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Autore: edslovingness    08/12/2015    3 recensioni
Questa storia è ispirata, solo per alcuni tratti, dalla vicenda di Romeo e Giulietta di Shakespeare.
In ogni caso, personaggi, contesto e trama appartengono a me.
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Dal capitolo primo:
La strada cominciava a farsi buia; tirò fuori la torcia dallo zaino e l'accese. Osservò l'ambiente attorno a lei, incuriosita. C'era una lapide in mezzo agli alberi, coperta di foglie; rabbrividì. Non le erano mai piaciute lapidi, bare e cimiteri, e quella sembrava stranamente fuori posto. Si avvicinò lentamente e scostò le foglie per leggere meglio cosa c'era scritto; la superficie era rovinata e antica. Strizzò gli occhi, avvicinando la torcia alla pietra.
-Sai leggere?-
Sobbalzò così violentemente che la torcia le cadde dalle mani. La raccolse e si voltò di scatto.
Accanto ad un albero, qualche metro più in là, c'era una persona. Le tremavano le mani, mentre gli puntava la torcia contro, e la persona si avvicinava.
Era un ragazzo. Non poteva avere più di diciannove anni. Ed era chiaramente della zona d'Argento.
Era stata beccata.
Genere: Avventura, Azione | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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Era già notte fonda. L'aria fresca della notte estiva colpiva Dante in pieno viso quando accelerava sulla sua bicicletta.
Si seguiva ancora il vecchio sistema di stagioni -primavera, estate, autunno, inverno- ma in realtà il tempo atmosferico era piuttosto stabile: un caldo secco, giornate lunghe, poco vento, acquazzoni occasionali. L'unico momento in cui si sentiva un vero cambiamento era durante la notte.
Erano in luglio, adesso, e Dante sfrecciava per le strade deserte dell'area Argento, sperando che la sua memoria non lo tradisse: Bellamy Smith aveva la sua età, e avevano frequentato la stessa classe alle elementari; Dante, non sapeva bene perché, si ricordava dove abitava.
Louis aveva detto che era uno dei principali sospettati perché a quanto pare, quasi ogni notte, ospitava un certo numero di persone a casa sua; purtroppo, però, non era ancora stata scoperta nessuna attività illecita durante quelle riunioni. Ovviamente nessuno era così stupido da credere che fossero semplici rimpatriate, aveva detto suo padre, e per una volta il figlio era d'accordo con lui.
Imboccò la lunga via in cui, se non ricordava male, viveva Smith, e lasciò la bici appoggiata ad un lampione. Si tirò su il cappuccio e iniziò a camminare rasente il muro.
Man mano che si avvicinava, intravedeva una figura ferma immobile davanti a quella che doveva essere l'abitazione di Bellamy; Dante imprecò a bassa voce e si nascose in un vicolo velocemente, ma era già stato visto.
-Chi c'è?- era la voce profonda e sconosciuta di un uomo a lui estraneo. Stava già pensando di cominciare a correre, ma qualcuno l'aveva preso per il bavero della felpa.
-Ti nascondi, ragazzino?- la figura misteriosa digrignò il denti in un sorriso sarcastico: era un uomo alto e muscoloso, che doveva essere una specie di guardia, o qualcosa di simile.
-Vediamo cosa ne pensano gli altri- disse lo sconosciuto, tranquillamente, e tenendolo sempre a mezz'aria, lo portò davanti alla porta alla quale faceva la guardia. La spalancò: dava direttamente su un salotto in cui vi erano cinque o sei persone, di età che variavano dalla sua -diciannove- ai venticinque. Tutti lo guardarono con muta sorpresa.
-Questo qua si era nascosto in un vicolo. Pensava di non essere visto- annunciò la guardia -cosa ne dite?-
-Lascialo, Tom- disse un ragazzo che non conosceva, dai capeli lunghi tirati indietro, in tono pacato. Tom, così si chiamava il tipo che lo stava tenendo a mezz'aria da un po' ormai, aprì la mano e Dante cascò in terra. Si rimise in piedi e lanciò al tizio un'occhiata omicida, e si tolse il cappuccio. -Grazie, Tom, puoi andare- proseguì lo stesso ragazzo. Il gorilla obbedì, non senza fulminare con lo sguardo Dante.
-Che ci fa lui qui?- disse un altro ragazzo della sua età, guardando Dante con disprezzo -il figlio del magistrato, no?- e sputò a terra.
-Sei venuto a fare la spia per conto di papà?- lo prese in giro un altro, un po' più grande, coi capelli rasati -ti ha mandato in spedizione? Non è certo illegale trovarsi a casa di un amico- lo canzonò.
-Basta- era Bellamy a parlare, adesso; Dante notò che era cresciuto. Era persino più alto di lui, e i capelli ricci e scuri gli coprivano quasi gli occhi chiari. -Che ci fai qui, Dante?- chiese, in tono sinceramente incuriosito, ma anche molto diffidente. Non avevano mai avuto rapporti particolarmente stretti, nemmeno quando erano piccoli.
Il biondo sospirò, e si appoggiò al muro dietro di lui. -So che siete della Resistenza. Non sono stupido-. Lo stesso ragazzo della sua età che aveva parlato prima lo interruppe bruscamente:-Come fai a dirlo, sporco privilegiato? Cosa cazzo ne sai?-.
-Finn- lo ammonì il ragazzo coi capelli lunghi -continua- fece poi, rivolto a Dante.
-So che siete della Resistenza, e so che questi non sono semplici ritrovi tra amici. Non ci sono prove, ma è evidente anche per un cieco- disse, guardando tutti in faccia con freddezza -mio padre sospetta di Bellamy, e prima o poi vi scopriranno tutti. Ma non sono qui per fare la spia- prese il pacchetto di sigarette e l'accendino, e ne accese una; fece un tiro. -Voglio entrare nella Resistenza-.


*


Savannah calciò una lattina, alzando polvere rossa dalla strada sterrata. Respirò l'aria secca e calda, chiudendo gli occhi: il sole di luglio la investiva in pieno volto.
Erano passati un paio di giorni dalla sua bravata del cancello e dall'incontro con il ragazzo dell'aria Argento. Quando era rientrata, la prima cosa che suo padre aveva fatto era darle un ceffone così forte da farle ronzare le orecchie; poi aveva iniziato a urlarle addosso quanto fosse un'ingrata comportandosi così, facendosi quasi ammazzare nonostante tutto quello che lui avesse fatto per lei.
Lei si era sentita umiliata e arrabbiata. Non aveva aperto bocca per tutta la durata della ramanzina, dopodiché gli aveva solo detto di andare a quel paese. Lui l'aveva ignorata e le aveva detto che ormai mancava poco alla guerra, e che lì sarebbe stata davvero messa in riga.

Non gli era mai importato granché della figlia, purché andasse in guerra e lo rendesse il fiero e orgoglioso padre di una figlia martire e combattente, morta per la sua causa. Era stata marchiata appena era uscita dal ventre di sua madre: sarebbe stata un soldato, volente o nolente.
Scosse la testa, scacciando quei pensieri fastidiosi che le facevano ribollire il sangue nelle vene: odiava di avere un destino prefabbricato, un futuro riguardo al quale lei non poteva fare niente. Sarebbe morta in guerra, e anche se non fosse stato così, sarebbe morta con gli incubi della guerra in testa: da vecchia avrebbe rivisto il volto di ogni uomo che aveva visto morire, per mano sua o per mano di altri.
Cominciò a correre verso il palazzo abbandonato della periferia; era un rudere, senza più vetri alle finestre, distrutto nel suo interno. Entrò dentro e l'ambiente era esattamente come lo ricordava: buio, polveroso e fresco. Salì le scale di legno semi distrutte, saltando quando trovava dei tratti in cui le scale non esistevano più. Arrivata all'ultimo piano, saltò e si appese al bordo della botola aperta; si issò con le braccia, ed arrivò sul tetto.
Camminò lentamente fino al parapetto e poi vi si sedette, godendosi il panorama; l'area Carbone era un tripudio di rosso e arancio già di suo, con i suoi alberi secchi e le strade sterrate, ma al momento del tramonto anche il cielo era rosso sangue.
-Com'è che non prendi mai le scale integre?- chiese una voce conosciuta alle sue spalle.
-E' più divertente così- si voltò a guardare la ragazza con la pelle color ebano che era a pochi metri dietro di lei, mentre si avvicinava. Questa arrivò accanto a lei e appoggiò le braccia al parapetto – soffriva di vertigini e si era sempre rifiutata di sedersi.
-Insomma, sono stata costretta alla preparazione fisica, dovrò pur usarla per qualcosa di divertente, Jess- tornò a guardare il panorama. Improvvisamente si sentiva depressa e malinconica. -Mi mancherà questo posto di merda-.
Jess gettò un'occhiata al panorama, senza dire niente. Non c'era bisogno di dire niente, tra di loro: si conoscevano da così tanto tempo che sapevano esprimersi senza parlare. Savannah pensò che forse avrebbe dovuto raccontare a Jess cosa aveva fatto. Lei non lo avrebbe detto a nessuno, era ovvio. Solo che aveva paura delle occhiate di disapprovazione e di preoccupazione che avrebbe sicuramente ricevuto da una persona buona e apprensiva come Jessica.
-Cosa c'è che non va, Sav?- chiese Jessica, guardandola intensamente. Ovviamente aveva già capito che c'era qualcosa che gli nascondeva.
-Ho fatto una cosa, ieri- rispose, dopo qualche attimo di silenzio -ho fatto scattare l'allarme- si voltò per vedere la reazione dell'amica. Jess si passò una mano sul volto. -Stai scherzando, vero? Dimmi che scherzi-.
Savannah scosse la testa. -L'ho fatto davvero. Non lo sa nessuno, a parte mio padre, che si è incazzato sul serio stavolta-.
-Ci credo-.
-Volevo uscire dal cancello-.
-Immaginavo. E immagino anche che tu abbia scavalcato il Muro, ma te lo chiedo perché ho una briciola di speranza che tu non sia così folle-.
-Invece immagini bene- sorrise Savannah -e non crederai al resto- guardò l'amica, tacendo per un po' per creare tensione -mi hanno beccata-.
-Cosa?- esclamò incredula Jess. Si riprese subito dopo. -Non dire stronzate, Savannah. Come faresti a essere ancora viva?-
-Non mi ha beccata una guardia, mi ha beccata un ragazzo della nostra età-.
-E cosa ci faceva lì?-.
-Vallo a sapere. Era un tipo strano- disse pensierosa -mi ha offerto una sigaretta e poi mi ha detto che sono bassa e maleducata-.
-Non aveva tutti i torti- fece Jess con un risolino, beccandosi una manata sulla nuca -ahia! Scommetto che ti ha anche detto che sei violenta-.
-Sicuramente l'ha pensato. Gli ho dato un pugno in faccia- fece l'altra tranquillamente.
Jessica emise un grido strozzato. -Sei seria?-.
Savannah annuì. -Era un tipo irritante. L'avresti fatto anche tu-.
Ci furono un paio di minuti di silenzio, mentre Jess assimilava tutte quelle informazioni sconvolgenti.
-E com'era? Fisicamente, intendo- chiese poi d'un tratto. Savannah pensò a come descriverlo in modo obbiettivo, senza pensare al carattere irritante. -Alto. Biondo. Aveva gli occhi scuri-.
-Quindi carino?-.
-Era fastidioso ed irritante-.
-Ma era carino-.
Savannah alzò gli occhi al cielo e scosse la testa, esasperata. -Poi sono io la pazza-.
-Certo che sei pazza- sbottò Jessica, così violentemente che l'amica si voltò sorpesa -noi ridiamo e scherziamo, ma potevi farti ammazzare. Non avresti dovuto farlo. A volte sei proprio scema-.
-Perché ti preoccupi così tanto, Jess?- domandò l'altra mestamente -andrò in guerra tra meno di un mese. Che muoia ora o a dicembre, cosa cambia?-.
L'altra si calmò subito e le mise una mano sul braccio. -Per questo ho studiato per diventare guaritrice. Così posso rimetterti a posto se ti fai male-.
Savannah sorrise, rincuorata dalla positività dell'amica, poi si guardò i piedi che penzolavano dal parapetto. -Non ci voglio andare in guerra, Jess- mormorò -ho sempre pensato che fosse una cosa stupida, questa battaglia continua tra le aree. Per cosa, poi?- esclamò arrabbiata -va avanti da secoli, solo per lo stupido controllo del territorio. Una stupida guerra per i diritti del territorio- gettò le braccia al cielo, disperata -e ci devo rimettere io, e un altro migliaio di ragazzi della mia età- gli occhi le si stavano riempiendo di lacrime, e lei le trattenne ostinatamente: non piangeva, non piangeva mai, e non avrebbe pianto per una cosa del genere.
Jess doveva essersene accorta, perché prese un respiro profondo e si issò sul parapetto, mettendosi a sedere. Rabbrividì per le vertigini, ma le ignorò e mise un braccio attorno alle spalle di Savannah. -Lo so che fa schifo- ammise, tristemente -non ci possiamo fare niente. Odio che mio padre fosse un soldato: è morto perché lo era. E adesso anche mio fratello lo è, perché lui lo era. E potrebbe morire entro la fine dell'anno- guardò Savannah -la nostra sfortuna è che c'è gente che ci crede davvero in questa stronzata di guerra, e costringe i figli dei soldati a seguire le orme dei genitori per poter vincere questa guerra che andrà avanti chissà per quanto ancora. E noi non possiamo farci niente-.
-Non è giusto. Perché non abbiamo potere riguardo al nostro futuro? Si tratta della nostra vita, perché sono gli altri a scegliere per noi?- sussurrò Savannah, appoggiando la testa sulla spalla di Jess.
-Non lo so. Non lo so perché questa situazione va avanti da così tanto tempo che nessuno lo sa più perché vanno così le cose- Jess era arrabbiata, mentre diceva queste cose. Una cosa che Savannah aveva notato era che ognuno dei suoi amici, suoi coetanei, erano arrabbiati; potevano sembrare felici a volte, ma sotto sotto erano sempre arrabbiati. Anche se credevano nel sistema, nella guerra, erano arrabbiati: erano arrabbiati con l'area Argento, erano arrabbiati con loro stessi, coi genitori, con chi comandava, ma tutti erano comunque arrabbiati.


*


-Questa è davvero buona- disse il ragazzo con i capelli rasati -no, sul serio, è davvero bella-.
Dante alzò gli occhi al cielo.
-Ti aspetti seriamente che noi crediamo alle cazzate che dici? Alle cazzate del figlio di Louis Griffin?-.
-Fallo parlare, Wells- disse il ragazzo con i capelli lunghi, spazientito -allora?- incalzò.
-Il vostro movimento è contro la guerra, il governo e tutto ciò che gira intorno a queste cose, giusto?-. Bellamy annuì. -E allora voglio entrare. Voglio sapere di più su cosa fate, se avete delle idee da mettere in atto, se avete degli interni nel governo, e voglio far parte del movimento-.
-E cosa ti fa pensare di poter entrare senza problemi?- chiese un altro ragazzo che fino a quel momento non aveva parlato, che aveva una grossa cicatrice sull'occhio destro.
-Sono contro la guerra. Penso sia una cosa stupida che deve finire. Non basta?-.
-No che non basta. Pensi davvero di avere tutti i requisiti necessari?- esplose il ragazzo che avevano chiamato Finn.
-Ma si può sapere che problemi hai?- ringhiò Dante, tagliente, avvicinandosi al ragazzo.
-Finn, piantala- esclamò Bellamy -ha ragione, Dante. Non puoi semplicemente entrare nella Resistenza così. Non tu-.
Dante aprì la bocca per parlare, poi la richiuse: non sapeva cosa rispondere. -Perché no? Solo perché sono figlio di mio padre?- disse infine, esasperato.
-Esattamente per quello- ribatté l'altro -capisci, noi non ti conosciamo. Non sappiamo niente di te, a parte che sei il figlio di uno dei magistrati più favorevole alla guerra. Come facciamo a non sapere che non è tutta una trappola? Che non stai cercando di dimostrare che siamo della Resistenza?-.
-Non lo so. Ditemelo voi. Ma non è giusto che io non possa entrare solo per colpa di Louis-.
Ci furono attimi di silenzio in cui i presenti bisbigliavano e borbottavano tra di loro. Dante si portò la sigaretta alle labbra, nervoso; aveva immaginato che non sarebbe stato semplice, ma non pensava nemmeno di trovare cos' tanta opposizione, da parte di gente che nemmeno lo conosceva.
-Okay- disse ad alta voce il ragazzo con i capelli lunghi -abbiamo deciso il da farsi-. Si alzò in piedi, guardò tutti i presenti e riprese, rivolto a Dante:-Tu diventerai militare, giusto?-.
-Giusto-.
-Bene. Allora saprai che ci sono cinque basi, quattro per i comandanti minori e una, la principale, del comandante maggiore. Coloro della Resistenza che andranno in guerra devono essere nella stessa base per forza, o non riusciremo a combinare niente di buono con il nostro piano- spiegò.
-E qual è questo piano?- domandò Dante.
-Quello viene dopo. Non abbiamo trovato il modo di essere messi nella stessa base, e senza quello, il piano conta poco. Ma tu- indicò il biondo -tu puoi farlo, e se lo fai potrai entrare di diritto nella Resistenza-.
Dante deglutì. -Va bene. Cosa devo fare?-
Si fece avanti l'unica ragazza nella stanza: doveva avere un paio d'anni più di lui, e aveva un volto familiare. -Tu conosci Abigail Watson?- chiese.
Il ragazzo annuì incerto. -E' un nome già sentito. La ragazza bionda, figlia del magistrato Watson?-.
-Proprio lei. Devi sapere, e non chiedermi come ne sono a conoscenza, che quella ragazzina ha una cotta per te dai tempi delle medie- alcuni dei presenti ridacchiarono. La ragazza li fulminò con lo sguardo. -Ridete pure. E' l'unico modo che abbiamo per ottenere cosa vogliamo- sibilò. Tutti tacquero, e lei tornò a rivolgersi a Dante. -Suo padre si occupa proprio della gestione delle basi militari: tra una settimana saranno annunciati i nomi dei comandanti minori, quale base è assegnata a ognuno di loro, e il loro squadrone. Tu devi fare in modo che una di queste squadre sia capitanata da Matt- accennò al ragazzo con i capelli lunghi -e che nel suo squadrone ci sia ogni soldato della resistenza e nessun altro-.
-E come diamine dovrei farla, una cosa simile?- chiese incredulo Dante. Era assurdo. -Devo prostituirmi?-.
-Quelli sono affari tuoi. Se vuoi entrare nella Resistenza, devi riuscirci, o non se ne parla; non sarà difficile, tu le piaci- ghignò la ragazza -e poi sarà una specie di prova di fedeltà da parte tua-.
-E una volta che ho parlato con Abigail cosa devo fare?-
-Aspetti martedì prossimo e torni qui, sempre a quest'ora- disse Matt -e se ci sarai riuscito, sarai ufficialmente nella Resistenza- concluse, allargando le braccia. -Allora? Ci stai?-.
Dante si passò una mano tra i capelli. Era una cosa assurda e complicata; c'era il rischio che suo padre lo venisse a sapere e che sospettasse qualcosa, o che non funzionasse per niente, mandando all'aria tutti i suoi progetti; d'altra parte, era anche l'unico modo per entrare nella Resistenza.
Annuì, deciso. -Va bene. Lo farò-.
-Grandioso- il ragazzo con i capelli rasati, Wells, si alzò in piedi e gli si avvicinò, battendogli una mano sulla spalla. -Sai, Matt, ho cambiato idea. Questo stronzetto ci sarà utile-.

-

Dante si tirò su le maniche della camicia fino ai gomiti, nervosamente. Più si avvicinava il momento di svolgere il suo compito, più si chiedeva come diavolo avrebbe fatto una cosa del genere.
Non era mai stato granché con le ragazze: tutte le fidanzate che aveva avuto avevano fatto il primo passo, e lui era solito semplicemente aspettare che queste arrivassero da lui. Adesso però si trattava in un'altra cosa. Si sentiva un po' in colpa all'idea di provarci con Abigail solo per secondi fini, ma alla fine uno doveva fare cosa doveva fare.
Non le era nemmeno mai piaciuta più di tanto: assomigliava molto a sua madre, era una ragazza molto superficiale, un po' sciocca, a volte cattiva. Con lui era sempre stata disponibile, gentile, civettuola, ma non aveva mai capito come mai.
Catherine, la ragazza della Resistenza, quando aveva saputo che lui non aveva mai sospettato niente della cotta che Abigail aveva per lui, aveva scosso la testa esasperata borbottando qualcosa sui ragazzi e la loro scarsa empatia.
Gli aveva anche detto dove poteva trovarla; la ragazza frequentava infatti un corso di violino in una via poco lontana da quella in cui Dante abitava, e quindi adesso era lì, fermo davanti alla porta dello studio di musica, cercando di assumere l'aria più casuale dell'universo.
Fumava nervosamente una sigaretta quando la bionda uscì dall'edificio; -Dante!- esclamò subito, con una voce più acuta di quel che ricordava.
-Hey, Abigail. Come va?- disse, con nonchalanche.
-Oh, non c'è male, non c'è male. Cosa ci fai qui?- sbatté le ciglia in paio di volte, sorridendogli a trentadue denti.
-Umh.. non so, mi trovavo da queste parti per caso.. tu, invece?- disse, impacciato.
-Mi esercito al violino proprio in questo studio-.
-Ti piace?-.
Lei fece spallucce. -Non più di tanto. Insomma, non è male, ma più che altro è mio padre che vuole che impari-.
Dante si sentì un po' dispiaciuto; alla fine, anche Abigail Watson era incatenata al volere dei suoi genitori. Cambiò discorso. -Ho sentito che hai concluso gli studi per diventare avvocato, come tua madre-.
Lei annuì raggiante. -E' sempre stato il mio sogno-. “O quello di tua madre” pensò Dante, velenoso. -Ma soprattutto non vedo l'ora di farmi una famiglia. Tra qualche anno dovrò trovare un marito, fare figli, avere una bella casa..- sospirò, sognante. Dante tacque, imbarazzato, ma ci pensò lei a mandare avanti la conversazione. -E tu, invece? So che andrai in guerra tra qualche mese. Pensavamo tutti che avresti fatto il magistrato, come tuo padre-.
-Sì, beh, non fa per me. Sono più un tipo da azione-.
-Sei molto coraggioso- disse lei dolcemente, avvicinandosi a lui.
-Mi sono anche fatto diversi amici, nell'esercito- proseguì in fretta lui, distogliendo lo sguardo -sarebbe bello se finissimo tutti nella stessa base, ma non so se sarà possibile-.
Lei apparve pensierosa per un po'. -Forse io potrei fare qualcosa al riguardo-.
-E come?- chiese lui, fingendosi sorpreso, ed esultando interiorimente.
-Sai, mio padre si occupa di quello: organizzazione militare, e tutte le altre cose noiose- agitò una mano, annoiata -scommetto che se gli chiedessi di inserire tutti i tuoi amici nella stessa base con te non avrebbe nulla in contrario-.

-Sarebbe grandioso, Abigail- le sorrise, e lei cominciò a giocherellare con una ciocca di capelli.
-Basterebbe che tu mi dicessi i nomi. Sono molte persone?-.
-Sì, in realtà, ma non c'è bisogno che te li snoccioli tutti- spiegò Dante -si tratta di tutto lo squadrone di addestramento numero 3, e il comandante minore Matthew Murphy-.
-So che è molto stimato. Si dice che tra un paio d'anni potrebbe essere comandante maggiore-.
-E' un bravo ragazzo, ci ho legato molto- mentì spudoratamente Dante -se tu potessi farci mettere tutti in una base sarebbe meraviglioso. Superiamo di una dozzina il limite di soldati per base, ma a noi non dispiace stare pigiati-.
-Vedrò cosa posso fare- disse lei, noncurante. Poi gli sorrise. -Adesso devo andare. Sperò di ritrovarti in giro-.
-Lo spero anche io- ormai ci aveva preso la mano. Lei gli schioccò un sonoro bacio sulla guancia, lasciandogli un'impronta di rossetto fucsia, e se ne andò.
Lui gettò la sigaretta per terra e la spense con il piede, gettando la testa all'indietro e chiudendo gli occhi. Era fatta.




*
Rieccoci qua con un nuovo capitolo!
Come potete vedere, sto cercando di aggiornare abbastanza spesso, così da non lasciarvi con il fiato sospeso. Spero di riuscire a mantenere questo ritmo.

Ho fatto una breve stima e questa storia dovrebbe avere circa 13, massimo 14 capitoli; come avevo detto, non si tratterà di una long, perché non riuscirei mai a concluderla.
E qui, siamo già al terzo capitolo. Dante ha già cominciato a combinarle, approfittandosi di questa poveretta per entrare nella Resistenza, e abbiamo fatto la conoscenza della migliore amica di Savannah.
Di cosa si occupa la Resistenza esattamente? Qual è il piano? Cosa ne sarà di Savannah, costretta ad andare in guerra contro la sua volontà?
Tutte cose che si scopriranno nei prossimi capitoli, quindi portate pazienza!
Un'ultima cosa: vorrei scusarmi per tutti gli errori – di battitura, grammaticali se ce ne sono, e tutte le maiuscole dimenticate alle parole Muro, Resistenza, eccetera eccetera. Anzi, se una di voi fosse disposta a farmi da beta (e quindi leggere i capitoli in anteprima!) la ringrazierei moltissimo.
Bene, direi che è tutto. Spero che questo capitolo vi sia piaciuto; fatemi sapere, se volete, con una recensione!
Ringrazio chi sta seguendo la storia, chi l'ha inserita tra le preferite e seguite, e chi ha recensito!
Sofia

   
 
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