di sangue, così come lo sono anche i pantaloni. Ho ancora io i vestiti che mi avevi prestato l’altra notte, quando mi sono presentata da te durante la tempesta. Indossa quelli» e, così dicendo, la ragazza tirò fuori dall’armadio gli abiti che Bellamy le aveva prestato qualche sera prima.

Lui andò a cambiarsi nel bagno mentre Clarke ripulì il letto da tutto il materiale che aveva usato per medicare il vigile del fuoco.

La bionda guardò l’orologio: erano le cinque di pomeriggio passate ormai e lei sentì tutta la stanchezza accumulata piombarle addosso improvvisamente. Le notti insonni, le continue ricerche e lo studio serrato ormai la stavano sfinendo. Scese le scale fino al piano inferiore per controllare le ciotole di Yeti e riempì quella dell’acqua… del suo gatto non c’era traccia.

Sentì dei passi sulle scale e, qualche istante dopo, Bellamy le fu davanti, cambiato e ripulito.

«Ho approfittato del tuo bagno per darmi una sciacquata, ero in condizioni pessime, spero che non ti dispiaccia».

«Hai fatto benissimo e… Bellamy?».

«Sì?».

«Mi dispiace davvero, è stata colpa mia».

«Lascia stare Clarke, come vedi sto benissimo».

«Per fortuna sei in ferie, altrimenti andare al lavoro sarebbe stato un problema».

«Non pensarci adesso. Allora… prendiamo i documenti? Vuoi che cerchiamo qualcosa che possa aiutarci visto che è ancora presto per la cena?».

Clarke chinò il capo, grattandosi la testa… era imbarazzata.

«Ad essere sincera… sono davvero stanca Bellamy. Per oggi vorrei prendermi una pausa, se per te va bene».

Il moro inarcò le sopracciglia con aria sorpresa, ma si ricompose ben presto, andandole vicino.

«In realtà aspettavo che me lo chiedessi. Una pausa è proprio quello che ti serve Clarke, sei esausta ormai e hai proprio bisogno di rilassarti. Tv e divano?».

Lei sorrise. Era un sorriso stanco, ma genuino.

«Direi che è un ottimo programma».

Clarke registrò con un attimo di ritardo le dita di Bellamy che si intrecciavano alle sue, guidandola verso il salotto. Ormai il ragazzo aveva imparato a muoversi in quella casa come se fosse sua e Clarke, pur sorpresa, non respinse quel contatto.

Era una cosa che dal vecchio Bellamy non si sarebbe mai aspettata, ma questa nuova versione di lui la stupiva spesso e lei… beh, lei stava davvero iniziando ad abituarsi alla cosa.

Sapeva che certamente per il ragazzo non doveva essere semplice, così come non era semplice per lei, ma aveva come l’impressione che poco alla volta entrambi stessero imparando a spogliarsi degli strati e delle barriere che si erano costruiti intorno per evitare di soffrire. Sotto questo punto di vista erano molto simili. Bellamy era diventato una sorta di punto saldo per lei: un faro che in qualche modo non la faceva mai sentire persa, ma sempre al sicuro… ormai era entrato a far parte di lei.

Il ragazzo prese posto sul divano, poi le fece cenno di sedersi al suo fianco e lei lo fece senza esitazione. Dopo un po’ di zapping, il ragazzo trovò un canale che trasmetteva serie tv a ripetizione, capitando proprio su “The Walking Dead”.

«Adoro questa serie» disse mettendosi comodo.

«Sì, piace molto anche a me».

Lui la osservò tra il divertito e lo stupito per un momento, poi le passò un braccio intorno alle spalle e i due iniziarono a guardare l’episodio, doveva essere la quarta stagione, pensò Clarke.

Tuttavia, dopo un po’ la stanchezza prese il sopravvento e la ragazza si accucciò contro il corpo di Bellamy, posando la testa sul suo petto. Lo sentì sospirare tra i suoi capelli, dopodiché venne avvolta da uno stato di torpore che nel giro di poco la fece scivolare in un sonno tranquillo.



«Principessa? Principessa? Clarke?».

Una voce familiare s’insinuò poco a poco nella sua mente, ridestandola da quel sonno piacevole. La ragazza alzò la testa, trovandosi il volto di Bellamy a pochi centimetri dal suo; le braccia del ragazzo la avvolgevano, dandole una piacevole sensazione di calore e conforto… una sensazione che solo suo padre era riuscito a darle prima di allora.

«Scusa… mi sono addormentata».

Il moro posò le sue labbra sulle sue e Clarke lo afferrò per l’orlo della t-shirt, cercando di aumentare quel contatto.

Nel giro di un istante la ragazza si ritrovò supina sul divano, sovrastata dal corpo di lui.

«Cristo Principessa… tu mi manderai dritto all’inferno» Bellamy ansimava.

Clarke sorrise, poi si sporse a baciarlo un’altra volta.

«Direi che il sonnellino ti ha rigenerata» riprese quando si separarono nuovamente.

Lei sorrise con aria maliziosa, poi tornò a sedersi, imitata da lui.

«Caspita, sono quasi le nove di sera! Bellamy, avresti dovuto svegliarmi prima».

«Perché? Dormivi così bene… ti ho svegliata quando ho cominciato ad avere i crampi allo stomaco per la fame».

Lei rise di gusto, scompigliandogli i capelli.

«Allora andiamo a preparare la cena».

«Questa mi sembra un’ottima idea».

Per tutto il tempo non fecero altro che punzecchiarsi, divertendosi entrambi, come se avessero dimenticato ciò di cui realmente dovevano occuparsi. Nessuno dei due fece parola dell’omicidio del padre di Clarke e forse quella era la prima volta in assoluto che ad entrambi non venne neanche in mente.

Parlarono di tutt’altro, come se fossero due qualsiasi ragazzi con problemi comuni. Nessun omicidio, niente tristezza né solitudine… c’erano solo loro due e quel senso di spensieratezza che ormai non li coglieva da tempo.

Il clima all’interno della cucina di casa Griffin era leggero e, nel bel mezzo della cena, Yeti decise di degnarli della sua presenza.

«Guarda un po’… è arrivato Psycho» disse Bellamy divertito, beccandosi un calcio sotto il tavolo da Clarke.

«Maledizione! Sei violenta!».

«Mi sembra di averti detto già più di qualche volta di smetterla di insultare il mio gatto».

«Gatto? Quel coso è l’ottava piaga d’Egitto! E mi ha anche lasciato una cicatrice come ricordo» disse lui alzando il braccio che Yeti gli aveva graffiato qualche sera prima.

A quelle parole, Clarke sbuffò divertita.

«Quanto ti lamenti Blake».

Lui lasciò cadere l’argomento, con l’accenno di un sorriso.

«Avanti, sistemiamo qui e poi ti accompagno di sopra, mi sembri ancora stanca».

«Mi accompagni? Perché, tu dove hai intenzione di andare?».

«Beh, a casa».

«Bellamy, se non ricordo male… e non ricordo male, ti avevo detto niente macchina per oggi, è chiaro?».

«Clarke, l’anestesia non mi darà nessun fastidio, stai tranquilla d’accordo? Ormai sta anche passando l’effetto perché comincia a fare male, quindi non hai di che preoccuparti, non sbanderò mentre torno a casa».

«Potresti sbandare proprio perché ti fa male».

Ci fu un momento di pausa, dopodiché il ragazzo la guardò con espressione strana, quasi divertita.

«Cos’hai Blake?».

«Com’è che ho come l’impressione che tu stia cercando di tenermi qui in tutti i modi?».

A quelle parole Clarke si fece seria.

«Sono più tranquilla quando so che sei qui intorno. Sai, dopo tutta questa storia, non lo so… ultimamente sono un po’ inquieta, non riesco a dormire bene».

Adesso anche il ragazzo aveva un’espressione attenta. Le si avvicinò, posandole le mani sulle spalle.

«Clarke… perché non me lo hai detto prima?».

La padrona di casa sembrava imbarazzata e lui lo notò immediatamente, avvicinandola a sé e stringendola.

«Tranquilla, resto qui. E posso restare quando vuoi, se fai fatica a dormire. Io potrei addormentarmi anche su un sasso, ormai mi conosci».

Lei sorrise debolmente.

«Grazie Bellamy».

Tornarono in salotto a guardare un altro po’ di tv, dopodiché, quando la stanchezza tornò a farsi sentire, Clarke disse a Bellamy che cominciava a prepararsi per andare a letto, aggiungendo che lui poteva anche restare a finire di guardare il film che avevano cominciato.

Andò in bagno con calma, sistemandosi e tirando fuori la sua camicia da notte, poi la guardò meglio: era la stessa con cui Bellamy l’aveva trovata quella sera in cui si era presentato nella sua stanza entrando dalla finestra e insomma… sapeva che il ragazzo aveva un certo autocontrollo, ma dubitava ne possedesse così tanto.

Così, estrasse dall’armadio un paio di pantaloncini e una canottiera e indossò quelli.

Guardò il suo letto e le sembrò che non avesse mai avuto un aspetto tanto invitante prima di allora… era davvero sfinita.

Si infilò sotto il lenzuolo, che sicuramente avrebbe calciato via durante la notte a causa del caldo, e crollò seduta stante.



Si risvegliò sentendo il letto piegarsi sotto il peso di qualcuno. Dapprima il cuore le balzò in gola, poi si rilassò, ricordando chi aveva invitato a restare.

Bellamy.

Si voltò dall’altra parte, cercando il ragazzo nell’oscurità.

«Scusa, non volevo svegliarti. Torna a dormire Clarke… è appena mezzanotte».

Disse la voce del ragazzo da qualche parte in quel buio totale.

Clarke annuì, poi tornò a voltarsi e dopo qualche istante sentì le braccia di Bellamy avvolgersi intorno alla sua vita, facendo aderire la schiena di Clarke al suo torace.

Lui le lasciò un bacio lieve sulla tempia, dopodiché posò la testa sul cuscino accanto a lei e a Clarke parve che si fosse subito addormentato.

In ogni caso non si concentrò particolarmente sul respiro di Bellamy, perché qualche istante dopo anche lei risprofondò nel sonno.



Quando riaprì gli occhi il sole ormai era alto nel cielo. Aveva fatto, per l’ennesima volta, lo stesso incubo su suo padre, ma a differenza del solito, non si era svegliata urlando nel cuore della notte e aveva la vaga impressione che dipendesse dalla presenza di Bellamy al suo fianco.

Il ragazzo stava ancora dormendo tranquillamente e lei si perse ad osservarlo.

Si chiese come diavolo fossero arrivati a quel punto, in fin dei conti, quando quell’estate aveva fatto ritorno a Fort Hill, la diffidenza era ancora tanta, ma era consapevole del fatto che quella notte di quasi sette anni prima, qualcosa tra loro era irrimediabilmente cambiato e questo era innegabile.

Lo scrutò meglio: i capelli scuri ricadevano scompostamente sul viso, l’espressione era completamente rilassata. Lo aveva osservato talmente tante volte che ormai avrebbe quasi potuto disegnarlo ad occhi chiusi.

«Smettila di fissarmi, Principessa» disse lui, continuando a tenere gli occhi chiusi.

Clarke sorrise.

«Da che pulpito».

«Non farmi arrabbiare di prima mattina».

Lei si lasciò sfuggire una risata leggera.

«Allora rimettiti a dormire in modo che io possa continuare a guardarti».

«Sto dormendo».

«Davvero? Mmm… lasciatelo dire: hai proprio uno strano modo di dormire, signor Blake».

Un sorriso si allargò anche sul volto di Bellamy, poi, senza aprire gli occhi, allungò le braccia nella sua direzione e la trascinò vicino a sé, baciandola.

«Se tutte le mattine cominciassero così, vedrei il mondo decisamente in un’altra prospettiva».

«Addirittura? Bellamy Blake, mi sorprendi».

Lui la mise a tacere con un altro bacio, poi furono interrotti nuovamente dalla suoneria del cellulare di Clarke.

«Giuro su mia sorella che se quel coso ci disturba un’altra volta lo faccio volare dalla finestra».

«Non ci provare neanche».

«Ho giurato su Octavia, quindi è un giuramento sacro».

Clarke lo fulminò con un’occhiataccia, alzandosi dal letto e avviandosi verso il suo telefono. Come pensava, era di nuovo Jasper, dovevano mettersi d’accordo per quella mattina.

«Jasper!».

Nell’udire di nuovo quel nome, Bellamy si sollevò facendo leva sui gomiti con aria incredula e scocciata, come a volerla rimproverare di aver risposto.

La voce dell’amico, all’altro capo del telefono, risuonò forte e chiara.

«Ehi Clarke! Facciamo da me per le dieci stamattina?».

«Perfetto! Ci vediamo dopo!».

«Ottimo! A più tardi allora» e detto questo riagganciò.

«E poi non dovrei uccidere Jasper Jordan? Che diavolo voleva stavolta?».

«La stessa cosa che voleva ieri, Bellamy. Vado da lui alle dieci. Cos’è… non sarai mica geloso?».

«Geloso di lui? Ma fammi il piacere… ».

«Bene, allora piantala di comportarti come un bambino e vieni a fare colazione».

Clarke non riuscì a trattenersi e scoppiò a ridere vedendo l’espressione stupita sul volto di Bellamy.

«Questa me la paghi Principessa».

«Sto tremando».

Bellamy la fulminò con uno sguardo omicida, poi scattò fuori dal letto e, prima che Clarke riuscisse a rendersene conto, si trovava già caricata sulla spalla del moro, mentre lui camminava lungo le scale che portavano al piano di sotto.

«Bellamy Blake, mettimi giù immediatamente!».

«Non ci penso neanche».

Soltanto quando furono giunti in cucina il ragazzo la mise a sedere, e neanche tanto delicatamente, su una sedia intorno al tavolo.

Fecero colazione in silenzio, Clarke guardandolo in cagnesco e Bellamy sforzandosi di rimanere serio, dopodiché lui fece il giro del tavolo e la baciò. Anche se dapprima lei lo respinse, al secondo tentativo non poté fare a meno di cedere, rispondendo al bacio.

«Torniamo di sopra, rifaccio la medicazione al fianco e do un’occhiata al braccio, poi però devo andare da Jasper, sai quanto sia lontana casa sua».

Lui annuì poco convinto, ma fece ciò che la ragazza gli aveva detto.

Alle nove la ragazza era già in macchina pronta a partire e impiegò la solita ora prima di arrivare a casa dell’amico.

«Bionda!» la accolse Jasper non appena la vide. Monty era già lì.

«Ciao ragazzi» li salutò lei con un gran sorriso. Era dalla sera in cui al pub avevano giocato al gioco della bottiglia che non si vedevano più e, nonostante non fosse passato poi così tanto tempo, di cose ne erano cambiate parecchie.

Clarke abbracciò i suoi amici, dopodiché entrò nel grande e sontuoso atrio di casa Jordan, il che la riportò indietro nel tempo, pensando al periodo del liceo in cui la ragazza aveva vissuto più lì che a casa sua.

Si sistemarono nel salone con i loro libri, ma prima di cominciare, l’attenzione di Clarke venne richiamata dalla voce di Jasper.

«Ehi Clarke, si può sapere cosa stavi combinando ieri mentre eravamo al telefono?».

Immediatamente la ragazza sgranò gli occhi, ma cercò subito di mascherare la sua sorpresa.

«Cosa?! Niente!».

Adesso anche Monty la osservava piuttosto interrogativo.

«Sei sicura? Perché avevi una voce davvero strana… e poi a un certo punto c’è stato quel verso… un verso molto simile a quello che ho sentito fare ad una persona soltanto e quella persona era Bellamy Blake».

«Eri con Bellamy Blake ieri sera?!» asserì Monty a quel punto.

«Voi due comari dovreste veramente smetterla di farvi gli affari miei!».

I due ragazzi si lanciarono uno sguardo d’intesa.

«Paga bello!» esclamò allora Jasper all’indirizzo dell’altro, che tirò fuori dalla tasca una banconota da dieci dollari con aria scocciata.

Clarke era a dir poco esterrefatta.

«Non ci posso credere… avete scommesso!».

«Tu non hai negato… » disse Jasper con espressione maliziosa.

La ragazza a quel punto non aveva più dubbi… sarebbe stata una giornata molto lunga.



With our backs to the wall, the darkness will fall
We never quite thought we could lose it all
Ready, aim, fire, ready, aim, fire
An empire's fall in just one day
You close your eyes and the glory fades
Ready, aim, fire, ready, aim, fire away (fire!)
Ready, aim, fire, ready, aim, fire away

Back in the casing, shaking and pacing
This is the tunnel's light
Blood in the writing, stuck in the fighting
Look through the rifle's sight
How come I've never seen your face 'round here?
I know every single face 'round here
Here in the heckle, holding the shackle
I was never welcome here

We don't have a choice to stay
We'd rather die than do it your way



Con le nostre schiene al muro, cadrà l'oscurità
Mai avremmo potuto pensare di perdere tutto questo
Pronti, mirate, fuoco, pronti, mirate, fuoco...
Un impero cade in appena un giorno
Chiudi i tuoi occhi e la gloria svanisce
Pronti, mirate, fuoco, pronti, mirate, fuoco...
Pronti, mirate, fuoco, pronti, mirate, fuoco..



Indietro in un bossolo, agitando e ritmando
Questa è la luce del tunnel
Sangue nella scrittura, bloccato nel combattimento
Guarda attraverso la vista del fucile
Come mai non ho mai visto la tua faccia qui intorno?
Conosco ogni singola faccia qui intorno
Qui nel disturbo, tenendo il grilletto
Non sono mai stato il benvenuto qui

Non abbiamo deciso noi di restare
Avremmo preferito morire che fare a modo tuo



Non appena arrivò a casa, Bellamy riaccese il telefono che aveva spento la sera precedente e, come una doccia gelata, vide le quattro chiamate perse da Atom, oltre che i sei messaggi.

Cazzo. Solo in quel momento si ricordò che la sera prima dovevano vedersi al pub dei genitori di Monroe.

Dannato imbecille. Era sicuro del fatto che il suo migliore amico adesso non lo avrebbe mollato un secondo e tra l’altro era la prima volta che gli dava buca, così senza preavviso. Si sentiva in colpa.

Dato che era ancora relativamente presto e che il sole non batteva così forte, voleva andare a fare una corsetta, magari lo avrebbe distratto, ma poi ricordò della ferita al fianco, quindi forse non era esattamente un’idea geniale.

Sbuffò, non sapendo cosa fare a quel punto. Clarke era a casa di quell’idiota di Jordan, sua sorella era al lavoro e lui in ferie.

Proprio in quel momento il suo telefono squillò, ma, a dispetto di quanto immaginasse, non era Atom, bensì un numero sconosciuto, anche se immaginava benissimo chi potesse essere.

«Murphy?» rispose subito.

«Ho la lista che mi hai chiesto» fu la sua risposta, senza neanche salutare.

«Come hai fatto in così poco tempo?».

«I miei metodi non ti devono riguardare, la vuoi o no?».

«Certo».

«Bene, vieni a prendertela allora. Uso programmi criptati per lavoretti del genere, ma so per certo che la mia mail è tenuta sotto controllo dagli sbirri e che al minimo passo falso quegli stronzi saranno felici di sbattermi dentro un’altra volta».

Ecco, Bellamy aveva appena trovato che cosa fare.

«Bene. Il tempo della strada e sono da te».

E, senza un’altra parola, l’altro riagganciò.

Ben presto avrebbe avuto in mano la lista completa del personale sanitario che si trovava in sala operatoria la notte della morte del dottor Griffin e… dopodiché? Quale sarebbe stato il passo successivo?

Beh, innanzitutto non appena possibile avrebbe dovuto parlarne con Clarke. Già… Clarke. Quella ragazza gli stava veramente facendo perdere qualsiasi tipo di controllo. Il giorno precedente, quando si stavano baciando lì sul letto e lei lo accarezzava in quel modo… era arrivata alla cintura quando Jordan aveva chiamato. Se non fosse stato per quell’interruzione, Bellamy non sapeva fin dove si sarebbe spinto. Dio, era certo che la Principessa gli avrebbe fatto perdere la ragione. Questo non andava bene, non andava bene per niente.

Aveva bisogno di restare concentrato. Concentrato per la loro indagine e concentrato per il maledetto esame, ma tutto di Clarke lo faceva impazzire: dal suo aspetto al suo carattere, per non parlare del suo profumo. Quel profumo gli avrebbe procurato un biglietto di sola andata per l’inferno.

Con il cuore che batteva già più veloce passò di volata in bagno per darsi una rinfrescata e cercare di togliersi dalla mente le immagini e le sensazioni provate il giorno prima su quel letto, poi si mise nuovamente in macchina e ripartì alla volta del Projects.

Inspirò a fondo mentre metteva in moto l’auto, immettendosi nella corsia con fare tranquillo. D’altra parte… non aveva nessuna fretta. Avrebbe recuperato quei documenti, avrebbe dato a Murphy la cifra accordata e sarebbe tornato a casa a studiare.

L’autoradio mandava un brano degli Imagine Dragons “Ready aim fire”. A Bellamy piaceva molto quella canzone, tanto che si mise a tamburellare a ritmo contro il volante, sovrappensiero.

Percorse rapidamente la strada che lo separava dalla sua destinazione e arrivò dopo circa mezz’ora. Voleva fare in fretta, onde evitare spiacevoli incontri come il giorno precedente, dunque si avviò a passo spedito verso la porta dell’appartamento di Murphy e bussò con decisione.

Attese per quasi un minuto prima che il suo ormai ex compagno di liceo si degnasse di aprire, tanto che pensava non ci fosse.

La porta si aprì di uno spiraglio, poi si richiuse, sentì Murphy armeggiare con una catena e dopodiché si ritrovò di fronte l’ingresso. Il padrone di casa si scostò per lasciarlo passare e Bellamy avanzò in quell’ambiente spoglio e fatiscente.

Era lampante come non fosse il benvenuto in quella casa, Bellamy se ne rendeva conto perfettamente e, per quanto poco gli piacesse, doveva stare alle regole di Murphy in quella situazione.

«Hai portato i soldi?» fu la prima cosa che gli chiese.

«Certo che li ho portati, ma prima voglio la lista».

«Come funzionano le cose lo decido io, Bellamy».

L’interessato sbuffò con aria scocciata, dopodiché estrasse una busta che aveva compresso nella tasca posteriore dei jeans, lanciandola in malo modo su un tavolo che sembrava non venisse pulito da anni.

«Sono tutti, contali se vuoi, adesso dammi quella dannata lista».

Un angolo della bocca di Murphy si alzò in un ghigno che a Bellamy non piacque affatto e lui puntò i suoi occhi in quelli glaciali dell’altro.

«Murphy, se scopro che stai cercando di fregarmi, sarò io farti sbattere dentro per la seconda volta, è chiaro?».

Bellamy ebbe come l’impressione che il suo lato oscuro stesse tornando a galla… il lato che aveva preso il sopravvento per la gran parte della sua adolescenza, quando lui e Murphy se ne andavano in giro come grandi amici a combinare casini per tutta Fort Hill. Quella ormai era una fase della sua vita che aveva superato, diventando un uomo migliore e poi… adesso c’era Clarke.

«Calma cowboy, non c’è bisogno di scaldarsi tanto. Non sto cercando di fregare nessuno, solo di ritrovare un posto in questa fottuta società, ma senza un soldo è difficile. Vedila come un’opera di bene, ormai dovresti esserci abituato. Sei cambiato Bellamy… ».

«A differenza di te… ».

Murphy emise una risata a metà tra l’amaro e il divertito.

«Io non avevo nessuno a pararmi il culo, lo sai. Sono sempre stato solo, mentre tu avevi mammina che… » ma a quelle parole Bellamy scattò prima di rendersene conto, afferrando il suo interlocutore per l’orlo della maglietta e sbattendolo con rabbia contro il muro.

«Non osare nemmeno parlare di mia madre» ringhiò a pochi centimetri dal suo volto e, sul viso di Murphy, adesso spuntò un sorriso soddisfatto.

«Forse non sei poi così cambiato… ».

Restarono in quella posizione per qualche altro secondo, poi Bellamy si impose di calmarsi, lasciando andare il ragazzo e fu a quel punto che Murphy sparì in un’altra stanza, tornando dopo qualche istante con una sottile busta di carta in mano.

«Qui dentro c’è la tua preziosa lista. Toglimi una curiosità, Bellamy… come mai sei tanto interessato al dottor Griffin?».

Lui si limitò a lanciargli un’occhiata di traverso.

«Questi sono affari miei».

Murphy alzò le mani in segno di resa.

«Come preferisci».

E, senza aggiungere un’altra parola, Bellamy si avviò fuori alla stessa velocità con cui era arrivato. Nonostante fosse pieno giorno, all’interno della casa c’era una penombra soffocante e ritrovarsi di nuovo alla luce del sole lo acquietò, togliendogli parte di quella rabbia che si era insinuata dentro di lui.

Voleva andarsene da lì al più presto, dunque controllò soltanto che ci fossero effettivamente i documenti richiesti all’interno della busta, ma poi non perse tempo a leggerli e partì a tavoletta.

Quando finalmente il paesaggio familiare di Fort Hill tornò a circondarlo si sentì molto più rilassato. Arrivò a casa, prese la busta e si diresse verso l’ingresso, se non che quando giunse sulla veranda…

«Atom!».

«Credo davvero che tu mi debba delle spiegazioni, amico».

Il senso di colpa tornò a farsi sentire in Bellamy; lui ed Atom erano sempre stati quel tipo di amici che si dicevano che tra di loro le cose non sarebbero mai cambiate con l’arrivo di una donna. Lui e Clarke non stavano nemmeno insieme “ufficialmente” e gli aveva già dato buca.

«Senti, mi dispiace, ieri ho veramente perso la cognizione del tempo e… ».

«Bellamy… piantala con le stronzate. Ieri sera sono passato davanti alla casa di Clarke e ho visto la tua macchina. Poi ci sono passato anche stamattina e la tua macchina era ancora lì, quindi risparmia le scuse».

Ecco, questo davvero non se lo aspettava.

«Ad ogni modo quando ieri ho notato la tua auto lì, ero già quasi certo del fatto che non saresti venuto, ma ritrovarla ancora lì stamattina… caspita! Mi sorprendi!».

Più che arrabbiato, il suo migliore amico sembrava compiaciuto. Se avesse continuato con quel sorrisetto idiota Bellamy glielo avrebbe fatto sparire a suon di pugni.

«Allora… avevo ragione sulla Principessa? Bacia davvero bene, no?».

A quelle parole un moto involontario gli fece serrare la mascella e il pugno non impegnato a tenere la busta. Lo avrebbe sicuramente ucciso, ma quella sua reazione parve divertire l’altro, che si mise a ridere come un cretino.

«L’hai baciata davvero, eh? Bell, ti sei dato una svegliata! E soprattutto… era ora! Ormai è un mese che vi rincorrete senza rendervene conto e… ci saranno anche voluti dieci anni per capirlo, ma finalmente!».

«Atom… taci».

La sua reazione fece ridere ulteriormente l’amico. «D’accordo, per questa volta sei perdonato, ma se mi tiri pacco un’altra volta andrò a rinfrescarle la memoria su cosa vuol dire baciare me».

Bellamy credette di non aver sentito bene le sue parole ed era sicuro del fatto che in quel momento avrebbe veramente potuto prendere a pugni Atom, ma poi le parole dell’altro lo riportarono alla realtà, distraendolo dal suo intento omicida.

«Chiaramente sto scherzando, non ti porterei mai via la ragazza, però vedi di non darmi buca un’altra volta, eh?».

Il respiro di Bellamy tornò poco a poco a regolarizzarsi. «E comunque Clarke non è la mia ragazza» disse burbero.

«Ah no? Davvero? Allora non dovrebbe darti così fastidio se ci provassi davvero con lei».

«Azzardati a farlo e ti taglio la gola mentre dormi».

«Credo che tu ti sia risposto da solo, amico».

Il padrone di casa sbuffò sonoramente.

«E dimmi… dov’è la Principessa adesso?».

«A casa di quell’idiota di Jordan a studiare con lui e Monty» il suo tono lasciava chiaramente intendere quanto fosse contrariato dalla cosa.

«Mi stupisci! Non credevo che le avresti permesso una cosa del genere».

«Cos’avrei dovuto fare? Non è una mia proprietà».

«Lasciatelo dire amico: sei cambiato, il vecchio te non l’avrebbe pensata allo stesso modo».

«Il vecchio me non sarebbe stato capace di provare legami più profondi di una scopata e via» disse con un’alzata di spalle.

Atom incrociò le braccia al petto con un sorriso che la diceva lunga e questo fece ulteriormente innervosire Bellamy.

«E adesso cos’hai?» sbottò.

«Nulla, se non il fatto che hai praticamente confessato di provare dei sentimenti veri per quella ragazza. Non credevo che sarebbe mai arrivato quel giorno».

«Da che pulpito… tu sì che avresti bisogno di una ragazza».

«Io sto benissimo così, ma grazie per l’interessamento». Il silenzio aleggiò per qualche istante, poi Atom riprese parola: «E stasera pensi di passarla con la tua bella oppure vieni a farti una birra con il tuo amico a cui ormai non dai più corda?».

«Clarke si ferma a dormire lì» disse con espressione corrucciata.

«Ottimo! Allora ci vediamo al pub. E la birra me la offri tu».

Se non avesse conosciuto Atom sarebbe rimasto stupito dalla sua sfacciataggine, ma si conoscevano da troppi anni e ormai nulla dell’amico avrebbe potuto sorprenderlo, così si limitò a scuotere la testa con aria divertita. Quel ragazzo non sarebbe mai cambiato e Bellamy riusciva a figurarsi loro due fra cinquant’anni, quando sarebbero stati quasi due ottantenni a prendersi in giro ed insultarsi proprio come facevano adesso. Sì, in fin dei conti era profondamente convinto del fatto che la loro fosse proprio quel tipo di amicizia.

Gli ci volle qualche istante per rendersi conto del fatto che stava ancora stringendo in mano la busta con la lista di nomi che Murphy gli aveva consegnato, dunque si avviò nel salotto e la aprì.

Scorse rapidamente i nomi, ma non c’era nulla che potesse essergli d’aiuto in quel momento. Forse Clarke avrebbe avuto più fortuna di lui, ma adesso non voleva distrarla dai suoi studi e pensò che fosse il caso di mettersi sui libri a sua volta visto che la data dell’esame si avvicinava inesorabilmente. Poco più di due settimane e il tanto atteso giorno sarebbe arrivato.

Trascorse il resto della mattinata a studiare, pranzò velocemente e poi riprese, facendo scivolare via anche il resto del pomeriggio, tanto che, quando rialzò la testa, si rese conto che ormai erano le otto di sera e che il cielo iniziava ad imbrunirsi.

Così lasciò tutto lì com’era e iniziò a preparare la cena. Alle nove avrebbe dovuto vedersi con Atom e non era decisamente il caso di dargli buca un’altra volta, altrimenti glielo avrebbe rinfacciato per tutto il resto della vita.

Mangiò con la solita voracità che lo contraddistingueva e si cambiò prima di recarsi al pub.

Atom era lì che lo aspettava e con lui c’era anche Miller.

«Ehi Bell!» lo salutò quest’ultimo quando riuscì a farsi strada tra la ressa di avventori.

«Nate! Come va?».

«Bene! E tu? Come si sta in ferie?».

«Sotto pressione per l’esame in realtà».

«Oh avanti, sei sempre andato bene ai test! Sei solo un po’ fuori allenamento, ma vedrai che prima dell’esame riprendi il ritmo e lo passerai senza problemi come sempre» lo rassicurò Atom.

I tre ragazzi ordinarono delle birre, chiacchierando e scherzando come spesso facevano. Era bello ritrovarsi lì con Atom e Miller, erano davvero un’ottima compagnia e a Bellamy faceva sempre piacere passare del tempo con loro, tranne quando Atom faceva l’idiota.

«Ehi Bell, sei tu quello che si intende di problemi elettrici, vero?» disse Miller ad un certo punto.

L’interessato, che anni addietro aveva trovato lavoro anche come elettricista per pagarsi l’accademia per vigili del fuoco, annuì.

«Sì, c’è qualche problema?».

«In realtà in caserma abbiamo qualche difficoltà con un quadro elettrico e nessuno di noi sa dove mettere le mani, ti dispiacerebbe fare un salto quando hai tempo?».

«Assolutamente no! Penso di riuscire a passare domani in serata se il problema non è imminente… il giorno preferirei studiare».

«Tranquillo e anzi… grazie mille».

«Scherzi? La caserma 62 praticamente è la mia seconda casa».

«Bene! Tra l’altro domani sera dovremmo essere entrambi in turno, vero Atom?».

«Eh sì! Domani sera ci si diverte!».

Alle parole del suo migliore amico Bellamy sbuffò divertito, mandando giù un altro sorso di birra.

«Allora… » iniziò Nathan dopo qualche istante di silenzio «… tu e Clarke, eh? E chi l’avrebbe mai detto?».

Ora il ragazzo quasi ci si strozzò con la birra, fulminando immediatamente Atom con un’occhiata assassina.

«Ma gli affari tuoi una volta tanto sei capace di farteli?».

«Sì, ma come hai detto tu una volta tanto. Per il resto sono bravissimo a farmi quelli degli altri, specialmente i tuoi».

A quella scena Miller scoppiò a ridere, rivolgendosi poi a Bellamy.

«Avanti, è una bella cosa!».

«Hai sentito Bell? Lo dice Miller che è una bella cosa» rincarò l’altro.

«Tu faresti solo meglio a chiudere la bocca prima che ci pensi io».

«Basta solo che non sia nello stesso modo in cui lo fai con Clarke».

«ATOM!».

Ma adesso gli altri due ridevano senza più ritegno. Bellamy sbuffò, roteando gli occhi al cielo.

«Rettifica: si sta decisamente bene in ferie senza essere costretto a vedere le vostre brutte facce più spesso di quanto mi piaccia».

«Sii più carino Bell».

«Sii più carino al massimo puoi dirlo al cane che non hai» questa frase non fece che aumentare l’ilarità tra i due. «E comunque siete due stronzi. Siatene consapevoli».

«Bell, non c’è niente di male! Anzi, è bello che tu abbia trovato qualcuno, solo… che nessuno di noi si sarebbe aspettato che quel qualcuno sarebbe stata Clarke, insomma, ammettilo: voi due potevate a stento stare nella stessa stanza senza che scoppiasse il pandemonio».

«Bene, adesso possiamo per favore cambiare argomento?».

I suoi due amici si scambiarono una rapida occhiata prima di annuire.

«Fantastico, vi ringrazio».

Così, la discussione si spostò su altri toni e Bellamy si acquietò.

Il resto della serata trascorse senza tante polemiche e, quando fu il momento di tornare a casa, i tre si salutarono senza particolari minacce di morte da parte di Bellamy agli altri due. In fin dei conti erano state delle ore piacevoli.

Quando il ragazzo fu di nuovo a casa guardò l’orologio, era quasi mezzanotte ormai e si accorse di una chiamata persa da Clarke di quasi un’ora prima.

Maledizione.

Data l’ora tarda non sapeva se richiamarla o meno, poi decise di tentare. Il telefono squillò a vuoto un paio di volte prima che la familiare voce di Clarke rispondesse.

«Bellamy?».

«Ehi Clarke… è tutto a posto?».

«Sì, io… resto qui da Jasper per stanotte. Volevo solo sapere com’è andata la giornata e come sta il fianco» a quelle parole Bellamy sorrise.

«È stata tranquilla. Ho studiato e stasera mi sono visto con Atom e Miller al pub, per questo non ti ho risposto. Sai quanto casino ci sia in quel posto, non ho proprio sentito la suoneria. Il fianco va meglio. E la tua giornata?».

«Studio forsennato. Jasper deve preparare l’ultimo esame prima della laurea e Monty è nella stessa situazione. Poco prima di sera, quando ormai i nostri cervelli fumavano e non ne potevano più di stare sui libri abbiamo cominciato a guardare quella nuova serie di cui parlava ieri Jasper e abbiamo continuato ad oltranza. È davvero pazzesca, parla dell’FBI e insomma… niente, è veramente bella, adesso andiamo avanti e poi si dorme».

«Come si intitola la serie?».

«Quantico».

«Non la conosco… » rispose lui scrollando le spalle.

«Beh, allora dovrai guardarla».

Lui rise.

«Bene, sarà fatto. Adesso ti lascio andare e non fare troppo tardi, Principessa».

«Neanche tu. Buonanotte Bellamy».

«Buonanotte Clarke».

E detto questo riagganciò.

Non si era ancora abituato a sentirsi chiamare per nome da Clarke, di solito lo chiamava per cognome, ma si scoprì ad apprezzare particolarmente la cosa.

Sereno, si avviò in bagno per prepararsi prima di andare a letto e quando fu pronto più che altro si limitò a tuffarcisi sopra cadendovi di peso.

Il caldo era infernale nonostante avesse solo i boxer addosso e il suo climatizzatore aveva anche iniziato a fare i capricci, ma per quella sera grazie al cielo gli stava facendo la grazia di funzionare.

Si addormentò nel giro di poco, con una strana sensazione addosso.



Quando riaprì gli occhi il cielo era ancora buio, così guardò la radiosveglia, che segnava solo le tre e mezza di mattina. Non era decisamente da lui svegliarsi durante la notte, eppure era inquieto. Non gli era mai successa una cosa del genere, ma non riusciva a stare tranquillo… era come avere un presentimento, un brutto presentimento.

Si mise a sedere sul letto, era sudato e aveva un insolito e fastidioso mal di testa.

Così, nonostante non fossero nemmeno le quattro di mattina, decise di andare a fare una corsa. Sperava che lo aiutasse a liberarsi di quella sensazione.

Indossò qualcosa preso a caso dal mucchio che si era formato sulla sedia accanto all’armadio e, senza pensarci due volte, afferrò Ipod e chiavi di casa e, con la musica sparata nelle orecchie, uscì percorrendo il vialetto.

Le strade erano semideserte. Sebbene fossero pur sempre a New York, gli standard di Fort Hill erano piuttosto tranquilli. Quelli costantemente chiassosi erano Brooklyn, Manhattan e il Bronx.

Corse a lungo, ma non riuscì a liberarsi di quel fastidioso senso d’inquietudine con cui si era svegliato.

Erano quasi le cinque quando tornò a casa e, nonostante la stanchezza, si costrinse a fare una doccia prima di tornare a letto, era troppo sudato. Dannata umidità, era quella che lo uccideva più del caldo vero e proprio.

Quando si ritenne soddisfatto uscì e tornò a letto… inutile dire che crollò sfinito qualche istante dopo che la sua testa ebbe toccato il cuscino.

La seconda volta che riaprì gli occhi, la luce inondava la stanza. Doveva essere molto tardi e l’ora proiettata sul muro dalla radiosveglia gliene diede la conferma: era quasi mezzogiorno e lui si sentiva tutto scombussolato.

Non hai più l’età per le corsette notturne, Bellamy. Ormai sei più vicino ai trenta che ai venti, dovette ricordarsi.

Pranzò con una tazza di latte e biscotti, il mal di testa non era sparito come avrebbe voluto e, dato che quella sera avrebbe dovuto andare a sistemare il quadro elettrico in caserma, decise che se non si fosse sentito meglio entro un paio di ore, avrebbe preso qualcosa. Di solito evitava i farmaci se poteva, ma dato che si era preso quell’impegno, era meglio andarci con una certa lucidità e consapevolezza di ciò che stava facendo.

In quel momento suonarono alla porta e si avviò con passo svogliato, sperando che non fosse uno dei tanti boyscout che tentava di vendergli l’ennesimo pacco di biscotti.

Ma decisamente non era un boyscout.

«Clarke!» la ragazza sorrise, aveva un’aria stanca… e lui aveva dimenticato di essere ancora in boxer.

«Bellamy…? Non dirmi che ti sei appena alzato dal letto» disse squadrandolo.

«A dire il vero sì».

Lei lo sospinse di nuovo all’interno, entrando a sua volta e puntando gli occhi dritti nei suoi.

«Ti senti bene? Non hai una bella cera».

«Sì, io… ho dormito male. Non lo so che mi prende. Stanotte sono andato anche a correre per cercare di riprendermi, ma non è servito a molto a quanto pare».

«Stanotte?» gli fece eco lei.

«Sì, te l’ho detto: non riuscivo a dormire. Di solito correre mi calma, ma stavolta non ho avuto grandi risultati».

Lei lo osservò piuttosto contrariata.

«Ero passata per rifarti la medicazione. Sai che non dovresti correre con una ferita al fianco, vero?».

«È quello che mi sono detto ieri, ma pensavo che stamattina mi avrebbe davvero aiutato».

«Sì, e scommetto che adesso ti fa anche male il fianco».

«Un po’» ammise.

“Un po’” in realtà era un eufemismo, ma non poteva certo dirle che a volte gli partivano delle fitte quasi insopportabili, lo avrebbe preso, e anche giustamente, per un idiota.

Clarke gli lanciò un’occhiataccia e gli ordinò di andare a sdraiarsi in camera.

«Sono passata da casa per prendere tutto il materiale per la medicazione e, per tua fortuna, ho portato anche degli antidolorifici».

In quel momento avrebbe voluto baciarla e, dato che adesso poteva anche permettersi di farlo, lo fece.

«Non cercare di comprarmi con i baci Bellamy, sei stato un incosciente, avresti potuto sentirti male o strapparti i punti».

«Ci vuole qualcosa di più di una corsa per mettermi a tappeto Principessa».

«Comunque i punti avrebbero potuto strapparsi. Ecco, vedi? La medicazione è sporca di sangue» sbuffò.

«Sei carina quando ti preoccupi, lo sai?» di nuovo lei lo guardò di traverso, poi si concentrò sulla medicazione e Bellamy pensò che con quell’aria da dottoressa sexy le sarebbe volentieri saltato addosso.

Una volta terminato, si rialzarono entrambi e Clarke prese parola: «Io torno a casa, stanotte non sei stato il solo ad aver dormito male. Ci vediamo stasera?».

Lui scosse la testa.

«Mi dispiace, stasera devo andare in caserma a sistemare un problema con un quadro elettrico. Facciamo domani».

La ragazza annuì, poi si alzò in punta di piedi per baciarlo e lui la trattenne a sé, avvolgendole la vita con le braccia.

«Ciao Clarke».

«Ciao Bellamy» sorrise lei sulle sue labbra, dopodiché si allontanò.

Fu quando la vide oltrepassare la soglia di casa sua che un brivido gelido gli corse lungo la schiena e lui si chiese che diavolo gli prendesse, perché non riusciva a togliersi di dosso quella sensazione sgradevole.

Cercò di tenersi occupato per tutto il resto del pomeriggio fino all’ora di cena e, dopo mangiato, andò in caserma come promesso ad Atom e Miller. Ora si sentiva decisamente meglio, nonostante quella strana inquietudine si ostinasse a permanere.

I suoi colleghi lo accolsero calorosamente come al solito e qualcuno non mancò scherzosamente di fargli notare quanto sembrasse rilassato adesso che era in ferie mentre loro lavoravano con quel caldo infernale.

Atom lo portò al quadro elettrico che dava problemi e lui così ebbe modo di rispolverare le sue vecchie nozioni da elettricista. Impiegò poco meno di un’ora per risolvere il problema; una volta probabilmente lo avrebbe fatto in meno tempo, ma adesso era un po’ arrugginito.

Erano quasi le undici ormai e lui si fermò a chiacchierare un po’ con i suoi colleghi quando ad un tratto una chiamata li interruppe, facendo suonare la familiare sirena che ormai Bellamy aveva imparato a conoscere fin troppo bene e, subito dopo, udirono la solita voce femminile annunciare: «Camion 62, autopompa 22, squadra 9, ambulanza 52. Edificio in fiamme al numero 119 di Sloane Avenue».

Le due squadre di mossero simultaneamente come un’unica entità e anche Bellamy scattò in piedi, più per abitudine che per altro, ma poi fu come se fosse travolto da un’ondata d’acqua gelida e sentì lo stomaco precipitargli verso il basso.

Fu solo allora che si seppe spiegare l’angoscia dell’intera giornata: quello era l’indirizzo di Clarke.




NOTE:
Ebbene sì, sono tornata e mi scuso immensamente per il ritardo. Davvero, mi dispiace, ma con tutti gli impegni che ho avuto nell’ultimo mese non sono riuscita a fare altro.

Ad ogni modo, in questo capitolo mi sembra di aver messo una buona dose di Bellarke, perciò spero che mi perdonerete (forse di Bellarke ce n’è stato anche troppo, per questo il capitolo si è concluso come si è concluso). Ok, sono sadica, ma tutto fa parte di un progetto più grande, abbiate fede. Oddio, mi sento un prete in questo momento.

Va beh, comunque… bando alle ciance o ciancio alle bande è lo stesso, non fate caso a me. Sto scrivendo queste righe quasi a mezzanotte, quindi abbiate pietà e, nonostante il ritardo, spero che mi facciate sapere quali sono state le vostre opinioni su questo capitolo.

Scusate, ma la tentazione di inserire “The Walking Dead” e “Quantico” è stata troppo forte, sono due serie che amo e che consiglierei a tutto il mondo, perciò se ancora non l’avete fatto guardatele XD

Dunque, io ora vi lascio e ci risentiamo al prossimo capitolo (che vi prometto, arriverà prima di quanto non abbia fatto questo).

Alla prossima!

Mel



Lionheart – Demi Lovato. Clarke

Ready! Aim! Fire! – Imagine Dragons. Bellamy

   
 
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