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Autore: xiaq    11/12/2015    1 recensioni
Vorrebbe dire:
Se Pablo Neruda avesse visto i tuoi occhi avrebbe dedicato loro venti poemi d'amore ed uno di disperazione.
Ma non ci si aspetta che le persone dicano cose del genere. Quindi non lo fa.
Au:
John e' stato congedato anticipatamente dal servizio militare , sta lavorando all’ospedale quando Sherlock viene ricoverato al pronto soccorso.
Autrice: xiaq
Traduttrice: 86221_2097
Genere: Angst, Avventura, Fluff | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Lestrade, Mycroft Holmes, Sherlock Holmes
Note: AU, Cross-over, Traduzione | Avvertimenti: Tematiche delicate
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CAPITOLO 3

NOTE DELL'AUTRICE: Non ho idea di come funzioni il sistema scolastico di medicina inglese, quindi ho supposto fosse uguale a quello americano. Se non lo fosse, sentitevi liberi di correggermi! Spero che apprezziate un piccolo assaggio di Mycroft.


Mycroft Holmes aveva sempre desiderato un fratellino.

Due settimane prima del suo sesto compleanno sua madre gli aveva chiesto cosa volesse come regalo per quell'occasione speciale. Era un bambino intelligente già allora, e sua madre si era aspettata che lui rispondesse un telescopio o un set di chimica o anche un cucciolo perchè si, era un sicuramente un bambino brillante, ma pur sempre un bambino. Aveva valutato la domanda per otto secondi esatti prima di rispondere solennemente," un piccolo fratello."

Aveva ricevuto un telescopio.

Quando la domanda gli era stata posta l'anno successivo, la sua risposta non era cambiata.

E così si era andati avanti, per altri tre anni, fino a che William Sherlock Scott Holmes non fu dato alla luce.

Sherlock era nato il primo di Dicembre. Non era arrivato in tempo per il compleanno di Mycroft, ma il dodicenne non se l'era presa. Aveva tenuto in braccio Sherlock costantemente per tutte le vacanze invernali, mentre era a casa per due settimane da Eton.  Durante quelle prime due settimane, quando Mycroft aveva tenuto fra le braccia il neonato che si contorceva guardandolo obliquo, aveva deciso che non avrebbe mai avuto bisogno di un altro regalo di compleanno.

Il suo appagamento, tuttavia, durò ben poco.

Dire che Sherlock fosse stato un bambino difficile sarebbe un eufemismo. Era brillante, si, ma strano. I precettori di Mycroft lo avevano adorato.  Non era solo intelligente ma anche affascinante e di buone maniere. E sebbene sua madre si fosse disperata per i suoi capellli rossi e per le sue lentiggini senza fine , era comunque stato,  a tutti gli effetti, il figlio perfetto.  Sherlock no. Era bello, certamente, ma la sua condotta era...scoraggiante, a dir poco.  Non aveva rispetto per tutti coloro che riteneva meno intelligenti di lui ; praticamente chiunque avesse mai incontrato, quindi.  A volte si rifiutava di parlare o di mangiare per giorni,  e aveva la sconcertante abilità di scoprire esattamente cosa stesse pensando un persona,  specialmente se quello che stava pensando era qualcosa che non desiderava diventasse di pubblico dominio.

Mycroft gli voleva bene comunque.

Era stato strano per fratelli nati con così tanto distacco temporale essere così legati, soprattutto perchè uno dei due era stato costantemente lontano a causa della scuola.  Mycroft anzi era stata l'unica persona la cui presenza il fratello non solo non evitava, ma occasionalmente cercava.  Ogni volta che Mycroft era tornato a scuola Sherlock aveva continuato a chiamarlo due volte a settimana per poi parlare per esattamente un'ora. Avevano preso a giocare a scacchi a distanza, occhi chiusi alle parti opposte del pianeta, dirigendo alfieri e torri  mentre il gioco andava avanti al di sotto di palpebre sincronizzate.  Sherlock aveva sempre chiesto a Mycroft di raccontargli dei suoi corsi di chimica o di spiegargli parti di articoli di microbiologia o anche, a volte, di prendere la sua copia dell'Amleto e leggere Rosencrantz al suo Guildestern. Mycroft aveva regalato
una versione in pelle della tragedia quando aveva sei anni e per il suo settimo compleanno lo aveva completamente memorizzato.

Sherlock era diventato un membro del MENSA all'età di otto anni. I suoi genitori erano troppo preoccupati  per i crescenti problemi sociali di Sherlock per esserne orgogliosi, ma Mycroft aveva silenziosamente preso la lettera dalla scrivania di suo padre e l'aveva incorniciata. L'aveva appesa nel suo piccolo nuovo ufficio al governo accanto ad una lettera identica che lui aveva ricevuto all'età di sei anni. Il suo piccolo ufficio era stato scambiato con uno più grande tre mesi dopo, e con uno ancora più grande un anno dopo,  ma la lettera si era sempre mossa con lui. Era la prima cosa ad essere appesa e l'ultima ad essere tirata giu con cautela, avvolta nella carta, e spostata nel posto successivo.

Due settimane dopo il compimento dei suoi dieci anni, Sherlock aveva smesso di chiamare Mycroft.

Mycroft aveva continuato a tenerlo d'occhio, ovviamente. Aveva usato le risorse di suo padre e la sua stessa ben sviluppata intelligenza. Era tornato in visita ogni volta che aveva potuto ed aveva osservato con pacata tristezza Sherlock che si estraniava dal resto del mondo. Aveva guardato come Sherlock avesse preso in mano pianoforte, violino e violoncello e li avesse padroneggiati alla perfezione con la stessa facilità con cui faceva qualsiasi altra cosa. Aveva notato come le abitudini di Sherlock diventassero più preoccupanti man mano che l'innocenza infantile lo abbandonava.

Durante il Natale in cui Mycroft era diventato un membro fisso del Diogenesis club aveva sorpreso per la prima volta suo fratello a fumare una sigaretta rimediata da un pacchetto. La loro madre era isterica perchè erano tre giorni che Sherlock non mangiava ed era andato vicino ad avvelenarsi con l'alcohol la settimana prima. Mycroft aveva ventiquattro anni. Sherlock dodici.

"Cosa diavolo pensavi di fare?" Mycroft aveva urlato e Sherlock si era limitato a sorridergli, prendendo un'altra boccata con grazia consapevole prima di scambiare la sigaretta nella sua mano con un archetto, muovendosi con una sorta di terribile, distaccata eleganza mentre si sedeva alla finestra con il suo violino.

"E' un esperimento, Mycroft," aveva detto, gli occhi sbarrati mentre strimpellava una scala di note discordanti. "Non essere drammatico."

Era stato in quel momento che Mycroft aveva compreso con sicurezza che Sherlock non era più suo. Non era più il bambinno che Mycroft aveva richiesto. Apparteneva alla sua stessa autodistruttiva, forse troppo intelligente, persona. Realizzarlo lo aveva ucciso. Non aveva dubbi che la cosa, prima o poi, avrebbe ucciso anche Sherlock.

Era stato proprio durante quelle vacanze che Mycroft aveva incontrato John Watson.

Sherlock non aveva amici. L'unica  persona con la quale aveva mai mostrato una propensione a passare del tempo era stato Mycroft durante quei pochi anni. Quindi quando un adoloscente con una camicia infilata malamente e delle scarpe che calzavano male era arrivato alla porta degli Holmes la vigilia di Capodanno sostenendo che Sherlock lo avesse invitato, Mycroft era stato in qualche modo sconvolto. Aveva condotto il ragazzo all'interno dove si era unito al resto degli ospiti ed era rimasto fermo, leggermente a bocca aperta, sembrando incredibilmente fuori posto. Quando Sherlock si era accorto della presenza di John aveva sorriso, veramente sorriso, e aveva preso l'orlo della manica del ragazzo trascinandolo al di là della libreria, dove Sherlock generalmente usava nascondersi per evitare ogni evento sociale.  Era stato il primo contatto fisico che Mycroft avesse visto avviare da Sherlock in tutti quegli anni.  Durante la serata Mycroft era riuscito a parlare con John solo per pochi secondi, ma la conversazione lo aveva lasciato ancora più confuso.

"Come hai conosciuto Sherlock?" aveva chiesto. E John aveva risposto, "L'ho incontrato in terapia. Viene a casa mia dopo scuola praticaamente tutti i giorni. Mi da ripetizioni di Inglese."

"Perchè?"

John aveva scrollato le spalle, sembrando disorientato dalla domanda, "Perchè siamo amici."

Mycroft l'aveva osservato ritirarsi con una bottiglia di sidro e due bicchieri, perplesso,  perchè per quanto aveva potuto vedere, John Watson era assolutamente ordinario.  Aveva diciassette anni,  piccola borghesia,  gentile ma non eccessivamente simpatico, buoni voti, ma non particolarmente intelligente, attraente, ma non in maniera esagerata. Non aveva niente da offrire a Sherlock. Eppure,  nella seguente settimana di pausa natalizia, John aveva passato praticamente tutto il suo tempo a casa loro.

Per alcuni anni, le cose erano andate bene. Sherlock e John, separati una volta all'università,  continuavano a vedersi ogni fine settimana. Quando John era entrato nell'esercito ed era partito per la sua prima missione dopo essersi laureato al college, Sherlock si era liberato dai suoi impegni ogni Giovedì,  passando le giornate con Skype aperto nella speranza che John riuscisse a chiamarlo. Sherlock era paziente con John in un modo che Mycroft non era mai riuscito a capire e sebbene la strana amicizia lo avesse sconcertato, l'aveva incoraggiata. John Watson, ordinario com'era, era in grado di far sorridere Sherlock. E questa non era affatto un'abilità ordinaria.

La morte dei loro genitori aveva rovinato tutto.

Mycroft aveva pensato fosse stato lo shock, all'inizio,a guidare le azioni di Sherlock. L'insonnia, la depressione, le droghe. Ma quando le settimane erano diventate mesi e la spirale di autodistruzione del fratello non si era fermata, aveva iniziato a preoccuparsi.

Mycroft aveva provato a parlare con lui una volta, dopo che due mesi erano ormai passati e la depressione di Sherlock era profonda abbastanza da far trascurare a Mycroft il lavoro, spaventato di andarsene perchè in pensiero di cosa avrebbe potuto trovare una volta tornato a casa.

"Perchè non chiami John?" aveva detto.

Sherlock aveva poggiato la tazza di tè sul tavolo di fronte a lui, poi aveva allungato uno scarno dito, e lentamente aveva rovesciato la tazza di porcellana sul tavolo. Aveva osservato con interesse accademico Mycroft pulire la confusione risultante, poi si era ritirato nell'attico a suonare il violino.

Dopo quel giorno, Mycroft non aveva più menzionato il ragazzo, e dovettero passare altri sei anni prima che John Watson entrasse nuovamente a far parte della sua vita.

***
Mycroft Holmes siede sulla sedia dei visitatori accanto al fratello dormiente e si chiede, non per la prima volta, quanto ancora durerà la sua fortuna. Un giorno, probabilmente presto, pensa, si siederà accanto ad una bara e non ad un letto d'ospedale.

Non ha idea di cosa fare.

Sherlock stava andando meglio. Durante i due anni che avevano seguito la sua prima overdose, quando Mycroft lo aveva costretto a mantenersi pulito, Sherlock si era laureato con ogni sorta di encomi e offerte di lavoro, ma non ne aveva accettata nessuna. Mycroft non aveva voluto forzarlo, quindi l'aveva lasciato fare, alzandosi con il suono del violino proveniente dall'attico ogni mattina e tornando a casa con il silenzio ogni pomeriggio. E poi, un giorno, Sherlock se ne era andato. Mycroft aveva portato un vassoio con la cena nella sua stanza, sapendo che molto probabilmente non sarebbe stata mangiata, e l'aveva trovata vuota. Quando aveva salito la scaletta per l'attico e si era accorto che il violino di Sherlock non c'era, aveva capito che suo fratello non aveva intenzione di fare ritorno in tempi brevi. Aveva passato la settimana successiva usando ogni mezzo a sua disposizione per localizzare suo fratello, ma ad un certo punto aveva dovuto spostare la sua attenzione su altre cose. Sherlock era giovane, ma era anche sveglio. Se non voleva farsi trovare, non l'avrebbe trovato.

Quando Mycroft finalmente lo aveva localizzato, sei mesi dopo, era in un ospedale sotto cura per quella che i dottori avevano definito un'overdose intenzionale. Quando era arrivato il giorno successivo, ancora un po' sgualcito a causa del viaggio notturno, aveva trovato un uomo decisamente non sgualcito già al capezzale di suo fratello e le braccia conserte del visitatore sembravano implicare che lui fosse il fratello maggiore e Mycroft l'estraneo.

"Tu chi sei?" aveva chiesto Mycroft, e l'estraneo aveva risposto," Greg Lestrade. Scotland Yard. E tu chi diavolo saresti?"

La conversazione era semplicemente diventata molto strana dopo di quello.

Mycroft si passa le mani fra i capelli, resistendo all'impulso di tirarli. Dopo la seconda overdose aveva tenuo Sherlock sotto costante controllo fino al giorno in cui aveva compiuto diciotto anni. Da quel momento in poi non aveva potuto più fare nulla quando Sherlock era scomparso di nuovo. Mycroft aveva visto solo una volta suo fratello da allora; sempre all'interno di un'ospedale, ma in quel caso non aveva avuto niente a che fare con l'eroina.

"Vedo che ti appassiona ancora nasconderti."

Mycroft sospira, sollevando la testa da dove l'aveva tenuta a riposare, fra le sue mani.

Sherlock è sveglio, ha il suo solito cipiglio, nella solita posizione.

Si alza, è meraviglioso dopo più di un'ora nella stessa posizione, e muove i piedi fino al letto.

"Vedo che ti appassiona ancora andare in overdose"  risponde velocemente Mycroft.

"Non essere drammatico. Sono qui perchè qualcuno ha tentato di uccidermi, non perchè ho tentato di uccidermi."

"Cosa è successo?"

Sherlock sorride leggermente, di proposito. "Non mi ricordo."

Mycroft sospira una seconda volta. "Dimmelo, per favore. Vorrei evitare di perdere tempo e risorse utili a scoprirlo da solo."

"Ho fatto un leggero errore di calcolo."

"Si. E' quello che succede quando diventi dipendente dall'eroina."

"Non ne sono dipendente."

"Per favore,"  incrocia le braccia, il fruscio dell'abito inamidato spezza il silenzio circostante."Forse non avrò le tue particolari abilità ma non prendermi per un idiota."  sonda la faccia scarna e ostinata di suo fratello, poi sospira di nuovo. " Offrirei una casa di terapia di nuovo ma suppongo il tuo interesse a riguardo non sia cambiato dall'ultima volta che ne abbiamo discusso."

"Supponi correttamente."

"Bene. Ma Sherlock, questa storia finisce qui. Sei quasi morto. In realtà, sei stato morto, per due minuti e sedici secondi. Questo non succederà di nuovo. Se succederà ti farò internare in una casa di cura, che tu mi dia il permesso o meno. E' chiaro?"

Mycroft è sicuro che Sherlock stia prendendo in considerazione l'idea di rispondere con qualcosa di irrispettoso come mi piacerebbe vederti provare.  Ma non lo fa, perchè Sherlock sa molto bene che per Mycroft non sarebbe per niente difficile introdurlo contro la sua volontà in un qualsiasi programma di riabilitazione.

"Chiaro." Sherlock risponde brevemente.

"Quindi." Mycroft sposta le braccia sui fianchi. "Di cosa ti sei occupato negli ultimi mesi? Almeno sei tornato tutto intero questa volta. Quell'affare in Bolivia l'anno scorso era semplicemente ridicolo."

Sherlock lo ignora.

"No? Non vuoi condividere cosa stessi facendo? qualcosa al di fuori dei miei radar in qualche luogo caldo, giudicando dalla tua abbronzantura. Davvero, Sherlock, dovresti comprare della crema solare o avrai un cancro alla pelle per quando avrai trent'anni. Immagina semplicemente che modo noioso di morire sarebbe."

Mycroft osserva il braccio disteso del fratello, la stoffa sulla pelle scurita e sulle lentiggini raggruppate: il risultato di numerose bruciature parzialmente guarite, ognuna perfettamente integrata nella successiva. Ha notato che il ritmo del suo parlare è lento. Accento spagnolo? E' un'ipotesi probabile considerando gli ultimi resoconti di notizie.

"Cos'era questa volta?"  chiede," Un perfido dittatore? Contraffazioni? Ho sentito che il Messico è splendido in questo periodo dell'anno. Dimmi, come procede il cartello della droga in questi giorni?"

Sherlock lo premia con un sorriso. Non uno vero, uno di quelli non lo vede da anni, tuttavia pur sempre un sorriso.

"Le tue abilità sono sprecate in politica, Mycroft" dice.

"Davvero, sprecate? Di cosa hai bisogno tu per mostrare la tua intelligenza, Sherlock? Tracce di aghi e suture? Ustioni ripetute? Io uso i miei doni per realizzare qualcosa.  Tu li sperperi."

Sherlock rotea gli occhi. La sua maschera si incrina per un attimo prima che sia in grado di controllarlo. "Nel caso in cui tu non ti sia tenuto aggiornato con le notizie, la lista dei più ricercati dall'FBI è appena stata rilasciata senza le sue due maggiori stelle, visto che ora sono sotto la custodia federale. Vuoi sapere chi li ha messi lì? Vuoi sapere chi ha passato due mesi vivendo in uno squallore assoluto nella parte peggiore di Nueva Laredo solo per metterli lì? Il cartello delle droghe, visto che ti sei così cortesemente informato, è probabilmente in amorevole caos, grazie a me. Non c'è dubbio che si riuniranno in breve ma nonostante ciò ci sono sei miliardi di dollari in cocaina che non stanno attraversando il confine americano questo mese, se te lo stessi chiedendo."

"Ironico. Considerando che hai celebrato la vittoria tornando a casa e drogandoti."

Sherlock arriccia le labbra, come se Mycroft stesse diventando noioso. "Per favore, non toccherei mai la cocaina."

"Scusami. Questo dovrebbe farmi sentire meglio?"

Sherlock sogghigna di nuovo ed è il tipo di espressione che porta Mycroft a chiedersi se sia rimasto qualcosa del bambino che suo fratello era stato.

"Preferirei non sentissi nulla," dice Sherlock, "ti renderebbe decisamente più interessante."

Mycroft non parla per alcuni secondi, poi sospira.

"Non essere così ostile verso di me, ti prego. Indipendentemente da quanto impossibile tu possa essere, io ti vorrò sempre bene."

Il sogghigno si trasforma in palese disinteresse. "Lo dici come se per me avesse qualche importanza."

Mycroft sceglie di ignorare l'asserzione volutamente provocatoria per ottenere più informazioni. "Quindi." accenna al gomito di Sherlock, pallido in contrasto con l parte esterna del braccio. "I tuoi datori di lavoro a Scotland Yard sanno che abusi di droghe tra un caso e l'altro e lo ignorano? O generalmente nascondi queste indiscrezioni meglio di così?"

"Non ho datori di lavoro," risponde Sherlock, con calma. "Quando hanno bisogno di me mi chiamano, escluso questo, mi lasciano da solo. Abbiamo un accordo."

"Be', tutti gli accordi possono essere spezzati."

Il tono di Sherlock non cambia. "Non osare interferire, Mycroft. Potrai avere il mondo politico tra le tue mani, ma non provare ad immischiarti nel mio, ti ritroveresti surclassato."

Mycroft decide di non discutere sull'argomento."Con chi lavoravi in Messico? Sicuramente non con il governo americano."

Sherlock chiude gli occhi, Mycroft inizia ad annoiarlo. "Un amico degli anni in cui Lestrade era militare lavora alla CIA ora. Aveva sentito del caso Leeds l'anno scorso e li ha convinti ad assumermi come consulente. In realtà è la seconda cosa che ho risolto per loro. Ero a New York sei mesi fa.  Ho preso in considerazione l'idea di mantardi una cartolina. Penso ti sarebbe piaciuto lì. Tanti cheesecakes. Posso usare il tuo cellulare?"

Mycroft ride senza convinzione."Assolutamente no. Non ho interesse nel rendere pubblici i documenti sul mio cellulare di nuovo."

Sherlock lo guarda come se quella fosse una ragione stupida. "Bene, puoi controllare se qualcuno qui ha il mio? Penso che fosse nella tasca dei miei pantaloni quando mi hanno portato dentro. Potrei aver perso un messaggio importante." Sottolinea l'ultima parola con un leggero schiocco della lingua.

"Se lo trovo acconsentirai ad essere rilasciato sotto la mia custodia?"

L'espressione di Sherlock si adombra. "Non tornerò in quel mausoleo che ti ostini a chiamare casa."

"Bene. Possiamo rimanere nel tuo appartamento. Mi sono liberato dagli impegni della prossima settimana. Permettimi solo di occuparmi di te per qualche giorno fino a quando non ti sarai ripreso." Si fa forza, le labbra serrate. "Per favore."

"Veramente?"  la bocca di Sherlock si arriccia. "Un'intera settimana, Mycroft? Avevo l'imrpressione che il governo inglese non potesse funzionare senza di te."

"Non può," risponde semplicemente. "Ma i fratelli  imbecilli hanno la precedenza."

Sherlock prende in considerazione la cosa per un agonizzante momento, l'attenzione totale del fratello sul suo viso, e poi produce un sottile rumore di disgusto; lascia che la testa ricada sui cuscini e chiude gli occhi di nuovo.

"Cellulare." dice Sherlock, stendendo una mano, il palmo verso l'alto.

Mycroft decide che questa è la cosa più vicina ad un sì che riuscirà ad ottenere.

***
John lascia la cartella clinica di Sherlock per ultima.

Ha procrastinato il momento passando tre ore sul lavoro d'ufficio arretrato, ha controllato due volte gli altri pazienti, e ha anche fatto qualche test in laboratorio per Stamford. Evitarlo ha reso la giornata estremamente produttiva. Ma in ogni caso non può ignorare l'orario, o il fatto che le sue scuse stiano diventando sempre più patetiche, quindii prende in mano a malincuore la cartella di Sherlock, si prepara mentalmente, e scende nella sala.

Quando entra nella sala non è molto contento di vedere che qualcuno ha ritrovato il cellulare di Sherlock e glielo ha riconsegnato. E' persino più infastidito nel vederlo seduto, mentre lo usa per parlare con qualcuno. Non si accorge della presenza di John quando questo entra dentro.

"No, non mi stai ascoltando," dice Sherlock in modo brusco a chiunque ci sia dall'altra parte, "non stava lavorando per loro, lavorava con loro."

Rotea gli occhi di fronte alla risposta che quelle parole suggeriscono all'interlocutore, "Perchè suo padre era il capo Barrio Atzeca che certamente non avrebbe lasciato che suo figlio-"

Si ferma, agitandosi sempre di più man mano che l'altra persona continua a parlare.

"No, idiota, non Santana. il suo padre biologico. Perchè pensi fosse a Suarez?"

John può sentire la voce dall'altro capo del telefono, leggermente. Non abbastanza alta da distinguere le parole, ma abbastanza da capire che sono frustrati.

"Si, ne sono sicuro Dimmock," dice bruscamente, "ne sono sempre sicuro. Fai un test sul loro sangue se non i credi. Santana è O negativo, sua moglie B positivo. Vasquez è AB negativo. Questo è fisiologicamente impossibile. Il nostro capo, tuttavia, è A negativo."

Rotea di nuovo gli occhi.

"Dio, cosa vi insegnano nelle scuole americane di questi tempi? Sì. B positivo e A negativo possono portare ad un bambino AB negativo. Cerca di stare al passo. In ogni caso, guarda gli zigomi, sono chiaramente collegati."

Sherlock da' un'occhiata a John mentre questo viene avanti, sembrando annoiato per qualsiasi cosa stia ancora dicendo la persona sull'altra linea.

"Sì. E' esattamente quello che sto dicendo. Vasquez era uno dei corrieri di Carillo ma lavorava anche per il capo oltre confine. Questo è tutto quello che posso ricavarti dalla chiavetta, non so perchè tu-No, non posso venire."

John Sospira.

"Perchè disprezzo l'idea di volare senza motivo. Inoltre sono in ospedale...perchè sono in ospedale? Non vedo come questo abbia una qualsiasi attinenza con la conversazione in corso."

John si avvicina di un altro passo e sospira una seconda volta, più profondamente. "Dimmock devo richiamarti. Organizza una conferenza video se ti serve. Sarò tutt'altro che risolutorio ma almeno vi darò qualcosa su cui lavorare. Sì. Bene. Domani mattina. Alle sei."

Riattacca senza neanche salutare e poi guarda male il telefono tra le sue mani.

"Cosa c'è?" chiede Sherlock, senza neanche guardare John.

John si schiarisce la gola. "Devo controllare le tue suture."

Sherlock indica vagamente il suo corpo. "Be' fallo allora."

"Bene."

John non è mai stato bravo a nascondere le sue emozioni. Sherlock glielo aveva detto così tante volte, in passato. Mentre alza con cautela la maglietta non può fare a meno di ricordarsi un'altra situazione simile, quando aveva sollevato la parte bassa della t-shirt di Sherlock ed era inorridito di fronte alla pelle lacerata che vi aveva trovato sotto.

"E' soltanto un graffio, John.," aveva detto Sherlock, dodici anni e già un maestro nell'arte del mostrarsi costantemente superiore. "Non essere così drammatico. La tua espressione è ridicola."

Si chiama paura, aveva pensato John tentando di contrastare l'imminente panico. Si chiama tenerci. Tu non capiresti.

Tuttavia non ha più sedici anni. Non è più il preoccupato, quasi riluttante amico di un prodigio tendente all'autodistruzione. Ha ventisei anni. E' un dottore. E non mostra più le sue emozioni come una volta. L'esercito aveva aiutato con quello, e il suo anno di tirocinio aveva cementato la cosa. Persone erano morte. Spesso, ed in confusionari e a vollte terribili modi. A volte delle persone avevano ucciso altre persone. Avevano tradito, rubato, abbandonato i loro bambini o i loro amici. E aveva ritrovato se stesso a tenerci sempre di meno.

La pelle di Sherlock è pallida sotto la tunica dell'ospedale, in immediato contrasto con le sue braccia ed il suo viso. Le sue costole sono troppo sporgenti, è dolorosamente visibile ogni volta che respira. John tocca con mani esperte attorno al segno procurato dalla ferita, dove la pelle perfetta diventa rossa e ruvida e rovinata, persino dura intorno alle cuciture nere. Poggia un dito nella curva che si forma tra due costole e Sherlock prende aria.

"Sei troppo magro."

Sherlock non risponde.

John controlla altre cose, il livido dall'altro lato del corpo di Sherlock-tre costole rotte-il taglio sullo zigomo sinistro, le due dita fratturate della mano destra. Sembra che non sia la prima volta che vengono rotte.

Quando esamina il viso di Sherlock lo fa velocemente e senza guardarlo negli occhi, se non per il tempo necessario a controllare la velocità di reazione delle pupille. Li evita perchè i suoi occhi sono pericolosi. Nessuno ha occhi come quelli di Sherlock.

"Quindi," dice Sherlock ad un certo punto, stranamente incline alla conversazione, "suppongo che le congratulazioni siano dovute. Sei sempre voluto diventare un dottore."

"Sì," risponde John, spostandosi dal letto. Scrive qualche appunto sulla cartella, segnalando i dati LED che non sembrano giusti, occhieggiando Sherlock con non poca perplessità.

"Hai appena iniziato il terzo anno come tirocinante?" chiede Sherlock, la voce più alta del normale, quasi cordiale.

"Sì."

L'espressione di Sherlock non cambia. "Impressionante."

"Sì," risponde ancora John, iniziando ad aggrottare le ciglia, "perchè stai facendo così?"

Sherlock sorride lentamente, in modo innocente. "Facevo solamente un'amichevole conversazione."

"Noi non siamo amici."

Sherlock ha l'audacia di mostrarsi ferito. "Lo eravamo."

Le dita di John si stringono sulla cartella del paziente. "Nota l'utilizzo del tempo passato."

"Aiuterebbe se mi scusassi?"

"No. Perchè non lo faresti sul serio. Cosa vuoi Sherlock?"

La voce dell'altro uomo riacquista il suo tono abituale. Squadra John con l'equivalente per Sherlock di un cipiglio, le leggermente arricciate e il segno del suo fastidio sul sopracciglio destro.

"Un portatile. Per domani mattina alle sei. Dubito che Mycroft mi porterà il mio, se non sotto costrizione."

"E dimmi, cosa ti fa pensare che io sarei più disposto ad aiutarti? Pensavo fossi intelligente." Forse il suo sarcasmo è un po' troppo marcato, ma si ripete quanto se lo sia meritato, e la Dottoressa Allen, d'altra parte, difficilmente verrà lì a fargli la predica.

"Ho delle informazioni," dice Sherlock alla fine,  come se John lo avesse forzato a dire qualcosa di sgradevole.

"Hai sempre delle informazioni," replica John, voltandosi verso la porta, "Ma non me ne potrebbe importare di meno di sapere chi abbia dormito con chi o quale infermiera abbia rubato i noodles dall'armadio degli alimentari. Non ti disturbare."

"E riguardo al Dottor Stamford? Tieni a lui?"

John detesta la superiorità nel tono di Sherlock, ma questo non lo ferma dal voltarsi di nuovo.

"Bene." John si passa la mano libera sul viso, gesticolando verso Sherlock con la cartella nell'altra, "Vai avanti."

"Il tuo Dottor Stamford è al verde. Molto al verde. Ha perso il suo appartamento una settimana fa, forse due, ma è troppo orgoglioso per ammetterlo con chiunque. Al momento vive qui, in ospedale. Nessuno lo ha notato perchè i tirocinanti passano tutto il loro tempo qui in ogni caso. Ma qualcuno lo farà, prima o poi, e lui si troverà in guai ancora più seri. Suppongo tu non voglia che questo accada."

"Idiota," dice John, più a se stesso che a Sherlock, "perchè non lo ha detto a nessuno?"

"Orgoglio," dice Sherlock, perchè Sherlock non ha mai capito il senso delle domande retoriche.

"Ok." il peso della stanchezza si è immediatamente raddoppiato. "Questo vale un computer. Te lo porto domani, dovrei riuscirci per le cinque di mattina o giu di lì."

Sherlock annuisce, come se se lo fosse aspettato. Non c'è nessun "Grazie", ma John non se lo aspettava. Si ferma con la mano sulla porta, poi si volta di nuovo.

"Come hai fatto a capirlo?"

"Dubiti di me?"

"No. Ti conosco. Solo che mi è sempre piaciuto ascoltare come riuscissi a capire le cose."

Un'espressione particolare attraversa il volto di Sherlock, ma sparisce prima che John possa notarla. Sherlock increspa le labbra.

"I suoi vestiti non sono stati lavati bene. Sono troppo rigidi, quindi o nutre una particolare avversione per gli ammorbidenti oppure li lava a mano. Questo e portano l'odore del sapone dell'ospedale. Aspro. Un prodotto chimico. L'unico motivo per cui una persona possa avere quel particolare odore così forte addosso e se ci hanno lavato sia i vestiti che loro stessi. Sta iniziando a danneggiare i suoi capelli, il che porta la mia stima ad una settimana e mezzo. Inoltre, gli ho offerto la mia colazione stamattina quando ha controllato le mie suture prima dei turni. Ha probabilmente provato lo stesso senso di colpa che ha provato per il sapone, ma ha mangiato fino all'ultima briciola di quell'ammasso tragico di farina che fate passare per focaccine. A causa di ciò, era in imbarazzo durante i turni. E' per questo che saltellava così tanto. Lo avrai notato."

Lo aveva notato.

John sospira, ricollegando numerose occasioni nei mesi passati in cui aveva chiesto a Stamford se voleva comprare qualcosa da mangiare o andare a bere una birra e l'altro uomo aveva sempre tirato fuori flebili scuse per evitarlo. Aveva smesso di comprare gli snack dalla macchinetta e beveva solo il caffè gratis della sala break. John avrebbe dovuto notare che qualcosa non andava.

"Nient'altro?" chiede John.

Il labbro superiore di Sherlock si alza leggermente. "No. Il cibo è la prova finale. Soltanto qualcuno veramente disperato avrebbe mangiato quella roba."

John ride prima di riuscire a fermarsi, e poi stringe le mani per contrastare l'orrore che la cosa gli provoca.

No. Non farlo.

Si volta bruscamente, prendendo di nuovo in mano la cartella di Sherlock, e esce senza salutare.

 


Note della traduttrice: Grazie mille a tutti coloro che hanno letto, recensito, messo tra le seguite, ricordate e preferite questa storia, rendete tutto il mio lavoro incredibilmente più facile! Grazie ancora.

 
   
 
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