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Autore: Martin Eden    08/12/2015    3 recensioni
Seguito de "Lo scrigno del potere" (pensavate di esservi liberati di me? :P)
Sono passati sei lunghi anni da quando Will Turner è ritornato nella sua Port Royal, sei lunghi anni a pensare che cosa farne della sua vita. Niente è andato secondo i suoi piani. Elodie Melody Sparrow è libera per mare, ma non gli è mai capitato di rivederla. Nè lei nè il suo squinternato fratello Jack Sparrow.
Ma se i loro destini si incrociassero di nuovo? E non certo per caso...
Storia scritta con l'aiuto di Fanny Jumping Sparrow, fedele compagna di avventure :)
Genere: Avventura, Suspence | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jack Sparrow, Nuovo Personaggio, Will Turner
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Pirati dei Caraibi - Avventure per mare'
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CAP. 4 – PER AMORE O PER GIOCO

 
 
- Capitano Élodie! Mi spiace disturbarvi...- biascicò il nostromo – Devo disturbarvi di nuovo.
   La donna storse la bocca in una smorfia acre. Sapeva già cosa stava per dirle. La cosa non le piaceva, ne sentiva il sapore amaro tra i denti, come se avesse ingoiato improvvisamente dell’olio di ricino.
- Parla.- ordinò, con una falsa calma tra le dita.
   Dopo un attimo di sospensione venata di paura, l’uomo sputò fuori:
- Purtroppo abbiamo perso un altro marinaio.-
   Élodie strinse forte la pipa tra le labbra, con fare nervoso, ma davanti agli altri non voleva farsi vedere neanche lontanamente turbata. Subito si impose di non esagerare. Aspirò avidamente il tabacco, se lo rimestò un po’ in bocca e poi espulse una pallina di saliva grigia e maleodorante. Quel gesto sprezzante la fece sentire meglio.
- Il caro Lord Bellamy non perde un colpo.- commentò, con ironia tagliente.
   Jack era accanto a lei. Alla notizia, alzò le spalle:
- E’ il suo lavoro, ora, cosa ti aspettavi? Pietà divina?- rincarò.
   Senza aspettare una reale risposta, andò al credenzino dei liquori, lo aprì e si versò un generoso bicchiere dalla prestigiosa bottiglia di rhum cubano. Non chiese il permesso; Élodie tuttavia glielo accordò in silenzio. Se c’era un prezzo, per avere suo fratello al fianco, preferiva pagarlo così. In quel momento, sentiva di averne bisogno più che mai, anche se non l’avrebbe ammesso tanto facilmente. Inoltre, aveva bisogno del suo aiuto per rintracciare e avere il suo bambino, William, con sé.
   Le mancava da impazzire. Ormai si era abituata alla sua vocina ancora in erba, ai suoi occhioni curiosi. Si era abituata a tutto: al suo odore, alla sua pelle. Era come una sua propaggine, sbocciata in lei quando meno se l’aspettava, ma piena di vita come lei forse non lo era mai stata in tutta la sua esistenza. Era il suo angelo. Per questo era ancora più difficile ignorare la sua assenza.
   Ma ora c’erano problemi più pressanti a cui pensare.
   Fece uscire il marinaio, poi si voltò verso Jack, che la osservava sorseggiando il rhum:
- Era meglio quando era solo un secondo ufficiale. Non che mi sia mai piaciuto, a dire il vero. A quanto pare, la gavetta è servita solo a farlo incattivire. Ma anche questo era un risultato piuttosto scontato, non trovi?- argomentò il pirata.
   Voleva mostrarsi partecipe, Jack Sparrow, ma si capiva benissimo che la sua mente era lontana miglia e miglia. Alzava gli occhi ora sulla sorella, ora sul bicchiere, e sembrava cercare qualcosa in quel rame liquido. Élodie non lo richiamò indietro. Probabilmente, si trovavano già assieme sulla stessa isola.
- Chi è cattivo nel profondo inquinerà anche la superficie, prima o poi.- sentenziò poi, dopo un attimo di silenzio.
   Jack parve per un attimo riscuotersi. La guardò: aveva le sopracciglia aggrottate. Si capiva che era in preda a un dubbio. Ultimamente, gliene venivano assai, di dubbi. Troppi, secondo Élodie. Era per questo che non si fidava più tanto di lui.
- Vale anche per noi, secondo te?- le chiese il fratello, dopo un lentissimo rimuginare.
   Élodie scosse la testa e sospirò. Le domande con cui se ne usciva Jack, in quegli ultimi tempi, erano talmente ingenue, per non dire prive di quella razionalità che ci si aspetterebbe di vedere in un uomo pronto a tutto, che a volte quasi le pareva di aver ereditato un secondo figlio. Non era una sensazione piacevole.
- No, Jack.- fu franca, con lui, nonostante tutto - Noi spariamo solo a chi vuole ammazzarci. Non andiamo a togliere la libertà né la vita a chicchessia a meno che lui per primo non le voglia togliere a noi. Noi non distruggiamo la vita di altri solo per ottenere dei soldi. Sarebbe un guadagno troppo facile e sporco di sangue. Siamo pirati, siamo bricconi, ma non così mercenari come pare. Non siamo cacciatori di taglie come il nostro “amico” Lord Bellamy.-
   Ci pensò un po’ su. In effetti, c’era una marea di luna piena che li divideva da quel nemico che ora li stava cercando in tutti i buchi possibili e inimmaginabili; con lui condividevano solo un discreto amore per la giustizia fatta da sé e per il sano pragmatismo. Certamente, questi due aspetti delle loro vite, però, li avevano declinati in modo totalmente diverso. Allora perché ci stava ancora pensando?
- Ma ti sei rincitrullito?!- sbottò poi la donna, del tutto inaspettatamente, battendo un pugno sul tavolo – Che razza di domande mi fai?!-
   Jack si riscosse, come se fosse stato strappato via dal mondo dei sogni. Ci volle qualche secondo perché si riacclimatasse a quell’aria viziata e ombrosa, che regnava sovrana da un po’ in quell’angolo della nave:
- No, niente. Chiedevo così...- balbettò, finendo il suo rhum.
   Era inquieto. Non voleva ammetterlo, ma il pensiero del piccolo William, abbandonato senza tanti complimenti a Port Royal, gli rodeva il fegato. Era strano non averlo più sulla nave, ormai vi si era abituato e adesso quel contatto continuo quasi gli mancava. Certo, il piccolo era in compagnia di Will Turner, un buon partito, ma fino a quando poteva essere sicuro che quello fosse un porto franco per lui?
- Non possiamo permetterci di perdere altri marinai.- la voce di Élodie era bassa, vibrante: aveva lo stesso rumore di una lama affilata – Ce li sta facendo fuori ad uno ad uno. Non ho la più pallida idea di come faccia a beccarli, forse ci vuole solo spaventare. Ma li trova. Non so come, ma li riconosce e poi li stana. Li intercetta mentre vanno a prendere provviste, mentre cercano elementi nuovi per la ciurma, quando si riforniscono di acqua. Per qualunque di loro, è un rischio enorme scendere a terra; per non parlare di me e te. Non possiamo attraccare e non possiamo mandare emissari. Ci sta prendendo per il collo.-
   La donna aspirò di nuovo dalla pipa. Poi continuò:
- E’ chiaro che loro non sono furbi come noi, Jack, altrimenti ci avrebbero già saltati addosso. Ma lui non ha intenzione di demordere. O forse è perché si diverte di più così?- sospirò – Non ci è dato saperlo, anche se ormai mi pare di conoscerlo bene. Stavolta taglierà ogni ponte tra noi e la terraferma, finchè non saremo costretti a consegnarci. Ci prende per la gola, capito? Non oso pensare a quando arriverà a William...- la voce le si ruppe in mille pezzi – Perché ci arriverà, Jack. Puoi scommetterci tutta la tua fantasmagorica acconciatura.-
- Non finchè io sarò a questo mondo!- si difese Jack, sbattendo il bicchiere contro il capezzale del letto – Dovrà passare sul mio corpo! E io sono viscido come un’anguilla.-
   Élodie lo guardò stancamente. Come faceva a non capire? In poco tempo sarebbero stati tutti in gabbia come topi, se non avessero trovato una soluzione. Troppe cose e troppi affari sporchi si erano incrociati e ora erano troppi anche per essere districati:
- Non avremmo mai dovuto rubare quel diamante.- considerò – E’ con quel furto che è iniziato tutto. Abbiamo attirato l’attenzione su di noi. Lui ci stava già dando la caccia; gli abbiamo solo fornito un motivo in più.-
   Ci fu un attimo di silenzio.
- Non sono d’accordo.- Jack si avvicinò a lei, prese una sedia e le si sedette giusto di fronte. Sventolò una mano per dissipare la nuvola di fumo che si frapponeva tra lui e la sorella: da quando era nato William, non sapeva per quale motivo preciso, aveva perso interesse per il tabacco. Ogni tanto fumava ancora, sì, qualche sigaro, ma capitava ormai raramente. Del resto, a William non piaceva l’odore della pipa accesa.
   Jack respirò a fondo quell’aria vagamente ripulita:
- Il nesso è legato ancora ad anni fa, Élodie, non far finta che non sia vero.- le ricordò – E’ a noi che non importa di lui, ma a lui importa di noi, eccome. Ci tiene dietro da anni, Élodie. Solo che non aveva così tanta forza per fronteggiarci senza andare incontro alla sconfitta. Era solo, quando l’abbiamo visto l’ultima volta. Ha avuto tutto il tempo di riadattarsi, costruirsi una valida reputazione e una flotta: gavetta, sorella. Oltretutto, non penso che sia così stupido. Infatti adesso è “Lord” Bellamy, capitano del Chaser, il Cacciatore.-
- La Madreperla può competere con quella nave.- affermò Élodie – Al confronto, quella è solo una bagnarola. Io non ho paura.-
- Nemmeno lui, se è per questo.- disse Jack, in un soffio.
- Ma tu sì, Jack. Tu sei diventato l’anello debole della mia catena.- lo accusò la sorella, allontanandosi con disprezzo – Non so cosa ti gira in quella zucca vuota, ma non è niente di buono per me. L’unica idea intelligente che ti concedo è stata quella di portare William lontano da qui. Quella è stata una grande idea, sul serio.-
   Jack contrasse i pugni con una smorfia. Non gli era sfuggita la sottile ironia di Élodie, ben celata dietro quei complimenti. Sì, è stata una grande idea, si convinse.
(perché io voglio bene a william come se fosse mio)
- Suo padre si prenderà cura di lui. Di William Turner ci possiamo fidare: lo sai com’è fatto. Lui ha il cuore d’oro.-
   A quel nome, Élodie sospirò. Erano sei anni che non rivedeva più quel viso che per lei era stato così caro; sei anni passati chiamando William un’altra persona, un altro essere. Il suo riflesso. Il riflesso di ciò che c’era stato fra di loro e che purtroppo non aveva trovato terreno fertile in cui germogliare.
- E’ stata una grande scelta, la tua.- Jack la guardò negli occhi, ed era chiaro in che senso voleva intendere quella frase. Élodie arrossì:
- Non so cosa farmene dei tuoi giudizi, ora.- lo zittì, quasi offesa.
   Jack si alzò in piedi: era ora di andare.
- D’accordo, credo di aver avuto un certo sentore. Direi che adesso vado a dare un’occhiata alle sartie.- annunciò, ma prima di muoversi afferrò di nuovo la bottiglia di rhum e se ne versò dell’altro – Questo mi aiuterà.-
- A far cosa, Jack?- Élodie nemmeno lo degnava più di un’occhiata – A farti venire un’altra strampalata idea per toglierci di impiccio? O anche stavolta dovrò aspettare di averne una brillante io?-
   Jack, con il bicchiere a mezz’aria tra il tavolo e la sua bocca, ebbe un attimo di vertigine. Possibile che il tabacco fosse così potente da trasformare le persone più capaci in belve feroci? Tracannò il resto del suo rhum, e anche quella domanda passò.
- Vado.-
   Lasciò il bicchiere vuoto sul tavolo, prese la porta e si congedò da solo e senza un sorriso. Élodie non gli aveva nemmeno chiesto notizie di William. Strano. Strano, davvero.
   Non voleva essere così cattivo da pensare che lo spirito materno di Élodie fosse andato a farsi benedire, ma una parolina per suo figlio ci stava. Anche solo chiedere se fosse vivo, no?
   Baggianate! Scosse la testa. Alla fine si faceva sempre prendere dalla tenerezza per suo nipote, e così non andava bene! Per niente! Lui era Jack Sparrow, un terrore dei Sette Mari, e non poteva essere vinto neanche da una punta di sentimentalismo.
   Ciononostante, i recenti episodi lo convinsero anche più del necessario che fosse assolutamente, indiscutibilmente, traumaticamente cruciale fare qualcosa.
 
- Coraggio, William. E’ ora di andare.-
   Will tirò le coperte e il piccolo finalmente venne alla luce. Raggomitolato su se stesso, come un gattino strappato dal sonno troppo presto (qual era), si girò e rigirò su se stesso in cerca del cuscino:
- Nooo!- frignò.
- Sìììì!- lo prese in giro Will, allegro – Su, dai, oggi andrai dalla signora Muppet.-
   Erano passate quasi due settimane da quando era piombato nella sua vita, ma tutto sommato non andava così male. Anzi, sembrava fossero insieme da molto più tempo di quanto non si fossero aspettati entrambi.
   Gli aveva insegnato un po’ di mondo. Che non si rubava dalle bancarelle. Che bisognava sempre salutare gentilmente le signore. Che il giorno e la notte non erano intercambiabili. Che dopo aver ricevuto doni bisogna sempre dire “grazie”.
   Cose stupide, cose ovvie, ma era un piacere spiegargliele e vedere come quel frugoletto assorbiva le informazioni, le rielaborava e le applicava. Forse voleva solo farlo contento, ma per Will poteva andare. Un po’ di sani principi, prima di tutto.
   A Will pareva di essere rinato, dopo aver conosciuto William. William aveva imparato a comprenderlo, almeno un po’, nelle sue stranezze di adulto, e adesso era molto più facile e piacevole accudirlo. Lasciava fare. Forse con un po’ di indifferenza, ma a Will andava bene comunque. Erano solo agli inizi, che pretendere?
   Lo girò verso di lui e lo prese in braccio, facendogli il solletico. William rise e cercò di divincolarsi. Saltò giù dal letto e subito si mise a correre per la stanza, ogni tanto voltandosi indietro per vedere se Will si fosse già messo a rincorrerlo oppure no.
   Will fece finta di inseguirlo. Il bambino scappò oltre la porta, dietro la quale si nascose per far poi capolino. A ogni movimento di Will corrispondeva con perfetta sincronia un movimento di William, in una danza pacifica e che apparteneva solo a loro. Un balletto di cui Will faceva fatica a non innamorarsi.
   Finalmente riuscì ad acchiapparlo. Lo costrinse a sedersi a tavola, dove la solita colazione frugale era già pronta. Per quel giorno avevano pane e burro e una scodella di latte fresco. William ingollò tutto quasi d’un fiato: la mattina era sempre così affamato da far temere ogni volta a Will che si strozzasse con quei bocconi. Era abituato a divorare la vita, William, si vedeva lontano un miglio. Aveva sei anni, perché non lasciarglielo fare?
- Andiamo, baba?- il piccolo saltò giù dalla sedia e corse a prendere la mantellina che Will gli aveva regalato pochi giorni prima.
   Non aveva ancora finito di mangiare, ma Will si alzò e accompagnò il suo ospite fin davanti alla porta. Avrebbe finito più tardi, una frase che ora ricorreva fin troppo spesso nella sua vita. Ma non se ne ebbe a male. Era un prezzo che era disponibile a pagare.
   Uscirono nella sottile nebbiolina che avvolgeva Port Royal in quelle ore mattutine. Era l’unico momento della giornata in cui, appena messo il naso fuori dalla porta, tremavi un po’ per il frescolino. Appena un attimo, poi il sole sbucava da dietro le nuvole e la vita sembrava sorriderti di nuovo.
   Will attraversò il cortile con una certa baldanza, sicuro che il piccoletto gli stava già alle calcagna. Da qualche tempo non aveva più paura che potesse scappare, anche perché avevano capito entrambi quanto avessero bisogno l’uno dell’altro, in un momento simile. Separarsi non giovava a nessuno, anzi, aggiungeva problemi alla già dura esistenza; perché complicarsela? Sia lui che William l’avevano capito fin troppo presto e si erano accomodati come meglio potevano alla presenza dell’altro, anche se ancora ruzzolavano sovente in accese “chiacchierate”.
   Non quel giorno. Quel giorno era appena incominciato, in quella nebbiolina carica di promesse. Si diressero dunque insieme e a passo celere verso la casa della vicina, la signora Muppet. Appena giunti davanti alla porta, Will bussò con una certa energia, certo che l’anziana fosse già sveglia e molto più di loro.
- Eccoci, signora!- chiocciò, con fare affabile – Buongiorno!-
   La signora comparve sulla porta dopo un flebile rumore di passi strascicati sul pavimento:
- Buongiorno, cari!- li salutò con un sorriso – Buongiorno, Will!-
   Poi, rivolta a William:
- Amore! Vieni, ti ho preparato il tè.- lo invitò.
   Il bambino si fiondò dentro senza farselo ripetere due volte. Dall’ultima settimana era sempre ben accetto a casa della signora Muppet, dove tutti i giorni lo attendeva una lauta seconda colazione, che integrava con la precedente le calorie richieste dal suo bel pancino.
   Non vedeva l’ora.
   Will storse il naso a quell’atteggiamento fin troppo confidenziale di William, ma la signora Muppet lo tranquillizzò subito:
- Non vi date pena, Will, è un bambino adorabile! E’ così vivace! Mi dà tanta gioia!- sorrise, sorrise e poi sorrise ancora – Sono così felice che vogliate portarlo così spesso qui da me! E’ così dolce!-
   Will aveva già intuito quanto la signora Muppet si fosse affezionata al pulcino, nonostante a volte le rompesse le tende, rovesciasse qualche sedia e la facesse girovagare senza sosta in giardino nel tentativo di prenderlo. C’è da dire, però, a suo vantaggio, che ancora non aveva tentato di fuggire. Probabilmente, si divertiva troppo a prendere in giro l’anziana vicina, e quella prospettiva era molto più allettante che trovarsi da solo in mezzo a un mondo ostile. Will non aveva nulla da eccepire.
   Almeno, per cinque giorni su sette poteva ritenersi sollevato dal greve incarico di fargli da balia. Non dimenticava di certo la promessa fatta a Jack: infatti tornava a controllare ad ogni pausa dal lavoro, per salutare o per portare alla signora Muppet qualche cosa di cui avesse bisogno, o piccoli regalini che potessero rendere il suo compito meno pesante.
   Quindi, non c’era nulla di cui doversi preoccupare. William era accudito, tenuto a freno, rifocillato e occupato per tutto il tempo necessario a farlo cadere a terra morto stecchito di sonno. Su una cosa la signora Muppet non si sbagliava: William era veramente molto, molto, troppo vivace.
- Tornerò per mezzodì.- le comunicò Will – Buona giornata, signora, e grazie per tutto l’aiuto che ci date!-
- Oh, sono così felice che lo abbiate chiesto a me!- si compiacque di nuovo lei, mentre Will si allontanava cautamente – Avete reso la mia vecchiaia un’esperienza gioiosa! Grazie, Will! Sempre a disposizione per aiutare un bravo padre e un bravo figlio!-
   Will stava già salutandola con la mano, abbastanza distante perché l’anziana non potesse più tanto facilmente raggiungerlo con la sua voce ciarliera o con una delle sue mani adunche:
- A presto!- si congedò, ridendo sotto i baffi per tutti quei complimenti che non sapeva ancora quanto gli appartenessero veramente.
   Si incamminò verso la fucina. Ricalpestare quelle strade lastricate da solo, dopo i primi tempi passati a farlo con William, gli sembrava ogni giorno più strano. L’eco dei suoi passi suonava solo, derelitto, quasi.
   Si sforzò di non pensarci. Era solo una situazione temporanea. In fondo, Jack aveva detto che doveva tenerlo solo per un po’, giusto? “Sarebbero tornati a prenderlo, quando avrebbero potuto”.
   Era da un paio di giorni che quelle parole continuavano a rimbombargli drammaticamente nella testa, un po’ come un campanello d’allarme, ma non sapeva per quale motivo. Forse perché quel silenzio durato due settimane cominciava a pendergli sulla testa come una spada di Damocle, e Will si rendeva conto che non si sarebbe protratto ancora a lungo. Jack era un gran furfante, si infischiava delle promesse, ma a quanto pareva non se n’era mai infischiato di William. Il solo pensiero che potesse tornare metteva Will in una posizione orribile: diviso, anzi, dilaniato tra l’essere padre e l’essere giusto.
   Non negava che ora come ora avrebbe voluto tenere William con sé, o andare con lui dove questi l’avrebbe portato. Oramai non c’era veramente più niente che lo trattenesse a Port Royal. Che avrebbe fatto, lì da solo, con il rischio che qualcuno gli venisse a porre domande scomode?
   D’altra parte, se avesse proposto a Jack di partire con loro, quello sarebbe stato d’accordo? O si sarebbe rivelato il solito egoista?
   Domande, solo domande e nessuna risposta. Circumnavigava le sue ansie senza avere il coraggio di entrarci e porre fine ai tormenti; combatterle, se necessario, morirci, ma risolverle. Si sentiva impotente di fronte a quegli interrogativi, ed era anche sufficientemente codardo da accantonarli ogni volta.
   Mentre camminava, con una bisaccia sulla spalla, un foglio di pergamena danzò ai suoi piedi, attirato dal vento. Non fece in tempo ad afferrarlo, ma potè intravedere sulla carta ruvida l’inizio di una parola ben conosciuta. “WANTED”.
   Si voltò per vederla scivolare via, senza aver mostrato il ritratto dell’interessato. Il tutto gli fece pensare di nuovo a Jack, per quanto cercasse di respingere il pensiero. Sarebbe stato molto più ovvio pensare a Élodie Melody Sparrow, almeno ogni tanto; invece lui voleva Jack. Jack era il suo anticristo, il riflesso nel suo specchio. Jack era ciò che lui non aveva avuto il coraggio di diventare. E lui lo era per Jack. Chissà se il pirata avrebbe mai potuto essere un buon baba?
   Al di là di tutti questi pensieri, uno più pesante dell’altro, come pietre, credeva di aver preso una decisione. Non sapeva ancora dove l’avrebbe portato, ma quella mattina di certo non l’avrebbe condotto al lavoro. Aveva presto tutt’altra direzione.
   A grandi passi, quasi si sentisse inseguito, si stava dirigendo verso l’ufficio del suo ex suocero, nonché governatore di Port Royal, Sir Watherby Swann. Non aveva la più pallida idea della faccia che avrebbe fatto quel parente acquisito rivedendolo lì, in piedi di fronte a lui, dopo tutto quel tempo e dopo tutto quello che era successo.
   Ma doveva tentare. Doveva almeno provare a fare qualcosa, perché ormai sentiva di non avere più molto tempo. Nelle ultime due settimane aveva protetto le orecchie di William da pesanti campanelli da allarme, eppure non aveva potuto ignorarli. Lord Bellamy, il “Cacciatore”, come tutti amavano chiamarlo in un tripudio di sorrisetti condiscendenti e speranzosi, era arrivato in città con il suo seguito e la sua nave, il Chaser. Da quel momento, almeno una barca andava a fuoco ogni sera nei dintorni di Port Royal o qualche miglio più in là. Si erano intensificati i controlli e i pirati erano tenuti lontani da un cordone di fucilatori scelti.
   A Will importava poco di tutto questo, a parte che il caso aveva voluto che suo figlio fosse un mezzosangue, uscito dal grembo di una piratessa, e che fosse con lui. Non era più sicuro tenerlo lì. Qualcuno avrebbe potuto scoprirli, o tendere una trappola all’altra metà della famiglia. Will non voleva che accadesse. Né a Élodie e, inspiegabilmente, neanche a Jack Sparrow.
   Potevano reincontrarsi lontano da lì e tutti sarebbero stati al sicuro. In primis, suo figlio.
   Per questo andava dall’ex suocero. Gli servivano documenti veri e vergati per passare le dogane e i blocchi certamente imposti da quel Bellamy. Passare indenne attraverso i punti più difficili, diretto verso...non sapeva dove. Ma anche non sapere dove andare era sempre meglio che stare fermi con le mani in mano a Port Royal.
   Aveva deciso di non rivelare del tutto le sue intenzioni al governatore Swann, ma solo navigare in acque il più possibile sicure. La conversazione di certo non sarebbe stata allegra; Will non riteneva necessario far pesare allo suocero anche il destino del piccolo, a dire il vero non vedeva neanche il bisogno di dirgli alcunché al riguardo. E nemmeno intendeva proferire parola su quello di Jack Sparrow, specialmente quando sarebbe tornato e non li avrebbe trovati. Non aveva potuto avvertirlo.
   Non poteva fare niente.
   Intanto, era giunto alla porta del governatore. La pesante targa dorata era ancora dove l’aveva vista l’ultima volta, solo con qualche strato di polvere in più. Evidentemente, nonostante le lucidature, l’incuria aveva raggiunto la proprietà Swann come un cancro.
   Will sospirò. Forse anche lui era stato parte di quel male, in modo del tutto inconsapevole. Scosse la testa. Era inutile recriminare il passato; ora c’era solo il presente.
   Il suo.
   Concesse solo una breve occhiata alle finestre di vetro smerigliato, senza soffermarsi più di tanto sul suo riflesso.
   Poi spinse la porta ed entrò.
 
   Dal profumo che aleggiava nello stretto ingresso capì che Elizabeth doveva essere in casa.
   La vecchia residenza degli Swann riempiva un piccolo edificio di due piani, al primo dei quali stava la residenza di padre e figlia, gli unici rimasti di quel blasonato ramo della famiglia; al pianoterra, invece, si aprivano una veranda immensa e, di fronte, lo studio del governatore.
   Probabilmente Elizabeth si trovava al piano superiore. Will ebbe un capogiro: non era in condizioni di incontrarla di nuovo. Non quel giorno.
   Si diresse subito verso lo studio. Si accorse che non era il solo ad avere avuto quell’idea. Nella piccola saletta antistante la stanza, c’era già qualche questuante, come molti ce n’erano tutti i giorni, per quel che Will poteva ricordarsi. Poco male: aveva fretta, ma non così tanta fretta di rischiare di essere cacciato fuori.
   Poiché era solo l’ultimo della fila, si sedette in un angolo ad aspettare. Lui non aveva più il potere di esercitare alcun diritto, tra  quelle mura, e neanche di godere di qualsivoglia privilegio. Anche se era ancora ufficialmente sposato con Elizabeth Swann, il tacito accordo che avevano preso era che lui rimanesse il più lontano possibile dalla sua vita e non interferisse con le agiatezze alle quali lei si era sicuramente riabituata.
   Si guardò intorno. Un paio di facce incuriosite si voltarono verso di lui per un secondo, ma si disinteressarono subito. Decisamente, non aveva un aspetto che invitasse alle chiacchiere e ci teneva un sacco che rimanesse tale per tutto il tempo in cui sarebbe stato costretto su quella sedia. Non voleva dare nell’occhio, non voleva rispondere a nessuna domanda che non gli avesse posto Watherby Swann, per ovvie ragioni. Era una richiesta decisamente poco esigente, considerata la brutta situazione in cui si trovava.
   Dentro allo studio del governatore si stava svolgendo una conversazione. Le voci possenti di due uomini passavano oltre la porta a vetri e arrivavano attutite alle orecchie di Will, che comunque riuscì a coglierne alcuni stralci.
   Uno dei due era sicuramente il governatore Swann. Aveva il solito tono cantilenante e alternava le battute con alcune risate a metà strada tra l’imbarazzato e il complice. Un atteggiamento insolitamente succube per chi conosceva il governatore, come Will.
   Si sporse dalla sedia. Vedeva delle ombre oltre le pareti piombate dello studio. Un’altra figura, alta, robusta, così diversa da quella di Whatherby Swann, catturò subito il suo campo visivo. Portava un cappello a tesa larga e un mantello che svolazzava mentre lo sconosciuto mulinava le mani come a disegnare piani d’attacco nell’aria. Aveva un tono eccitato, nonostante non si capisse molto di quello che diceva. Aveva un accento strano, come se non fosse inglese. Will si chiese dove aveva già sentito quel modo di parlare così concitato e...rotolante. Si lo avrebbe definito rotolante, come se le parole uscissero da quella bocca e rovinassero sul pavimento.
   Doveva essere veramente un tipo importante se si permetteva di parlare così sfrontatamente e in modo poco elegante di fronte al governatore di Port Royal. E che Watherby Swann sopportasse il tutto di buon grado, anzi, sembrasse lusingato da quella presenza.
   Mentre Will si chiedeva che cosa stava succedendo, la porta si spalancò di botto e i due uomini comparvero sulla soglia. Ridacchiavano scambiandosi occhiate d’intesa, come a siglare un accordo appena concluso. Will sentì il cuore correre in gola e non seppe perché, sul momento. Conosceva bene Watherby Swann e per lui provava da sempre un timore reverenziale che, nonostante tutto, era sempre riuscito a gestire; non era mai andato oltre a questo, a dire il vero, non sapeva nemmeno se gli aveva mai voluto bene, ad esempio.
   Era l’altro uomo che l’aveva fatto irrigidire. Ora che lo vedeva senza il vetro a dividerli, si accorse che c’era in lui qualcosa di cavernoso. Un’antica paura gli scivolò lungo le gambe a strizzargli forte lo stomaco.
   Con il cappello calcato pesantemente sulla fronte, i suoi occhi risultavano quasi invisibili in quella penombra. Ma Will vide che dardeggiavano in ogni direzione, come quelli di una bestia famelica. Notò dei riccioli scuri ai lati del viso, scappati probabilmente da una stretta fascia che portava sotto la tesa.
   C’era il mantello, simile a quello di un ufficiale di marina, ma molto più tetro. Non era nuovo, indovinò da alcuni segni ben visibili nel tessuto; nero come la pece, decorato con quelli che sembravano gioiellini luccicanti ma in verità, a un occhio attento, non sarebbe servito molto per capire che si trattava di
(ossa)
e piccoli denti d’oro. Will non osò pensare da dove provenissero. Sicuramente rendevano bene l’idea di “vissuto”.
   Non aveva forza per alzarsi dalla sedia e andarsene, ma avrebbe voluto. Di fronte a quella visione, si sentì ancora più allo scoperto, ancora più inerme, ancora più povero di spirito. Lo seppe prima di sentire pronunciare il suo nome.
- A presto, Lord Bellamy!- chiocciò il signor Swann.
   E quello se ne andò, rivolgendogli solo un cenno e quello che voleva essere un sorriso, ma sembrava piuttosto un ghigno di vittoria. Will si costrinse a stare seduto mentre quel colosso gli passava accanto, avvolto in un debole odore di tabacco e qualcosa che tintinnava, da qualche parte. Will cercò di non pensare. Si preoccupò solo di non incrociare quegli occhi, di non farsi sorprendere.
   Il Cacciatore gli passò accanto a grandi passi, senza degnarlo di uno sguardo, se non prima di dileguarsi oltre la porta d’entrata.
 
   Will sentiva freddo ovunque, come se gli fosse passata accanto la morte. Solo allora si accorse di essere solo, in quel piccolo tinello. Gli altri richiedenti se n’erano andati, anche se lui non avrebbe saputo dire quando fosse successo. Era come caduto in trance. Di quei fugaci dieci secondi di visione, non aveva più udito né capito niente, erano solo lui e Bellamy in quella bolla atemporale. Nel frattempo, nel mondo reale gli altri lo avevano abbandonato alla sua torbida sorte.
- Will?- il governatore Swann si avvicinò a lui, incredulo – William Turner?-
   Will si riscosse. Sentire pronunciare il suo nome fu per lui strano, come se una mano l’avesse afferrato per la collottola e riportato a galla dopo essere affogato. Ritornare alla vita in quel modo non era esattamente ciò che si aspettava, ad essere sinceri.
   Si voltò verso Weatherby Swann e lo vide come l’aveva sempre visto. Lui non era mai stato particolarmente ambizioso o zelante. Il potere, il denaro o la smania di successo non l’avevano mai veramente interessato. Era sempre stato un uomo retto e ragionevole. Will lo ammirava profondamente, anche se non gliel’aveva mai detto.
- Sì, signore.- si alzò in piedi, richiamato da un comando di fronte al quale non poteva rifiutarsi. Weatherby Swann era stato come un padre per  lui, almeno, molto tempo prima. Era stato l’unico padre che avesse mai conosciuto.
- Che cosa ci fai qui?- ora il tono di quella persona era come una raschiatura di barile, graffiante e pungente allo stesso tempo, una cosa veramente fastidiosa.
 Weatherby Swann aveva avuto una vita piuttosto tranquilla, a parte la prematura dipartita di sua moglie; tuttavia, ciò che di sconvolgente non era successo in tanti anni, si era verificato in pochi infausti mesi. Gli eventi della sua perfetta e invidiabile esistenza erano precipitati rovinosamente, senza che la sua autorità e il suo buon senso avessero potuto contrastarne l’esito.
   Adesso si trovava faccia a faccia con colui che era il principale responsabile di quel dissesto. Si riteneva un gentiluomo rispettabile e tollerante, e soltanto per quella ragione non stava richiamando i suoi uomini per ordinare di gettare in strada Will Turner, la causa di tutti i suoi mali. Là meritava di stare.
   Pure Will lo sapeva. Ma tentò di non pensarci.
- Sono venuto qui per una richiesta, Milord.- cercò di essere gentile, nonostante gli occhiacci del governatore. Lo disse velocemente, quasi mangiandosi le parole, sperando che così facendo il colloquio sarebbe stato rapido e meno doloroso.
- Che altro vuoi da mia figlia?!- si inalberò l’altro. Era davvero convinto di trovare clemenza e comprensione in lui? – Non ti è bastato aver distrutto tutti i suoi sogni? Non ti è bastato non averla resa felice come meritava? Ora vieni da me a chiedere la carità per i tuoi peccati?-
- Non sono qui per Elizabeth.-
   Forse gli uscirono troppo dure, quelle parole, perché il viso di Weatherby Swann si tinse improvvisamente di viola:
- Come osi...!- tuonò, tanto che Will trattenne il fiato di fronte a quell’uomo così arrabbiato – Come osi rivolgerti a noi in questo modo?!-
   Teneva solo a due cose oramai: il suo buon nome e la felicità della sua amata Elizabeth. Ma quel Turner le aveva rovinate entrambe.
   Certamente non era stato il miglior partito che avrebbe sperato di avere come genero, anzi era l’ultimo pretendente che poteva considerare. Così giovane e immaturo, come lo vedeva lui, senza arte né parte, al limite della miseria. Aveva dubitato fortemente della decisione di sua figlia, ritenendo che si trattasse di un’infatuazione passeggera, di un affetto infantile che si sarebbe rivelato nient’altro che un abbaglio.
   Tuttavia, di fronte all’incrollabile determinazione della figlia, aveva alla fine ceduto e acconsentito alla loro unione. Frequentando Will, gli era poi parso un ragazzo appropriato, a modo, onesto, nonostante le origini assolutamente oscure e quella scintilla inquieta nello sguardo, che non era mai riuscito a comprendere a fondo. A volte era come se viaggiasse in una dimensione parallela, da solo, lontano nel tempo e nello spazio; abbandonava quel mondo con leggerezza, e abbandonava anche loro due, padre e figlia, perché forse non erano degni di seguirlo là dove andava.
   Anche per questo, non poteva dire di non detestarlo con tutto il cuore.
   Will chinò la testa:
- Mi dispiace...- balbettò – Io...-
   Proprio in quel momento Elizabeth irruppe nella stanza, attirata dalle grida del padre. Will la vide che spalancava gli occhi e la bocca in cerca di ossigeno. Si guardava attorno spaesata, spostando gli occhi ora da Will ora a Watherby Swann e non si sarebbe potuto dire se fosse stata più sorpresa di trovare lì il su ex marito o di vedere suo padre così irritato.   
- Che sta succedendo?- si informò, con un certo cipiglio volitivo che Will non aveva dimenticato.
   Di fronte a quella gelida espressione, il governatore Swann si sentì in dovere di addolcirsi un po’:
- Niente, Elizabeth, il signor Turner stava giusto...-
-...chiedendo un permesso e un favore. Anche pagando, se necessario.- Will gli rubò le parole – Permettetemi, signore, non volevo essere scortese con voi. Tutto il contrario. Sto cercando di essere solo un bravo cittadino.-
   Fissò il governatore, ora diventato paonazzo, poi racimolò il suo coraggio e si rivolse a Elizabeth. Come incrociò quella smorfia delle sue labbra, si ricordò tutto di lei, tutto ciò che avevano passato e anche quello che li aveva separati. Ebbe l’impressione che anche lei stesse pensando a quelle stesse cose. Nelle sue iridi nocciola leggeva qualcosa che, nonostante tutto, lo tranquillizzava. Gli sembrava diversa dall’ultima volta che l’aveva incontrata: forse aveva un dolore in più sulle spalle, ma ciononostante era serena. Forse c’era stato spazio per un perdono, nella sua stanza di nubile; forse aveva una possibilità, con lei.
- Ho il permesso di spiegarmi?- mormorò Will, abbassando la testa in segno di deferenza.
   Non si era mai trovato in una posizione del genere e sperò che quella fosse la prima ed unica volta. Abbassare il capo di fronte a sua moglie, di fronte alla sua prossima sconfitta, non era un comportamento da vero uomo. Si sentì un verme, benché fosse per una buona causa.
   Si accorse che Weatherby Swann riprendeva fiato, probabilmente per cacciarlo fuori. Alzò un dito, aprì la bocca, ma proprio in quel momento si intromise sua figlia, che lo bloccò:
- Fammi sentire.- ordinò.
   Will rimase stupefatto da tanta decisione; sembrava realmente interessata a quello che aveva da dire:
- Andiamo a sederci.- aggiunse lei.
   Li accompagnò con fare assertivo verso l’interno dello studio. Il padre la seguì senza osare contraddirla; Will, pure. Elizabeth aveva un cipiglio che non si sapeva da chi avesse ereditato, ma quando le occorreva lei lo sfoderava come un’arma. Di solito, vinceva.
   Si sedettero. La donna si lisciò il gonnellone un po’ sdrucito, tipico di chi è sorpreso a fare le faccende di casa. Will sapeva che da un po’ gli Swann non potevano più permettersi una servitù; era Elizabeth a fare i mestieri di casa, del resto ne era sempre stata capace.
   Stavano tutti aspettando la sua storia. Will chiuse gli occhi per un attimo, cercò di sgomberare la mente e iniziò a tessere una trama il più possibile convincente, o perlomeno credibile.
- Sono qui solo per dei documenti.- esordì – Ora sarebbe troppo lungo da spiegarvi, e forse nemmeno mi credereste. Ma devo andarmene e ho bisogno di lasciapassare per la dogana. ho deciso di andare a cercare fortuna altrove. Qui non è rimasto più niente per me. –
   Di fronte agli sguardi di fuoco del governatore, si vide costretto a ritrattare:
- Non parlavo assolutamente di voi e della vostra famiglia, governatore Swann.- si corresse – Non è per colpa vostra che me ne vado. Anzi, forse è più per rendervi grazie.-
- Beh, potrebbe anche essere una splendida notizia.- borbottò il governatore.
   Elizabeth lo fulminò.
- Come si suol dire, ci metterei la firma.- continuò imperterrito il signor Swann, e si alzò per andare a prendere una penna e dei fogli. Forse era stato più facile del previsto, forse era tutto molto più facile del previsto.
   Mentre cominciava a vergare lettere sulla pergamena intestata, Will sentì un groppo stringergli la gola. Lo stava facendo davvero. Ancora poche righe e la sua libertà sarebbe stata siglata. Gli mancava il respiro.
   Avvertiva lo sguardo indagatore di Elizabeth addosso, che non la smetteva di fissarlo. Lei sapeva che c’era dell’altro. Che c’era qualcun altro, soprattutto.
- Non andrò solo.- finalmente Will ruppe il ghiaccio.
   Weatherby Swann fermò la sua mano.
- Che significa?- disse.
   Ci fu un attimo di silenzio, il più lungo che ricordassero. Non sarebbe bastato un oceano a colmare la distanza che andava via via formandosi tra loro. Da quella strada non c’era ritorno, e neanche venia.
- Me ne servono due.- spiegò lentamente Will – Per me e...-
- Per tuo figlio.- concluse Elizabeth, quasi ringhiando. Quello era un tasto che lanciava un suono ancora scordato nel pianoforte delle sue emozioni: un lungo, profondo gemito dell’anima.
   Weatherby Swann rimase per un attimo stupefatto, irrigidito con la penna a mezz’aria. Tutto gli sembrava assurdo, un probabile incubo. Passò lo sguardo da Will a Elizabeth, da sua figlia di nuovo al disturbatore della sua quiete. Gli mancava un tassello, o semplicemente gli mancava la calma per mettere assieme tutti i pezzi e vedere un quadro completo di quel diavolo che stava succedendo sotto il suo tetto.
- Figlio?- esalò, mentre sentiva che la saliva gli si seccava in gola – Quale figlio?-
   Aveva il respiro corto di chi crede di morire sul colpo.
   Will aveva le labbra che ormai tremavano:
- Mio...figlio.- ripetè, con estrema lentezza.
   Il governatore si girò verso Elizabeth:
- Ma tu...- ansimò.
- Non è mio, padre.- tagliò corto lei, alzandosi dalla sedia di scatto.
   Aveva una gran voglia di essere altrove, di scappare di sopra, di ficcare la testa sotto un cuscino e soffocarsi di lacrime. Non potevano chiederle di sopportare un affronto simile, davanti al suo genitore poi! Anche se prima o poi avrebbe dovuto alzare la testa di fronte a quell’inganno ordito dal tempo, scoprì che non aveva forze per combattere quella battaglia.
   Il governatore ebbe un altro attacco di spaventoso rossore. Stavolta Will vide anche le vene del collo gonfiarsi, come se dessero fiato a un urlo, che però non venne; al contrario, non uscì parola, bestemmia, insulto da chi pensava.
   Era questo a terrorizzarlo di più.
   Weatherby Swann impugnò la penna come se fosse un coltello e riprese nervosamente a scrivere. Non disse assolutamente niente, ma lo vergò nero su bianco, sperando fosse l’ultima cosa che avrebbe dovuto fare per quello scellerato. Immaginò, per la prima volta nella sua vita, che quell’inchiostro fosse in verità il sangue di un uomo, suo genero, per l’esattezza, e scorresse lontano da lui, il più possibile lontano da lui, a fiumi proprio, ma lontano da lui. Se poteva dargli  una mano a sparire, anche in senso fisico, l’avrebbe fatto.
   Invece fece una semplice firma. Poi cacciò i fogli in mano a Will e con estrema maleducazione per il suo rango, gli indicò la porta:
- Vattene.- sibilò – Vai dove ti pare. Ma non tornare qui. Se torni qui sei morto. Chiaro?-
   Will scattò in piedi e quasi corse verso la porta, senza avere la forza di balbettare un “grazie” o un “addio”, senza poter dire niente. Quella era una minaccia e una promessa. Spettava a lui mantenerla.
   Non osò levare lo sguardo nemmeno su Elizabeth. Avrebbe voluto confessarle che le avrebbe sempre voluto bene, che sarebbe sempre stata nel suo cuore, perché questo era vero, giusto, incontrovertibile; e lei avrebbe dovuto conoscere questa verità. Ma se ne vergognò talmente tanto, in quel momento, che proprio gli sfuggì di mente. Voleva solo raggiungere William e andarsene da lì, senza dover più pensare a come fare per sopravvivere a Port Royal.
   Sulla soglia dell’abitazione, afferrò la pesante maniglia e spinse per uscire. Gli mancava l’aria.
   Poi sentì dei passi dietro di lui. Temette che Weatherby Swann non gli avesse nemmeno lasciato il tempo di pensare a come partire il più in fretta possibile. Ma si sbagliava.
   Alle sue spalle comparve Elizabeth:
- Aspetta.- aveva una voce flebile, quasi sperasse di non essere udita, di non essere costretta a guardarlo in faccia un’altra volta.
   Will non poteva indovinare che cosa volesse dirgli ancora, ma credette di rispettare il suo desiderio non voltandosi:
- Sì?- cercò di mostrarsi cortese, grato, come era veramente, in fondo.
   Sentì un sospiro della donna che aveva amato più della sua stessa vita, tanto tempo prima. L’impulso di abbracciarla fu forte e impertinente, più di quanto non l’avesse mai sentito, ma si fermò: non ne aveva il diritto. Probabilmente, non ne avrebbe avuto nemmeno il coraggio.
   Restò voltato ostinatamente verso la strada, attendendo un segno.
   Elizabeth gli si affiancò piano:
- Io so che lo fai per lui.- affermò, sicura – Non so perché, non so dove lo vuoi portare e cosa vuoi fare, e non te lo chiederò. Ma so che non avresti importunato me e mio padre per una questione futile. Se sei venuto fin qui, so che lo hai fatto per proteggerlo.-
   Will rimase esterrefatto. Gli si leggeva così bene in viso, tutta la sua complicata storia? Avrebbe preferito che Elizabeth non ne fosse al corrente, ma ormai era inutile. Non poteva mentirle. Non voleva mentirle. Ma non voleva nemmeno farle altro male. Mio Dio.
   Senza attendere oltre, lei continuò:
- Questi documenti sono validi. Potrai passare attraverso i posti di blocco fino ai confini del nostro protettorato. Buona fortuna.-
   Senza un accenno di saluto, scivolò di nuovo in casa e chiuse lentamente la porta alle sue spalle. Will non l’aveva vista in faccia, ma seppe che quella sera avrebbe pianto.
   Avrebbe voluto dirle che non sarebbe stata l’unica.
  
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