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Autore: Espero    12/03/2005    4 recensioni
Primo racconto che scrivo in prosa e con un po' di studio dietro soprattutto dal punto di vista metaforico e allegorico. Una strada quasi mai battuta da me e quindi vi prego di aiutarmi o stopparmi se non fosse la mia strada.
Genere: Dark | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Un portale raffinatissimo di pietra

Un portale raffinatissimo di pietra.

Un susseguirsi di lavoratissime mattonelle prendono posto sull’arcata.

Questo portale sembra rappresentare la storia ateniese, le guerre contro i turchi e Sparta, l’invasione macedone, il declino, l’invasione romana, l’oblio della filosofia.

PRIMO PORTALE: PROMETEO

Varcato il primo portale mi ritrovai in una sala buia e labirintica. Alti scaffali, umidi e polverosi si snodavano dal centro della stanza che sembrava avere un buco al centro in cui piano cade una lieve pioggerella. Attorno a questo raccoglitore d’acqua e a questa dolce caduta d’acqua figura slanciate di sacerdotesse. Mi faccio avanti silenzioso per ascoltare le loro parole. L’acqua scroscia più forte è viene a crearsi come un intangibile velo d’acqua ai lati del bacino. Le donne sono splendide. Truccate e adorne di monili si muovo come fossero aria. Raccolte al centro della stanza, disposte a cerchio. Non capisco il greco ma mi parve di capire che si stessero presentando. Eufrosine. Aglaia. Talia. Figlie di Zeus ed Eurinome. Le Càriti. Non compresi le loro invocazioni e i loro riti. Un nome rieccheggiava in quei dialoghi sottesi tra bastioni di incomprensibile sapere pagano: Prometeo.

Un soffuso chiarore nasceva timido da dietro quella soffice cortina di pioggia e come un sole che sorge inizio a farsi sincero il profilo slanciato di un giovane. Non indossava vesti. Il suo fisico scolpito e titanico emergeva lento dalle ombre e dalla fievole luce della candela.

La sua favella non mi fu oscura. Non saprei ben ridir che lingua fosse ma eloquente, come voce calda e ferma riempiva quel aere di suoni e parole dolci e compassionevoli. Si fece chiara anche la dizione delle dee.

Il nostro popolo è in rotta. La nostra gente non crede più negli dei e nella Grecia. Atene non è che pascolo per legionari romani. Le nostre donne sono violentate. I nostri uomini schiavi. I nostri figli seguaci di grassi senatori romani. Cosa possiamo fare o Prometeo?

Perché amo ancora l’uomo? Per lui rubai il fuoco, per lui il mio corpo venne straziato ogni giorno, sulle vette caucasiche fino a che Ercole non mi liberò. Cosa ancora mi spinge a stare a fianco dell’uomo? Per voi sono divenuto l’ultimo dei mali di Pandora, moglie del mio sventurato fratello. Per voi sono dunque speranza, come posso essere diventato tale? In me avete visto la libertà del pensiero e la ribellione al giogo degli dei. E ora, voi stesse, dee delle arti, vi appellate a me? Mai vi fu in me la proposizione di essere oggetto di venerazione per gli uomini. Io in me stesso trovai la forza. Ancora guardate troppo in alto per risolvere i dilemmi sporchi e miseri dell’umana esistenza. Non è più il mio tempo. Ho rubato il mio raggio di sole. Non camminerò più tra gli uomini.

Le tre donne si protesero verso di lui, come ad afferrarlo ma al contatto con il manto d’acqua la sua ombra scomparve. Più nulla si stagliò su quella scena. Le tre donne chinarono il capo e scomparvero tra gli scaffali e vi fu silenzio.

Compresi che era tempo di proseguire.

  
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