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Autore: Facy    04/03/2009    20 recensioni
"Vendesi anima incorrotta di sedicenne. Astenersi perditempo" : è il trafiletto che un giorno compare su una rivista di inserzioni parigina. Tra le persone che lo leggono c'è Samael, l'angelo caduto, il diavolo che tentò Eva con una mela proibita. Pur sospettando uno scherzo decide di comporre il numero stampato sotto quelle enigmatiche parole... Tra le vie della città più bella del mondo, luminosa come il paradiso e misteriosa come l'inferno, una storia piena di sfide pericolose e desideri troppo sfrenati. Buona lettura. (RIPRESA DOPO UNA LUNGA INTERRUZIONE).
Genere: Sovrannaturale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAP. 4: L’inganno

 

 

Parigi di notte è una gemma sospesa nel buio: ruba ogni raggio di luce e lo cattura per se, lasciandosi attorno una pozza di oscurità.

 

Brilla quasi più che di giorno.

 

La Tour Eiffel, con il suo complicato sistema di faretti che costellano la struttura di metallo,  assomiglia ad una ragnatela intrisa di gocce luccicanti di rugiada. Allo scoccare di ogni ora le luci della Tour abbandonano la loro morbida lucentezza dorata per una intermittenza frenetica e allegra, blu notte, che dura solo qualche minuto.

 

Il quartiere a luci rosse, Pigalle, si anima di vita: le insegne del Moulin Rouge e degli altri locali si accendono di mille colori al neon. Persino nel quartiere di Monmarte, conservato come ai tempi della rivoluzione bohémien, scintillano le luci notturne.

 

I ponti sulla Senna sono ornati, ad intervalli regolari, da lampioni in stile liberty che irraggiano le loro aure di luce gialla. Anche le chiese, quei rigorosi templi del Signore, sono illuminate da faretti e riflettori.

 

Del resto, il mondo intero lo sa: Parigi è la ville lumière.

 

Era evidente anche in quella ventosa notte di fine novembre.

 

Così come era evidente che Sibylle si trovava in quella che sembrava essere l’unica zona buia della città della luce.

 

Se ad una delle estremità dell’Ile-de-la-Cité si trova quel capolavoro di arte gotica che è la cattedrale di Notre-Dame, dall’altro c’è un’ombrosa piazzetta alberata, con una fontana e delle panchine.

 

L’accesso al promontorio artificiale battuto dalle acque del fiume (la vera estremità dell’Ile) di notte era sbarrato, quindi Sibylle riteneva che Samael avesse avuto intenzione di darle appuntamento nella piazzetta, Square Jean XXIII.

 

Di giorno era un luogo ideale per coppiette felici e turisti. Di notte sembrava un potenziale ritrovo per il convegno annuale dell’associazione Manici, Stupratori&Co.

 

Sibylle si strinse un po’ di più nella giacca a vento grigia, rabbrividendo.

 

Quando una folata di vento gelido la investì, la ragazza dovette trattenere con la mano il cappello, un basco di velluto a coste grigio scuro, perchè il vento non glielo strappasse via.

 

Sibylle non amava mostrare la sua appariscente capigliatura: la ordinava spesso in trecce o stretti chignon ma quella sera non ne aveva avuto il tempo e si era infilata il primo cappello che le era capitato davanti.

 

Perciò era praticamente a collo nudo, con i capelli raccolti nel basco. Stava seduta su una delle panchine esterne alla piazza, precisamente su quella che dava dritto sulla punta dell’Ile. Da lì poteva dominare il fiume ma non la piazza dietro di lei: si sentiva spiacevolmente esposta.

 

Impossibile che Samael le avesse dato appuntamento lì perchè aveva bisogno di oscurità: la ragazza l’aveva visto camminare tranquillamente nella piena luce solare. Figuriamoci se quella artificiale gli avrebbe dato fastidio.

 

Doveva averlo fatto per pura cattiveria, si disse Sibylle. Semplice piacere perverso di saperla attendere in preda all’ansia, al buio e al freddo, esposta al vento umido della notte.

 

“Che altro mi aspettavo?” si chiese, retorica.

 

Niente. Da lui non si aspettava niente di diverso.

 

Nonostante non si sentisse troppo tranquilla all’idea di tirare fuori il cellulare, unico oggetto di valore che portava addosso, lo fece e controllò l’ora sul display. Mezzanotte meno un quarto.

 

Fissò con aria colpevole il piccolo schermo, luminoso nell’oscurità: cinque chiamate perse. Tutte da parte dello stesso numero, quello di casa sua.

 

Probabilmente i suoi genitori la stavano chiamando per chiederle a che ora sarebbe tornata dalla festa: aveva detto loro che quella sera ci sarebbe stata il compleanno di Sevérine, una sua compagna di classe.

 

Non del tutto falsa, come cosa: la festa c’era davvero.

 

L’omissione di non avere la benchè minima intenzione di andarci e di non essere stata nemmeno invitata non comportava per forza l’aver raccontato una fandonia.

 

Figuriamoci, Sevérine...” si disse Sibylle, malinconica.

 

Lasciò vagare la mente per ingannare l’attesa e dimenticarsi del senso d’angoscia che le strisciava addosso.

 

Sevérine viveva all’Ile-Saint-Louis, il quartiere residenziale più alla moda di Parigi, ed era una delle ragazze più ricche della sezione di Sibylle, se non dell’intera scuola.

 

Una che comprava i vestiti sugli Champs-Elysées, per intenderci.

 

Non le aveva mai rivolto la parola.

 

Non la trattava male: semplicemente pareva non accorgersi di lei. Mai un sorriso, mai un cenno, come nemmeno mai una presa in giro o una battuta cattiva. Eppure erano in classe insieme da ormai tre anni.

 

Sibylle non sapeva nemmeno se fosse antipatica o meno, se avesse un fratello o un animale domestico, se amasse lo sport o preferisse la musica.

 

Era una delle controindicazioni del frequentare una delle scuole più prestigiose di Parigi pur proveniendo dalla banlieu.

 

Chi lo faceva poteva capitare nel mirino di scherzi pesanti ed insulti. Se era più fortunato si ritrovava ad essere perennemente guardato come un alieno appena sceso dall’astronave. Quando gli andava proprio di lusso, come era successo a Sibylle, veniva cortesemente ignorato.

                      

“Bè, non posso lamentarmi” considerò la ragazza. Del resto nemmeno Sibylle aveva mai tentato un approccio con Sevérine e i suoi compagni delle alte sfere.

 

Ovviamente c’è una certa differenza tra chi non cerca contatti perchè ha paura di essere rifiutato e chi non ne cerca perchè non vuol farlo.

 

Sibylle si rifiutò di continuare su quella linea di pensieri: troppo deprimenti e troppo inutili. Stava per siglare il contratto che avrebbe incatenato per l’eternità la sua anima alla minaccia delle fiamme infernali. Non era il momento di divagare sulla propria scarsa capacità di socializzazione.

 

Sto per vendere la mia anima al diavolo” si ricordò Sibylle. “Sto per vendere la mia anima al diavolo...

 

La frase le riecheggiò una, due, tre volte nella mente, simile ad un eco.

 

-Sto per vendere la mia anima al diavolo- mormorò tranquillamente.

 

Incredibile con quanta facilità riuscisse a formulare il concetto.

 

-Sto per vendere la mia anima al diavolo- ripetè a voce un po’ più alta.

 

Perfetto: la voce non le tremava minimamente. Un ipotetico ascoltatore l’avrebbe creduta perfettamente calma e controllata.

 

Sfortunatamente lì non c’era nessuno a parte lei. Ingannare se stessa era impossibile quanto inutile. Per quanto riguardava la persona che sarebbe presto arrivata, Sibylle aveva riportato la sgradevole impressione che fosse in grado di leggerle nei pensieri.

 

Un secondo, lungo brivido le scese lungo la schiena.

 

Forse mi sono messa in una cosa più grande di me” riflettè sconsolata.

 

Fino a pochi giorni prima se qualcuno le avesse domandato se credeva nell’inferno e nel paradiso, gli avrebbe riso in faccia. O meglio, gli avrebbe risposto con la condiscendenza gentile che si riserva ai bambini che credono ancora alle fate.

 

Sibylle aveva imparato in fretta che credere alle fate non è esattamente una strategia vincente. A scrivere quell’inserzione l’aveva spinta un desiderio così disperato da essere cieco ad ogni buon senso: non aveva saputo cosa aspettarsi fino al momento stesso in cui aveva incontrato Samael.

 

Samael l’aveva costretta a rimettere tutto in discussione. Quella che all’inizio era un’inconsistente possibilità remota diventava una realtà piuttosto ben tangibile.

 

Non sapeva se lui fosse il diavolo. Sicuramente era qualcosa di più che umano.

 

Quando si erano separati, alle Tuileries, Sibylle si era infilata nel metrò, correndo come qualcuno la stesse inseguendo. Non aveva smesso di tremare un istante fino all’arrivo a casa. Si era sentita pervasa dall’angoscia più terribile che avesse mai provato: stare là da sola, al buio e al freddo, alla mercè di ogni possibile aggressore, non era niente in confronto.

 

Si era chiusa a chiave in bagno, aprendo l’acqua della doccia al massimo e gettandocisi sotto quasi con i vestiti ancora addosso. Si era strofinata con forza, cercando di rimuovere dalla pelle quella sensazione gelata e viscida di inquietudine: invano.

 

Per tutto il pomeriggio aveva percepito quell’ansia irragionevole. Era stato orribile: come se una mano invisibile le mozzasse il respiro stringendola alla gola. Si era smorzata solo verso il calar della sera: il giorno dopo era del tutto scomparsa.

 

Non era stato difficile il collegamento: la vicinanza troppo prolungata con Samael le aveva causato quella angoscia innaturale.

 

Sibylle infilò le mani nelle tasche, rimpiangendo di non aver messo i guanti: la panchina su cui era seduta era di ferro battuto a motivi floreali e l’umidità della notte si era posata sul metallo, rendendolo gelido.

 

Il respiro della ragazza si condensava in delicate nuvolette bianche. Controllò nuovamente l’orario: mancavano dieci.

 

Improvvisamente ebbe paura.

 

Considerò se non era meglio andarsene... magari fingere di non aver mai scritto quell’annuncio.

 

No...” pensò quasi subito, tristemente. “Lui non me lo permetterebbe

 

Samael non era umano, era malvagio e seriamente intenzionato a possedere la sua anima. Sibylle, lo capiva solo ora, aveva innescato un meccanismo al quale non era in grado di sfuggire. Non se ne era coinvolto anche un demonio capace di influenzare gli stati d’animo e di leggere nella mente.

 

-Sono una stupida...- sussurrò. -Non solo: sono anche una stupida senza via di scampo-

 

“E una stupida orgogliosa” aggiunse mentalmente, con una certa nota di compiacimento.

 

Si vergognò per quel momentaneo cedimento: serrò le labbra in una smorfia dura.

 

Come faceva sempre quando doveva concentrarsi su di una meta da raggiungere, evocò mentalmente un’immagine che rappresentava le difficoltà da superare: questa volta non si trattò del foglio di un test di chimica, né di un palcoscenico con i riflettori accesi.

 

Ma di lunghi riccioli corvini. Di un volto alabastrino, affascinante in un modo strano, bello solo se considerato nell’ottica della sua innaturalezza. Di un sorriso smagliante e tagliente come una lama.

 

E di due occhi quasi animaleschi, allungati come quelli di un gatto, freddi come quelli di un rettile.

 

Sibylle visualizzò con gli occhi della mente l’esatta tonalità glaciale dello sguardo di Samael: mormorò il suo nome, stringendo gli occhi neri come se stesse mirando ad un bersaglio che non aveva la benchè minima intenzione di mancare.

 

E improvvisamente, dritto nella linea del suo sguardo concentrato e teso, a circa un centinaio di metri da lei, ci fu una silhoutte più scura della stessa notte.

 

Non arrivò da destra o da sinistra, non scese dal cielo, non uscì dal fiume, né sorse dalle viscere della terra. Non si materializzò, non apparve dal nulla. Semplicemente, con un battito di ciglia, Sibylle annullò per un istante il mondo esterno in maniera del tutto automatica: riaprendo gli occhi dopo quella frazione di secondo, lo vide.

 

Era chiaramente Samael, su questo non c’era alcun dubbio.

 

Nessuno sarebbe potuto apparire in quel modo, tranne una creatura sovrannaturale, e lui era l’unica creatura sovrannaturale della quale Sibylle era a conoscenza.

 

Nessuno si sarebbe mai vestito in quel modo assurdo, non nel ventunesimo secolo... ma Samael? Sibylle ne era abbastanza convinta.

 

E soprattutto, nessuno si sarebbe mai potuto trovare in quel preciso punto di Parigi. Non a quell’ora della notte, almeno.

 

Quando Samael le aveva dato appuntamento all’estrema punta est dell’Ile-de-la-Cité, intendeva evidentemente l’estrema punta est dell’Ile-de-la-Cité: e tanti saluti ai cancelli sbarrati che impedivano l’accesso alla punta dell’Ile durante la notte.

 

La figura, alta e snella, apparentemente indossava un lungo mantello nero dal taglio vittoriano, che le ondeggiava dolcemente sulle spalle.

 

Sibylle avrebbe alzato gli occhi al cielo, presa da un sentimento a metà tra la derisione e l’attrazione... se solo lui non si fosse trovato esattamente sul promontorio, dove le onde della Senna si frangevano in due direzioni differenti.

 

La ragazza percepì il suo sguardo su di se, lo comprese invitarla a raggiungerlo.

 

E come?” si chiese, già angosciata. “Mica posso volare sopra i cancelli!

 

-E’ pazzo-

 

Quelle due parole le sfuggirono dalle labbra come un’imprecazione. Eppure si alzò dalla panchina e mosse diversi passi verso di lui, simile ad una sonnambula. Si riscosse quasi subito: cominciava ad imparare a riconoscere il momento in cui la volontà di Samael si affiancava sottilmente alla sua, per andare poi lentamente a sostituirla.

 

Respinse con inutile veemenza il subdolo attacco mentale, fino a quando Samael non le concesse di farlo divenire una minaccia evanescente.

 

Sibylle non si illuse neanche per un momento di poterlo fare grazie alle sue forze, ma mosse comunque di propria volontà gli ultimi passi che coprivano la distanza tra lei e il grande cancello di ferro battuto.

 

L’ennesima stranezza di quella notte: lo trovò aperto.

 

Eppure era abbastanza sicura di averlo visto sbarrato, quando ci era passata davanti mentre arrivava.

 

Solo la consapevolezza che Samael la stava studiando la trattenne dall’alzare le spalle con aria noncurante: evidentemente, una volta fatta la conoscenza con il Diavolo incarnato, non basta un cancello aperto a stupirti.

 

Entrò senza esitare, ma dovette frenare i suoi passi sicuri: la notte era nera, la pietra del promontorio scivolosa per le miriadi di schizzi provenienti dalla corrente che si schiantava violentemente contro i frangiflutti.

 

Una raffica di vento la fece quasi barcollare: improvvisamente temette di essere destinata a concludere la serata con un bel bagno nella Senna. L’Ile terminava in una punta allungata e stretta: il fiume scorreva rapido e tempestoso sia alla destra che alla sinistra della ragazza.

 

Lei avanzò con cautela: quando raggiunse la sua meta si dovette trattenere dal tirare un sospiro di sollievo. Alzò gli occhi da terra, dove li aveva prudentemente fissati durante il cammino impervio e guardò davanti a se.

 

Samael l’aspettava in una posa aggraziata e rilassata, la mano appoggiata sul fianco: il mantello a ruota era di raso nero lucido. Oltre a quello indossava solo pantaloni attillati neri, stivali alti e una camicia bianca, con i polsi e il collo ornati di pizzi e volant.

 

Bizzarro, certo: ma bello di quella sua bellezza aliena e stranamente mai incongruo, nemmeno vestito così.

 

I suoi occhi grigi erano imperscrutabili.

 

-Sibylle- la salutò con la sua voce bassa e modulata.

 

Lei sbuffò.

 

-Questa mascherata era necessaria?-

 

Lui si gettò con noncuranza una falda del mantello dietro la spalla, rivelando la fodera di seta: i suoi occhi percorsero la figura di Sibylle, soffermandosi un istante di troppo sulle converse nere e sulla giacca a vento grigia.

 

Dalla carezza sdegnosa del suo sguardo la ragazza capì che anche lui trovava inadeguato il suo abbigliamento: nonostante ciò, Samael si comportò con grazia e rispose alla sua domanda come se non fosse stata retorica.

 

-Mi piace fare il mio lavoro come si deve-

 

-Bè, allora muoviti. Non mi va che qualcuno mi veda con te-

 

-Cherié, di che cosa hai paura? Che io possa rovinare la tua... ehm... reputazione?-

 

-Esattamente. Sembri un espositore di costumi di Halloween. E non mi chiamare “cherié”. Non sono un cioccolatino-

 

I suoi occhi grigi divennero sardonici: Sibylle riconobbe la fiamma del sadismo.

 

-Non occorre che tu finga una sicurezza che non senti- le sussurrò il demonio, il sorriso nascente sul volto affascinante.

 

-Io non fingo un cazzo di niente- lo attaccò Sibylle, intimorita.

 

Lui sollevò un sopracciglio con grazia, apparentemente divertito dalla scurrilità del linguaggio di lei.

 

-E’ inutile...- ripetè come se nulla fosse stato. -Sento la tua paura, non stancarti a simulare coraggio-

 

Figlio di puttana” imprecò mentalmente Sibylle, senza riuscire a trattenersi. Se ne pentì subito: chissà quale sarebbe stata la reazione di Samael davanti a quell’insulto.

 

Stranamente lui non disse niente: non un muscolo si mosse sul suo viso d’avorio.

 

-Allora non leggi nei pensieri- esclamò Sibylle, trionfante.

 

Samael la fissò. Non c’era sorpresa nei suoi occhi, solo ostilità. Sibylle si sentì percorrere da una vampata di gelido terrore: dovette reprimere ancora una volta l’istinto di fuggire.

 

-Non esattamente- ammise lui. -Posso sentirti, percepire parte delle tue emozioni nel caso esse siano violente e improvvise... ma non posso leggere la tua mente-

 

Disse queste parole come se farlo senza ucciderla per averle ascoltate comportasse uno sforzo immenso. Ed effettivamente Sibylle lo capì: l’aveva appena costretto a rivelarle un segreto abbastanza importante.

 

Se pure “costretto” era un termine adeguato. Se pure lui non stava mentendo e simulando il disagio e la collera per altri scopi. Se pure lui non aveva già deciso di ucciderla.

 

Cominciava a capire perchè Samael l’avesse avvertita di non sfidarlo mai a nessun gioco: in caso contrario non avrebbe mai saputo chi aveva il controllo della partita, neanche se avesse avuto tutte le carte vincenti in mano.

 

Improvvisamente Sibylle sentì il bisogno di sviare il discorso.

 

-Allora?- chiese, ignorando l’invito a non mostrare una falsa sicurezza in se stessa. -Sai solo chiacchierare o intendi passare ai fatti entro stanotte?-

 

-Sempre lieto di accontentare una signora-

 

Lei lo guardò storto, nonostante la paura la percorresse lungo le membra fino alla punta delle dita, simile ad una scossa elettrica. Aggrottò le sopracciglia quando lo vide portarsi le mani al collo e cominciare a slacciarsi i lacci di seta che trattenevano il mantello.

 

-Ehi, ma cosa fai?-

 

-Sssh...- la zittì Samael in un sussurro delicato e insinuante.

 

Quando le sue dita affusolate finirono di sciogliere l’intreccio, il mantello cadde giù in un fruscio di raso nero. La camicia bianca ornata di pizzo gli sottolineava le forme armoniose delle spalle e del petto: snello e pericoloso come una serpe, ogni movimento intriso di una sensualità quasi opprimente.

 

Bello, sensuale e sbagliato.

 

Tra le mani aveva qualcosa che Sibylle non aveva notato prima: un libro. Grande, non troppo spesso, rilegato in pelle rosso cupo. Sembrava antico: Samael prese tra due dita il segnalibro di stoffa nera e ricamata che sporgeva dalle pagine e lo aprì. Allungando leggermente il collo Sibylle lo notò fitto di righe di una grafia minuta e chiara: nomi.

 

I nomi di decine, forse centinaia di persone che, durante il corso incalcolabile dei millenni, avevano ceduto alle tentazioni del diavolo, cedendo la propria anima immortale.

 

Samael doveva essere un tipo preciso: aveva annotato il nome del venditore, le condizioni del contratto e, in alcuni casi, la scadenza dello stesso. La maggior parte dei nomi era stata cancellata da un tratto deciso di penna: Sibylle si chiese se ciò indicasse l’avvenuta morte della vittima.

 

Ad ogni nome corrispondeva una firma: erano tutte dello stesso, strano colore, marroncino-rossastro.

 

-E’... è sangue!- esclamò lei, disgustata.

 

Lui inarcò un sopracciglio e sorrise, sarcastico.

 

-Esatto. Sangue. Goccia a goccia, se ne sono privati per siglare i loro contratti. Hanno vergato i loro nomi, si sono incantenati a questo libro... e a me. Sibylle, ti unirai a loro stanotte?-

 

La ragazza deglutì e respirò profondamente, come se si stesse preparando a saltare da una grande altezza.

 

-Sì-

 

La sua voce fu chiara e senza tremiti. Gli occhi di Samael parvero brillare nell’oscurità: pezzi di ghiaccio illuminati da fuochi fatui.

 

Improvvisamente l’atmosfera cambiò: un mutamento impercettibile ma definitivo. Il vento cadde per un istante: l’aria immota sembrò fermarsi ad ascoltare, il fiume parve rallentare la propria corrente. I rumori della città non giungevano più alle orecchie della ragazza. Tutto era oscurità, tutto tranne il volto di alabastro di Samael.

 

Al suo ordine, Sibylle si tolse la giacca e il maglione, rimanendo in jeans e maglia blu scuro. Quando lui glielo chiese, depose senza esitazioni la mano sinistra tra le sue: emise solo un lieve gemito quando lui le torse il braccio per far si che risultasse esposto l’interno del polso.

 

Intravide un lampo argenteo di metallo, poi un dolore acuto all’incavo del polso. Si morse il labbro, quando percepì un liquido caldo colarle sulla mano.

 

Non gridò: l’adrenalina le scorreva addosso, l’avvolgeva completamente, penetrava attraverso la sua pelle. Tremava di soddisfazione e di paura al tempo stesso.

 

Il volto di Samael era una maschera ambigua e impenetrabile. I suoi occhi erano abissi gelidi e incommensurabilmente profondi: per la prima volta dimostrava la sua natura di creatura millenaria ed immortale.

 

Chiamò il suo nome e la sua voce era antica e stentorea.

 

-Sibylle-

 

-Samael-

 

La ragazza rispose istintivamente, in tono trepidante.

 

-Mi hai offerto la tua anima: sono venuto a reclamarla in nome di Lucifero il Diavolo, Principe delle Tenebre, Signore delle Mosche-

 

-Sì- sussurrò lei, stregata.

 

-Vuoi offrirmela ancora?-

 

-Sì- ripetè Sibylle, incapace di staccare gli occhi da lui. -Io te la offro-

 

-E quale sarà il prezzo della tua anima?-

 

-L’immortalità... e l’eterna giovinezza-

 

Nonostante Sibylle fosse trasognata, ormai rapita in un sogno che aveva i contorni dell’incubo, notò una lunga piuma bianca tra le dita di Samael: una penna d’oca. Non ne aveva mai vista una: come il libro, era evidentemente un oggetto molto antico.

 

Lui ne accostò la punta al piccolo taglio sanguinante sul polso della ragazza e lasciò che si intridesse del liquido scuro e denso.

 

Poi gliela offrì, piantandole gli occhi glaciali nei suoi.

 

Sibylle la prese: abbassando lo sguardo sul libro si rese conto che, in fondo alla lista dei nomi, ne era comparso uno nuovo, accompagnato da una dicitura precisa e da un piccolo spazio bianco per la firma.

 

Sibylle Bouteille, immortalità, eterna giovinezza, .......

 

Sibylle non potè impedirsi di arrossire nel leggere per l’ennesima volta il suo imbarazzante cognome.

 

La rabbia le fece tremare le dita, ma fu con rinnovata decisione che vergò la propria firma con il proprio sangue... nel momento esatto in cui le campane di Notre-Dame battevano la mezzanotte e la luna cambiava.

 

Un’improvviso e innaturale vento gelido li raggiunse e li avvolse, vorticando attorno a loro in un cerchio di potere.

 

Le raffiche fecere quasi perdere l’equilbrio a Sibylle, mentre Samael restò immobile come una statua.

 

L’ultima folata le strappò via il cappello senza che lei facesse niente per impedirlo. La ragazza guardò il basco di velluto a coste volteggiare nell’aria della notte e cadere nel fiume: lo osservò passivamente, mentre veniva trasportato via dai flutti vorticosi e scuri della Senna.

 

Liberati da costrizioni e spinti dalla furia del vento, i capelli le si gonfiarono improvvisamente attorno al volto.

 

Erano opulenti, lunghi e assai ondulati: l’oscurità li rendeva una massa di inchiostro, che fluttuava al vento.

 

Sibylle percepì gli occhi di Samael raggiungerli ed osservarli. Infine, assistette stupefatta alla lenta nascita di un sorriso.

 

Il diavolo dal volto di seduttore guardava i suoi capelli muoversi al vento e sorrideva. Un sorriso troppo innocente per esserlo davvero.

 

-Hai i capelli lunghi...- lo sentì mormorare con voce leggera.

 

Lo osservò registrare mentalmente, nella sua memoria infallibile, un altro dato su di lei: desiderò di poterlo fermare.

 

In un lampo di compresione, capì cosa stesse realmente facendo.

 

Andava ricercando i suoi punti deboli.

 

La studiava, la osservava, la assecondava allo scopo di farla reagire. La inseguiva, frugava nella sua mente, nel suo cuore. Cercava.  Aspettava di vederla incespicare sull’orlo dell’abisso. E se non fosse successo, comprese Sibylle, sarebbe stato lui a spingerla nella voragine.

 

Rabbrividì come se dita di ghiaccio l’avessero afferrata alla gola.  Quando lui avrebbe trovato quel che cercava, l’avrebbe distrutta.

 

Avrebbe afferrato il filo della sua vita e lo avrebbe strappato senza pietà

 

L’avrebbe costretta a rispettare quel contratto apparentemente così vantaggioso, quel contratto che prometteva all’inferno l’anima di chi non sarebbe mai morta.

 

Fatta la legge, trovato l’inganno?

 

Un sottile sensazione di potere cominciava a percorrerle le vene, mentre sul suo viso infine si allargava un sorriso di trionfo e gli occhi le si aprivano alla sua nuova vita. Sibylle chinò il capo: i capelli le velarono il volto per un istante e lei mormorò parole troppo leggere per essere udite, se non da una creatura immortale... come lei.

 

-Madame et Messieurs... ecco a voi l’inganno-

 

 

 

 

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Buonasera, cari e fedeli (?) lettori.

Dopo tanta attesa ecco il fatidico quarto capitolo. Spero ardentemente vi sia piaciuto.

 

Grazie a:

 

-GaaRa92: la mia beta è anche la prima a recensire! Brava ragazza... *fa pat pat sulla tua testa* xD. Lo so, lo so: io lascio tutti con l’ansia. E’ una tecnica che funziona sempre ma richiede una certa dose di bastardaggine. Grazie per i complimenti e per i sempre presenti consigli!

 

-LadyCassandra: grazie mille per i complimenti! Sono felice che ti sia piaciuto il dialogo intrecciato e considero molto molto positivo che tu non riesca a immaginare cosa succederà ^^. Baci, grazie ancora.

 

-nightfox: grazie per i complimenti anche a te, lieta che personaggi e ambientazione ti piacciano. Che ne pensi di questo capitolo?

 

-Persefone Fuxia: anche io trovo più intrigante lui, ovviamente. E’ molto più intrigante, anche se Sibylle non è da sottovalutare. Grazie per i complimenti, baci.

 

-darkrainbow: Sibylle è un tipo, certo... un tipo molto “me” xD. Ok, lo ammetto, è mia sorella gemella sputata e io sono una grandissima egocentrica che scrive di se stessa! Spero non me ne vorrai ^^.  Per quanto riguarda le citazioni di Oscar Wilde... bè, è un mio vizio. Frequento le riunioni degli O.W.A. (Oscar Wildianisti Anonimi) per combatterlo. XD baci e grazie.

 

-steffylove: ovviamente non voglio anticipare niente, ma posso dire Samael è stato sicuramente colpito da lei. Un film dalla mia storia? Quale onore... *arrossisce fino alla punta dei capelli*. Grazie mille!

 

-_Angel_Of_Lust_: Grazie, grazie e... grazie. L’analogia con il canto delle sirene (o il ruggito di drago ^^) mi ha davvero colpita e lusingata. Bacio anche a te!

 

-aki_penn: grazie mille! Credo di padroneggiare abbastanza bene Parigi, è decisamente la mia città preferita d’Europa e ci sono stata diverse volte. Il titolo della storia significa “Vuoi la mia anima?”: non molto originale ma efficace. Per quanto riguarda il contratto, ecco cosa ho pensato: Samael firma un contratto apparentemente in perdita, che gli consentirebbe di ottenere l’anima solo alla morte del venditore della stessa. Ma così non è, perchè lui si cura di spingerlo, con inganni e persecuzioni, al suicidio o ad una morte prematura e violenta (l’unica che può ancora toccare la vittima di Samael). Questo ovviamente riguarda solo i contratti di immortalità. Spero sia tutto chiaro.

 

-Emily Doyle: ho intenzione di serbare il segreto sulla decisione di Sibylle per molti capitoli... Ecco il seguito, grazie per i complimenti!

 

-SiSi: un’altra delle mie “fedeli”! XD lieta di ritrovarti qui! Meglio io della Meyer... oddio, me tracolla e sviene. GRAZIE!

 

-_Marika_: sono felice di averti di-disincantata (xD parla come mangi, mi dico da sola xD). Grazie mille per la recensione e i complimenti.

 

-Araxe: Superbia, mia cara! So che il biondo è il tuo tipo, ma devi ammettere che Samael ha un certo fascino... quel je ne sais qua... A parte tutto, grazie per la recensione, un bacio dalla tua Invidia.

 

 

Qualche piccola nota.

Il cognome Bouteille è imbarazzante perchè vuol dire “bottiglia”. Non è molto dissimile dal mio cognome (che odio), per la cronaca.

In questo capitolo vi ho già dato un paio di indizi, deducete voi quali.

Un’altra cosa. Ho fatto una piccola modifica alla geografia di Parigi (nella fattispecie ho “tagliato” un pezzo dell’Ile-de-la-Cité) per ragioni di trama.

 

 

E con questo vi lascio, ci sentiamo al prossimo capitolo.

Ciao a tutti!

 

  
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