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Autore: rekichan    05/03/2009    8 recensioni
[Prima classificata al contest FugakuMikoto indetto da Akasuna no Sasori]
«Vi do fastidio, Fugaku-san?»
Era una sua impressione, o c’era dell’ironia in quella domanda? Che cara, amabile, vipera.
«Oh, certo che no! – le fece il verso - È al mio sistema nervoso che disturbate l’esistenza.»
«Finché non altera voi, Fugaku-san, penso che mi tratterrò.»
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Nick autrice: rekichan

Anche se non leggeranno mai queste pagine:
a mio padre, adorabile per la sua dolcezza e
sottile perfidia,
a mia madre a cui, nonostante sia un Fugaku
Uchiha in gonnella, non posso fare a meno di
voler bene,
ai miei fratelli maggiori, sebbene non ci parli mai.
Siamo una famiglia un po’ disastrata, ma pur sempre tale.

 

Finché morte non vi separi

 

 

Quando Fugaku Uchiha seppe da suo padre che avrebbe dovuto sposare Mikoto Uchiha, si limitò a storcere appena il naso, con aria indispettita.

Conosceva la ragazza solo per fama. Di certo, era una bellissima donna, con solo cinque anni meno di lui, ma, tra i suoi coetanei, veniva additata molto spesso come strana.

Secondo i pettegolezzi che giravano per il quartiere Uchiha, era solita passeggiare ad ore tarde per le vie deserte, canticchiando. Oppure si divertiva a passare ore ed ore a raccogliere fiori, per esercitarsi con l’ikebana.

Niente di pericoloso od eccessivamente anormale, ma comunque strano.

D’altro canto, parte questa piccola e notturna eccentricità, le rare volte che gli era capitato di incrociarla, aveva notato solo due enormi occhi neri, dal taglio leggermente a mandorla, e un sorriso dolce sul viso delicato.

Peccato per l’aria di sfida che brillava, sempre e comunque, in quelle iridi scure, e quella sprezzante che aleggiava sulle labbra morbide e appena socchiuse che faceva tanto indispettire il giovane erede del capofamiglia.

Ora, per un assurdo accordo tra famiglie, era venuto a sapere che la sua vita matrimoniale sarebbe stata un continuo susseguirsi di quelle occhiate e di quei sorrisi.

La cosa non fece che alterare, ancora di più, il suo già perenne cattivo umore.

 

Quando sua madre comunicò a Mikoto Uchiha che avrebbe dovuto sposare Fugaku Uchiha, questa si limitò ad alzare, con aria stupita e leggermente svagata, lo sguardo dal fiore carminio che si rigirava tra le dita sottili.

Conosceva Fugaku di fama. Tra le sue amiche, era senz’altro il ragazzo più gettonato.

Certo, a tutte le donne piace il genere: “Silenzioso e misterioso”. Aggiungici un bel fisico, e il cocktail dell’uomo perfetto è terminato. Che avesse o no un cervello, poco importava.

Trattenne un sorriso divertito, al pensiero di una vita matrimoniale con quella sottospecie di grizzly asociale.

No, decisamente non faceva per lei.

Troppo serio, troppo posato… sarebbe stato come essere sposate ad un manichino inamidato.

Anche se, Mikoto doveva ammetterlo, le rare volte che lo aveva incrociato per la strada, l’aveva fatta ridere.

Sembrava sempre turbato in presenza del sesso femminile. Talmente turbato che la ragazza non riusciva a trattenere un sorriso di scherno e un’occhiata di sfida, come ad invitarlo a provare ad invadere il misterioso mondo delle donne con avances spigliate, simili a quelle dei suoi amici.

Tuttavia, non era sua intenzione passarci la vita. Affatto.

Pertanto la notizia che il suo matrimonio fosse già stato organizzato e che lo sposo fosse proprio Fugaku Uchiha, non fece che alterare il suo, altrimenti ottimo, umore.

Alla domanda materna: «Sei contenta, figliola?», si limitò ad annuire con un cenno del capo e, sistemato il fiore nel cesto, rispondere con un sorriso candido:

«Sempre che Fugaku-san arrivi vivo alle nozze.»

Fugaku, non comprese mai perché i suoi futuri suoceri, il giorno seguente, lo avessero avvisato di non mangiare o bere nulla senza prima essersi accertato che non contenesse del veleno.

 

«Buonasera, Fukagu-san.»

Fugaku si girò, dimostrando solo un pacato stupore nel trovarsi davanti alla giovane che, col cesto di vimini colmo di fiori, lo salutava rispettosamente con un cenno del capo.

«Buonasera, Mikoto-san.»

Rispose, accennando un freddo cenno di saluto, sentendosi tremendamente a disagio di fronte alla presenza sorridente della donna.

Decise che la conversazione, per quel giorno, poteva tranquillamente finire lì.

In fondo, si erano scambiati ben tre parole a testa (nome e onorifico compresi), come primo approccio poteva andare.

Riprese ad esaminare i rapporti delle missioni del giorno, nel tentativo di farle capire che era congedata.

Mikoto non si mosse.

Notò che si dondolava sulle punte dei piedi, lasciando oscillare il cesto che stringeva tra le mani, aspettando che cominciasse una qualche conversazione.

Quando comprese che non se ne sarebbe andata, digrignò appena i denti, prima di bofonchiare, imbarazzato:

«Beh…uhm… bella giornata, vero?»

«Sapete che si parla del tempo quando non si hanno altri argomenti di conversazione?»

Celiò, con candore, la fanciulla.

Fugaku lanciò appena un’occhiata al suo volto sorridente, desiderando stamparci un ceffone.

Era occupato, nervoso e infastidito da quella presenza irritante al suo fianco.

«Questo non toglie che sia una bella giornata.»

Ringhiò tra i denti, cercando di apparire cordiale.

«Oh, certo che no.»

Silenzio.

Fugaku pregò i kami che se ne andasse.

Tornò ad ignorarla per cinque minuti buoni, aspettando che le sue suppliche facessero effetto, ma le divinità dovevano essere molto adirate con lui, quel giorno, perché quando si voltò per controllare, Mikoto era ancora lì.

E sorrideva.

Dannata serpe.

«Posso fare qualcosa per voi?»

Domandò.

«No, niente.»

«Allora perché resti qui?», avrebbe voluto chiederle.

Si trattenne, per amor di cortesia, limitandosi a ringhiare sommessamente. In fondo stava parlando con la sua fidanzata. Non poteva essere maleducato con lei.

Ah no?

«Non avete nient’altro da fare altrove

«Se avessi altro da fare, non perderei tempo qui, no?»

Perdere tempo?

Come se le avesse chiesto lui di andare a disturbarlo.

«Credetemi, potete andare a perdere tempo da un’altra parte.»

Sibilò, offeso.

«Vi do fastidio, Fugaku-san?»

Era una sua impressione, o c’era dell’ironia in quella domanda?

Che cara, amabile, vipera.

«Oh, certo che no! – le fece il verso - È al mio sistema nervoso che disturbate l’esistenza.»

«Finché non altera voi, Fugaku-san, penso che mi tratterrò.»

Replicò, sempre con quel suo dannato sorriso stampato in faccia.

Passarono altri dieci minuti buoni, in cui il venticinquenne riprese a svolgere il proprio lavoro burocratico.

Ogni tanto, le lanciava qualche occhiata di sottecchi.

Mikoto si guardava in giro, studiando con minuziosa attenzione ogni particolare dell’ambiente circostante.

«Effettivamente, quando sta zitta non è malaccio

Pensò Fugaku, chiudendo il dossier e mettendosi il fascicolo sotto braccio, per andare a consegnarlo all’Hokage.

Con un sospiro sollevato, cominciò ad incamminarsi, pregustandosi già il ritorno a casa dopo una stressante giornata di lavoro.

Non fece in tempo a fare due passi, però, che il fascicolo era scomparso dalle proprie mani, finendo in quelle rapide e sottili di Mikoto.

La ragazza lo studiava, beffarda, dall’altro lato della stanza, agitandogli la cartella sotto il naso.

«Cercate questo, Fugaku-san?»

Il ragazzo digrignò i denti. Si era fatto fregare come un novellino da quella mocciosa.

«Vi dispiacerebbe rendermelo, Mikoto-san

Sibilò, tendendo il braccio per farsi restituire il dossier, aggiungendo un certo tono minaccioso al nome di lei.

Non che fosse intenzionato realmente a farle male, voleva solo intimidirla.

«Mh. Sì, mi dispiace.»

A giudicare dalla sua reazione, il tentativo era fallito in pieno.

«Mikoto-san, non costringetemi a venire a prenderlo.»

«Già il fatto di vedere il verbo venire, associato a voi, è fonte per me di grande stupore, Fugaku-san.»

Ok, ora voleva farle male.

E tanto, anche.

Diciamo pure parecchio.

Ma le ragazze, un tempo, non erano candide, ingenue ed illibate?

«A proposito… - Mikoto si portò il dossier alle labbra, riprendendo a dondolarsi sulle punte – Come ve la cavate a letto?»

A quanto pareva, no.

«Non penso siano affari che vi riguardino.»

«Capito, siete vergine.»

«Mikoto-san!»

Fugaku avvampò, scandalizzato. D’istinto, si gettò su di lei, cercando di strapparle la cartella. Mikoto fu più veloce, scansandosi appena in tempo da evitare la sua presa.

«Non c’è niente di cui vergognarsi, sapete?»

«Piantatela con queste insinuazioni.»

Ringhiò, avventandosi nuovamente su di lei.

Mikoto rise, di una risata limpida e cristallina.

Lasciò che Fugaku la rincorresse ancora per un po’, finché non riuscì ad acchiapparla per la vita.

Allora, solo allora, smise di ridere e, posategli la cartella sulla testa, soffiò, a pochi centimetri dalle sue labbra:

«Vorrà dire che impareremo insieme.»

Detto questo, se ne andò, lasciando Fugaku nervoso, imbarazzato e con un dubbio atroce: quella serpe aveva tentato di sedurlo od era una sua impressione?

 

Quando Fugaku pronunciò il fatidico “sì” che lo legò per sempre a Mikoto, non avrebbe mai sospettato che quel “Finché morte non vi separi” sarebbe stato così dannatamente veritiero.

D’altronde, la sua preoccupazione più imminente era evitare accuratamente e con garbo ogni cibo offertogli dalla sua avvenente mogliettina, visto che un uccellino di nome Kushina Uzumaki lo aveva informato della passione della sua consorte per i veleni.

Altro che fanciulla tenera e amante dei fiori, quella era una raccoglitrice incallita di piante venefiche!

E talmente priva di scrupoli, da non lesinare sul loro utilizzo.

Che donna amabile.

In ogni caso, la giornata non era poi così disastrosa, almeno finché la migliore amica di sua moglie, la suddetta Kushina, non decise di rovinare la festa, facendo cadere, nel tentativo di abbracciare Mikoto, il povero Fugaku dentro la torta nuziale.

E dire che lui odiava  la panna.

Tuttavia, vedendo Mikoto con indosso l’abito da sposa, i fiori tra i capelli e il sorriso che le illuminava gli occhi e il volto mentre, con un fazzoletto, lo aiutava a ripulirsi almeno la faccia da quell’intruglio zuccherino, decise che quella giornata non era poi da buttar via.

Almeno, non totalmente.

 

Quando Mikoto pronunciò il fatidico “sì” che l’avrebbe legata per sempre a Fugaku, non aveva pensato all’importanza di quelle cinque e semplici parole: «Finché morte non vi separi

Il loro era un matrimonio di convenienza; deciso dalle famiglie, dove gli sposi difficilmente si erano scambiati più di qualche parola prima delle nozze.

Tuttavia, Mikoto, lasciato da parte il desiderio di mandare a monte le nozze, causa avvelenamento del suo futuro consorte, aveva accolto quell’occasione come una sfida.

Certo, prima aveva voluto esaminare il candidato a modo suo.

Si era, quindi, divertita a provocarlo e stuzzicarlo, nel tentativo di scorgere un qualche barlume di simpatia, sotto la corazza da orso che indossava e che faceva impazzire le sue amiche.

Doveva aver deciso che il povero Fugaku fosse dotato di potenziale comico, perché le nozze ebbero luogo e Mikoto difficilmente avrebbe ricordato un giorno più divertente.

D’altronde, vedere la maschera impassibile di Fugaku tremare impercettibilmente ogni volta che gli offriva un boccone, o l’occhiata omicida – e per nulla minacciosa – che rivolse a Kushina quando questa, inavvertitamente, lo fece cadere nella torta erano momenti impagabili.

A questi, andava ad aggiungersi il rossore che imporporò il viso del ragazzo quando, mossa a compassione, si era chinata su di lui per ripulire quel miscuglio di panna e crema che era diventato il suo volto, dopo il tuffo nella torta nuziale.

 

«Io quella l’ammazzo.»

Ringhiò Fugaku, mentre tentava disperatamente di ripulirsi dignitosamente da quelle infiltrazioni dolciastre sotto i propri vestiti.

Imprecò fra sé e sé contro quel danno umano in forma femminile dalla chioma rossiccia che sua moglie aveva voluto per forza invitare al loro matrimonio.

Ovviamente, pretendere che Mikoto Uchiha avesse amiche normali era chiedere troppo.

Gettò, infastidito, l’ennesimo fazzoletto nel secchio dell’immondizia, lanciando una debole occhiata allo specchio.

La panna regnava ancora sovrana tra i suoi capelli.

A quel punto, l’unica soluzione era un bagno.

Cominciò a spogliarsi, allettato dalla prospettiva dell’acqua calda che rinvigoriva il corpo.

Magari l’avrebbe aiutato a rilassare i suoi nervi tesi.

Fece per aprire la cabina della doccia, ma fu bloccato da un bussare insistente alla porta del bagno.

«Fugaku-san, avete deciso di morire in bagno?»

«Un attimo

Sibilò, infastidito, mentre quella che ormai era sua moglie, continuava a tamburellare nervosamente il piede fuori dalla porta.

Il matrimonio era – fortunatamente – terminato. Gli invitati se ne erano andati e Fugaku e Mikoto erano stati lasciati da soli nella loro nuova casa, con l’augurio di riempirla presto di tanti bambini.

Ora che ci rifletteva, non era sicuro che quella fosse una fortuna.

No. Pensandoci bene, era decisamente una disgrazia. E anche bella grande.

Lui. In casa. Con Mikoto.

Chi avrebbe ucciso per primo l’altro?

«Fugaku, mi hai nascosto che sei una donna? Perché tutto questo tempo che passi in bagno mi fa pensar male.»

«Non mi sembra ti abbia dato il permesso di passare al colloquiale.»

Sbottò, infastidito dall’improvvisa confidenza della ragazza.

«Visto che lo hai appena fatto anche te, penso che possiamo considerare rotto il ghiaccio. Ora entro.»

«No!»

Urlò, cercando di afferrare l’asciugamano per prevenire la disgrazia imminente.

Ma, come sempre, quando si ha fretta succede qualcosa che impedisce di evitare il danno.

Quella di Fugaku si materializzò sotto forma di un tappetino del bagno troppo arrotolato e dello spigolo del lavandino.

Quando Mikoto aprì la porta, non poté trattenere una risata di fronte allo spettacolo di Fugaku completamente nudo, sdraiato a terra mentre si massaggiava la nuca.

«Beh, se non altro ho la conferma che sei un uomo.»

Rise. Fugaku imprecò contro i Kami, contro il mondo, contro i tappetini del bagno e contro le mogli moleste.

Tutto ciò, comunque, non gli impedì di bofonchiare un “grazie” stentato, quando Mikoto, con premura inaspettata, lo condusse in camera e, fattolo sedere sul letto, cominciò a medicargli la nuca maltrattata.

Anche se quel: «Tanto più tardo di così è difficile che diventi.», se lo poteva decisamente risparmiare.

 

Esattamente come suo padre non aveva mai mostrato più di un lieve compiacimento, verso lui e suo fratello, Fugaku non riusciva a dimostrare ai propri figli quanto fosse orgoglioso di loro.

Aveva una predilezione per Itachi. Era il figlio maschio primogenito; il suo pupillo; un ninja esemplare e con un talento evidente sin dalla più tenera età.

Il figlio che ogni uomo avrebbe voluto avere.

A lui, Fugaku dedicava la maggior parte delle proprie attenzioni. Era il suo erede e doveva forgiarlo in modo che, una volta cresciuto, potesse prendere il suo posto come capofamiglia del clan Uchiha.

Itachi, oltretutto, aveva ereditato, oltre ad uno smisurato talento, il suo carattere silenzioso e schivo.

O, forse, semplicemente la sua incapacità ad intavolare rapporti interpersonali con i membri della famiglia.

Era un ninja in tutto e per tutto. Questo, facilitava il suo rapporto con Fugaku che, esonerato dalle responsabilità affettive, poteva concentrarsi sugli allenamenti del figlio maggiore.

Cosa che non gli riusciva affatto con il secondogenito, Sasuke.

Il bambino sembrava aver ereditato il carattere di Mikoto: più espansivo e sentimentale di Itachi, cercava continuamente conferme dei suoi piccoli ed infantili successi e inventava mille scuse per attirare la sua attenzione.

Allora, Fugaku, si chiudeva a riccio, sentendosi totalmente incapace di compensare le necessità affettive di Sasuke, finendo con il creare un muro tra sé e il bambino.

Riusciva a parlare liberamente di lui solo con la moglie che, pacatamente, ascoltava i suoi dubbi e le sue perplessità sul figlio minore e sulla sua morbosa attenzione e rivalità nei confronti di Itachi.

 

Mikoto adorava i suoi due figli.

Tuttavia, come Fugaku nutriva una spiccata predilezione per Itachi, la donna si era di gran lunga legata maggiormente a Sasuke.

Sapeva che il piccolo di famiglia soffriva a causa dell’indifferenza paterna e, anche se tentava di spiegargli che Fugaku gli voleva bene esattamente come ad Itachi, era anche consapevole che un bambino ha bisogno di continue dimostrazioni d’affetto.

Per questo, molte volte, era preoccupata per la freddezza di Itachi verso qualsivoglia membro della famiglia che non fosse il cugino Shisui o il fratello minore.

Alle volte, aveva il sospetto di aver partorito un piccolo adulto, invece che un bambino.

Di questo, non poteva fare a meno di rimproverare Fugaku che, con i suoi costanti allenamenti, impediva ad Itachi di vivere la sua infanzia.

Ma, d’altronde, erano ninja. Ed erano Uchiha.

Una combinazione che richiedeva ogni sacrificio in nome del benessere del clan.

Pertanto, più Fugaku allenava Itachi, più lei si concentrava su Sasuke, guardando preoccupata agli allenamenti stressanti cui il piccolo si sottoponeva, nel tentativo di essere alla pari del suo aniki.

Se solo Fugaku, invece di limitarsi ad esprimere il suo compiacimento verso i progressi di Sasuke in privato, avesse avuto il coraggio di riferirglieli di persona, forse le cose sarebbero state diverse.

Ma Mikoto conosceva suo marito e, per questo, sapeva benissimo che la sua indifferenza verso Sasuke era solo l’ennesimo frutto della sua tragica incapacità di dimostrare affetto.

 

«Fugaku! Mikoto ha le doglie!»

Il the che Fugaku teneva in mano, rovinò drasticamente a terra quando, la mattina del sette giugno, la compagna di squadra di Mikoto, nonché sua migliore amica, Kushina – altresì soprannominata: danno umano Uzumaki -, si precipitò ad annunciargli la nascita imminente del loro primogenito.

Fu questione di un attimo, in cui si susseguirono stupore, incredulità, balbuzie e paresi facciale, prima che Kushina gli mollasse una pizza e, afferratolo per il colletto del giubbotto jonin, lo trascinasse in ospedale.

Provò una morsa allo stomaco, nel vedere la moglie sdraiata su un lettino; il viso contratto di dolore e l’ostetrica che le intimava di spingere.

La pietà passò, almeno in minima parte, quando, avvicinatosi per darle supporto, Mikoto gli afferrò la mano e, strettola talmente tanto da fargli avvertire le falangi sul punto di rottura, ringhiò:

«Aspetta che mi riprenda e te lo stacco a morsi!»

Fortunatamente, una volta messo al mondo il bambino, la donna sembrò essersi dimenticata di quella minaccia.

O, forse, era solo troppo occupata a contemplare, con occhi adoranti, il frugoletto che teneva tra le braccia.

«Itachi.»

Mormorò, scostando la maglia del pigiama e offrendo al bambino il seno, affinché potesse nutrirsi.

Fugaku non riuscì a trattenere un sorriso, di fronte a quella scena.

Anche se, la mano non distrutta, era posta con noncuranza a protezione delle proprie parti basse.

Tuttavia, a giudicare da quanto accadde la notte del 23 luglio di cinque anni dopo, la minaccia di Mikoto era definitivamente caduta nel dimenticatoio.

 

 

Fugaku ricordava il preciso momento in cui si era innamorato di Mikoto.

Era stato durante la festa della fioritura dei ciliegi. Il loro giardino aveva un albero di ciliegio molto grande e, quell’anno, sembrava particolarmente rigoglioso.

La sera, Mikoto si era messa a correre a piedi nudi sull’erba, sotto la cascata di petali rosati causata dal soffiare della brezza estiva.

Col suo kimono azzurro; i lunghi capelli neri lasciati sciolti e la risata divertita, come quella di una bambina, assomigliava ad un etereo spirito dei fiori, giunto sulla terra proprio in occasione della festa.

Fugaku era rimasto incantato a fissare la bizzarria della corsa notturna della moglie, sorridendo di fronte al candore della sua pelle illuminata dalla luna.

Aveva pensato che, in fondo, era un uomo fortunato ad essere sposato ad una creatura così bella.

Almeno finché, la suddetta creatura, con un sorriso malizioso degno delle kitsune delle leggende, non l’aveva afferrato per un braccio e fatto capitombolare dentro al laghetto.

Imprecando, Fugaku aveva lanciato un’occhiata fulminante alla consorte, pronto a riprenderla, ma quando la vide ridere di gusto, con i petali di ciliegio che le ricadevano addosso come profumati fiocchi di neve, capì che non avrebbe voluto mai sentir ridere nessun’altra.

 

Mikoto non ricordava il momento esatto in cui aveva compreso di amare Fugaku.

D’altronde, non si aspettava granché da un matrimonio combinato e, per un po’, aveva persino considerato l’idea di mandare a monte le nozze.

Poi, aveva scoperto che Fugaku la faceva ridere con quel suo atteggiamento riottoso e perennemente infastidito, quindi aveva accettato, sebbene, nella sua mente, il ragazzo risultasse sempre un “fidanzato in prova” (termine carino per definire la “vittima sacrificale” delle sue frecciatine), piuttosto che un vero e proprio marito.

Col tempo, aveva imparato ad apprezzare alcuni lati nascosti del carattere di Fugaku.

Era un ottimo ninja, un bravissimo leader e sapeva prendere in mano, all’occorrenza, ogni situazione.

Eccetto che nella vita familiare, dove risultava assolutamente incapace di intraprendere un rapporto interpersonale senza imbarazzarsi o combinare qualche pasticcio.

Forse era proprio il contrasto tra il ninja forte e autoritario e il giovane uomo che faticava ad intavolare una conversazione con lei ad attrarla.

Fondamentalmente, Fugaku non era cattivo, né misterioso.

Era solo socialmente inadatto, ecco.

Un grande, burbero e timido grizzly.

Fu un processo talmente graduale che Mikoto non si rese mai veramente conto di essere totalmente innamorata di quell’essere tanto orgoglioso, quanto impacciato, fino all’ultimo.

 

L’ultima cosa che Fugaku vide, poco prima di morire, fu il corpo di sua moglie che gli si parava davanti, nell’intento di bloccare la lama affilata della katana di Itachi.

Non si stupì di vederla sorridere, mentre cadeva a terra; il vestito insanguinato e la bocca macchiata di rosso.

In fondo, era proprio di quel sorriso che si era innamorato.

Ridere sempre, anche in faccia alla morte.

E, guarda caso, Mikoto era riuscita a beffare anche le fatidiche cinque parole.

Finché morte non vi separi.

«E se moriamo insieme, Fugaku? Chi ci potrà separare allora?»

Nessuno, Mikoto.

Nessuno.

 

 

 

 

Note dell’autrice: in questa storia, Mikoto è una pazza e Fugaku un povero disperato.

Considerando che i figli sono entrambi pazzi e disperati, mi sembrava la combinazione migliore.

Ora, su quei due si sa poco e niente: nel manga vediamo sempre Mikoto in cucina e Fugaku completamente disinteressato al figlio minore e totalmente preso dal maggiore.

Tra di loro, l’unica frase che ci lascia presagire un po’ di intimità, è quella che Mikoto rivolge a Sasuke: «Tuo padre è un po’ orso.».

Diciamo che quelli che appaiono qui, sono il mio Fugaku e la mia Mikoto. Insomma, come me li immagino basandomi sulle poche informazioni che Kishimoto ci fornisce.

Ammetto che vado fiera del primo posto, anche perché forse, con questa fic, ho superato il mio “blocco Kodamy” che mi impediva di scrivere su mamma e papà Uchiha XD.

Per una volta ho voluto dedicare questa fanfiction alla mia famiglia biologica. So che non la leggeranno mai, ma non l’avrei mai potuta dedicare a nessun altro.

Grazie al giudice per il giudizio e complimenti alle altre ragazze che hanno permesso a questo contest di vivere.

 

   
 
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