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Autore: rossella0806    10/12/2015    2 recensioni
Philippe Soave è uno psicologo infantile che lavora presso il "Centre Arcenciel" di Versailles, una sorta di scuola che ospita bambini e ragazzi disagiati, a causa di dinamiche famigliari non proprio semplici.
Attraverso il suo sguardo appassionato, scopriremo la realtà personale dei piccoli e grandi ospiti, ognuno dei quali troverà un modo per riscattarsi dalle ingiustizie della vita.
Ci sarà anche spazio per sorridere, pensare e amare!
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: Tematiche delicate
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ADDIO O ARRIVEDERCI?


Monsieur Batignole arrivò alle dieci del mattino, accompagnato da un’euforica Aimée: l’assistente sociale era infatti passato a prendere la donna nella sede della comunità che l’aveva ospitata fino ad allora.
Era un venerdì in cui già si respirava aria d’estate, sebbene fosse passata da una manciata di giorni la metà di maggio: il giorno prima aveva piovuto, ma, adesso, finalmente, era tornato a splendere il sole e il caldo la stava facendo da padrone.
Philippe non era riuscito a chiudere occhio per gran parte della notte: il pensiero di dover dire addio a Sophie e, di conseguenza, ad Aimée e il rapporto ormai agli sgoccioli con Liliane, avevano di gran lunga contribuito alla sua insonnia.
Si era rigirato nel letto fin dal primo istante in cui aveva posato il suo corpo stanco, tanto che, quando la sveglia era inutilmente suonata alle sei e mezza, quasi si stupì di come avesse conciato le lenzuola, un groviglio senza senso, testimonianza dei suoi incubi ad occhi aperti.
Aveva deciso di prendere il treno, sebbene, in un primo momento, avesse optato per recarsi al Centre con la sua Peugeout rossa: poi, l’agitazione si era fatta largo nella mente, inducendolo a non azzardarsi a muoversi sulla quattro ruote, la testa letteralmente tra le nuvole, ingombra di preoccupazioni e pensieri.
La breve passeggiata dalla stazione di Versailles alla struttura gli aveva, almeno in parte, rinfrescato le idee: si sarebbe comportato con estrema naturalezza con tutti i presenti, Aimée in primis, poi, si convinse che avrebbe parlato con Liliane, perché quella situazione senza capo né coda avrebbe dovuto terminare entro breve, non poteva e non voleva che la sua fidanzata –ormai era quello il termine corretto da affibiarle- continuasse a non rivolgergli la parola, facendo persino finta che non esistesse.
Fermo in piedi davanti all’ingresso del Centre, la ristretta veduta del giardino davanti, spostò il peso da una gamba all’altra, per scaricare la tensione che avvertiva.
Era una giornata molto speciale, nonostante lui e il resto dei docenti, la direttrice per prima, avessero deciso di non stravolgere le abitudini dei bambini, in modo che il distacco dalla loro compagna e le eventuali invidie non sfociassero in maniera troppo accentuata.
Per questo, dopo le prime due ore di lezione, tutte le classi avevano anticipato la pausa mattutina, in attesa del grande evento.
L’uomo guardò l’orologio da polso: mancava mezz’ora al momento convenuto con la direttrice all'inzio dei lavori, ovvero all’arrivederci ufficiale a Sophie; nonostante i buoni propositi, infatti, di addio Philippe non ne voleva affatto sentir parlare.
Deglutì e si preparò a sorridere, mentre avanzava in direzione di monsieur Batignole e di Aimée.
Dopo i brevi convenevoli, lo psicologo enunciò con voce bassa e piatta, un insolito luccichio negli occhi a tradirlo:
“La bambina è quasi pronta. Sta salutando tutti i suoi compagni, credo che tra poco scenderà …”
“Molto bene, dottor Soave” replicò l’assistente sociale, un sorriso incoraggiante sul volto pingue e glabro contornato da una chioma vagamente brizzolata, la camicia bianca fermata da eccentriche bretelle a fantasia scozzese e un paio di pantaloni di velluto, decisamente pesanti per la stagione.
“Nel frattempo, possiamo caricare la valigia sulla macchina?” continuò il sessantino, indicando il vialetto oltre il cancello d’ingresso.
Il giovane annuì, concentrandosi sui baffi dell’uomo: cercava infatti di non guardare in volto la donna che aveva davanti, semplicemente bella, i capelli ricci tagliati corti, i grandi occhi ambrati, la bocca carnosa e un meraviglioso ed esotico vestito blu e fucsia; eppure, appena lei gli rivolse la parola, egli cedette ad incontrare il suo sguardo:
“Sono tanto felice, signor Philippe, è il giorno più bello di tutta la mia vita: il mio cuore è pieno di gioia! Ho paura che dire grazie non basta!”
Lo psicologo annuì imbarazzato, rivolgendole un’occhiata distratta:
“Non deve dire niente: ho fatto solo il mio lavoro, nulla di più, mi creda. Allora, prego, intanto che aspettiamo Sophie, vi accompagno nella sua camera per prendere la valigia: è al secondo piano, non ci impiegheremo molto …”


Il giardino del Centre assomigliava ad un lunapark mezzo sgangherato e affollato di un centinaio tra ospiti e insegnanti: ogni volta che, rarissime per altro, uno dei bambini o dei ragazzi riusciva a ricongiungersi con i loro genitori o parenti, il consiglio presieduto da madame Betancourt e dall’intero corpo psicologi, aveva optato per promuovere un arrivederci il più soft possibile e lontano dal clamore mediatico che, una situazione del genere, avrebbe inevitabilmente suscitato negli altri ospiti.
Tuttavia, quella volta, avevano deciso di fare un' eccezione, dal momento che la stessa interessata aveva espressamente richiesto la presenza della sua classe e delle sue insegnati, oltre che del resto dei ragazzi: così, la voce si era sparsa fin troppo velocemente – complice anche la cena d’addio di appena tre giorni prima- e, da una dozzina di partecipanti a quella sorta di party sul prato che avrebbero dovuto essere, ora si poteva contare almeno il quintuplo delle persone.
Philippe, il più in disparte possibile, si guardò intorno, alla ricerca di Liliane: quella mattina, infatti, non era ancora riuscito neppure a vederla, figuriamoci a parlarle.
Cercò di aggirarsi in mezzo a quella folla con la massima discrezione di cui fosse capace, tentando di non urtare nessuno dei presenti, fino a quando la scorse seduta su una delle due panchine del giardino, intenta ad allacciare le scarpe a Fredéric, un tipetto di dieci anni, magro e con i capelli pel di carota, gli occhi nocciola.
L’uomo attese che il bambino si allontanasse, poi, in piedi davanti a lei, richiamò la sua attenzione, salutandola con voce neutra:
“Posso sedermi?”
“Non c’è bisogno, perché mi stavo giusto alzando … “
 “Aspetta, ti prego, devo parlarti!” la bloccò lui, prendendola per un braccio, il cuore che accelerava.
“Lasciami” sibilò la ragazza, senza guardarlo, graziosa con i capelli raccolti in uno chignon scomposto, una camicetta larga color cobalto e dei pantaloni in simil-jeans.
“Va bene, va bene. Però, devi ascoltarmi Liliane, ti supplico!” continuò insistente lo psicologo, mentre la rincorreva
lungo il giardino– se si poteva scegliere quel verbo per descrivere i brevi movimenti dei due, dovuti all’ammasso di persone tutt’intorno- , dopo aver costeggiato la grande quercia.
“Hai ricevuto le rose?” domandò speranzoso.
“Sì” tagliò corto la donna, continuando a non fissarlo.
“Ti sono piaciute o forse preferivi degli altri fiori? Magari dei girasoli o dei gladioli erano più appropriati … ?”
“Le rose andavano benissimo, grazie” lo interruppe, continuando a dargli le spalle.
“E la scatola di cioccolatini? Anche quella ti è piaciuta?”
“Sì” confermò senza entusiasmo, bloccandosi per un istante e voltandosi nella sua direzione.
“Mi fa piacere, voglio dire, sono contento che i miei regali ti abbiano …”
 “Senti Philippe, non è il momento adatto per discutere dei nostri problemi. Io apprezzo i tuoi gesti di pace, ma non sono ancora pronta, dovresti cercare di capirmi. Non mettermi fretta, per favore. Adesso scusa, ma devo andare a recuperare la mia classe …” gli spiegò, guardandolo per la prima volta negli occhi, lucidi ma sicuri, il tono roco.
Lo psicologo deglutì per l’ennesima volta in pochi minuti, poi aprì la bocca per cercare di replicare qualcosa di sensato, ma dalle sue labbra non uscì nulla, solo un sospiro un po’ più forte dei precedenti.
Liliane era già pronta per sgattaiolare lontano da lui, quando il coraggio ritornò ad impossessarsi del ragazzo, che proruppe:
“Io … sì, insomma, ti capisco, va bene. Aspetteremo che finisca tutto e ne parliamo questa sera. Torniamo a casa insieme?”
“No” ribatté meno sicura di prima.
“No nel senso che preferisci che venga io a casa tua o che sia tu a venire da me?”
L’uomo, mentre parlava con voce titubante, gesticolava con le mani per sottolineare le due scelte.
“Non posso venire da te o tu da me. Ho un appuntamento, dopo il lavoro”
“Un appuntamento?” domandò interdetto, scansando un gruppetto di bambini che si stava scontrando contro le sue gambe.
“Se pensi ad un incontro galante, ti sbagli” lo redarguì incolore, ferma davanti a lui, ritrovando la forza di replicare acida.
“Devo vedermi con una persona …”
“La conosco?”
“E’ una donna, puoi stare tranquillo. Almeno la puoi smettere di fare il finto geloso”
Philippe annuì, come per confermare la veridicità di quelle frasi, facendo credere di non aver sentito l’ultima parte della frase.
“Certo, ti credo. Non volevo mettere in dubbio le tue parole. Allora, non so, potremo fare domani sera?”
“Può darsi … ma non ti mettere in testa strane idee. Se vuoi accompagnarmi a casa, per me va bene, però oltre non possiamo andare"
Liliane sospirò e cominciò a giocherellare con la lingua, gonfiando prima una guancia e poi l'altra.
Non era facile respingerlo in continuazione, se ne rendeva perfettamente conto, ma la sensazione di essere stata ferita e presa in giro, non riusciva ancora ad abbandonarla.
"Dobbiamo capire cosa vogliamo l’uno dall’altra, se ci vogliamo l’uno con l’altra. Mi capisci, vero?“
L’uomo annuì una seconda volta, sospirando impotente.
Avrebbe voluto ribattere che non era totalmente d’accordo, che non riusciva a comprenderla fino in fondo, ma la festeggiata del giorno gli corse incontro, abbracciandolo.
“Eccovi! Tra un po’ parto e non vi ho ancora salutato per bene!” spiegò Sophie, i capelli raccolti in fitte treccine, una maglietta gialla con l’immagine di una Minnie sorridente e una gonna rossa, tuffandosi anche su Liliane, che si abbassò al suo livello e le stampò un bacio su entrambe le guance paffute.
Madmoiselle, credeva davvero che l’avremmo lasciata andar via senza un saluto, un abbraccio e … una buona dose di solletico?!”
La ragazza cominciò a mettere in pratica i suoi avvertimenti, mentre la bambina rideva di gusto, cercando di ricambiare il simpatico pizzicore che le stava attraversando le braccia.
“Ti accompagneremo fino alla macchina, non preoccuparti” la tranquillizzò poco dopo, staccandosi da quel groviglio di mani.
“Ora vado a recuperare la mia classe, tesoro. Ci vediamo dopo”
Non appena la psicologa si allontanò, Philippe focalizzò l’attenzione sulla piccola presente.
“Allora, cosa mi racconti?”
L’uomo la prese per mano e, dopo averle chiesto con tono serio se potesse parlarle da solo, in disparte da tutta quella gente, la condusse verso l’ingresso dell’androne, l’unico posto nelle vicinanze a godere ancora di un certo grado di relativa tranquillità.
“Oh, finalmente possiamo farci una bella chiacchierata, tu ed io!” la canzonò con affetto, mentre si lasciavano scivolare su una parete del muro, fino a ritrovarsi seduti, le schiene contro i mattoni freddi.
“Come sei pensieroso … ”
Lei lo scrutò con attenzione, le mani appoggiate sulle ginocchia.
“Hai ragione: è che sono un po’ triste …”
“Perché me ne vado?”
Lo psicologo annuì, smettendo per un istante di guardarla negli occhi.
“Sai, vorrei ringraziarti per tutti i bei momenti trascorsi insieme, Sophie. Da te ho imparato molto e mi sono anche tanto divertito. Ti ricordi il primo giorno che ci siamo incontrati? Eri una bambina molto introversa, chiusa, arrabbiata con tutti. Adesso, invece, sei una bambina splendida, affettuosa e sensibile, intelligente, simpatica … mi mancherai, principessa …”
Philippe la abbracciò, perché avvertiva che, di lì a breve, se non si fosse fermato ad elencare quella valanga di pregi, si sarebbe messo a piangere: non riusciva, o forse non voleva, reprimere quel moto di sentimenti che avvertiva turbinargli nel cuore e nella mente, sempre più confusa.
La bambina ricambiò il gesto con la massima naturalezza di cui fosse capace e, stampandogli un bacio su una guancia sporcata di barba incolta, replicò euforica:
“Sono così felice che non vorrei sognare! Non riesco ancora a credere che la mamma è tornata, che da questa sera potremo mangiare insieme, dormire nella stessa casa, vivere sempre sempre e ancora sempre insieme!” gli spiegò entusiasta, battendo le mani dalla contentezza.
“Lo so, ed è una cosa bellissima, la più bella che un bambino possa desiderare. Ricordati, però, che anche se saremo lontani, anche se non potrai venire a trovarci spesso, tutti continueremo a pensarti. Sarai sempre con noi e noi con te: ogni volta che avrai bisogno, che sentirai la necessità di ricevere un consiglio, io ci sarò, Liliane ci sarà, le altre insegnanti e i tuoi compagni ci saranno, sempre che anche loro non siano tornati a casa!” le fece presente, pizzicandole il naso e stemperando così l’atmosfera che si era creata, forse troppo seria per una bambina di quell’età.
Sophie si rabbuiò per un istante e, dopo un attimo di riflessione, constatò con voce dubbiosa:
“La mamma ha detto che non abiteremo più qui a Versailles, anzi, nemmeno in Francia. E’ vero?”
L’uomo avvertì come un pugno colpirgli lo stomaco: non capiva se era solo un mero riflesso di tutte le fantasie che si era creato in quella testa dura che si ritrovava, oppure se, ascoltando quella domanda, davvero sentiva un dispiacere sincero aggrovigliargli i visceri.
“Perché mi chiedi se è la verità? Non credi alle sue parole?”
Lei abbassò per qualche secondo lo sguardo, le ginocchia flesse e le mani con i palmi rivolti sul pavimento.
“No, certo che credo a quello che mi ha detto, è solo che ho sempre abitato qui. Il Senegal, dove sono nata, non me lo ricordo, perché quando siamo venuti qui avevo due anni. La mamma vuole tornare lì …”
“E non sei curiosa di vedere posti nuovi, conoscere persone diverse da quelle che hai incontrato fino adesso?” cercò di tranquillizzarla, spostandole una ciocca di treccine dal viso pensieroso.
“Non lo so …” spiegò la bambina, facendo spallucce  “a me piaceva stare qui, con voi e con i miei amici, per questo mi piacerebbe che starebbe anche la mamma. Ma lei dice che non può, perché questo non è un posto che va bene per lei. Però, quando ci penso, sono tanto felice di averla ritrovata!” concluse, sorridendo e abbracciando nuovamente l’uomo.
“E’ la cosa più importante, Sophie, l’unica che conta: tu e la tua mamma vivrete finalmente insieme e, anche se sarà lontano da qui, l’importante è che vi vogliate bene e che continuiate a stare unite. Tutto il resto verrà con il tempo … ”
Philippe l’aiutò a sollevarsi e, mano nella mano, la invitò a ritornare alla sua festa dell’arrivederci, il vociare degli altri bambini e degli adulti che si levava a poche centinaia di metri da loro.

   
 
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