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Autore: Nicholas_    13/12/2015    0 recensioni
In questa storia c'è Aaron. C'è la sua sorellastra, che lo conosce per cosa è da quando lei e sua madre sono entrata nella sua vita: un ragazzo banalissimo. C'è P., il suo fidanzato, che farebbe di tutto per evitare che torni ad essere quel che era: un grande. Ci sono i fantasmi del suo passato, più vivi che mai, che hanno l'hanno conosciuto fifone, traditore, vigliacco. E pretendono un risarcimento.
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ecco perché, si disse Aaron scendendo dall’utilitaria e osservando il palazzetto del ghiaccio davanti a sé. Quella mattina, quando aveva distrattamente promesso alla sorellastra di accompagnarla agli allenamenti se fosse stata zitta, non aveva capito la perplessità di suo padre. Era davvero diventato così distratto da dimenticare quale fosse lo sport praticato dalla bambina che, insieme alla sua mamma, si era trasferita a casa loro da ormai cinque mesi?
“Aaron, devi venire dentro!” Sasha saltellava impaziente, già accanto alle porte. “Devi venire, bisogna pagare per il mese!”
“Non voglio entrare”, lo informò P. dal finestrino che aveva abbassato il necessario per sporgere il capo, “e non dovresti farlo neanche tu.”
“Lo so”, sospirò Aaron appoggiandosi al tettuccio dell’automobile. In quel momento non sopportava nessuno dei due, Sasha che continuava a strillare al suo orecchio destro, P. che dava voce ai suoi stessi pensieri ad indirizzo del sinistro.
“Aaron, non essere cattivo! Bisogna pagare il mese, e non riesco a stringermi i pattini da sola!” si lamentò ulteriormente Sasha tornandogli vicina, e afferratolo per il polso lo trascinò verso l’ingresso e dentro il palazzetto.

 

Aaron camminava lungo il corridoio che portava alla pista 2. Era stato negli uffici a spiegare che la rata sarebbe stata pagata la lezione successiva, siccome la sua matrigna si era dimenticata di informarlo e dargli il denaro necessario. Grazie, arrivederci.
Man mano che si avvicinava l’aria si faceva più pungente sul viso, il suono delle canzoni su cui si allenavano le agoniste si rendeva riconoscibile, le macchie gialle e blu si rivelavano come armadietti e panchine di legno scheggiato.
“È la peggiore idea che potessimo avere” si lamentò P. con voce rotta, stringendogli la giacca sulla schiena. Nonostante le sue opinioni non avrebbe mai lasciato Aaron solo, specialmente .
“Le ho promesso di aiutarla a legare i pattini. Non voglio casini a casa.” P. taceva. Aaron continuò ad elencare con tono meccanico: “Entro, le lego i pattini. Esco.”
Sasha era seduta su una della panche blu, i pattini infilati con le stringhe a penzoloni.
“Eccoti, finalmente! Iniziavo a pens- Ma stanno molli se non lo usi!” sbottò la bambina, vedendo il fratellastro accovacciato davanti a sé rifiutare con un gesto del capo il tiralacci di plastica che gli porgeva. “Aaron! Mi staranno molli!” strepitò ancora, mentre l’altro stringeva i pattini velocissimo e impassibile.
“Sono molli?” domandò infine con tono stanco, rialzandosi a troneggiare Sasha con lo sguardo. La bambina si alzò dalla panca e dondolò sui paralame.
“Sono… Wow, ma come hai fatto? Neanche mamma me li mette così bene! E… E non hai neanche usato il tiralacci! Aaron, mi insegni a-“
“Aaron.” Sussurrò lapidario P., dritto nel suo orecchio e talmente all’improvviso da fargli andare il cuore a mille. “Guarda.” E indicò uno degli istruttori che si avvicinava chiamando amichevolmente Sasha perché raggiungesse il gruppo per iniziare la lezione.
“Cazzo.”
“Scappa.”
Cazzo, cazzo, cazzo! Cazzo! “Sono in ritardo Sasha”, blaterò e iniziò a correre verso la porta così velocemente da diventare una mera macchia di colore alla vista di chiunque si trovasse lì, e oltre la porta lungo il corridoio, dove la musica e il freddo si attenuavano, e oltre ancora, veloce fuori dal palazzetto sul marciapiede, dove si fermò ansimando nel tentativo di riprendere fiato.
P. gli fu subito affianco. “Va tutto bene, Aaron, adesso va tutto bene. Sei uscito!” Gli sorrise rassicurante, e presagli una mano ne intrecciò le dita con le sue. “Non ti preoccupare, Aaron. Tu hai me.”

   
 
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