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Autore: Lady Warrior    11/12/2015    1 recensioni
Questa storia narra le vicende di Jill Shepard, dalla sua prima missione sulla Normandy alla sconfitta di Saren Arterius e la Sovereign mediante una narrazione introspettiva. Mi sono soffermata sui sentimenti e le emozioni della nostra Shepard in modo particolare. Il tutto è accompagnato, ad ogni inizio di capitolo, dalla canzone "Starlight" dei Muse.
Dal prologo:
"Shepard osservò le stelle brillare. Le sembravano così piccole ai suoi occhi da bambina, ma adesso era adulta e aveva scoperto che quel cielo stellato non era così bello, affascinante e liberatorio come aveva sempre pensato. Aveva promesso una volta al suo migliore amico che sarebbe diventata una marine e gli avrebbe portato della luce stellare, e se non la avesse trovata la avrebbe cercata per tutta la vita."
Genere: Introspettivo, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Comandante Shepard Donna, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Note dell'autrice: Perdonate il ritardo, ma non avevo il capitolo già pronto! Bene, siamo alla Cittadella. Ashley la visiterà per la prima volta, mentre Shepard dovrà fare i conti con i suoi rimorsi per la morte di Jenkins. Vi lascio alla lettura!







 
Capitolo 2: La Cittadella, parte 1
 
 
 
 
My life 
You electrify my life 
Let's conspire to re-ignite 
All the souls that would die just to feel alive 

(Muse, Starlight)
 
 
 
 
 
Shepard provò un forte mal di testa, grazie al quale capì di essersi risvegliata, di essere viva. Era un dolore acuto e profondo, ma ciò che più la inquietava e la spaventava non era l’emicrania, bensì la visione e i sogni avuti. Non aveva idea del loro significato, erano così confusi e privi di senso… cosa celava davvero quella sonda? Sentì qualcuno avvicinarsi. Doveva essere sulla Normandy. Shepard aprì lentamente gli occhi. Tutto attorno a lei vorticava e riusciva a malapena a distinguere il volto mansueto e familiare della dottoressa che la osservava con preoccupazione. Con lentezza, si posò una mano sulla testa, poi provò a sedersi. Andava tutto bene, non stava cadendo, ma tutto attorno a lei era ancora confuso e vorticoso. Davanti a sé vide il tenente Alenko che si stringeva le mani, preoccupato. Probabilmente si sentiva in colpa per quello che era accaduto, perché se lui non si fosse irresponsabilmente avvicinato alla sonda tutto ciò non sarebbe accaduto.
- Come stai comandante?- chiese la dottoressa.
- Bene, ho solo un po’ di mal di testa. Per quanto tempo ho perso conoscenza?- chiese Shepard, mentre le pareti ritrovavano finalmente stabilità ai suoi occhi.
- Quasi quindici ore, deve essere successo qualcosa a causa di quella sonda-
- È colpa mia. Devo avere attivato qualche sistema di protezione. Io… mi dispiace, comandante, sono stato un irresponsabile. Ho messo in pericolo la missione e la tua vita.
- Non è colpa tua. Come potevi saperlo?
- E magari la sonda si sarebbe attivata comunque. Non lo sapremo mai- s’intromise la dottoressa.
- Ho fatto strani sogni. Li definirei incubi.Shepard osservò Kaidan abbassare lo sguardo. Sebbene le fosse grato per averlo perdonato, o meglio, non incolpato, provava molti rimorsi. Si riteneva la causa di ciò che era accaduto.
- In effetti ho notato delle strane attività delle onde beta nel tuo cervello. Dovrei fare rapporto- disse la dottoressa, prima di uscire dalla stanza.
Kaidan e Shepard rimasero soli: lui a fissare il vuoto con lo sguardo rivolto verso il basso e lei con le braccia incrociate a pensare.
- Sai, non ho solo avuto incubi per la sonda. Ho anche sognato Jenkins.
- Shepard…
- Ho visto il suo volto, Alenko. Non so nemmeno perché te lo sto dicendo. Ho visto la sua faccia spaventata, il terrore dipinto sul suo volto, lo sguardo disperato, ho visto le sue mani protendersi verso di me, ma io non potevo fare nulla, ero immobilizzata, ho solo potuto vederlo morire, e prima di farlo, la sua espressione è cambiata. È diventata… arrabbiata. Ho visto i suoi occhi che mi incolpavano, e prima di morire mi ha detto che era tutta colpa mia, che non sono adatta per il ruolo che ricopro, né lo sarò mai.
- Era solo un sogno, Shepard.
- Lo so, ma non mi perdonerò mai per quello che è accaduto.
- Ognuno di noi ha ferite che non si rimargineranno mai. Jenkins non è morto per colpa tua, ma l’esperienza ti ha lasciato un segno indelebile. Sai come era fatto Jenkins, era convinto che la sua vita fosse monotona, in ogni missione rischiava tutto , rischiava di morire solo per sentirsi vivo. Perché è proprio quando ci avviciniamo alla morte che capiamo quanto è importante la vita, e lui era così, temerario, perché voleva trovare un senso alla sua vita.
- E non lo ha trovato.
- Se lo avesse cercato in un altro modo…
- Devo parlare col Comandante Shepard-
Il Capitano Anderson era comparso lì quasi per magia, né Kaidan né Shepard lo avevano sentito entrare. Con fatica fecero il saluto militare.
- Voglio parlare col comandante Shepard. Da solo
- Comandi, signore!- rispose Kaidan.Si avvicinò alla porta, la aprì, e prima di chiuderla guardò Shepard in faccia. I loro sguardi si incrociarono per alcuni secondi, poi il tenente chiuse la porta, e anche il cuore di Shepard ebbe uno scossone.
- Sono felice che tu stia bene, Shepard.
- Grazie, signore.
- So cosa stai pensando, ma la morte di Jenkins non è colpa tua. Non pensarci. Ora dobbiamo andare avanti. C’è molto da fare.
- Capisco-, commentò Shepard – E Williams? Dove è adesso?
- Il tenente Alenko mi ha detto che è un ottimo soldato: è stata quindi riassegnata alla Normandy.
- Ne sono felice. il tenente Alenko ha ragione su di lei. La ho vista in battaglia, è molto abile, un talento raro a mio parere. Ad ogni modo mi ha detto di volermi parlare in privato-Shepard tentò di mantenere un tono tranquillo e non molto espressivo, ma la verità era che provava un turbinio di emozioni che certo non avrebbe potuto manifestare davanti al suo superiore. Trovava frustrante dover reprimere sentimenti sempre, mostrarsi sempre fiera ed imperturbabile davanti a tutti. Era un essere umano, no? Non poteva piangere anche lei? Ma d’altronde era un comandante, e i comandanti non si danno mai per vinti.
- Già
Anderson si voltò di spalle e incrociò le braccia dietro la schiena. Emise un sospiro sommesso, poi riprese a parlare.
- La sonda è andata distrutta. I geth ci stanno per invadere. Nihlus è morto e Saren ci ha traditi. Il Consiglio vorrà spiegazioni.
- Gli diremo che Saren è diventato uno spettro Rinnegato, che tutto è andato a rotoli per colpa sua.
- Non è così semplice. Innanzitutto, uno spettro rinnegato è un problema, perché può fare ciò che più desidera e andare ovunque, e poi il Consiglio vorrà prove concrete, e non dirmi che la testimonianza di un civile terrorizzato ne rappresenta una.
- Capitano, dopo essere entrata in contatto della sonda, ho avuto delle strane visioni…
- Che tipo di visioni?Anderson si girò di colpo e la guardò negli occhi. Shepard abbassò lo sguardo.
- Non le ho ben distinte. Ho visto sintetici, forse geth, uccidere persone. Era uno scenario di guerra.
- Va riferito.
- E crede che il Consiglio mi presterà ascolto? Cosa abbiamo noi a nostro favore? Un paio di sogni e la testimonianza di un civile?
- Dobbiamo tentare, Shepard, lo hai detto tu. Saren odia gli umani, pensa che ci stiamo espandendo troppo velocemente. Questa è una vera e propria dichiarazione di guerra! Ascoltami, per me, Shepard, tu sarai sempre un eroe. Adesso siamo quasi arrivati alla cittadella. Dì a Joker di attraccare.Anderson se ne andò senza lasciarle modo di ribattere. La Cittadella. Vi si era recata svariate volte, ma mai aveva visto il Consiglio. D’altronde, vedere i capi di gran parte della galassia, non era cosa da tutti i giorni.
Shepard uscì dall’infermeria. Poco più in là, Kaidan era appoggiato ad una parete in pensiero.
- Non darti colpe- gli disse Shepard.Kaidan la guardò e accennò a un mezzo sorrisetto.
- Ognuno di noi si incolpa di qualcosa. Non è vero, Shepard? Sono stato un irresponsabile. Ecco tutto. Ma non ne riparliamo. Cosa voleva dirti Anderson, se è lecito?
- Vuole che riferisca tutto al Consiglio. Io, tuttavia, non vedo come esso possa ascoltare le mie parole, visto che in mio aiuto accorrono un sogno e le parole di un magazziniere nemmeno troppo sveglio.
- Già. Concordo. Dubito che il Consiglio ci ascolterà. Ma se non proviamo a parlargli, come potrà farlo?Shepard aprì un poco la bocca. in effetti aveva ragione. Si accarezzò i capelli, un tic che aveva quando pensava.
- Forse hai ragione.Shepard salutò Kaidan e si avvicinò ad Ashley, intenta a sbucciare una mela seduta davanti al tavolo della mensa.
- Per fortuna c’è il sistema di gravità- commentò Shepard.
Ashley si voltò di scatto, quasi spaventata.
- Già. Come stai? Mi hai fatto prendere un colpo su Eden Prime, sai? Per fortuna abbiamo chiamato la Normandy subito.
-  Ora sto bene, grazie. Ho solo qualche giramento di testa-, Shepard si sedette davanti all’artigliere capo – Mi dispiace per Eden Prime. Era la tua nuova casa-
- Già. Anche se non sembra, avevo imparato ad amarlo. Sai, non mi sono mai piaciuti i luoghi paradisiaci, e sai perché?
- Perché?
- Perché sono come quelle persone belle e intelligenti, sono perfetti. E quando qualcosa è perfetto significa che nasconde qualcosa. Qualcosa che poi porta alla catastrofe. E così è stato per eden Prime.
- Un nuovo modo di vedere le cose.
- Già. Mia madre era poliziotta sulla terra. Spesso doveva risolvere casi più o meno complicati. Sai cosa diceva? Che molti delitti rimangono irrisolti perché si indaga sulle persone sbagliate, su quelle che tengono un comportamento diverso da quello che di solito si accetta, o che hanno pensieri diversi dalla massa. E la polizia sbaglia. “perché se ho imparato qualcosa da questo mestiere, Ashley” mi diceva sempre “è che le persone perfette, quelle di cui tu non dubiterai mai della loro nobiltà d’animo e sulle loro capacità nascondono sempre un segreto, e anzi, ti dirò che spesso sono della peggior specie perché dietro a quell’aura di perfezione nascondono un’indole malvagia e calcolatrice”. Ed è stato un po’ così anche con Saren, non è vero? Era uno Spettro, anzi, il migliore Spettro in assoluto, il più fedele, il più capace, il più affidabile, l’unico che avrebbe potuto risolvere ogni situazione. E si è visto come è andata a finire…
- Comprendo quello che vuoi dirmi, Williams. Forse hai ragione. In tal caso, per fortuna non abbiamo persone perfette in questo equipaggio-, disse Shepard, strizzando un occhio all’altra.
Poi si alzò e si diresse verso l’ascensore. Salì. Con un leggero clock la porta dell’ascensore si aprì e Shepard vide la mappa galattica fluttuare lì vicino. Si affacciò su di essa e toccò il sistema a cui apparteneva la Cittadella. In qualche frazione di secondo esso si ingrandì e mostrò la riproduzione della stazione spaziale. Shepard la selezionò e a Joker arrivò l’input di dover attraccare. Shepard si avviò nella cabina di pilotaggio. Jeff stava fischiettando un motivetto, davanti a lui un portale. Shepard si tenne salda alla sedia del pilota, chiuse gli occhi e attese che l’attraversamento fosse completato, cosa che si verificò quasi subito.
 
Davanti a loro fluttuava l’enorme stazione spaziale che faceva da casa a molti abitanti della galassia. Da fuori sembrava una banale stazione spaziale, ma dentro era qualcosa di davvero sorprendente. Tutti lì erano stati almeno una volta alla cittadella, tutti, eccetto Ashley, evidentemente, che continuava a guardare la costruzione con occhi sbarrati.
-Guardate là!- ,gridò ad un certo punto, indicando una nave gigantesca, - Quella farebbe invidia a qualsiasi nave dell’Alleanza
- Quella è la Destiny Ascension, nave Asari, adibita a proteggere il Consiglio in caso di pericolo. È l’ammiraglia della flotta della Cittadella- spiegò Shepard.
- E comunque-, precisò Joker con aria saccente, - Una nave non si giudica solo dalle dimensioni.
- Cosa vorresti dire?
- Che è molto importante anche la cadenza di fuoco. E la velocità.
- Geloso, Joker?
- No, sto solo facendo delle vere constatazioni
L’area di attracco della Cittadella era sempre più vicina, Shepard poteva vedere le numerose navi ferme e i lavoratori affaccendarsi in su e in giù per il lungo corridoio. Il momento di attracco alla Cittadella era sempre epico. La Cittadella, coi suoi piani, i suoi agglomerati e i suoi strani spazi verdi era la costruzione più strabiliante che avesse mai visto, e la sua realizzazione era ancora un mistero per tutti, persino per le Asari, famose per la loro intelligenza e per l’avanzata tecnologia di cui facevano uso.
Finalmente la nave attraccò.
 
Shepard, Alenko, Williams e Anderson avanzarono in direzione dell’ufficio di Udina, l’ambasciatore umano. Circolavano varie voci su di lui, per esempio che fosse un uomo facilmente irritabile, o che avesse una brama di potere incontrollabile, tuttavia l’unico a conoscere di persona Udina era Anderson. Shepard non tralasciò di guardarsi attorno durante il breve viaggio dal porto all’ufficio dell’ambizioso ambasciatore. Osservò le persone che camminavano in qua e in là e si stupì, benché fosse una realtà da anni, che razze così diverse e lontane potessero convivere in pace e armonia. Pareva quasi un miracolo: fino a poco tempo dopo la guerra del primo contatto, nessuno avrebbe mai pensato che Asari, Salarian, Turian e Umani potessero convivere in pace, anche se tra i membri degli ultimi due popoli riaffiorava di quando in quando l’astio. Tuttavia, ogni Umano annoverava tra le sue amicizie almeno un Turian, e questo era positivo. I negozi erano pieni come sempre, soprattutto quelli di souvenir. Pareva che in quegli anni andasse di moda il collezionismo di pesci spaziali, e molte persone si recavano in negozio almeno una volta al mese per accaparrarsi un pesce raro. Anderson procedeva spedito e Shepard faticava a seguirlo, persa com’era nei suoi pensieri. Finalmente arrivarono all’ufficio dell’ambasciatore.
Egli era un uomo di mezza età dagli occhi piccini e anche un po’ cattivi che salutò Shepard con un cenno e si prodigò a ossequiare Anderson con voce gracchiante e fastidiosa, poi attivò il collegamento col Consiglio.
In mezzo v’era l’ologramma del membro Asari, con espressione seria e grave, alla sua destra, con le braccia incrociate dietro la schiena, c’era il consigliere Turian, la cui faccia era annoiata, mentre a sinistra dell’Asari compariva il consigliere Salarian, coperto da un cappuccio che gli celava la faccia. Nessuno dei tre pareva particolarmente contento di parlare con loro.
Udina si apprestò a narrare tutto per filo e per segno, concludendo con un “… se i geth avessero assalito una colonia Turian, il Consiglio sarebbe intervenuto!”
Male. Udina era troppo agitato, troppo risentito, non moderava le parole e non rifletteva mentre parlava. Probabilmente avrebbe solo fatto irritare il Consiglio. E così fu.
- I Turian non fondano colonie ai confini dei sistemi Terminus- spiegò il Salarian, tagliente.
- E con questo?
- Voi umani sapevate i rischi incontro ai quali correvate, quando avete fondato le colonie- rispose pacata la Asari.
- E di Saren? Che mi dite di quello Spettro traditore?- urlò Udina con la voce gracchiante, sperando di smuovere gli animi dei consiglieri. Shepard notò il contrasto tra l’agitazione dell’ambasciatore e la pacatezza dei suoi interlocutori. Quella però fu la volta del Turian a parlare, e lui si mostrò più inquieto.
- Il Consiglio non ha bisogno del vostro aiuto, Ambasciatore. Il Servizio di Sicurezza della Cittadella indagherà e se troverà le prove, allora potremo arrestare Saren.
- I risultati dell’indagine verranno resi noti durante un’udienza, non prima- terminò l’Asari, e gli ologrammi scomparvero prima che Udina potesse gracchiare qualcos’altro.
L’ambasciatore rivolse però tutta la sua frustrazione contro Shepard.
- Il Consiglio non è per niente contento. E se tutto è andato a puttane è solo colpa tua! Eri tu che guidavi l’operazione! Spera che SSC trovi le prove del tradimento di Saren, o andrà a farsi fottere persino la tua candidatura a Spettro dopo questo incidente! Ha messo in pericolo la sua candidatura.“E chi se ne frega” pensò Shepard, il cui ultimo pensiero era la canidatura.
- Non è colpa sua. È colpa di Saren!- , la difese prontamente Anderson.
- Colpa o non colpa, Saren è il loro Spettro migliore.
- Ad ogni modo, ci hanno dato udienza. Io e te, Udina, dobbiamo parlare, mentre Shepard e gli altri ci raggiungeranno alla torre.
- E così quel tizio è Donnel Udina- disse laconico Kaidan una volta che Anderson e l’ambasciatore se ne furono andati.
- Già. Ho sentito dire che fosse davvero antipatico, ma non immaginavo così- affermò Ashley.Shepard tacque. In fondo, Udina aveva ragione, quello che era accaduto era solo colpa sua.
 
Camminarono attraverso le vie affollate della Cittadella. Bambini correvano in  ogni direzione fingendo di volare nello spazio, prontamente le madri li redarguivano imponendo loro di parlare più piano, alcune Asari si interessavano al negozio di oggetti tecnologici e un gruppo di Salarian discuteva con il commesso di un negozio di sanitari. Oltre i vetri che fungevano da parete alcune navette volavano a velocità incredibile, lì fuori infatti c’era una sorta di strada che conduceva a tutti i piani della cittadella, facilmente raggiungibili anche tramite ascensori o teletrasporti rapidi. Ovunque risuonava la musica spaziale, uno strano miscuglio tra il rock e il blues che Shepard trovava molto cacofonico e noioso. Si sorprese nell’osservare una coppia molto strana, composta da un Turian e un’umana che si scambiava effusioni seduta su un muretto.
- Non ci crederanno mai i consiglieri, vero?-, interruppe Ashley il silenzio.
- Noi umani non siamo molto rispettati nella galassia. Non abbiamo nemmeno un rappresentante all’interno del Consiglio, seppure molti membri dell’SSC siano umani-, le rispose Kaidan.
- Il rispetto è una cosa strana: lo pretendiamo, mentre invece va guadagnato- , rispose Shepard.
La torre del consiglio si stanziava dinnanzi a loro, alta fino a quasi toccare l’estremità superiore della Cittadella. Shepard premette il tasto dell’ascensore, che si aprì.
I tre entrarono e si prepararono a una lunga salita. Il telegiornale annunciava varie notizie, tra le quali un attacco Batarian contro una colonia umana. Nulla di nuovo.
Dopo circa un minuto l’ascensore si aprì e lasciò intravedere ai tre soldati l’interno della torre. 
   
 
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