Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran
Segui la storia  |       
Autore: Sea    10/12/2015    1 recensioni
Il ragazzo della biblioteca è il classico esempio di ragazzo emarginato, lontano dalla società e dai contatti amichevoli, ma dietro il suo aspetto e i suoi modi c'è una storia complessa, una grave perdita. La vita sembra essersi stancata di lui, ma Ed continua ad andare al lavoro e a combattere contro il suo patrigno e il suo fratellastro per non perdere l'eredità di suo nonno: la sua casa. Sua nonna e la sua chitarra sono le uniche cose che gli restano, ma gli eventi prenderanno una piega inaspettata e tra un lavoro e l'altro, Marina entrerà prepotentemente nella sua vita.
Ecco una nuova storia dopo Afire Love! Spero di non deludere le aspettative. :)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ed Sheeran, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A






XXXII





Aveva dormito a lungo, ma continuava a sentire il corpo pesante come un sasso. Non avrebbe scommesso un centesimo se qualcuno gli avesse detto che un giorno sarebbe stato avvelenato, eppure eccolo lì. In effetti non era bravo con le scommesse, non ci aveva preso nemmeno con Marina e alla fine le aveva detto che l’amava e aveva fatto l’amore con lei. Un brivido gli percorse la schiena al ricordo di quelle sensazioni e vederla dormire accanto a lui, ricurva sulle lenzuola bianche, gli faceva un certo effetto.
Erano insieme.
Lei era lì, con una coperta sulle spalle e il viso provato, ma non si era mossa di lì per un solo secondo da quando aveva ripreso conoscenza il giorno prima.
La guardò a lungo, beandosi della breve pace che gli donava il suo respiro, poiché ben presto gli eventi del giorno prima tornarono a colpirlo, precipitando nella sua mente con un rumore assordante.
Ben, il suo patrigno, l’uomo che sua madre aveva accolto in casa sua, aveva tentato di ucciderlo. Deglutì. Non che ne fosse sorpreso, ma non era mai stato così vicino alla morte, per mano sua. Ora che era successo, aveva davvero paura, ma per un solo motivo: perdere la sua ragione valida per alzarsi ogni mattina ed affrontare la giornata, quella cosa per cui non desiderare più di sparire e quella ragione aveva le labbra rosse e si chiamava Marina. Quella era la sua seconda occasione e non poteva permettersi di morire.
Non sapeva come Kadmon avrebbe fatto a dimostrare ogni cosa, a salvarlo da quell’asurdo vortice di sotterfugi e inganni, ma non aveva altra scelta che affidarsi a lui.
Il secondo macigno che lo colpì in pieno, era Nathan. Cioè, quello che credeva essere Nathan. Quel Josh, l’agente in borghese, il suo amico. Non sapeva ancora se sentirsi tradito o aiutato, ma il modo in cui lo aveva guardato, il giorno prima, gli era sembrato quello di sempre ed in quel momento quel ragazzo non aveva motivo di fingere: era sempre stato autentico. Doveva confessare a se stesso che non riusciva a non fidarsi di lui, una parte di sé era già del tutto convinta che Nathan – cioè Josh, diamine – fosse in buona fede e che gli volesse bene. Aveva solo cambiato nome.
Avrebbe fatto i conti con la paura quando tutta quella storia sarebbe terminata.
Terzo macigno, il più pesante: la porta aperta. Aveva trovato la porta aperta!
Aveva dimenticato di dirlo a Kadmon il giorno prima ed era stato uno sciocco, perché il fatto che fosse lì, in quel letto d’ospedale, significava che Ben fosse entrato davvero in camera sua e che avesse scoperto qualcosa. Probabilmente uno dei documenti fotocopiati era sfuggito al suo controllo o roba del genere.
Sbuffò pesantemente, rimproverandosi mentalmente e spostò finalmente gli occhi su qualcosa che non fosse Marina. Avrebbe voluto parlare con lei, raccontarle ciò che ricordava ed esprimere i suoi dubbi, ma non aveva il coraggio di svegliarla. Fece aleggiare lo sguardo nella stanza in attesa di qualcosa che non tardò ad arrivare: qualcuno bussava lievemente alla porta. Josh entrò senza attendere risposta.
  • Ciao Ed. – disse, serenamente, come se non gli avesse mai celato la sua identità, come se non lo avesse mai pedinato.
  • C-ciao uhm…Josh. – rispose, guardandolo negli occhi con vago sospetto.
  • Come stai, oggi? – chiese. – Il dottor Rosenthal ha detto che sarai dimesso entro sera.
  • A-ah, non ne sapevo niente. – E il suo pensiero volò al letto comodo di Marina e al the caldo che gli avrebbe preparato. Intanto Nathan sembrava ignorare la presenza di lei.
  • Sono stato a casa tua ed ho recuperato la bottiglia. È già al laboratorio. – continuò, infilando le mani nelle tasche dei jeans con disinvoltura. – Sono entrato dall’ingresso sul retro, ho trovato la chiave sotto lo zerbino.
  • Ah. – era quasi interdetto dalla naturalezza con cui gli raccontava quei dettagli. Sapeva che la sua espressione contratta era perfettamente leggibile e Josh sembrò coglierla.
  • Dopo vi accompagno a casa, non potete certo tornare col pullman. – sorrise, accomodandosi sullo sgabello dal lato opposto del letto.
  • Ti ringrazio. – disse soltanto, sentendo nel suo tono un cenno di sollievo che non aveva intenzione di esprimere.
  • Sta tranquillo, il tuo patrigno non ha via di scampo, ci sono tutte le prove per incriminarlo e tu riavrai la tua casa.
Gli diede una pacca sulla spalla, quasi ridendo per la contentezza, ma lui continuava ad osservarlo cercando di cogliere il momento in cui recitava, ma non ci riuscì. Alla fine prese un sospiro e si rassegnò: non vedeva niente di finto in lui, così continuò a parlare, cercando di comportarsi come sempre, come quando era ancora Nathan.
  • Lo spero.
La loro conversazione si spostò sull’argomento Marina, nonostante lei fosse lì.
  • Allora, alla fine l’hai conquistata. – Josh la indicò con un gesto palese.
  • Beh – la guardò – credo che sia stata lei a conquistare me. – sentì il cuore accelerare.
  • Malandrino. Quanto ti invidio! – disse, autocommiserandosi. – Ed è brava a letto?
  • Nathan! Cioè – scosse la testa, rimproverandosi ancora. – Josh!
  • E va bene! – agitò le mani quello, ridendo di gusto. – Non oserò mai più metterlo in dubbio!
Alla fine, ci riuscì: lo fece ridere, facendogli riempire i polmoni di un’aria che sembrava più buona. Quello doveva essere il piacere di stare con un amico.
Quando Josh andò via, lasciandolo solo, Marina si svegliò e immediatamente gli fece un check-up mattutino. I suoi occhi verdi erano stanchi e i capelli spettinati, il trucco colato, ma non riusciva a vedere un solo dettaglio sbagliato nella sua figura. La sua voce roca per il sonno era musica.
Per fortuna il dottor Rosenthal, passando per la visita di routine, le assicurò che fosse tutto in ordine e che quello stesso pomeriggio potevano lasciare l’ospedale.
Il modo in cui lei lo guardava, mentre il medico lo visitava, lo faceva quasi arrossire e d’un tratto non vide l’ora di restare solo con lei e rubarle un bacio. Riusciva a leggere nei suoi occhi, tra le sue ciglia, ogni fibra dei suoi sentimenti. Facile come contare le lentiggini che aveva sul naso.
Purtroppo – o per fortuna, non appena Rosenthal uscì dalla stanza insieme alle infermiere, Kadmon entrò, sempre avvolto nel suo cappotto nero.
  • Signor Kadmon! – disse Marina. – Non l’aspettavamo.
  • Scusate se non mi sono annunciato, ma – e si accostò al materasso e a Marina – il mio cellulare si è scaricato e non avevo modo di comunicare con voi, così sono venuto.
  • Signor Kadmon – disse subito Ed, senza dargli il tempo di aggiungere altro. – credo che Ben abbia scoperto qualcosa. – e immediatamente l’avvocato lo guardò con interesse. – Ieri, quando sono tornato a casa, ho trovato la porta della mia camera aperta.
Sia Marina che Adam lo guardarono senza capire: non aveva raccontato quel dettaglio a nessuno dato l’accaduto ed ora si sentiva osservato dall’alto, quasi sotto pressione. Si infilò una mano tra i capelli, improvvisamente in agitazione, quasi fosse in preda dell’ansia da prestazione.
  • Sono sicuro di averla lasciata chiusa quando ci sono stato l’ultima volta ed ho avuto l’impressione che qualcuno ci fosse entrato. Ho paura che Ben abbia trovato qualcosa, qualche documento che ho dimenticato.
  • Oh. – disse Kadmon, cercando di definire nella sua testa quanto fosse importante quel dettaglio.
In effetti, Ed non lo sapeva, ma aveva appena dato a Kadmon la chiave per far scattare la causa in modo immediato: quell’episodio era il nesso tra la semplice violenza domestica e la questione di interesse del patrigno, la prova che l’avvelenamento era dovuto alla paura di perdere definitivamente la casa. Quella porta aperta era il passo falso, il passo di troppo oltre la linea gialla: prima di allora Ben non aveva un motivo per ucciderlo, agli occhi di un giudice, ora il movente era svelato.
  • Bene, ragazzo. – disse allora Kadmon, con un sorrisino eloquente sul volto. – Ci siamo. – e guardò Marina e poi di nuovo lui. – Se me lo consenti, avvierò immediatamente la causa giudiziaria.
  • Certo! – disse Ed, cominciando a vedere la fine di quel tunnel.
  • Ma… - alzò l’indice. – Devi denunciare.
Marina vide il viso di Ed perdere il colorito dovuto all’esagitazione e i suoi occhi perdersi per un attimo nel vuoto. Capì subito che si era bloccato di nuovo, qualcosa ancora lo tratteneva. Riusciva a percepire la sua paura come se fosse qualcosa di materiale, ma non poteva più permettersi di provarla.
  • Perderai la casa. – disse allora, severa. – Se non lo fai, perderai la casa. Tutto. Ha cercato di ucciderti, Edward.
Lui la guardò negli occhi, ancora pietrificato. Sapeva, stringendosi le mani, che quell’assurda paura era del tutto errata e fuori luogo e inutile, ma la sentiva comunque placcarlo, come quando qualcuno ti sta col fiato sul collo. Riusciva a sentirne il freddo respiro. Kadmon guardava altrove, ma Marina continuava a guardare dritto su di lui.
  • U-uhm. – cominciò – lo so, ma…
Non sapeva nemmeno lui cosa stesse aspettando. Non sarebbe tornato in quella casa comunque, sapeva che Marina non glielo avrebbe permesso.
  • Denunciarlo andrebbe a nostro favore, soprattutto adesso. – disse Kadmon, continuando a guardare la finestra, fingendo indifferenza mentre si aggiustava la giacca.
  • Edward… - Marina lo guardò, quasi supplicandolo. – Devi farlo.
Sapeva di essere irragionevole e avrebbe voluto spiegare a Marina di voler superare quell’ostacolo, ma da solo non ci riusciva. Prese aria per parlare, quando lei si voltò portandosi una mano al viso. Le sue labbra cadenti erano il segno di una sconfitta, il modo in cui la mano copriva i suoi occhi mentre lui se ne stava immobile a letto, lo fece scattare. Era come se Marina si fosse del tutto arresa, con lui, la stava deludendo e si trovò costretto ad ammettere che in quel caso lui non era abbastanza. Ma per sua scelta.
Lei lo aveva incoraggiato e sostenuto strenuamente, sempre, non poteva gettare al vento ogni suo sforzo. Voleva meritarla, essere l’uomo che Marina voleva al suo fianco, l’uomo che forse non era mai stato. Era difficile, lo sentiva, ma farlo per lei era un sacrificio che non avrebbe evitato di fare.
Realizzando quanto quel gesto fosse fondamentale per se stesso e per lei, parlò.
  • Va bene. – disse.
Marina e Adam, puntarono immediatamente gli occhi su di lui ed attesero col fiato sospeso. Edward guardò la donna che amava negli occhi e sperò che affrontare quella paura sarebbe servito ad offrirle qualcosa di meglio dell’uomo che era in quel momento. Gli batteva il cuore.
Mentre le labbra di Marina si schiudevano, sorprese, si gettò a capofitto nella più totale incertezza.
  • Lo farò.
 
Si era seduto sul bordo del letto, perché era convinto di riuscire a scaricare meglio la tensione tenendo i piedi a terra. Nel momento in cui la polizia entrava per la seconda volta dalla porta della stanza immacolata, aveva chiesto a Marina di uscire: non voleva che sentisse nulla di ciò che avrebbe raccontato. Era troppo lo strazio che avrebbe dovuto sopportare e nel caso in cui avesse pianto, non voleva mostrarle le sue lacrime. Era nervoso come prima di uno spettacolo, intrecciando le dita e stringendo la presa sulle sue stesse mani, ma andava bene così e lasciò che Marina lo lasciasse solo.
Kadmon rimase con lui, assistendolo ad ogni domanda e ad ogni risposta, ma non lo interruppe mai. Cercò di guardare lui mentre raccontava e spesso scorse la sua espressione seria contrarsi, quando gli agenti gli chiedevano di specificare le violenze subite e lui non risparmiava i dettagli.
Ed parlava a bassa voce, per paura che altri ascoltassero, che altri finissero per avere di lui la considerazione che aveva di se stesso.
Quando poi terminò di raccontare, calò il silenzio per un attimo e distolse lo sguardo da tutti, fissandosi i piedi.
Gli sembrò di aver parlato per giorni, ma stavolta non si sentiva risollevato: la sua rabbia e la sua umiliazione gli bruciavano nel petto. Kadmon lo salvò, intervenendo e informando le autorità che avrebbe avviato il ricorso giudiziario, dopodiché si congedarono e lo lasciarono solo.
  • Ben fatto. – gli disse l’avvocato, prima di andare. Lui si limitò ad annuire, evitando i suoi occhi.
Probabilmente avrebbe dovuto raccontare quelle cose davanti a diverse e più persone, quindi avrebbe fatto meglio a prenderci la mano, ma in quel momento non avrebbe potuto aggiungere una parola in più.
La miriade di ricordi che gli aleggiavano negli occhi fu immediatamente cancellata, come nuvole al vento, quando Marina rientrò e si affiancò a lui.
  • Com’è andata? – gli chiese, seduta accanto a lui.
  • Bene. – fece spallucce, sfiorandola. – Vorrei solo che finisse in fretta.
  • Lo so.
La mano di Marina si poggiò sulla sua e sentì il suo tocco in modo intenso, come una foto sovraesposta: era carico di qualcosa che non sapeva definire, ma era ok. Le prese la mano, sorprendendosi della naturalezza con cui ormai riusciva a farlo. Lei si accostò meglio a lui e poggiò la testa sulla sua spalla.
  • Salve. – sobbalzarono enrambi. – Sono il medico legale. – entrambi sembrarono capire. – Dobbiamo effettuare una serie di accertamenti, mi segua.
Si guardarono e lei annuì, incoraggiandolo ancora, passandogli una mano sulla schiena. Prima di sparire oltre la porta, Ed la guardò, seduta sul materasso, e desiderò ancora essere di più. Essere meglio del relitto di se stesso.
 
  • Signorina Bennett.
Marina aprì gli occhi, scoprendo di essersi addormentata e prese un lungo respiro. Probabilmente stava dormendo molto profondamente, dato che non ricordava nemmeno il momento in cui aveva chiuso gli occhi. Capì immediatamente che non era più giorno, perché la luce era artificiale e infatti, mettendo a fuoco, vide l’orologio puntale oltre le 18.
  • Marina.
Due voci, due persone, ma chi? Si sollevò dal materasso, ricordando ogni cosa e chiedendosi dove fosse il suo Edward. Era passato molto tempo, ormai.
  • Scusi se l’ho svegliata. – La voce di Kadmon la riscosse.
  • Oh – cercò di dire, la voce incrinata. – N-non si preoccupi.
  • Sono venuto a prendervi. – La voce di Nathan/Josh la aiutò a riprendersi completamente.
Lo guardò senza capire.
  • Il nostro amico vi accompagnerà a casa con l’auto. – le spiegò Adam, con fare frettoloso. – Tornando a noi: ho bisogno che faccia una cosa per me.
  • Cosa? – cercò di capire, passandosi una mano tra i capelli scompigliati, cercando di ignorare la lentezza con cui il suo corpo riprendeva a funzionare.
  • Deve andare a casa del signor Sheeran e recuperare dei documenti.
A casa di Edward?
  • Come, scusi? – chiese, credendo di aver capito male. Il solo pensiero di entrare in quella casa le metteva i brividi.
  • Manca l’attestato di proprietà della casa, il signor Sheeran crede che sia rimasto nella sua stanza.
  • Ti accompagno io. – disse Josh. – Se potessi andrei da solo, ma mi scoprirebbero.
Marina guardò entrambi, ancora confusa. Dicevano sul serio? Doveva introdursi in casa di qualcuno che non conosceva come una ladra?
  • Cioè, devo entrare di soppiatto?
  • Diciamo che devi entrare con discrezione. – quasi scherzava Josh, sicuramente più abituato di lei a certe cose. – E no, non può andare la polizia, Ben avrebbe tutto il tempo necessario per distruggere ogni cosa.
Soltanto dopo che Josh le ebbe raccontato della chiave sotto allo zerbino della porta sul retro, riuscì a farsi un’idea di cosa avrebbero dovuto fare e si annotò mentalmente di chiedere a Edward indicazioni più precise su dove si trovasse il resto dei documenti. Per fortuna Kadmon aveva già il testamento e i documenti più importanti. Inoltre, avrebbe approfittato di quell’invasione di campo per recuperare le cose di Edward o perlomeno le cose di valore e qualche vestito.
Con impegno ufficiale, Josh le diede appuntamento per il giorno successivo e la sua agitazione cominciava già a farsi sentire.
Mentre l’avvocato continuava a spiegare come e quando avrebbe cercato di ottenere un processo, Edward entrò nella stanza, il viso cadaverico e confuso. Il suo cuore si sciolse nel vederlo così provato, sentendo chiaro quell’istinto di protezione che aveva sempre serbato nei suoi confronti. Si morse le labbra, alzandosi per raggiungerlo. Kadmon non gli diede nemmeno un attimo di tregua, guadagnandosi un’occhiataccia da parte dell’infermiera.
  • Edward, ho bisogno che tu faccia un’ultima cosa.
Mentre Marina lo aiutava a sostenersi, infilando il braccio sottile intorno al suo torace, Ed lo guardò col viso di chi aveva avuto una giornata troppo lunga, ma non disse nulla e ascoltò la sua richiesta.
  • Dobbiamo contattare tuo padre e chiedergli di testimoniare.
Come se lo avesse attraversato una scarica, il sonno sparì improvvisamente e spalancò gli occhi, avendo dimenticato quel dettaglio. Sentiva tutti gli sguardi puntati su di lui, ma in realtà i suoi occhi non vedevano: ogni parte della sua mente era impegnata a proiettare l’immagine di suo padre e del momento in cui avrebbero dovuro rivedersi. Sempre che accettasse il suo invito. Non ne era sicuro. Non era mai stato molto amorevole.
Non poteva nemmeno liquidare la faccenda a Kadmon, perché probabilmente suo padre avrebbe rifiutato in tronco, se invece lo avesse chiamato lui poteva avere una chance. Strinse la mano sulla spalla di Marina.
  • Sì. Domani lo chiamo.
L’avvocato annuì e si dileguò, contando sul fatto che Marina gli avrebbe spiegato ogni cosa. Quando Josh li lasciò soli, Marina andò a recuperare i suoi vestiti, desiderando essere già a casa.
  • Dai, ti aiuto. – gli disse dolcemente, nonostante a lui sembrasse che fossero passati secoli dall’ultima volta che le aveva dato un bacio.
  • Grazie. – rispose allora, cercando i suoi occhi e trovandoli subito.
  • Stai bene? – un lieve sorriso le decorò il viso stanco, mentre gli aggiustava teneramente i capelli.
  • Sì – rispose, percependo di nuovo quell’intimità che si creava quando erano insieme. Posò le mani sui suoi fianchi e accostò la fronte alla sua. – E tu?
  • Beh, ti preferirei senza il camice da ospedale, ma – rise lei, chiudendo gli occhi al contatto. – posso resistere.
Edward, ritrovando la sua stella in quel buio così penetrante, sorrise e l’abbracciò, respirando nei suoi capelli. Poco dopo lei lo stava aiutando a cambiarsi e in poco tempo furono fuori con Josh, che lo prese sotto braccio e lo portò alla macchina.
  • Grazie per il passaggio. – gli disse, dopo aver salutato una preoccupata Stephany all’ingresso.
  • A cosa servono gli amici? – fece quello col sorriso sul volto.
Quando le porte automatiche si aprirono e il freddo gli si posò sul viso, la notte era già calata e gli sembrò di essersi appena svegliato da un lungo incubo, come se avesse ripreso coscienza solo in quel momento. Respirò a fondo l’aria secca e si avviò con loro fino alla macchina, in silenzio. Quando imboccarono la strada, si voltò a guardare le finestre del reparto di oncologia e pensò che quella era la prima domenica che il magico pagliaccio non si era presentato. Sperò di non aver deluso i suoi bambini. Sentiva una stretta al cuore, pensandoci.
Si fermarono alla biblioteca per recuperare la sua bici, che Marina portò nel freddo fino a casa sua, dopodiché Josh li lasciò e rimasero soli all’ingresso del palazzo di lei.
Il tintinnio delle chiavi era familiare e quasi non voleva entrare. Era una notte così bella.
Tuttavia, Marina lo incitò a raggiungerla e insieme varcarono la soglia di casa.
Il profumo di lei invadeva l’ambiente e si sentì a casa.
Due minuti dopo, gli stava preparando quel the che aveva desiderato e vide in quella scena una piacevole familiarità che gli scaldò il cuore.
Il modo in cui si sentiva amato, gli faceva credere che tutto fosse possibile.
Quella notte, quando andarono a letto, aveva perso il sonno, troppo preso dalla paura e dai pensieri. Avrebbe dovuto chiamare suo padre e affrontare tutto ciò che sarebbe venuto dopo, ma l’abbraccio di Marina era così confortante…
I suoi occhi brillavano alla luce della vecchia lampada e il suo viso era più sereno, ora che erano a casa. Si accoccolò a lui e sorrise.
Prima di lasciarle chiudere gli occhi, però, cercò il suo viso, sfiorando il suo naso col proprio e quando alzò gli occhi a lui, in perfetta corrispondenza con le sue labbra, la baciò.
Il calore che ricevette dalla sua bocca, avrebbe potuto scaldare ognuna delle notti che avrebbe vissuto da quel momento in poi.
 
Non era nemmeno sicuro di avere ancora il suo numero in rubrica, ma lo trovò al primo colpo. La scritta “Ian” non aveva cambiato forma in tutti quegl’anni e probabilmente non era cambiato nemmeno suo padre.
Seduto sul divano, la tazza di the accanto, si chiese cosa quell’uomo gli avrebbe risposto, quando gli avrebbe chiesto di testimoniare. Aveva paura di un suo rifiuto, ma doveva tentare: suo padre era la sua carta buona, la prova che il documento di Ben era falso. Gli tremavano le dita, ma pigiò con decisione il tasto di chiamata e si portò il telefono all’orecchio.
Mentre squillava, si posò una mano sugli occhi e rimase immobile.
  • Pronto? – gli venne un colpo al cuore. L’ultima volta che lo aveva visto o sentito era proprio il giorno del suo compleanno nel 2009. – Chi è?
  • U-uhm – cercò di riprendere fiato. – S-sono io, papà. – Dio, era così strano chiamarlo in quel modo. Era così strano parlare con lui.
  • Edward? – era chiaro il suo disappunto. – Mio figlio? – riusciva ad immaginare i suoi baffi ondeggiare alle sue parole.
  • S-sì, sono io. – non riusciva a capire cosa stesse provando in quel momento. – Come stai?
  • Oh, io sto bene. E tu?
  • B-bene, bene… - disse, ovviamente per circostanza, ma conoscendo suo padre era sicuro che gli avesse creduto senza problemi.
  • Come mai questa telefonata? – dritto al punto, come sempre. Proprio in quel momento, Marina riemergeva dal bagno e lo raggiungeva sul divano.
  • In realtà, dovrei chiederti un favore. – silenzio. Marina era seduta accando a lui, pronta per uscire. – Ho avviato una…causa contro Ben. Per riavere la casa del nonno. – ancora silenzio. – Ho bisogno che testimoni per me.
  • Cosa? – evidentemente suo padre era sempre stato lento nella comprensione.
  • V-vedi, ha presentato un documento falso secondo il quale io rinuncio all’eredità, ma il giorno della firma corrisponde al mio compleanno, nel 2009.
  • E cosa c’entro io? – chiese, evidentemente alla ricerca di un motivo per sganciarsi da lui.
  • Ero con te, quel giorno. A Londra. – le immagini e la tristezza di quella giornata erano ancora pungenti. – L-la mamma era morta da poco…
  • Sì, mi ricordo.
Un lungo silenzio interruppe la conversazione. Ed cercò la mano di Marina e se la strinse al petto, cercando di respirare regolarmente.
  • Credi che sia davvero necessaria la mia presenza? – chiese Ian, titubante.
  • Mi salveresti, papà. – chiuse gli occhi e pregò. – Ti scongiuro.
  • Beh…è un processo?
  • Sì, ma dovrai solo depositare alla prima udienza, poi sarai libero. – gli assicurò.
  • Uhm. – sembrò ancora pensarci.
Erano quasi sei anni che non si parlavano, per nessuna ragione in particolare, ed ora lui lo chiamava per chiedergli una cosa così importante. Capiva che fosse confuso, ma si appellò al suo istinto di padre.
Ian non sapeva cosa avesse passato durante gli anni di convivenza con Ben e Jef, né aveva intenzione di dirglielo, probabilmente lo avrebbe scoperto il giorno del processo. Quel silenzio straziante stava per farlo impazzire, poi suo padre parlò.
  • Va bene. – disse, in un soffio. – Se queste sono le condizioni, va bene. È pur sempre casa mia.
  • Oh! – sospirò attraverso il telefono, come se avesse trattenuto il fiato per troppo tempo. – Grazie, papà.
La stretta sulla mano di Marina si rafforzò, anziché allentarsi.
  • Fammi sapere quando devo presentarmi.
  • C-certo, non appena avrò notizie dall’avvocato.
  • A presto, Ed.
  • Ciao, papà.
Lentamente, staccò il telefono dall’orecchio e lo fissò, chiudendo la chiamata.
  • Eri davvero preoccupato che non accettasse? – chiese Marina.
  • Non conosci mio padre.
Infilò il telefono in tasca e si sporse verso di lei, alla ricerca delle sue labbra rosse.
Quando la baciò, sentì ancora il sapore del dentifricio e le morse il labbro per sentirlo meglio.
  • Devo andare. – bofonchiò lei, spezzando a malincuore qualsiasi cosa stesse per accadere. – Josh mi aspetta.
Nessuno dei due credeva possibile che fosse così difficile distaccarsi dalle labbra dell’altro. Erano freschi innamorati, quindi era normale – cercavano di convincersi – ma al diavolo, Ed sarebbe rimasto attaccato a lei per sempre, se avesse potuto.
Essere vivo accanto a lei, sentire il cuore palpitare, gli faceva venire voglia di vivere.
  • Mi raccomando, ricordati che se ne hai bisogno, c’è la scala di corda sotto al letto. – le ricordò. – E se hai bisogno di qualcosa, chiamami.
Lei annuì per la millesima volta, dopo averlo convinto a restare a casa. Il medico gli aveva proibito di fare qualsiasi tipo di sforzo per almeno una settimana e lei sapeva che sarebbe stato difficile tenerlo a freno, ma Josh lo aveva rassicurato, promettendogli che non sarebbe successo nulla di grave.
Quando la accompagnò alla porta, la guardò negli occhi e le diede un altro bacio.
Per qualche motivo, era difficile lasciarla andare.
 
Intanto, a casa Sheeran, Benjamin Storm aveva ricevuto la posta e insieme ad essa, l’avvocato Foster di Foster&Martins.
Una volta accomodatosi in casa, quello gli aveva spiegato che sì, il suo figliastro aveva scoperto tutto, era evidente, perché la prima busta che Ben si ritrovò tra le mani era dello studio dell’avvocato Kadmon, che citava in giudizio il signor Benjamin Storm per violenza domestica, truffa allo stato, tentato omicidio premeditato, appropriazione indebita, sfruttamento, sostegno dello spaccio illegale e mille altre cose.
In poche parole, era rovinato.
Jef, seduto accanto a lui, era rovinato.
Foster, che guardava entrambi senza sapere bene cosa dire, era rovinato.
Si erano lasciati alle spalle troppe tracce, troppi indizi e quasi sicuramente – ammise l’avvocato – avrebbero perso. Troppe prove. Troppi fatti.
Ma Ben, rosso di rabbia, assicurò a Foster che non aveva speso quasi tutti i suoi soldi per poi ritrovarsi in prigione.
Dopo avergli detto che avrebbe fatto meglio a trovare una soluzione, lo cacciò fuori e si allontanò verso il salotto alla ricerca della sua bottiglia.
Quando cominciò a sbraitare contro suo figlio, data l’assenza del diretto interessato, Jef ebbe la conferma che suo padre fosse impazzito.
Cominciò a prendere i documenti dalla teca e a stracciarli, poi passò agli album di foto, poi alla tv, finchè non si diresse al piano di sopra, urlandogli di preparare le valigie.
 
  • Dovrai essere molto silenziosa e veloce.
  • Chiaro.
  • Non lasciare mai il telefono e prendi prima i documenti, poi tutto il resto.
  • Chiaro.
  • Entrerò per primo, tu aspetta sempre il mio segnale per avanzare.
  • Chiaro.
  • E Marina… - lei si fermò di colpo sulla strada, guardandolo con gli occhi spalancati e il fiato corto. – Sta tranquilla.
Il fatto che Josh avesse una pistola nei pantaloni doveva rassicurarla e invece non fareva altro che agitarla. Il suo ragazzo – cioè, Edward e qualunque cosa lui fosse – era a casa, convalescente e lei stava andando a casa dell’uomo che aveva cercato di ucciderlo e del ragazzo che aveva cercato di stuprarla, con un poliziotto in borghese che aveva detto di chiamarsi in un altro modo per tutto quel tempo.
Tranquilla un corno.
Josh le diede una pacca sulla spalla, per poi voltarsi di nuovo e riprendere a camminare.
Lo seguì cercando di tenere a mente ogni cosa e di ignorare il fatto che stessero facendo quella cosa in pieno giorno, cammianando per strada tra la gente come se nulla fosse. In ogni caso, lei non aveva mai visto casa di Edward e non sapeva di trovarsi sulla strada che era alle sue spalle. Infatti, quando Josh si fermò davanti ad un muro di cinta, si morse la lingua per non fare domande superflue.
Lui attese che le poche persone che erano in quella piccola strada secondaria se ne andassero o si voltassero per guardare altrove, dopodiché saltò verso il muro e si appese al bordo, issandosi. Ma sapeva quanto era alta lei? Era facile per lui che era uno spilungone.
Le tese una mano e Marina prese una leggera rincorsa, aggrappandosi ai mattoni più sporgenti: in un attimo, furono dentro. Atterrarono in un giardino poco curato, erano proprio alle spalle della casa verniciata di un giallo scolorito, ma Josh non le diede il tempo di guardarsi intorno e capì perché quando le indicò delle finestre. Se la fece addosso al pensiero che qualcuno potesse vederli, così lo seguì gattonando tra le erbaccie, lungo il muro, fino ad arrivare sul fianco destro della casa. Una sola finestra: la camera di Edward.
  • Come facciamo ad entrare da qui?
  • Tu sta ferma e non ti muovere, io entro per primo. Ti lancio la scala e sali.
  • V-va bene.
Josh se ne andò, mantenendosi basso e poi strisciando lungo il muro della casa. Quando sparì dietro l’angolo, Marina ebbe paura. Non sapeva cosa stava facendo. Tutta quella faccenda era una follia.
Per distrarsi dall’agitazione cominciò a cantare nella testa Chasing Cars, pensando alla voce di Edward e chiedendosi ad ogni minuto se Josh non fosse stato scoperto. Cominciava a sentire freddo tra quei cespugli.
  • Psss!
Quasi urlò per lo spavento, ma si trattenne, mostrando poi a Josh il suo viso spaventato. Le fece segno di avvicinarsi.
Si assicurò che non ci fosse nessuno e terrorizzata corse verso il muro, salendo immediatamente sulla corda, spaventata più dall’idea di Ben che dall’effrazione in sé. Rischiò di cadere e il ricordo dell’incidente sulla collina le fece salire un brivido lungo la schiena, ma Josh la afferrò non appena fu abbastanza vicina, tirandola dentro, attraverso la finestra.
Per un attimo riprese fiato, poggiandosi sulle ginocchia, poi alzò lo sguardo e si guardò intorno: quella era la stanza di Edward. Le mura bianche erano arredate dal minimo indispensabile: un letto matrimoniale, un armadio, un comodino e una scrivania. Probabilmente quella non era la sua stanza, ma quella di sua madre. Guardò le foto appese al muro e le mancò il respiro nel vedere le immagini di lui e sua madre, del matrimonio dei suoi, dei suoi nonni. Quelle quattro mura spoglie avevano visto ogni cosa di lui. Per anni lo avevano visto dormire, disperarsi, sognare, suonare ed ora era lì. Era nella sua vita. La sensazione di appartenere a quel posto le strinse il petto in modo indescrivibile.
  • Cerca i documenti. – La svegliò Josh. – Io vado a fare un’altra cosa. Quando hai finito, riscendi e torna al muro. Ti raggiungo lì.
  • Cosa? – doveva restare sola?
  • Non preoccuparti, né Ben né Jef arriveranno qui.
  • Ma-
Senza ascoltarla oltre, aprì la porta della stanza ed uscì. L’aria le si bloccò in gola, chiedendosi cosa avrebbe fatto se le cose non fossero andate come credevano, ma prima trovava quei documenti, prima se la sarebbe svignata.
Cercando di mantenere il controllo, si abbassò sul pavimento alla ricerca del battiscopa scollato, sotto la finestra. Tirò un paio di pezzi con la punta delle dita, finchè il terzo non venne via, facendo più rumore di quanto credesse, ma ci badò poco vedendo il buco nel muro di cui Ed le aveva parlato. Senza pensarci due volte, ci infilò la mano dentro, ma le sue dita non tastarono niente. Si abbassò di più, sfiorando il pavimento con il viso, ma non trovò niente. Si rialzò, restando in ginocchio: e ora? Guardò a terra, sotto al letto, ma sembrava non esserci!
Senza perdersi d’animo, si alzò e cominciò a prendere lo zaino che sapeva essere nell’armadio, infilandoci dentro i vestiti che aveva a portata di mano. Nel cassetto del settemino prese la biancheria e dal bagno il suo spazzolino. Intanto, continuava a cercare quel maledetto foglio.
Quando aprì il cassetto del comodino per cercare i soldi e l’agenda, sentì un rumore e si immobilizzò.
Dall’altra parte della porta, Jef l’aveva vista dal buco della serratura, attirato dai rumori.
Marina non sapeva se fosse meglio andare a controllare o restare immobile, ma aveva paura che qualcuno stesse per entrare. Eppure si sbagliava di grosso: Jef non stava entrando, l’aveva chiusa dentro.
Al piano di sotto, Josh era spalle al muro. Ben lo aveva trovato ed era immediatamente scattato lo scontro, data la sua ubriachezza, ma anche lui era all’oscuro di un dettaglio fondamentale: Ben era un lottatore.
Gli bastò poco per mettere il ragazzo ko e lasciarlo sul pavimento del corridoio, come era capitato centinaia di volte al suo amico.
Fuori di sé, Ben sparse il resto del rum per tutta la lunghezza del corridoio, chiamando Jef e ordinandogli di portare fuori le valigie.
Corse di nuovo in salotto e prese tutti i liquori che aveva in vetrina, spargendoli per tutta la casa. Quando Jef fu fuori, Ben recuperò il vecchio zippo di nonno Henry e si fermò nell’ingresso.
Rideva con una lucidità che faceva ribrezzo.
Se non avesse ottenuto quella casa, non l’avrebbe avuta nessuno.
Con lo sguardo annebbiato dalla rabbia e dall’alcool, fece scattare la rotella e lasciò cadere l’accendino a terra ed immediatamente il legno del pavimento prese fuoco.
Jef, vedendo le fiamme cominciare a divampare, chiamò suo padre e corse verso di lui per tirarlo fuori.
Quando riuscì a trascinarlo fino alle valigie, lo condusse oltre il cancello e non appena furono fuori, una forte esplosione lo fece pietrificare, spaventandolo a morte. Per un attimo ogni cosa si annullò e le orecchie cominciarono a fischiargli.
Quando riportò gli occhi alla casa, una grossa nuvola di fumo nero usciva dalle finestre della cucina e le fiamme avvolgevano tutto il pian terreno.
Josh e Marina erano ancora dentro.







Angolo autrice:

Perdono!
Lo so, sono in ritardissimo, ma sono davvero sommersa ultimamente.
Allora, veniamo al capitolo: so che volete uccidermi, lo sento nell'aria e presto dovrò fuggire in un posto lontano, ma...cosa ne pensate?
E' stato davvero difficile decidere come doveva andare a finire questa storia e spero di non deludervi, perchè le vostre recensioni sono davvero troppo belle e il numero delle visite è davvero troppo alto.
Vi scriverò un ringraziamento con i fiocchi, lo prometto. :)
Cosa mi dite di Ben? E di Jef? In questo capitolo esce fuori una parte della loro personalità che fin'ora era rimasta nascosta. Tuttavia, devo confessare che i personaggi secondari - tutti - non sono stati approfonditi e rivelati come volevo, ma ho dovuto scegiere di limitarmi per il bene della storia. Se avessi voluto scrivere davvero bene questa storia, ne sarebbe uscito un romanzo in tre parti, non una fanfiction. Quindi vi chiedo se nonostante la scelta, il loro ruolo e la loro psiche siano abbastanza percepibili ai fini del racconto. Fatemelo sapere.
Che altro dire, lascio a voi la parola.
Ci vediamo nel weekend per il prossimo capitolo.
A presto, Marinediani. :)


S.



-> Bonus: solo per imcecy, un bonus tutto speciale. :)


  
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Ed Sheeran / Vai alla pagina dell'autore: Sea