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Autore: Rota    12/12/2015    1 recensioni
Sousuke è un pirata maledetto, che naufraga su un'isola abitata dalle sirene. Haruka è una sirena piuttosto curiosa, che si prende cura di lui e lo aiuta a sopravvivere in quel posto isolato dal mondo
[PRIMA CLASSIFICATA al contest "Di AU, OTP, Future!Fic e tante belle cose" indetto da aturiel sul forum di EFP e SECONDA CLASSIFICATA al contest "Spokon in Au" indetto da nacchan e Shichan sul forum di EFP]
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Haruka Nanase, Sosuke Yamazaki, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Golden Heart'
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Capitolo due

Statues and empires are all at your hands
Water to wine and the finest of sands






La sabbia diventa presto terra più o meno compatta sotto le piante dei suoi piedi ormai pieni di calli. La vegetazione appena più fitta e nell'aria un odore di umido che rende l'idea dell'elemento dell'acqua ovunque pregno, ovunque presente.
Il pirata si ritrova a constatare quanto quell'isoletta, che ha creduto decisamente più piccola, sia in realtà ben larga. Ha preso una strada dritta, seguendo il corso dell'acqua a ritroso per un bel pezzo finché il rivolo trasparente non si è infilato sotto le rocce e non è più riemerso da nessuna parte.
Trova lo spazio per proseguire usando la spalla sana e i gomiti spessi, lento e senza fretta, e si aiuta con la lama dorata del pugnale sempre con sé. Si è perso ancora prima di rendersene conto.
Un uccello piuttosto colorito emette un verso acuto al suo indirizzo quando lo vede arrivare e Sousuke gli risponde con un sorriso e uno sguardo incuriosito. Vedere posti così esotici non fa propriamente parte del suo mestiere, per quanto possa sembrare strano.
Non sente da diverso tempo quella strana creatura – e non che si sia voltato una sola volta a constatare in effetti che la sirena si sia allontanata da lui: non percepisce niente e questo gli basta.
Per sbaglio, segue il movimento di un piccolo animale che spaventatosi si rifugia sotto un cespuglio basso e sparisce alla sua vista; oltre quella macchina di verde scuro, Sousuke intravede qualcosa di colorato di blu che di sicuro non può essere naturale. Spinto dalla curiosità, procede in quella direzione di qualche passo.
Si apre alla sua vista uno sprazzo libero da sassi e da piante: solo della terra brulla e qualche ciuffetto chiaro, giallo ed essiccato dal caldo. Ora può ammirare chiaramente il blu sporco di un cappello largo con una visiera alta e ovale, adagiato ancora in modo sbilenco sopra il cranio liscio di uno scheletro. Poco sotto, in mezzo ai vestiti ormai pieni di polvere e di anni, c'è una lancia di pietra che trafigge quello che una volta è stato un ventre e che ora rimane soltanto un cumulo di ossa; la punta è conficcata nel terreno duro, abbastanza a fondo da far rimanere ancora dritto tutto il manico duro.
Attorno ci sono altri resti di uomo, più sparsi e scomposti, tra cui vestiti senza padrone e qualche arma ormai inutilizzabile. Non è rimasta neanche la puzza della vita in quel luogo così dimenticato.
Sousuke fa una smorfia di disappunto di fronte a quello spettacolo. Ha passato pochi giorni tranquilli nonostante la fame e la sete, e ritrovarsi davanti a una possibile minaccia così violenta non lo mette di buon umore.
Avvicinandosi alla lancia nel terreno, può creder bene che non sia di fattura umana. E quindi la sirena che ha incontrato alla fonte dell'acqua non può essere così innocuo come ha voluto credere, oppure non può essere solo.
Sposta con il piede la sabbia alla ricerca di qualcosa ancora adoperabile o utile. Sente il tintinnio sicuro di una lama quando con il profilo del piede scosta un'impugnatura salda e robusta. Si abbassa e raccoglie una spada larga, che nelle sue mani diventa di duro oro. È di buona fattura e, anche se sono passati anni dall'ultima volta che ha avuto utilizzo, gli sembra pure abbastanza limata. Si assicura il pugnale d'oro nel cinturone come meglio può, senza toccare i propri vestiti, e colpisce l'aria con quella qualche volta. Si ricorda bene come si combatte: la maledizione non lo ha privato anche di questa conoscenza basilare e lui è stato per moltissimo tempo il secondo di uno dei capitani pirata più battaglieri. Contento del suo bottino, da un ultimo saluto alle spoglie dei rimasti con un cenno mesto del capo.
Quindi si incammina di nuovo, sparendo presto tra la boscaglia.


***


Makoto sta ancora guardando il vuoto, fissando un punto imprecisato nella direzione del bosco di palme, quando sente la carezza di una mano sul suo fianco.
-Non angosciarti così tanto, Mako-chan. La preoccupazione non ti dona per niente.
Mezzo sdraiato sulla sabbia, Kisumi muove la coda e alza tanti schizzi nella sua direzione per bagnarlo e per fargli un piccolo dispetto. Lui risponde con un sorriso, sincero per quanto la circostanza glielo permette.
L'acqua dolce di quel piccolo lago nel centro quasi esatto dell'isola si incrosta di onde continuamente, resa fresca dallo smuoversi di fluidi della cascata lì vicino. Non scivola sulle loro squame come fa l'oceano, ma li rende ugualmente vivi.
E oltre al suono morbido e gentile dell'acqua ci sono anche le risate di Nagisa e Rei, che seguitano a giocare tra di loro e con i pesci lì presenti.
Makoto stringe la propria lancia al petto, abbassando lo sguardo per qualche secondo.
-Mi dispiace.
Il principe delle sirene non gli da alcuna colpa diretta né lo bagna una seconda volta. Ha un sorriso tenero per lui e solo carezze in punta di dita. Rotola nella sua direzione, sporcandosi il profilo di sabbia – Makoto gli passa la mano sulle guance e sugli occhi per liberarlo almeno un poco di quell'ingombro. E mentre Kisumi sale sulla sua pinna, appoggiandosi con la testa sopra le squame scure, quasi nere, prende ad accarezzargli la chioma rosata piena di perle grigiastre degne del suo rango elevato con una cura estrema.
-Se non stesse bene, lo sapremmo.
Si riferisce ad Haruka e lo sanno entrambi anche senza bisogno di spiegazione. Rimane un rapporto particolare, quello tra la guardia e la sirena solitaria, che va al di là del semplice affetto. Non si parla di amore o il sentimento che le sirene usano definire per indicare un legame unico ed eterno, ma più che semplicemente una tenerezza l'un per l'altro senza doppi fini data dal lungo tempo trascorso assieme. Prima di annoiarsi, anche Haruka è stato una guardia, proprio come Makoto.
Ma la sirena più massiccia scuote il capo, ben lungi dall'allontanare le dita del suo principe che sono salite a strofinare i polpastrelli lungo la linea della mascella.
-Non è per Haruka che sono in pensiero.
-Allora cosa, mio capitano?
Makoto arrossisce sulle gote, di un poco. Nessuno fa troppa attenzione alle stramberie di un principe quando di eredi al trono ce ne sono almeno quante le isole nell'oceano, eppure Makoto ancora non si può abituare a quel genere di amorevolezza nei suoi confronti. O forse è soltanto destinato ad imbarazzarsi per sempre, finché l'amore lo legherà a Kisumi.
Si scuote appena a disagio però, scuotendo le spalle.
-Non lo so. Da qualche giorno ho una strana sensazione addosso.
-Ti ha parlato il mare?
-Non mi ha detto nulla.
È amareggiato, a tratti triste. Di solito è molto bravo ad avvertire i pericoli, di qualsiasi natura essi siano. È il suo mestiere e benché non possegga aggressività nei confronti del mondo sa trovare la giusta motivazione per impugnare un'arma a difesa di ciò che ritiene davvero importante.
Neppure il mare, questa volta, è riuscito a dare un nome all'angoscia del suo cuore e questo per la sirena è già di per sé un bruttissimo disagio.
Il suo principe però non ha intenzione di mortificarlo ulteriormente, anzi. Gli graffia appena il mento per essere sicuro di avere la sua attenzione.
-Io mi fido del tuo giudizio, Mako-chan. Ma ogni tanto dovresti essere più tranquillo.
Riesce a sciogliere la preoccupazione della sua fronte e si guadagna un altro sorriso morbido.
-Scusami.
-Basta scusarsi!
Alza la pinna rosata e lo bagna di nuovo, in una risata allegra che dura qualche secondo e non di più. Makoto ha avvertito qualcosa e guarda in una ben precisa direzione.
Kisumi lo capisce subito e si alza sulle mani, richiamando con un verso gli altri suoi due amici. Scivola in acqua per sparire in un lampo nelle profondità del blu.


Quell'essere umano corre più veloce di quanto non corressero gli altri. Si lancia a capofitto tra gli alberi e la vegetazione, ignorando gli ostacoli vegetali che ha intorno, muovendo i piedi in un modo preciso che non ha mai visto fare prima. Non sembra muoversi pieno di paura: ha comunque qualcosa di strano su di sé, che è l'impressione di una resa senza lotta né sentimento.
Non per questo Makoto ha intenzione di fermarsi e di lasciarlo scappare.
Le sue squame sono più compatte e dure di quelle dei suoi compagni e gli permettono di strisciare sulla terra ferma come un serpente, senza danni eccessivi. La lunghezza della sua coda, inoltre, gli consente di tenere il busto sollevato in modo verticale, così che le braccia possano adoperare la lancia di pietra nella maniera più congeniale e utile. Sembra quasi minaccioso, così.
L'uomo continua a correre senza ritrovare la strada verso la spiaggia. Il suo disorientamento è piuttosto evidente, particolarmente quando si ritrova quasi a girare a cerchio attorno a uno stesso punto.
Non gli permette di avvicinarsi troppo, anche a costo di graffiarsi o di collidere con qualcosa di davvero duro. Con la maglietta strappata, va a strofinare la spalla arrossata da una precedente ferita contro delle piante alte, le cui foglie sono cosparse di una sostanza più che urticante – lo sente urlare qualcosa nella sua lingua che sospetta non essere proprio lusinghiero e quando crede di aver l'opportunità di avvicinarsi un poco di più quello scatta in avanti e lo distanzia ancora.
Comincia a essere stufo di quella caccia. Decide quindi di sfruttare la propria conoscenza del posto per prenderlo in un'imboscata: permette all'uomo di andare un poco più avanti in modo da non farsi più vedere da lui e questo gli consente delle manovre libere. Aggira velocemente un paio di massi che lo proteggono dalla vista della propria preda e raggiunta la parte sinistra di questi scivola veloce su una lastra di pietra nascosta dalla sabbia, in modo da prendere velocità. Arriva quindi celermente vicino a lui, di fianco.
Il pirata però è piuttosto abituato alla lotta e l'istinto lo ha addestrato ad aspettarsi ogni tipo di mossa da parte del proprio avversario; non si lascia cogliere impreparato e con la spada ben in alto lo affronta di petto.
La coda della grande sirena schiocca in aria, colpendogli direttamente il polso della mano con cui stringe l'oggetto contundente. Sousuke ringhia e non può far altro che seguire con lo sguardo la traiettoria regolare della propria spada, che va a infilarsi nella sabbia qualche metro più in là.
Inciampa e cade all'indietro, immergendo le mani e il sedere nella sabbia. Visto da quella prospettiva il suo avversario sembra ancora più minaccioso e grande, come un predatore dell'oceano.
Makoto alza la lancia e la punta verso di lui, deciso a piantargliela nel petto – Sousuke lo capisce e alza le mani per difendersi, quasi come se istintivamente sentisse che la propria maledizione possa essere utile a qualcosa. Ma prima ancora che lo scontro vero e proprio possa cominciare tra di loro, qualcuno emette un suono.
-Fermo.
Per Sousuke è semplicemente uno strillo privo di logica, che lo porta a coprirsi le orecchie con le braccia. Per la sirena invece ha fin troppo senso.
-Haru...
Si blocca immobile, fermo in una posa scomoda, mentre lo guarda avvicinarsi di poco a loro, emergendo da dietro il tronco di un albero. Le squame della sua coda sono arrossate di irritazione e le sue braccia completamente sporche di sabbia; nondimeno, si ferma davvero vicino a lui.
-Non avvicinarti a lui. Può tramutarti in oggetto.
-Cosa...?
-Io l'ho visto. Ha la magia del giallo addosso.

È serio e il suo tono fermo lo dimostra. Makoto è perplesso perché pur conoscendo il significato della maledizione nominata non può credere che un essere umano ne sia soggetto.
Di solito, quel tipo di magia non appartiene alle razze terrestri, ma soltanto ai figli del mare come loro. Non può esserne certo e questo lo frena dall'allontanare la propria arma dall'avversario.
-Ne sei sicuro?
-Guarda bene l'arma che aveva.

Sousuke non capisce nulla di quello che si scambiano i due, ma vede bene come gli occhi del più grande scivolino nella direzione in cui è stata lanciata la sua spada. Sembra quasi accorgersi solo in quel momento del materiale in cui è fatta e questo pare cambiare diverse cose.
Haruka sa che Makoto non è così feroce da adoperare la violenza in ogni caso, anche quando non ce n'è bisogno. È una guardia ligia al dovere e questo lo ha spinto a battersi senza indugi contro la minaccia improvvisa; è assennato e questo lo spinge a considerare quantomeno il dubbio di una soluzione diversa.
Alla fine la sirena si allontana da lui, tenendo comunque abbastanza alta l'arma per usarla in qualsiasi momento. Fa un cenno all'altra sirena con la testa, per quanto gentile.
-Vieni con me, Haru.
Lo dice sottovoce, come in una preghiera. Haruka gli risponde con altrettanta morbidezza, senza bisogno di aggiungere una parola.
Prima di seguirlo, riserva un'occhiata veloce all'essere umano ancora fermo nella sabbia, piuttosto incredulo della svolta degli eventi. Poi sparisce tra la vegetazione, seguendo il proprio compagno.


Si fermano prima di arrivare al piccolo lago interno, perché le condizioni delle squame di Haruka sono abbastanza gravi e Makoto non ha in cuore l'esatta volontà di sforzarlo più del dovuto. Cambia rotta del cammino e si avvicina a una sorgente più vicina, che bagna un la parte bassa della boscaglia e fa diventare le piante di un verde intenso, quasi smeraldo. Haruka si strofina sopra le piante e si bagna come meglio può ogni centimetro di pelle.
Sembra quasi risorgere: la sua bellezza è più viva che mai.
Makoto, tuttavia, seguita a guardarlo con molta preoccupazione e benché i minuti passano non lascia l'espressione angosciata di prima, tanto che ad un certo punto la sua lingua non riesce a rimanere più ferma.
-Haru. Quello è un essere umano, lo sai? E in più è maledetto!
-Lo so.
Haruka non sembra essere interessato alle ragioni della sua ansia e lo dimostra nella maniera più diretta possibile. Non lo guarda neanche in viso, dandogli quindi le spalle.
Makoto non comprende i sentimenti dell'altro, non del tutto, e questo lo mette in uno stato di agitazione maggiore. Dopo tutto quel tempo, non ha idea di come stia reagendo Haruka di fronte a un essere umano, e per la prima volta nella loro vita il fatto che non gli parli è di ostacolo.
Cerca quantomeno di sincerarsi delle cose più importanti.
-Sai perché è qui?
-Penso sia arrivato dal mare. Non ho visto altri come lui.
-Ne sei sicuro?
-Sì, lo sono.
-Ha provato a toccarti?
-No, non l'ha mai fatto.
Sospira, francamente rincuorato. Non pare un uomo violento e quest'idea lo tranquillizza di molto. Forse è davvero solo un naufrago come diversi che sono capitati in quelle zone, sprovveduti davanti al grande oceano come solo gli esseri umani riescono a essere.
Le braccia del capitano delle guardie si sciolgono, così come la sua tensione. Ha un tono un poco più dolce, per quanto l'ansia persista nel suo animo.
-È per lui che in questi giorni sei strano?
Haruka non risponde: piuttosto gioca a farsi scivolare l'acqua addosso tra le pieghe dei muscoli del piccolo ventre. Riconosce l'apprensione che lenta si insinua tra le parole di lui, ricordandogli d'altra parte che lo stesso Makoto è proprio l'unico affetto ancora in vita che gli è rimasto.
Per colpa degli esseri umani.
-Haru, non c'è alcuna legge che ci vieti di avvicinare altre razze. Il mare non fa distinzioni, prende o dona a chiunque egli voglia. Ma sai quante storie circolino su di loro...
-Lo so.
-Si dice che certi uomini possano prendere i nostri cuori e farli diventare gialli, come i sassi in fondo al mare. E dopo non sei più sirena, non sei più figlio del mare. Non sei più niente.
Lo guarda quando ha il viso scuro di paura – il che è molto divertente, perché per certe cose è fin troppo facile spaventare quella sirena così grande e grossa proprio con stupidaggini simili.
Gli esseri umani ti catturano per mangiarti vivo, perché sono ingordi e senza limiti.
Gli esseri umani ti predano e ti tagliano la testa, perché gli occhi delle sirene sono tesori inestimabili e i loro capelli formano corde indistruttibili.
Gli esseri umani riescono a toccarti dentro e fanno diventare il cuore giallo, ti rubano l'anima e la natura stessa, perché sono avidi e insaziabili, giammai pronti a rinunciare a una fonte di guadagno.
Haruka ha sentito tutto quello che c'è da sentire a riguardo dagli anziani del mare e per questo può commiserare l'amico, che si risente parecchio.
-Per essere una guardia reale, sei piuttosto impressionabile.
-Non prendere la cosa alla leggera, Haru. Lo sai bene quanto possano essere pericolosi.
Si avvicina a lui per essere più impressionabile. Sembra non aver intenzione di rinunciare alla sicurezza dell'altro, neanche se questo significa andare contro il suo volere.
-Promettimi che starai attento e non ti avvicinerai troppo a quell'uomo. E non ti farai toccare per nessuna ragione.
Non ottenendo risposta, va ancora più vicino – e ora Haruka reagisce.
-Promettimelo!
-Te lo prometto. Non sono così stupido.
Makoto sospira, appena un poco più tranquillo, così che lui possa tornare senza altre distrazioni a bagnarsi con la sua amata acqua.


***


Sousuke striscia sulla sabbia con la vista appannata e la pelle che scotta per la febbre. Si ferma vicino al tronco di un albero per vomitare una seconda volta – cosa non ne ha idea, perché non ricorda di aver mangiato tanto da riuscire a rigettarlo in quella quantità.
Fa diventare l'albero d'oro, completamente, nel toccarlo senza pensarci, e quando la durezza del metallo si concretizza sotto i suoi polpastrelli al disagio iniziale si aggiunge anche una rabbia frustrata.
Non può in alcun modo toccarsi la spalla che brucia. Ha visto la cicatrice riaprirsi e cominciare a ributtare sangue infetto, ora c'è anche un alone giallastro che circonda la ferita e teme sia una qualche sorta di infezione: si è strofinato contro diverse cose nella fuga di poche ore prima e il generale sporco in cui riversa il suo corpo ormai da giorni non aiuta affatto.
Non sa come sia riuscito a tornare alla spiaggia, ma dopo tutto quel vagare è riuscito, nel torpore di una febbre sempre più insistente, a ritrovare alcuni punti di riferimento che lo hanno ben diretto.
Ancora pochi metri e riuscirebbe a raggiungere il proprio riparo.
Si ferma ad agonizzare in quella porzione di sabbia, con il viso mezzo nascosto tra i granuli sottili di terra, e sputa ancora saliva e bile. Chiude gli occhi senza più forze, abbandonato da ogni goccia di volontà.

   
 
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