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Autore: Arydubhe    10/12/2015    2 recensioni
Ciao a tutti! Questa ficcy è dedicata alla mia coppa preferita di FT, la Gale! La storia si propone come una summa della loro intera storia dal loro primo incontro...fino a dove il manga ancora non è arrivato (ma si spera arriverà). Come procede la loro storia vista dai loro occhi? Quali sono i loro pensieri e come evolvono i loro sentimenti? Ma soprattutto come hanno fatto i nostri due beniamini a finire per lavorare per il concilio? Cosa è successo durante l'anno in cui la gilda è stata chiusa? Cosa ci riserva il loro primo bacio e quali saranno le conseguenze di qualche incidente piuttosto hot? questo e tanto altro vi aspettano! Leggete e lo scoprirete!
Dalla storia:
"Dal diario di Levy MacGarden
[...]Dopodichè Gajeel se ne è andato, salutandoci, già girato di spalle.
“Strafottente” ho pensato. Ma stavo ridendo.
Non era proprio tutto ciò che da lui avrei voluto sapere; non era niente, anzi, rispetto a quello che avrei voluto chiedergli, ma non ne avevo la forza. Vedevo Gajeel che trotterellava pian piano lontano da noi, eppure non trovavo la voce per parlare.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gajil Redfox, Levy McGarden, Lucy Heartphilia, Pantherlily, Un po' tutti
Note: Lemon, Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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Ammansire un drago

Dai pensieri di Gajeel Redfox

 

Io sono Gajeel Redfox, e per la maggior parte della mia vita sono stato un coglione.

Oh, non che la cosa mi importasse granchè. Anzi, era il mio stile di vita e ne facevo quasi un vanto. Anche se, forse, più che della mia parte cogliona, andavo fiero della mia parte stronza, che non facevo nessuna fatica a tirar fuori praticamente in ogni occasione.

Persino ora che sono più adulto- e badare che non esiterei a tirare un pugno a chi osasse definirmi vecchio-, riconosco che buona parte di quei tratti caratteriali fanno ancora parte di me, talmente connaturati nel mio animo da essere praticamente senza rimedio.

Tuttavia, è con obiettività che posso affermare che anche da un drago burbero e scorbutico come me è stato possibile tirare fuori del buono.

Sì del fottuto buono, di quello da scene strappalacrime dei film, anche se niente di melenso e stucchevole come certe scempiaggini che ogni tanto legge la mia donna.

La quale, devo dirlo, è forse l’unica cosa ben fatta che davvero sono riuscito a combinare per parecchio tempo nella mia vita di ragazzo.

Resto scontroso, irascibile, un bruto. E sì sono anche maleducato per il comune metro di giudizio.

Ma ci mancherebbe anche: non è che uno si deve rammollire del tutto solo perché finisce per innamorarsi, che cazzo!

 

Levy Macarden era apparsa nella mia vita come un insignificante insetto.

E cosa facevo all’epoca con gli insetti io? Semplice: li schiacciavo.

Così questo era stato il mio primo approccio a lei, per me così insignificante.

Schiacciarla.

Ero alla ricerca di un soggetto perfetto per completare con una bella ciliegina sulla torta la mia missione di offesa nei confronti di Fairy Tail, la Gilda che Phantom Lord mi aveva ordinato di distruggere e fare vergognare fino in fondo. Non avevo per la verità pretese particolari, mi bastava incontrare qualche membro della gilda nemica e stenderlo. Avevo una missione e andava conclusa al meglio. Tutto lì.

Chiunque fosse stato lo sfortunato, di lui non poteva importarmi di meno.

Detto fatto.

Far cadere Levy svenuta con un colpo solo assieme a quei due imbelli che si tirava dietro, per poi attaccarli a un albero con delle fascette di ferro, mi era sembrato il massimo spregio che potessi fare alla gilda.

Era stato con un ghigno sadico che avevo completato la mia terrificante opera di crocefissione dei tre malcapitati disegnando sulla pancia della ragazza il simbolo della mia gilda.

La missione che il Master mi aveva affidato era stata da me portata a termine da DIO; contemplando quella vita sottile scarabocchiata dal nostro marchio mi sembrava quasi, addirittura, di aver appena terminato una vera e propria opera d’arte.

Anzi, avrebbero dovuto ringraziarmi, quei tre: ero stata rapido e quasi indolore. Sicuramente potevano fare più bella figura conciati a quella maniera che in un combattimento.

L’avevo detto io che ero uno stronzo.

Un po’, però, solo un po’, mi era dispiaciuto per la ragazza. Più che altro perché avevo scelto di attaccare il suo gruppo proprio perché erano in tre, mentre io invece ero solo. "Un po’ di vantaggio lasciamoglielo", mi ero detto. Speravo in uno scontro che avrebbe fatto ribollire almeno un po’ il mio sangue: non mi piace attaccare persone deboli, non mi piace inferire su chi non ha possibilità alcuna contro di me e non mi è mai piaciuto neanche il solo pensiero.

Non mi aspettavo che quei tre si sarebbero rivelati così indifesi. Lei era una donna, potevo capire…ma quegli altri due…

Due veri cretini. Non sono mai stati in grado di difenderla, quella ragazza, e non lo sapranno fare mai.

Non che la cosa importi granchè, visto che adesso per lei ci sono io.

Ho provato per loro sin da subito un certo disprezzo, che non so se avrò mai modo di superare davvero, siccome persevera anche ora che sono passati anni. Non sapevo in che rapporti fossero con quella ragazza (parenti, amici, semplici compagni di gilda?) ma avevo trovato ridicolo il fatto che l’unica ad essere stata in grado almeno di accorgersi della mia presenza e provare a reagire fosse stata lei, la ragazza, che addirittura aveva cercato di parare con la magia un mio colpo. Certo, questo non mi aveva impedito di mandarla a terra ugualmente esanime, ma ciò non toglieva che tal cosa fosse davvero indegna per due uomini, mentre faceva almeno un po’ onore a lei.

Anche per questo era stato quasi con dispiacere che mi ero deciso a sfregiare lei con il simbolo della mia gilda e non loro. Non mi piace infierire sui casi persi, come ho detto. E da che mondo è mondo si sa che a far infuriare di più le persone è quando ad essere toccate sono le donne, piuttosto che gli uomini. Perciò alla fine mi ero deciso a fare così; “fare infuriare Fairy Tail” era stato l’ordine preciso da me ricevuto dal Master? Ero certo che con questa mossa sarei andato sul sicuro. Non si trattava infatti (solo) di coronare l’orribile azione della distruzione fisica della gilda con un’atto spettacolare: temevo che l’aver sfondato il tetto e distrutto i muri di Fairy Tail non sarebbe bastato a smuovere da lì dentro quei maghetti, che durante tutto il giorno si erano comportanti con indifferenza, quasi che non vedessero quegli enormi piloni di ferro, opera mia, che trafiggevano l’edificio della loro gilda come giganteschi aghi su un puntaspilli. Inoltre, era inutile farsi stupidi scrupoli, mi dicevo: già l’avevo resa incosciente, dipingerle la pancia con un po’ di pittura nera sarebbe stato il meno.

Cionondimeno il viso di quella ragazza dai capelli blu ebbe modo di imprimersi nel mio viso e da quel giorno per un po’ e non riuscii a evitare di chiedermi se avevo fatto davvero bene ad agire in quella maniera.

 

La prima ragione che mi venne in mente per rifiutare la profferta di Makarov di unirmi a Fairy Tail dopo la distruzione di Phantom Lord fu proprio il ricordo della scena impietosa che avevo allestito col corpo di Levy e quello dei compagni sull’albero. Ripensandoci a posteriori ero stupito di me stesso.

Non avevo giustificazioni: ero perfettamente cosciente di quanto male stessi facendo quando avevo compiuto quel gesto.

Solo che adesso, dopo tutto quel tempo e tutti gli avvenimenti intercorsi, non potevo che vergognarmene. Non avevo agito né da uomo, né da drago, bensì da mostro.

Ero davvero così impelagato ormai negli abissi dell’oscurità?

Se sì, ero pronto ad andare ancora più a fondo in quell’abisso? Oppure avrei fatto meglio a cogliere le offerte di Makarov e riprendere a camminare sul sentiero della luce? Ma soprattutto avrei potuto riuscirci, solo perchè improvvisamente lo volevo?

Fu però sempre il ricordo del viso di quella ragazza a dirmi che sì, ci dovevo provare. Non solo ne valeva la pena, ma ci dovevo pure riuscire.

Io non volevo essere quel tipo di uomo.

Essere forti, amare la lotta, incutere timore era un conto; fare del male indiscriminatamente e colpire innocenti no.

 

E così, mentre ancora nella mia testa risuonavano le parole di Makarov, che mi istigavano a cambiare perché “troppi ne aveva visti di giovani come me, perdersi nell’oscurità senza trovare più una via di uscita” e impensierito dai rimorsi per quanto avevo fatto a quella ragazza –di cui peraltro non sapevo neanche il nome- mi sono convinto a unirmi a Fairy Tail.

Potevo solo immaginare quale inferno avrei dovuto sopportare per un po’ di tempo. Quanto a lungo poi, chi poteva dirlo. Di certo parecchia gente, se non chiunque, nella gilda mi avrebbe volentieri preso a pesci- e anche direttamente a cazzotti- in faccia. In faccia mi avrebbero anzi voluto sbattere immediatamente la porta.

Ma quello che mi preoccupava non era tanto il fatto di mettere a rischio la mia faccia e il mio orgoglio, quanto la possibilità di non riuscire a superare questa specie di prova cui pure volontariamente mi stavo sottoponevo: per una volta mi sarei dovuto armare non di ferro, ma di pazienza, una dote di cui la sorte mi aveva abbondantemente sprovvisto.

Sapevo di non avere scelta: se volevo che prima o poi Fairy Tail mi accettasse tra i suoi ranghi avrei anzitutto dovuto dimostrare di volerlo ottenere il titolo di nakama.

Arrivai alla gilda con il pensiero che la prima cosa che avrei dovuto fare sarebbe stato ritrovare quella ragazzina e chiederle scusa. Magari anche chiederle il suo nome…

Non fu difficile individuarla: ricordavo benissimo la sua faccia pulita, i capelli azzurri, la corporatura esile e piuttosto ridotta in fatto di altezza.

Perlomeno non fu difficile individuarla nei primi dieci secondi. Dopodichè, come un fantasma, la vidi sparire dietro una porta senza che più facesse ritorno.

Cosa mi potevo aspettare di diverso?

In fondo andava bene anche così. Ero sollevato dal vederla in piedi e completamente ristabilita. Poteva anche bastarmi.

 

Vederla mimetizzarsi ogni santo giorno in maniera simbiotica con muri, tavoli sedie e pavimento mano a mano che si spostava per la gilda pur di evitarmi, per i primi giorni mi sembrò ragionevole. Ammetto anzi di averlo trovato pure divertente. Un po’ mi piaceva la sadica sensazione di giocare al gatto col topo.

E io ero il gatto, ovviamente.

A un certo punto però mi resi conto che a divertirmi ero solo io, che il gioco non era così divertente e che in tutto ciò con lei non avevo chiarito un bel nulla. Un po’ mi sentii di nuovo in colpa. Ne avevo di strada da fare per essere accettato in quella gilda di puri di cuore…

Nel mio solitario silenzio avevo modo di osservare la chiassosa combriccola di Fairy Tail intrattenersi nelle quotidiane incombenze: risse, distruzioni, battibecchi, esplosioni… da questo punto di vista Fairy Tail un po’ mi ricordava Phantom Lord, solo che l’aria che si respirava era completamente diversa: distesa, serena, allegra…anche nel bel mezzo di un pestaggio, mentre volavano tavoli e sedie.

Ogni tanto mi trovavo a sghignazzare per un colpo che, riconoscevo, era stato ben assestato.

Quanto avrei voluto unirmi a loro. Menare le mani era il mio passatempo preferito di sempre e mi ricordava di quando giocavo con mio padre adottivo, Metallicana, che con un solo buffetto era capace di scaraventarti lontano due chilometri. I pugni e i calci che volavo li riconoscevo: erano quelli che ci si dà tra persone di fiducia, per scherzo. Anche se era da anni che non mi pestavo “per scherzo” con nessuno.

Tuttavia sapevo che era troppo presto pensare di unirmi a loro.

Anzi, tutte le volte che la gente della gilda si accorgeva che la stavo guardando, non importava quando forsennata fosse la lotta, il combattimento si interrompeva a metà e ricominciava il brusio di accusa e condanna ai miei danni.

In quella marmaglia tutta colorata e allegra mi rendevo conto di sembrare un pezzo fuori posto, stonato, anche se decisamente- ci avevo messo poco a capirlo, per quanto in parte lo negassi a me stesso- Fairy Tail a pelle aveva finito per piacermi molto più di Phantom Lord.

Ma dovevo aspettare o avrei potuto essere frainteso.

Ciò che più di tutto mi faceva perdere le staffe di tutta quella situazione era il pensiero di dover rimandare la resa dei conti con quello stronzetto di Salamander. Segnavo le offese una per una, mentalmente, confidando che prima o poi gliela avrei fatta pagare cara. Solo con lui quel velo di indifferenza di cui mi ero ammantato si infrangeva nella voglia di rifilargli un pugno.

Natsu è stata la prima ragione per cui avevo temuto di essere sbattuto veramente fuori da Fairy Tail appena entrato. Come mi faceva incazzare lui non ci riusciva nessuno.

Quasi quasi lo capivo, quello stripper pervertito del suo amico, che passava la metà del suo tempo nudo a farsi gli affari suoi e l’altra metà a pestare il ragazzetto dai capelli rosa.

In quei momenti in cui avevo addosso gli occhi di tutti, comunque, mi ritrovavo a sperare che mai i membri di Fairy Tail venissero a sapere che per ordine di Makarov stavo con i piedi in due scarpe con la gilda oscura del figlio del master. Avrei potuto spiegare quanto volevo che a dirmi di fare il doppio gioco era stato Makarov stesso, di sicuro sarei stato linciato sul posto, immanentemente.

Certo che anche Makarov aveva deciso di darmi un compito poco gravoso, tanto per cominciare…ma del resto capivo benissimo che una prova migliore di quella per testare la mia reale natura e i miei intenti non avrebbe potuto trovarla. Buio o luce: di fatto stava davvero lasciando a me la facoltà di decidere.

 

Fu così che mi resi conto che forse per essere accettato non mi sarebbe bastato farmi i fatti miei, prendere qualche missione qua e là senza farmi notare più di tanto ma avrei dovuto dimostrare di essere uno di loro coi fatti.

In particolare, oltre a pestare Natsu, c’èra un’altra cosa che la mia vocina interiore mi intimava di fare quindi, ogni volta che la consapevolezza della mia situazione faceva capolino nella mia mente: trovare la ragazzina dai capelli blu e scusarmi con lei…e coi suoi due amici imbe(ci)lli.

A un certo punto ebbi il sospetto che fosse arrivato -forse?- il momento giusto. Negli ultimi giorni, infatti, la ragazza aveva cominciato a guardarmi da lontano, a spiarmi, aveva addirittura provato a guardarmi negli occhi. Continuava a sembrare un coniglietto spaurito, sempre mezza nascosta dietro a qualche cosa e con la sola testa che spuntava da questa. Quando aveva provato a rivolgermi un debole, timido e tremolante sorriso le avevo risposto a mio modo.

“Gihihihihih”

Un po’ mi ero offeso nel vederla scappare.

Mi era sembrata la maniera migliore per rompere il ghiaccio.

Ci tenevo veramente a scusarmi con lei, ma se avesse continuato a scappare a quella maniera solo vedendomi ridacchiare, cosa avrebbe fatto qualora le avessi rivolto la parola?

Decisi che dovevo parlarle e basta. L’avrei avvicinata mentre non era da sola e le avrei chiesto di incontrarmi coi due cretini per parlare.

Fu divertente vedere la sua faccia stupita, anche se a stupirsi fui anzitutto la mia persona nel vedere che nessuno dei tre aveva rimostranze nei miei confronti, soprattutto lei, che aveva accolto le mie scuse con un gran sorrisone. Qualche ora prima fuggiva e qualche ora dopo mi sorrideva a quella maniera…lì per lì pensai che quella Levy fosse davvero pazza, bipolare. Degli altri due chissene fregava, tacevano.

 

Mi stupii ancora di più il giorno dopo, quando Levy pregò in lacrime Laxus di smetterla di colpirmi coi suoi fulmini.

Giustificavo benissimo la paura di Levy nei miei confronti; ero rimasto piacevolmente stupito della sua accondiscendenza e disponibilità il giorno prima; vedere però quel gamberetto preoccuparsi per me in maniera sincera il giorno dopo appena era una cosa veramente inaspettata. L’avrei capita se mi avesse odiato ancora un po’, se fosse andata avanti a mettermi il muso e avere sospetti, se avesse continuato a portare odio o rancore verso di me, come i suoi due amici, che infatti la mattina stessa erano venuti a regolare i conti con me prima che Laxus arrivasse a creare scompiglio.

Perciò quando Laxus ha provato a colpire Levy mi sono gettato a difenderla senza aspettare un secondo di più. Glielo dovevo e sapevo che quei due cretini che aveva dietro non sarebbero stati capaci di muovere un muscolo.

Mi aveva lasciato per la verità davvero davvero perplesso l’evidenza che anche a "siamo-tutti-santi-Fairy-Tail" un membro potesse attaccare così un suo nakama: non mi sembrava per niente in linea con lo spirito della gilda.

Potevo capire che Laxus, il nipote di Makarov, attaccasse me, ex-distruttore della gilda… ma Levy…un po’ ero ipocrita a parlare così, visto che cronologicamente parlando, il primo ad averla picchiata ero stato io, ma mi si doveva riconoscere che io non l’avevo conciata così come l’attacco che Laxus le aveva indirizzato contro avrebbe fatto se l’avesse colpita. Rendere incoscienti con un colpo netto non è incenerire…Non si colpiscono così le donne, specie se così indifese. Dio, quanto odio quel pikachu di merda.

 

Evidentemente il mio gesto d’ammenda e indignazione era stato da lei preso come qualcosa di eroico, perché da lì in poi Levy non avrebbe mai più smesso di mostrare fiducia nei miei confronti.

Lo fece durante la successiva battaglia contro Laxus, quando si sforzò di far uscire me e Salamander dalla gilda in cui eravamo rinchiusi per andarlo a sconfiggere e in un sacco di altre occasioni a partire da alcune missioni in cui eravamo stati compagni.

 

Il senso di colpa di aver fatto del male a quella ragazzina che era così uno scricciolo non aveva smesso di tormentarmi. Cionondimeno mano a mano che la conoscevo avevo cominciato a scoprire alcuni aspetti di lei che mi avevano colpito.

Quella Levy era grandiosa. Non era di quelle ragazze che spiccavano immediatamente nella folla, ma c’era qualcosa di speciale in lei che mi incuriosiva. Era diversa da tutte le altre ragazze della gilda.

Scoprii che mi piaceva stare nell’angolo e osservarla. Era sempre affannata e indaffarata, assolutamente incapace di nascondere i mille pensieri che le passavano nella sua operosa testolina azzurra. Avevo imparato che la cosa più sbagliata da fare quando scioglieva la fascia con cui adornava la testa era parlarle.

Seriamente, quelli erano momenti in cui a disturbarla avresti rischiato la vita.

 

In breve, senza che me ne fossi nemmeno accorto, avevo preso la mia decisione: volevo proteggerla.

Non lo avrei fatto in maniera invasiva, anche perché non avevo alcun diritto di piombare ancora prepotentemente nella sua vita come già avevo fatto. Ma avevo realizzato che era difficile trovare qualcuno di così piccolo al mondo, eppure così determinato. Quella ragazza andava difesa. Non avrei più lasciato quindi che qualcuno le mettesse le mani addosso o le facesse del male. Ma questo lo sapevo solo io.

 

Per il resto, avevo sviluppato una certa propensione a prenderla in giro. Mi divertiva farla infuriare.

Faceva ridere, cazzo, vederla cambiare colore, urlare, sbraitare e lanciare cose.

Sapeva anche far male quella merdina, se si incazzava.

Chiamarla “gamberetto” mi sembrò per un po’ di tempo la trovata più geniale della mia vita.

Ce ne misi di tempo per capire che non solo mi piaceva romperle le balle, ma che lei mi piaceva e basta. Nella mia mente si stava formando l’ipotesi che forse avevo trovato la donna giusta per me.

C’era qualcosa che mi attraeva nella maniera in cui si comportava, con tutti e soprattutto con me. Mi cercava. Non facevo altro che trattarla male alias essere me stesso…eppure volente o nolente me la ritrovavo tra i piedi. Non che mi dispiacesse così tanto per la carità, anzi. Era stupendo avere una specie di giocattolino da divertirmi a punzecchiare.

La cosa migliore, addirittura, era che ogni tanto era lei a farmi vergognare amaramente.

 

Nella media delle reazioni sensate, avrei dovuto odiarla una persona così. Invece con lei finivo per apprezzarla ancora di più.

Stare a fianco a Levy però non era così facile. Spesso si arrabbiava con me senza che neanche capissi la ragione; allora di solito mi picchiava dopo avermi insultato e se ne andava. In breve avevo imparato a riconoscere dalla sua faccia quando era arrabbiata, a cogliere le avvisaglie di un temporale all’orizzonte; nulla però poteva insegnarmi come farle passare l’arrabbiatura, per imparare avevo dalla mia solo la pratica.

Anche perché se a farla arrabbiare ero stato io col mio comportamento anzitutto dovevo capire cosa la aveva fatta infuriare.

Non ho mai avuto un carattere facile e con lei tendevo a liberare il peggio di me.

 

Fu quando cominciai a chiedermi seriamente perché mi davo tanta pena nel non farla alterare troppo che mi accorsi che i miei sentimenti verso di lei erano irrimediabilmente cambiati.

Dalla curiosità a…

Noooo non poteva essere.

La mia prima reazione fu l’orrore nel vedere che non solo ero davvero diventato una fatina buona come Makarov mi aveva spinto a fare, ma stavo diventando troppo zuccheroso e bravo punto.

Provare addirittura amore?

Chi, io?

Non ero nato per essere una di quelle fatine buone del cazzo, io.

Non ero nato per provare sentimenti buoni per la gente in generale!

Gajeel Redfox non si innamora.

La seconda realizzazione fu che tra tutte le persone del mondo non potevo prendermi bene proprio per Levy McGarden.

Tutte ma non lei.

Perché? Be’ semplicemente perché no.

La gente mi vedeva e le si leggeva in faccia:
PAURA
AIUTO
CHE DIAVOLO…?
un DIAVOLO

PAURA!
WAHHHHH!

SCAPPATE, METTETEVI IN SALVO!

PIERCING…TROPPI

BLEAH
CAPELLI LUNGHI NERI

AIUTO!!!
POCO DI BUONO
METALLARO
PERICOLOSO

DA EVITARE

Lo sapevo e mi andava benissimo così.

Levy invece passava e la gente pensava:
CARINA

DOLCE
SIMPATICA
GENTILE
INTELLIGENTE
UNA VERA FATA

UNA RAGAZZA PERFETTA

 

Io innamorarmi di una così?

Io poter stare con una così?

Naaaaaaaaaaaaaaaaa

E poi...i nostri rapporti erano irrimediabilmente compromessi dal nostro primo incontro...

...ancora mi vergogno a ripensarci...

Però a dispetto di quello che il mio cervello diceava, il mio cuore andava per i fatti suoi e il fatto che sì, anche io avessi finito per innamorarmi, era divenuto palese.

Ma dovevo essere saldo, mi dicevo.

Quella stava davvero facendo diventare una fatina buona anche me e ok ascoltare Makarov, ma c’era un limite.

Per qualche orgoglio maschilista e sessista, anzitutto, non volevo che la faccia del rude uomo di mondo che mi ero creato venisse cancellata da fiorellini e cuoricini.

Come dicevo, ero un coglione.

 

Ma al di là di questo, ben presto il vero ostacolo con Levy non fu più il mio orgoglio, ma la paura di perderla.

Avevo giurato a me stesso che non le avrei mai più fatto del male.

Proteggere Levy sì, si poteva -e doveva- fare, ma amarla no.

Perchè io la amavo, e questo era sicuro. Ma lei?

Sapere che provavo qualcosa per lei avrebbe potuto spaventarla e allontanarla da me.

Che guardia del corpo del cazzo si innamorava della sua protetta?

E poi non dovevo confondermi: mi aveva accettato come amico, nakama…stop.

 

Inoltre, non è normale una che si innamora di chi le ha fatto del male. Di gente che si comportava così avevamo già quella piagnona di Lluvia che correva dietro allo stripper che l’aveva sbattuta qua e là sul tetto della Phantom Lord al tempo dello scontro tra le nostre due gilde; Lluvia con la sua sindrome di Stoccolma bastava e avanzava.

Levy non era una ragazza comune, ma la ritenevo assolutamente normale, anzi, dotata di troppo cervello perché le piacesse uno come me.

...Evidentemente però Levy davvero non è normale, ma tant’è e la cosa va tutto a mio favore. Ghhihihihihi.

 

Comunque, continuavo tutto sommato a non ritenermi adatto a lei, anche se parte del mio cervello urlava che lei era assolutamente la donna che faceva per me. Perciò la guardavo da lontano e facevo di tutto per reprimere ogni istinto che non fosse casto e puro nei suoi confronti. E giuro che era fatica...

Inoltre al di là di tutti i discorsi sulla differenza di carattere, di aspetto e cose simili, a un certo punto mi trovai a farmi i conti in tasca: quanti anni di differenza avevamo io e lei?

La scoperta mi lasciò a terra stordito come un attacco del pikachu rabbioso della gilda: Levy aveva circa 17 anni quando l’ho conosciuta, adesso ne aveva appena 18. Pensavo ai miei di anni.

Ero un pedofilo, insomma?

Evidentemente anche per quella domanda la risposta era affermativa.

 

Le cose peggiorarono ulteriormente quando nei suoi atteggiamenti cominciai a cogliere i segni di come il mio interesse fosse abbondantemente ricambiato.

Mi ero cacciato in una trappola e ci stavo trascinando pure lei. Anzi oramai avevo bell’e che concluso l’opera.

Bel pirla...

Che cazzo avrei dovuto fare a quel punto?

Ero un coglione, torno a ripeterlo.

La mia mente elaborò una sola risposta: allontanarla.

 

Cominciò allora un giochetto del “ti sto vicino, ma non troppo” che speravo servisse a calmare i bollenti spiriti a entrambi- specie i miei- e mantenere la nostra amicizia semplicemente e solo tale. Volevo restare sempre e solo il bodyguard.

 

Fu la sequela dei litigi e delle incomprensioni.

Perché io potevo fingere di non essere innamorato perso di lei, potevo fingere di non vederla frustrata quando non le davo le attenzioni che avrebbe voluto – e che meritava-, potevo fingere di non essere interessato ai suoi sentimenti; ma lo ero, e per dieci atti di indifferenza partiva l’atto di gelosia o la carineria.

Per un lunghissimo periodo di tempo non so quanti pugni mi sono tirato da solo in preda alla frustrazione.

Non potevo andare avanti così.

Quella mia strategia era una idiozia colossale.

La stavo facendo soffrire più di quanto avesse meritato e soprattutto stavo fallendo in ciò che mi ero ripromesso di non fare mai più: farla piangere.

Il punto clou fu quando per colpa mia si ubriacò al castello alla festa del castello dopo un litigio bello e buono. Avevo capito benissimo che quello che stava facendo era confessarsi, ma fingere di aver frainteso il senso del discorso era più facile. Altrimenti avrei dovuto assumermi delle responsabilità che non volevo prendermi.

Ero convito che metterci assieme, ammettere di fronte a lei che mi ero innamorato avrebbe reso tutto troppo complicato tra noi due.

Perché io sono un drago e lei una fata.

Quella sera, quando fui io a raccoglierla mezza addormentata, in completa solitudine, su un divano, quando fui io a riaccompagnarla a casa fino al dormitorio a Fairy Hills, non potei fare a meno di sentire il peso di quanto fossi una merda. Riuscii ad accompagnarla sino in camera sua perché nessuno quella sera faceva la guardia in portineria. Fu con un’occhiata di profondo rammarico che la depositai gentilmente nel suo letto, così com’era, la coprii appena una coperta mentre farfugliava quanto fossi stronzo. L’avevo ignorata per tutta la sera ed era per colpa mia se adesso era conciata così. Sentirsi dare dello stronzo era il meno. La responsabilità di tutto quel casino ERA MIA.

Ma per una ragione non bene identificata credevo che per quanto ciò stesse facendo soffrire entrambi, facevo bene a comportarmi così.

Quando mi parve essersi tranquillizzata, me ne andai. Non volevo mi trovasse lì.

Domani sarebbe stato un altro giorno. Forse mi avrebbe odiato, forse avrebbe dimenticato tutto, forse sarebbe andato tutto come sempre. Io comunque avrei fatto finta di niente. Non dirle che l’amavo era la cosa giusta, perciò facevo bene a tenere la bocca cucita.

 

Di tutto avrebbe tentato di minare la mia risoluzione.

Il giorno che si vestì da coniglietta e girò così per la gilda, non ce la feci a rimanere impassibile e piuttosto che suicidarmi sul posto per evitare di dar sfogo ai miei più bassi istinti – perché Levy quel giorno ispirava bassi istinti- imbastii una scenata atta a levarmela di torno. Due secondi ancora davanti alla mia vista e non avrei più risposto delle mie azioni.

Il giorno che quasi a costo della sua stessa vita mi regalò tutta l’aria che i suoi piccoli polmoni avevano immagazzinato per permettermi di riprendermi e non perire sotto i colpi di Torafusa, feci di tutto per mantenermi lucido e pensare a come sfruttare la presenza della mia Levy, incolume, e i suoi poteri per uscire da quella brutta situazione e salvare tutti; ma fu una fatica focalizzarsi sul combattimento piuttosto sul fatto che mi avesse appena baciato. Vinsi solo perché, se Torafusa mi avesse sconfitto, non avrei più avuto alcuna speranza di ricevere un altro bacio da lei in futuro.

Perché io potevo dirmi che per noi non c’era storia e comportarmi in maniera tale da dissuadere Levy dalle sue propensioni amorose; ma il mio cuore restava legato a lei e tutte le mie più rosee speranze erano popolate dalla sua presenza.

E poi vennero i giorni in cui Levy vide tutta la mia debolezza, come quando mi scoprì in lacrime per la morte di Belno; quella volta davvero non riuscii a farcela senza il suo sostegno. Ebbi solo un abbraccio da lei, un abbraccio caldo, che parlava di tutto l’amore reciproco che ci ostinavamo a lasciare in sospeso. Perché lei, dopo tutte le volte in cui si era fatta forza e aveva cercato di confessarsi senza che io glielo lasciassi fare, aveva deciso di lasciare che fossi io a compiere il prossimo passo, quello decisivo.

Giuro che sentendola stretta a me il mio unico desiderio era baciarla, perché sapevo che solo lei avrebbe potuto lenire il mio dolore, lei che, nonostante continuassi a lasciare terra bruciata tutto attorno a me, nonostante continuassi a ricoprirmi di scaglie impenetrabili, nonostante ogni mio tira e molla, nonostante tentassi di allontanarla, tenerla vicina ma non troppo, sapeva vedere lati di me che nemmeno conoscevo, sapeva attraversare il deserto della mia anima in subbuglio e darmi un po’ di requie.

Volevo baciarla, davvero, in quel momento, per farle capire che sapevo che mi amava e che anche io credevo che lei fosse quella giusta per me. Era del contrario che non potevo essere sicuro…e perciò mi trattenevo.

Ma che diritto avevo io di volere proprio lei?

Io ero cambiato, tanto, grazie a lei. Levy era una delle principali ragioni per cui la mia viva aveva ripreso ad avere un senso. Ma desiderare che le cose tra noi fossero andate in maniera diversa non bastava per cancallare il passato o le mille ragioni per cui continuvo a dirmi che dovevamo rimanere amici e basta, per quanto ambedue fossimo follemente innamorati l'uno dell'altra.

Dopodichè una fase della mia vita ebbe termine con la scoperta di cosa accadde veramente il 7 luglio 777 e la morte di Metalicana. Ero pronto alla sua dipartita e il nostro addio è stato mesto e poco commosso, come sapevo che anche Metallicana avrebbe preferito.

Metalicana mi aveva lasciato con un ultimo consiglio, un blando avvertimento e un nuovo scopo per la mia vita. Il tutto con un’unica frase.

Le sue ultime parole erano state infatti sui miei occhi e mi avevano turbato non poco.

“Continuano ad avere una luminescenza maligna, Gajeel” si era limitato a dire

Dopodichè se ne era andato, per sempre.

Metallicana aveva sempre saputo che fare il duro era il mio modo per nascondere le mie debolezze e incertezze. Era bastato un attimo a quell’impertinente di mio padre per capire che il mio cuore era turbato, che ancora avevo qualcosa in sospeso con me stesso.  

Per Levy ero cambiato, certo, ma non abbastanza.

Restavo un burbero, bruto, cocciuto…impaurito dal rifiuto, dal tradimento, dalla sofferenza. Per questo tergiversavo con lei e tergiversando continuavo a essere uno stronzo.

Le parole di Metalicana volevano dire una sola cosa: “dille cosa provi…sii te stesso senza avere paura”.

Solo allora il mio cuore fu gravato di un nuovo rammarico: davvero, d’ora in poi, non avrei mai più potuto sperare di dimostrare a Metallicana che potevo migliorare, che sapevo dire addio anche a quelle mie insicurezze. Fargli sapere che c’ero riuscito, quando alla fine sarebbe giunto il momento della mia confessione. Perché se lo diceva lui probabilmente aveva ragione…dovevo davvero lasciare da parte tute le ritrosie, i “se” e i “ma” e confessare a Levy ciò che provavo, nonostante il nostro passato, nonostante chi fossimo, nonostante la nostra età, nonostante tutto il gran casino che avevo combinato. 

Non avevo reso fiero di me Belno, non avrei potuto farlo nemmeno con mio padre, perchè oramai era troppo tardi. Ma non era troppo tardi per me.

Neppure lo sprone di mio padre, tuttavia, si sarebbe alla fine rivelato sufficiente per spingermi a confessarmi

.

Non sapevo più cosa fare quando la sorte mise me e Levy di fronte all’unica condizione che avrebbe portato l’uno e l’altra a realizzare davvero cosa volevamo: la separazione.

Di punto in bianco la mia strada e quella di Levy si divisero con la chiusura della gilda, probabilmente senza che nessuno dei due avesse davvero compreso cosa stava accadendo e le conseguenze di ciò che stavamo facendo. Semplicemente accadde.

Ma per quanto doloroso, quel periodo fu una fortuna.

Solo così, a malincuore, avremmo avuto modo per riflettere e decidere, una volta per tutte, cosa sarebbe stato di quel “noi” che sino ad allora era stato solo ipotetico; sarebbe stato necessario del tempo, ma qualcosa dovevamo pur decidere orima o poi...

Ma questo è quanto dico a posteriori.

Lì per lì, quando la vidi partire e allontanarsi pian piano, su un carretto, da sola, seppi solo darmi del coglione.

 

Era incontrovertibilmente un dato di fatto: quel gamberetto aveva ammansito un drago.

E il drago si era lasciato sfuggire il gamberetto.

 

This is the story of a girl

Who cried a river and drowned the whole world

And while she looked so sad in photographs

I absolutely love her

When she smiles

 

Now how many days in a year

She woke up with hope

But she only found tears

And I can be so insincere

Making her promises never for real

As long as she stands there waiting

Wearing the holes in the soles of her shoes

Now how many days disappear

When you look in the mirror

So how do you choose

 

Your clothes never wear as well the next day

And your hair never falls in quite the same way

You never seem to run out of things to say

 

This is the story of a girl

Who cried a river and drowned the whole world

And while she looked so sad in photographs

I absolutely love her

When she smiles

 

Now how many lovers would stay

Just to put up with this shit day after day

Now how did we wind up this way

Watching our mouths for the words that we say

As long as we stand here waiting

Wearing the clothes or the soles that we choose

Now how do we get there today

When we're walking too far for the price of our shoes

 

Your clothes never wear as well the next day

And your hair never falls in quite the same way

But you never seem to run out of things to say

 

This is the story of a girl

Who cried a river and drowned the whole world

And while she looks so sad and lonely there

I absolutely love her

When she smiles

 

Well your clothes never wear as well the next day

And your hair never falls in quite the same way

You never seem to run out of things to say

 

This is the story of a girl

Who cried a river and drowned the whole world

And while she looks so sad in photographs

I absolutely love her

 

This is the story of a girl

Whose pretty face she hid from the world

And while she looks so sad and lonely there

I absolutely love her

 

This is the story of a girl

Who cried a river and drowned the whole world

And while she looked so sad in photographs

I absolutely love her

When she smiles

When she smiles!

  
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