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Autore: Papillon_    13/12/2015    3 recensioni
Le regole fondamentali dell’essere asociali secondo Kurt Hummel:
1) Fingiti malato se sai che devi andare ad una festa;
2) Recuperare serie TV è più importante di avere una vita sociale;
3) Il tuo migliore amico è un plaid di lana pesante;
4) Se ti senti triste basta bere un pochino di caffè o di cioccolata calda;
5) Evita il contatto visivo con chiunque sembra ti voglia parlare.
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Paradossalmente, Kurt sapeva che a diciassette anni era spaventoso amare nel modo in cui stava amando lui. Ma aveva questa sensazione di aver scelto la strada giusta, anche se spesso e volentieri c’erano pezzi di ghiaccio colorati tra i capelli, pianti isterici e urla di parole che non pensavano.
Però Blaine – Blaine c’era.
Ed era dolce quanto una cioccolata calda, teneva al sicuro quanto faceva una coperta di lana in pieno inverno; riusciva a capirlo proprio come l’episodio giusto al momento giusto, senza fare domande e rimanendo a guardare. E tra i miliardi di puntini che vagavano soli in quell’universo, Blaine aveva scelto proprio lui. Non qualcuno di popolare, o pazzo, o schifosamente ricco. Lui.
Quando si dice che la matematica non è un’opinione.
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[Nerd!Kurt & Popular!Blaine]
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Blaine Anderson, Kurt Hummel | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A tutte le ragazze che mi hanno scritto in pagina. Questa storia non sarebbe qui senza di voi.
E' un regalo che meritate e che viene dal profondo del mio cuoricino.
Finchè ci sarà qualcosa che voglio dire, non smetterò mai di scrivere, promesso
Grazie infinite - per davvero. 



I’ll be your eyes when you can’t see the light

 
Le regole fondamentali dell’essere asociali secondo Kurt Hummel:
  1. Fingiti malato se sai che devi andare ad una festa;
  2. Recuperare serie TV è più importante di avere una vita sociale;
  3. Il tuo migliore amico è un plaid di lana pesante;
  4. Se ti senti triste basta bere un pochino di caffè o di cioccolata calda;
  5. Evita il contatto visivo con chiunque sembra ti voglia parlare.
 
*
 
A Kurt Hummel piaceva pensare di vivere in un mondo tutto suo.
In realtà, quando ci pensava, gli veniva in mente che in realtà fossero gli altri a vivere in un mondo a parte. Insomma, quale persona sana di mente preferirebbe andare ad una festa e ballare fino a tardi, quando avevi la possibilità di startene a casa, al calduccio, di fronte a un buon canale streaming o all’amata televisione? Lui non li capiva proprio quei ragazzi della sua età che si vantavano di avere una ragazza o un ragazzo diverso ogni notte. A lui bastava struggersi di fronte a un buon episodio di Grey’s Anatomy, e piangere fino a quando non aveva più liquidi in corpo quando era giunto il momento che il Dottore se ne andasse per rigenerarsi.
Essere asociali significava anche essere – un passo sopra gli altri, la maggior parte delle volte. Tutte quelle serie Tv che parlavano di un milione di argomenti diversi gli avevano fatto capire che prima di tutto l’amore vero esisteva solo nei libri o nei film, e che nella vita per ottenere qualcosa non bisogna lottare, ma bisogna che gli altri ti considerino popolare.
E a proposito di popolarità, Kurt Hummel non era popolare per niente.
Stava per cominciare il suo ultimo anno al liceo McKinley, una struttura così vecchia e spettrale da sembrare una casa dell’orrore. Lima, Ohio. Una cosa come milleottocento anime – ed eccolo lì Kurt, un puntino dell’universo che camminava tra i corridoi cercando di non farsi notare ed arrivare a fine giornata senza nessuna granita in faccia.
(Andava di moda gettare le granite in faccia agli altri, in Ohio. Kurt aveva rinunciato a capire il perché).
La verità era che Kurt sapeva di essere un pochino diverso. Non sarebbe riuscito a spiegare come, se qualcuno glielo avesse chiesto – sapeva solo di sentirsi immerso in una bolla sollevata da terra di qualche centimetro. Le altre persone accanto a lui erano – tutte uguali. Stessi vestiti, stessi difetti, stessi voti, stessi interessi, persino stessi privilegi. E a volte Kurt, dal lontano di quella sua minuscola bolla, sentiva di avere paura di quel mondo.
A volte chiudeva gli occhi e fingeva per un secondo di essere forte, e immaginava di avere abbastanza coraggio da mescolarsi insieme agli altri senza sentirsi come un pesce fuor d’acqua. Succedeva per un secondo, uno soltanto, e poi bang – di solito arrivava la granita in faccia. Era il suo abituale Buongiorno, ormai.
 
*
 
Quel mattino di scuola, primo giorno dell’ultimo anno di Liceo, il Buongiorno glielo diede un idiota dal cervello grande come quello di una nocciolina di nome Noah Puckerman.
Kurt separò appena le labbra, assaporando con la punta della lingua l’inconfondibile gusto di lampone – e cavolo, non sarebbe nemmeno stato così male se il giacchio non ce la stesse mettendo tutta per bagnargli tutti i vestiti. Finì per gemere dal freddo, ringraziando qualche buona stella visto che per lo meno gli occhiali avevano impedito che i suoi occhi si infettassero. Sentiva la granita persino nel naso, ma cercò di non lamentarsi a riguardo.
“Ti sei divertito quest’estate, Hummel?”, borbottò Noah con un tono altezzoso, scoppiando a ridere immediatamente dopo. Kurt si passo una mano tra i capelli, bagnandosi le labbra per raccogliere i residui di granita che aveva attorno ai contorni. Alzò gli occhi al cielo, chiedendosi cosa ci fosse di così divertente nell’osservare un ragazzo che stava praticamente morendo di freddo. Tentò un’occhiata ai propri vestiti, notando che la felpa era ormai di un inconfondibile color uva per colpa dei coloranti della granita, e che nemmeno i suoi jeans erano riusciti a salvarsi.
Grazie tante, Noah.”, sbottò, agitando le braccia in un movimento fluido per lasciar scivolare via qualche residuo di ghiaccio. “Di sicuro mi sono divertito di più di quanto non stia facendo ora.”
Capirai, mi sono guardato l’intera terza stagione di Teen Wolf. E okay, probabilmente Kurt non avrebbe dovuto pensare ai muscoli delle braccia di Tyler Hoechlin, non in quel momento per lo meno, e nemmeno al sorriso piccolo di Dylan O’Brien –
“Non ti ho chiesto di rispondermi.”, disse Noah di rimando, il tono di voce che assomigliava a un ringhio annoiato. Kurt alzò gli occhi al cielo – sul serio c’erano persone così stupide sulla Terra?
“Di solito quando fai una domanda è perché ti interessa la risposta.”, borbottò Kurt. “Ma so che non posso aspettarmi molto da uno che discende dalle scimmie senza alcun passaggio intermedio.”
“Senti, Hummel –”, sbottò Noah, avvicinandosi a lui e mirando ai suoi occhiali. “Vediamo quanto ti diverti senza questi, eh?”
“Puckerman – no –”, tentò di fermarlo Kurt. Quelli erano i suoi preziosi occhiali. Innanzitutto erano il suo fondamentale segno distintivo, e secondo – “Sono di Marc Jacobs, razza di idiota, non provare a toccarli –”
“Noah, lascialo in pace.”, si intromise a quel punto una voce calma e calda. Puckerman interruppe il movimento con il braccio all’istante, lasciando andare gli occhiali di Kurt e voltandosi.
Il cuore di Kurt perse un battito, mentre le sue labbra si curvavano in un minuscolo sorriso.
“Riesci a darmi non so – cinque minuti, Anderson? Mi sto divertendo qui.”
“Cinque minuti non ti bastano per fare la testa di cazzo. Dai, che abbiamo allenamento.”
Kurt fece un passo indietro, trovandosi improvvisamente schiacciato contro gli armadietti dietro di lui. Noah prese un bel respiro, guardandolo un’ultima volta con aria annoiata. “Tanto non ne vale la pena.”, borbottò, facendo qualche passo per allontanarsi da lui.
Il labbro inferiore di Kurt scivolò tra i suoi denti, mentre cercava di racimolare ossigeno. L’unica arma che aveva era il suo sarcasmo, quella parlantina troppo veloce che spesso lo metteva nei guai, ma la verità era che spesso Kurt in quei momenti aveva paura, perché era da solo. E sapeva di non essere forte abbastanza da cavarsela.
Alzò il suo sguardo per qualche secondo, incontrando un paio di occhi dorati. Blaine Anderson, il ragazzo che era intervenuto, gli sorrise appena prima di voltarsi e scomparire lungo l’interminabile corridoio.
Kurt sapeva che Blaine non poteva sentirlo, sapeva di parlare al nulla più totale – ma sapeva anche di doverlo fare.
“Grazie.”, sussurrò alla schiena di Blaine.
 
*
 
Kurt Hummel era innamorato di Blaine Anderson da così tanto tempo che a volte faticava a ricordare quanto tutta quella storia era cominciata.
Probabilmente dal nulla, proprio come nascono gli amori più improbabili. Quelli piccoli che crescono piano piano e ti portano via tutto, e tu puoi rimanere soltanto a guardare.
Kurt era arrivato il primo anno di liceo con i suoi occhiali enormi e un taglio di capelli che lo facevano sembrare più piccolo, maglioni troppo grandi e pantaloni dalla fantasie così impossibili che avrebbero fatto storcere il naso anche al meno pignolo degli stilisti. Ma era quello il punto: Kurt si piaceva così. O meglio, aveva poco tempo da dedicare alla moda, anche se leggendo parecchi numeri di giornalini sapeva riconoscere le marche che andavano più in voga – perché doveva dedicarsi a cose più importanti, come l’ultimo film uscito al cinema di Sex and the City, o dedicarsi completamente a una nuova serie TV.
E in mezzo ai quei corridoi lui si era sempre sentito un girasole in mezzo a un campo di margherite. Qualcosa che cozzava con il resto dell’arredamento, per così dire. Non aveva mai cercato di cambiare, di migliorare i suoi vestiti o di avere un paio più stretto di occhiali, perché tanto non importava a nessuno – e forse, in parte, non importava nemmeno a sé stesso.
Le granite erano arrivate dal quarto giorno di scuola – un Benvenuto che ancora oggi quando ci ripensava gli metteva i brividi. Era ancora troppo giovane, e troppo ingenuo, e non aveva saputo controllare le emozioni. Era scoppiato a piangere e aveva cominciato a correre, ritrovandosi improvvisamente negli spalti che precedevano i campi di football, all’aperto.
E poi lì, in un angolino, un cartellone bianco citava “Unisciti ai Titans”. Poco più in là, un gruppo di ragazze con dei pon pon cantavano una canzoncina e ci ballavano sopra agitandosi e sorridendo, e Kurt aveva pensato che tutto sommato qualcosa di carino c’era al liceo.
Aveva deciso di sedersi, ed era rimasto lontano dalla scuola per un’ora intera, restando a osservare quelle ragazze. Innamorandosi del modo in cui si muovevano, dei colori sgargianti che indossavano e dei sorrisi che dimostravano fiducia in loro stesse.
E poi, dal nulla, era arrivato lui.
 
Kurt sapeva di essere gay dall’età di otto anni (anche se suo padre gli aveva confessato che lui lo sapeva da quando Kurt di anni ne aveva tre). Probabilmente Kurt era gay da sempre, ma non era quello il punto. Stava guardando un suo amichetto tenere per mano una sua amichetta; lui si era voltato improvvisamente verso una bambina e si era accorto di desiderare che fosse un maschietto a tenergli la mano. I primi tempi non aveva voluto dargli una spiegazione. Piano piano, poi, aveva capito ogni cosa anche grazie alle informazioni sul web – ma prima di allora non aveva mai trovato nessuno di reale a cui aggrapparsi. Certo, c’era pur sempre Chuck Bass di Gossip Girl o Mr. Big – ma non era la stessa cosa. Perché essere attratto da un ragazzo significava una cosa – amarne uno cambiava tutto, sconvolgeva il mondo.
E Kurt lo aveva visto, lì in mezzo agli spalti, mentre Blaine correva in campo e faceva il suo primo allenamento per far parte dei Titans. Ancora così piccolo eppure così grande nella sua nuova tuta rossa, la testa coperta da un casco ogni volta che doveva fare un’azione importante. Aveva visto tutte le selezioni, ogni punto da lui segnato – aveva visto il momento in cui l’allenatore gli aveva detto di sì. E in quel sorriso, in quel sorriso lontano contornato da fossette e in quegli occhi dorati, Kurt si era completamente perduto.
Era – , perfettamente consapevole che fosse imbarazzante essere innamorati di una persona con cui non aveva mai avuto una conversazione reale. Se non si considerava le volte in cui a biologia si scambiavano le schede e Kurt lo ringraziava, o le rare volte in cui capitava che dovessero fare degli esercizi a coppie. Non lo conosceva, non ci aveva mai davvero parlato, eppure nel suo piccolo c’era sempre stato per lui.
C’era stato alla sua prima partita. E la seconda, e la terza, e così via negli anni. Blaine non poteva saperlo, ma Kurt non era mai mancato perché – perché era così, voleva semplicemente esserci. Lo aveva visto crescere, lo aveva visto migliorare, lo aveva visto arrabbiarsi, e la maggior parte delle volte gli veniva da piangere perché Blaine era così bello e non meritava di perdere – o perché semplicemente era troppo felice quando vinceva.
In quel mondo troppo veloce e troppo caotico, Blaine rimaneva il suo punto fermo. Un giocatore di football bellissimo, sicuramente etero e con un sacco di ragazze ai suoi piedi, con il sorriso caldo di qualcuno che non conosce la malizia.
Ecco a chi aveva dato il proprio cuore Kurt Hummel. Ad una persona che avrebbe potuto spezzarglielo da un momento all’altro, qualcuno che era così lontano da essere abbastanza vicino al suo cuore – qualcuno per cui Kurt avrebbe rinunciato più che volentieri al suo computer.
E per un nerd, questa era una delle più autentiche e reali dichiarazioni d’amore.
 
*
 
“Non hai proprio voglia di prenderti dei vestiti nuovi?”
Kurt alzò gli occhi dal proprio piatto di lasagne, mentre suo padre gli sorrideva burbero dall’altra parte della tavola. Tipico giorno settimanale: lui cucinava, la televisione rimaneva spenta, suo padre cercava di intavolare una conversazione.
“Non ti piacciono quelli che ho?”
“Figliolo – no, cosa dici – vanno benissimo.”, borbottò suo padre troppo velocemente, il cappellino da baseball che finiva sempre per pendere di più da un lato piuttosto che dall’altro. “Solo – sei – sei così alto, sai? Potresti prendere non so, qualcosa di più –”, una pausa, in cui Kurt si sentì arrossire. “Lascia perdere, sai che sono negato per queste cose.”
Kurt deglutì piano piano. “Pensi –”, soffiò appena, cercando di buttare giù il boccone amaro. “Pensi che io sia brutto, papà?”
Burt era così, semplicemente imprevedibile. Da quando lui e Kurt avevano perso Elizabeth, poi, era diventato ancora più – Burt, ancora più dolce e protettivo e comprensivo. Si alzò, puntandogli un dito contro.
“Non ci pensare nemmeno per mezzo secondo. Dico – dico sul serio, Kurt. Qualsiasi vestito scegli di metterti va – va benissimo. Solo…potremmo fare qualcosa insieme, qualche volta. Non – non evitare di chiedermelo solo perché pensi che mi sentirei a disagio, perché non è così.”
Kurt accennò un minuscolo sorriso.
“Va bene, papà.”, disse pianissimo, immergendo la forchetta nella lasagna e sentendosi un pochino meglio. “Grazie.”
(Forse aveva solo bisogno di qualcuno che gli dicesse che era bello.
E non necessariamente perché lo fosse fuori, ma anche un pochino dentro.
Tutto qui.)
 
*
 
Quel Venerdì pomeriggio Blaine avrebbe giocato in casa, al liceo McKinley.
Kurt si armò della sciarpa della squadra e salì sugli spalti, le dita che tremavano durante gli allenamenti prima della partita. Si aggrappò alla rete metallica che separava gli spalti dal campo, mentre piano piano famiglie e amici dei giocatori prendevano posto.
Finalmente vide Blaine, che rideva vicino a un suo compagno di squadra – il suo sorriso era enorme, cucito perfettamente sul suo viso rilassato.
Kurt sentì il proprio cuore scartare un battito. “Buona fortuna.”, soffiò, perfettamente consapevole che Blaine non potesse sentirlo.
La squadra di Blaine vinse, quel giorno.
 
*
 
Più si avvicinava l’inverno e il tepore lasciava spazio al freddo, più Kurt si sentiva stranamente a casa.
Coperte, naso freddo, tazze di cioccolata calda e serie Tv rappresentavano l’abbinamento perfetto, per lui. La sua vita procedeva come sempre – studiava qualche ora per assicurarsi di prendere buoni voti, e verso tardo pomeriggio scompariva nel suo enorme lettone dimenticandosi della vita che c’era là fuori.
Finchè a quanto pare, un venerdì, tutto il mondo si mise d’accordo per rovinare i suoi piani.
Era al trentaquattresimo minuto di recupero di una puntata di Once Upon a Time (e c’erano i suoi amati Rumbelle, la quintessenza di una ship degna di nota) quando il suo cellulare gli vibrò tra le mani. E non era una notifica di qualche blog che seguiva.
Kurt controllò lo schermo almeno mille volte prima di rispondere, perché non era possibile che Mercedes si sognasse di chiamarlo a quell’ora – insomma, era pur sempre sera e sì, lei sapeva perfettamente com’erano strutturate le sue sere. Rispose sforzandosi di mantenere un tono di voce tranquillo.
“Sì, ‘Cedes?”
“Un disastro totale, Kurtie.”, gracchiò una voce dall’altra parte del telefono. Kurt in un primo momento pensò che si trattasse di uno scherzo telefonico, ma si rese conto con qualche minuto di ritardo che stava pur sempre parlando di una delle pochissime persone che in quella scuola poteva chiamare amica.
“Cosa c’è? Ti sento malissimo.”
“Ho mal di gola, raffreddore e la febbre altissima.”, spiegò Mercedes, la voce gracchiante che sembrava quella di un serial killer pronto all’attacco. “Ricordi che ti avevo detto che sarei andata alla festa di Santana, stasera? Ecco – non posso andarci in queste condizioni.”
Kurt sollevò un sopracciglio, sentendo improvvisamente lo stomaco che vorticava.
“Mercedes, no. Non puoi essere ammalata.”
“Ti dico di sì, invece.”, un colpo di tosse piuttosto forte confermò ogni dubbio. “E se non vado alla festa, non posso recuperare gli appunti di Rachel per la ricerca di lunedì…”
Ogni briciolo di pazienza che era rimasto a Kurt si dissolse nel nulla, come polverina nell’acqua. “Ascoltami bene: adesso tu prendi qualcosa di potente, una di quelle cose che danno persino ai cavalli prima delle gare, e recuperi gli appunti.”
Mercedes starnutì. “K – urt.”, soffiò. “Questa volta non ce la faccio. Devi andarci tu a recuperare gli appunti.”
Kurt scoppiò a ridere senza il minimo di entusiasmo. “Che cosa? Io non ci vado a una festa, Mercedes.”
“Guarda che nessuno ti mangia.”, gracchiò lei, sembrando infinitamente stanca. “Vai là, recuperi gli appunti e vieni via. Così non prenderemo una C.”
Al suono della lettera “C” – per di più in matematica, una delle sue materie preferite – un lungo brivido percorse la sua spina dorsale. Okay, si trattava semplicemente di implicare dieci minuti del suo venerdì sera per diventare socievole. Dopodichè sarebbe scappato da quella stupida festa, e per recuperare il tempo perduto si sarebbe visto almeno metà stagione di Arrow.
Uscì dal nido di coperte che si era creato, sistemandosi gli occhiali che gli erano ricaduti sul naso meglio sulla radice. “Sei in debito con me, Mercedes Jones.”, borbottò, prima di cominciare a spogliarsi.
 
Dieci minuti più tardi, Kurt percorse le scale che lo portarono al piano di sopra e superò la cucina recuperando le chiavi della macchina. Suo padre si schiarì la voce, trotterellando verso la porta di casa.
“Ehy – dove stai andando?”, gli chiese, una punta di emozione che traboccava dalla voce e gli occhi vispi. Kurt non ci trovava nulla di così entusiasmante.
“A una festa.”, borbottò, sollevando le chiavi della macchina. “Prendo il Navigator, okay? Torno presto.”
“Un momento ragazzo un momento.”, disse tutto d’un fiato suo padre, sistemandosi il cappellino sulla testa. Kurt ebbe l’impressione che stesse aspettando quel momento da tutta una vita.
“Uhm, forse – forse è arrivato il momento di parlare di – beh. Precauzioni. E, uhm – devi prestare attenzione, figliolo, non bere niente che ti viene offerto, non ci si può mai fidare alle feste –”
“Papà.”, quasi gemette Kurt. “Non dirmi che stai seriamente per farmi quel tipo di discorso.”
“Voglio solo essere sicuro che non ti metta nei guai.”, grugnì lui. “E per quanto riguarda il coprifuoco –”
“Nessun coprifuoco, papà.”, disse velocemente Kurt, interrompendolo. “Vado a quella festa dieci minuti, recupero degli appunti e torno qui. Fine del mio debutto in società.”
Burt fece per dire qualcosa, ma poi richiuse la bocca sembrando appena deluso. “Va bene.”, borbottò infine, scrollando le spalle. “Uhm…divertiti, okay?”
“Certo.”, soffiò titubante Kurt, lasciando casa sua. Mi sarei divertito molto di più a starmene sotto le coperte.
 
Il primo istinto che ebbe quando arrivo all’indirizzo che Mercedes gli aveva indicato fu quello di scappare.
La musica alta si sentiva dal giardino che circondava la piccola casetta di Santana – fuori, sul portico, coppie ubriache stavano flirtando ed alcune erano già passate alla meta successiva. Kurt non riusciva a fare altro che piagnucolare come se non ci fosse un domani quando vedeva le coppie delle serie Tv baciarsi, ma quando vedeva i suoi coetanei farlo aveva quasi voglia di chiudersi in bagno e dare di stomaco, perché – no. Semplicemente, no. Che diamine erano quei suoni che facevano?
Entrò con passo incerto, sperando di trovare Rachel al più presto possibile. Molte cheerleader gli passarono accanto con bicchieri di plastica mezzi pieni, mentre lui superava il salotto e imboccava un corridoio in cui alcuni giocatori di football stavano urlando cose senza senso. Gli venne da pensare che forse Rachel aveva deciso di non venire (visto che la casa era molto piccola e non la vedeva da nessuna parte) e stava quasi valutando di chiamarla e sperare che gli dicesse di passare a casa sua, così avrebbe evitato quella stupida festa - quando in un angolino del salotto notò che c’era Blaine.
Il suo cuore gli si bloccò nella gola. Ma certo, era logico che Blaine andasse a quel tipo di feste – era stato così stupido a non immaginarlo prima. Improvvisamente i semplicissimi jeans che aveva indossato insieme a quell’insulsa felpa verde bottiglia lo fecero sentire vulnerabile e sbagliato. Se avesse saputo, si sarebbe messo qualcosa di più carino. Ammesso che nel suo armadio ci fosse qualcosa di più carino.
Sentì da lontano che stava parlando al telefono con qualcuno, e in mezzo a tutti quei rumori cercò di concentrarsi sulla sua voce.
“…sì, certo, grazie tante, Puck.”, stava mormorando a denti stretti. “Ci sono venuto apposta per te a questa festa del cazzo – e tu mi dai buca.”, sbottò. I suo occhi si erano fatti appena più cupi. “Lascia stare – no, mi incazzo perché tanto sono sempre io quello che rimane da solo – sai che ti dico, vaffanculo Noah. Sì – passa una bella serata.”
Kurt vide Blaine mettere giù con un gesto brusco, per poi lasciar scivolare il cellulare nella tasca destra dei jeans strappati con un piccolo broncio. Sentì il cuore cominciare a battere più velocemente quando realizzò esattamente quanto bello fosse – senza uniforme, senza nessuno di quegli energumeni accanto, solo Blaine. Il suo irraggiungibile Blaine.
Kurt si mordicchiò il labbro inferiore mentre valutava cosa fare – non poteva stare lì a fissarlo tutta la sera, quando lo sguardo di Blaine si posò proprio su di lui. Si sentì un vero e proprio idiota – insomma, quanto poteva sembrare stupido agli occhi di Blaine un ragazzo che lo fissava dagli occhiali enormi e l’aria a dir poco imbranata? Si affrettò a distogliere lo sguardo, le guance che si imporporarono violentemente mentre cercava un punto impreciso della stanza a cui rivolgere la sua totale e completa attenzione. Cercò di regolarizzare il respiro e non pensare troppo insistentemente al fatto che aveva appena fatto una figura barbina con il ragazzo più carino di sempre – quando sentì qualcuno mettersi di fianco a lui, una folata di un profumo molto piacevole lo avvolse.
“Ciao.”
Oh, dio.
Oh – dio. Solo – non era possibile, vero?
Kurt ruotò appena il capo, specchiandosi negli occhi dorati di Blaine. Era proprio lì, a una distanza insignificante e quasi dolorosa, che lo guardava con dolcezza e con l’aria spensierata del ragazzo che Kurt stava osservando da lontano da ormai quasi quattro anni. Deglutì, guardandosi attorno per assicurarsi che Blaine tra tutti avesse salutato proprio lui, e si convinse che sì, era lui ad essere il fortunato.
“Ciao.”, mormorò, la voce forse troppo bassa e le lettere che si scontravano le une alle altre rincorrendosi. Sentiva i palmi delle mani umidi e gli occhiali gli erano scivolati quasi fino alla punta del naso. “Tu – tu mi conosci?”
Blaine sembrò stupito. “Certo che ti conosco.”, disse tranquillamente, con un sorriso che avrebbe sciolto qualsiasi persona fredda o cattiva, così bello da fare male allo stomaco. “Facciamo insieme inglese avanzato e…biologia, giusto?”
Kurt si chiese se a diciassette anni qualcuno potesse avere il principio di un infarto. “S-sì.”, borbottò, stringendo le proprie braccia attorno al corpo come per proteggersi, come per infondersi coraggio. “Anche economia.”, precisò.
“Oh – già. Mi dimentico sempre di quella – chissà perché.”, borbottò ridacchiando. Kurt fu trascinato nella sua risata senza nemmeno volerlo. Sapeva che i voti di Blaine nelle materie scientifiche non erano altissimi – non gli piaceva sbirciare, ma capitava che a volte i voti venissero esposti in bacheca, e i suoi occhi scivolavano sempre sul nome di Blaine. Era un’abitudine.
Il sorriso di Blaine non sfumò. “E’ bello trovare una faccia amica.”, mormorò, guardandosi attorno e indicando vagamente tutti i ragazzi che vagavano in quella casa. “Non…non conoscevo nessuno.”
Kurt annuì. Anche lui era davvero felice di aver trovato Blaine, ma aveva paura che dirglielo avrebbe smascherato ogni cosa che provava. Blaine si sarebbe chiesto il perché della sua felicità, e Kurt – Kurt era così abituato a tenere tutto segreto che non aveva la più pallida idea di come renderlo reale.
“Nemmeno io.”, borbottò Kurt, puntando gli occhi sui suoi piedi e deglutendo sonoramente. Aveva sognato per anni di parlare a Blaine, dirgli qualsiasi cosa, e ora che ne aveva la possibilità non riusciva nemmeno a guardarlo in quei stupendi occhi dorati.
“Non credevo, sai – questa fosse una festa adatta a te.”, lo sentì mormorare. Rialzò lo sguardo, cercando una traccia di spiegazione negli occhi di Blaine. “Non – non fraintendermi, è solo – non ti ho mai visto alle altre feste, prima.”
Kurt si affrettò ad annuire. “Le feste non – non fanno molto per me.”, borbottò, accarezzandosi distrattamente l’avambraccio destro. Si sentiva così piccolo, ed esposto, eppure – eppure Blaine aveva uno sguardo dolce, e non lo stava giudicando. “E’ un caso che sia qui, uhm – devo recuperare degli appunti, infatti sto cercando Rachel.”
Gli occhi di Blaine si allargarono impercettibilmente. “L’ho vista sul retro poco fa, era con Finn. Posso – posso accompagnarti da lei, se ti va.”, propose con calma, offrendogli un sorriso piccolo. Kurt cercò di racimolare i frammenti di ossigeno perduto, e anche i pezzi del suo cuore.
“Va – bene.”, balbettò, cercando di imitare il suo sorriso. Finì per mordersi il labbro inferiore talmente forte da farsi male, mentre seguiva Blaine in mezzo alla folla, verso il retro della casa di Santana.
E per qualche strana ragione, non sentiva più paura.
 
Rachel era seduta sul prato insieme a Finn, mentre erano concentrati nel guardare le stelle. Kurt sorrise nel vederli, contento di non aver interrotto nulla.
“Rach?”
Il viso minuto della sua amica si voltò di scatto, incredulo. “Kurt? Oh mio – non è un’allucinazione, vero? Sei davvero tu!”, disse contenta, sorridendogli ampiamente. “Sono così felice di vederti.”
“Sono solo di passaggio.”, si affrettò a chiarire Kurt, sorridendo appena anche a Finn, che accennò un saluto nella sua direzione. Era uno dei pochi ragazzi che non gli aveva mai buttato una granita in faccia. “Potresti – gli appunti, hai presente? Sono passato a prenderli.”
“Oh – oh!”, borbottò Rachel, in un improvviso moto di realizzazione. “Ma certo – ce li ho in macchina. Vado subito a prenderteli.”, disse, alzandosi di fretta. “Pensavo dovesse venire Mercedes a prenderli.”
“Ha la febbre, così sono passato io.”
“Beh, non fa male farti vedere in giro ogni tanto.”, gli disse dolcemente con un occhiolino. “Vieni con me, Finn?”, gli chiese lei, cominciando a incamminarsi verso la casa di Santana.
E così Kurt rimase lì, solo con Blaine, circondati da nient’altro che un prato e un cielo colmo di stelle. Si guardò attorno imbarazzato, convinto che Blaine si sarebbe congedato ora che avevano trovato Rachel – invece la sua voce calda lo fece sussultare appena.
“Devi tenerci davvero molto a quegli appunti se sei venuto qui solo per loro.”
Kurt si sentì arrossire. “Sono importanti per un compito di lunedì, e…c-ci tengo a matematica.”
Blaine annuì. “E’ la materia in cui vado peggio.”, borbottò con un sorriso divertito. “La Beiste mi ha minacciato di sospendermi dalle partite se non riesco a migliorare, pensa un po’.”
Kurt stava per dirgli – Ti aiuto io. Così, senza pensarci, perché non c’era bisogno che Blaine fosse allontanato dalla squadra solo per i suoi brutti voti. Ma non aveva il coraggio, così alla fine gli disse qualcos’altro.
“Non devi vedere la matematica come un ostacolo, la devi guardare come se fosse una sfida.”, mormorò. “E allora potrai solo lasciare che vinca lei, oppure impegnarti per vincere tu.”
Gli angolini della bocca di Blaine si alzarono verso l’alto. “Uhm – bel consiglio. Proverò a vincere questa sfida, allora, anche se la vedo dura.”
Kurt – semplicemente rise. E lo avrebbe fatto per molto altro tempo, se Rachel non fosse spuntata fuori. Gli porse gli appunti con un vago sorriso e Kurt li raccolse velocemente, salutando sia lei che Finn e tornando in casa, nel vivo della festa.
Improvvisamente, Kurt non era così sicuro di voler tornare a casa. Non per la festa di per sé, ma perché aveva trovato Blaine – e Blaine sembrava solo esattamente come lo era lui, e gli dispiaceva andarsene. O meglio, non voleva andarsene.
Blaine lo accompagnò fino alla soglia, e poi uscì con lui, le mani immerse nelle tasche e l’aria stanca, eppure tranquilla. “Torni a casa?”
“G-già. Le feste non fanno per me.”, ammise Kurt, sentendosi morire un pochino di più. Non riusciva a dirgli che voleva rimanere. Che voleva rimanere lì con lui, continuare a chiacchierare e conoscerlo – anche se per Blaine quello non voleva dire nulla. Prese comunque un bel respiro. “Mi…mi dispiace per Puck. Non – non pensare che sia uno stalker, solo – mi è capitato di sentire quello che dicevi al telefono prima. Non – non volevo, lo giuro. Ma mi dispiace.”
Un dolce sorriso stava giocando con le labbra di Blaine. “E’ okay, Kurt.”
Kurt.
Blaine sapeva davvero il suo nome. Lo sapeva senza che si fossero presentati – e okay, Kurt si sentì doppiamente stupido perché era normale lo sapesse, avevano seguito numerose lezioni insieme, ma era comunque qualcosa. E adorava il modo in cui lo pronunciava – veloce e semplice, arricciando la lingua attorno alla erre.
“E’ solo…non volevo nemmeno venirci, ma alla fine i miei amici hanno insistito tanto per cui sono arrivato e – nulla. Mi hanno dato buca.”
Kurt arricciò appena le labbra. Aveva ingenuamente sperato che in fondo, Blaine si dimostrasse uno stronzo. Sarebbe stato più facile allontanarsi da lui, smettere di pensarci giorno e notte – invece era un ragazzo dolce, sensibile e comprensivo, e Kurt aveva la sensazione che se fosse rimasto ancora qualche minuto con lui sarebbe scoppiato a piangere per quanto esattamente lo amava. Perché lo amava, nonostante lo conoscesse così poco e ci avesse parlato per una manciata di secondi. Lo amava quando lo osservava da lontano, e lo stava amando adesso, adesso che era lì a qualche passo da lui.
“Mi dispiace, Blaine.”, sussurrò, usando il suo nome per la prima volta. Io non ti lascerei mai solo, ripetè almeno mille volte nella propria testa. Poi fece un passo indietro. “C-credo che andrò, io – uhm, grazie per avermi aiutato con Rachel.”
“Di nulla.”, disse piano Blaine, sorridendogli appena. “E’ stato bello parlare con te.”
La voglia di piangere di Kurt aumentò. “A-anche per me. La festa è sembrata meno traumatica.”
Quello strappo un sorriso vivace a Blaine, ed era esattamente quell’immagine che Kurt si portò via quella sera – un bellissimo Blaine spensierato che aveva deciso di fargli compagnia. Si avvicinò con calma alla sua auto, quando sentì una voce chiamarlo.
“Kurt!”
Kurt deglutì. Si voltò; Blaine era a qualche passo da lui, gli occhi luminosi e dorati e grandi che inghiottivano tutte le luci attorno. Si strinse al petto i suoi preziosi appunti.
“Hai - tanta fretta di tornare a casa?”
Kurt non riuscì a parlare – si limitò solo a dire di “no” con la testa, senza capire nemmeno il perché. Blaine sorrise, mentre si avvicinava a lui con passi lunghi.
“Hai voglia di venire in un posto con me?”, gli chiese. Kurt non riusciva più a capire se stesse sognando, ma disse comunque di sì. Lo seguì in macchina facendo silenzio, sistemandosi al posto del passeggero e stiracchiando gli appunti sulle sue gambe, mentre le dita gli tremavano.
“Non su tu, ma ho una fame da lupi.”, ridacchiò Blaine, accendendo la macchina. “Il cibo a quella festa faceva schifo.”
Kurt lo guardò attraverso i suoi enormi occhiali, mentre Blaine faceva una piccola smorfia con le labbra.
Scoppiarono a ridere nello stesso medesimo istante.
 
Blaine lo portò da McDonald’s.
Guidò per una decina di minuti, e quando ci fu da svoltare gli disse soltanto – “Va bene qui?”, e Kurt disse di sì perché – beh, perché non aveva scelta, quello era Blaine. E si parlava pur sempre di McDonald’s.
Si misero in fila senza dirsi nulla, almeno fino a quando non mancarono un paio di clienti.
“Tu vuoi qualcosa?”, gli chiese Blaine dolcemente. Kurt si mordicchiò il labbro inferiore, sbirciando i menù che aveva davanti. Avrebbe volentieri preso quasi tutto, ma non voleva che Blaine pensasse chissà cosa di lui. Finì per scuotere la testa tentando di offrirgli un sorriso, quando la sua pancia brontolò a livelli indicibili, facendolo diventare rosso come un peperone.
Se la coprì all’istante, sperando che Blaine non avesse sentito nulla – anche se era chiaro che lo avesse fatto, visto che lo stava osservando con apprensione. “Avanti, prendi qualcosa.”, insisté. “Quello che vuoi.”
E Kurt non riuscì a dirgli di no.
Ordinò quattro nuggets e cadde nella tentazione del milkshake alla vaniglia, mentre Blaine ordinò per sé stesso due differenti menù con patatine extra. Kurt fu davvero felice di vederlo mangiare così tanto – significava che in qualche modo si sentiva a suo agio, e che ci teneva a mantenersi in forza. Presero posto vicino ad enormi finestre e Blaine cominciò a mangiare, gemendo ad ogni morso dei panini che aveva ordinato e spingendo le patatine verso Kurt. “Forza, prendile.”
Kurt sorrise vagamente, afferrandone un paio e mangiucchiandole con calma, mentre si perdeva ad osservare il modo in cui le ciglia di Blaine circondassero i suoi occhi.
E poi – iniziarono a parlare.
Fu qualcosa di graduale, nulla che avessero seriamente premeditato – ma Blaine spezzò il silenzio dichiarando amore eterno a McDonald’s, e da lì parlarono un po’ di tutto. Delle loro materie preferite, dei loro cibi preferiti – poi Blaine gli disse del Football, dell’amore innato che aveva per quello sport sin da quando era bambino, e Kurt non riuscì a trattenersi.
“Sono venuto alla partita, venerdì.” E anche a tutte le altre in cui hai giocato, lo sai? “Ed è stato…è stato fantastico. Quel punto che hai segnato alla fine - era impossibile! Pensavo non ce l’avresti fatta.”
Blaine lo guardava – sembrava rapito, gli occhi caldi. “Davvero c’eri?”, chiese piano.
“Sì.”, soffiò Kurt, sentendo le guance imporporarsi. “Mi piace venire a vedert- vedervi. Mi piace il football, in generale. Mio padre mi ha costretto a seguire con lui i campionati di ogni anno dal novantanove.”
“Tuo padre è il mio nuovo idolo.”, disse ridacchiando Blaine, mordicchiando una patatina. “Anche perché quelli erano gli anni migliori.”
Kurt raccolse un po’ del suo milkshake dalla cannuccia, aggrappandosi al bicchiere di plastica con entrambe le mani. “E’ il modo in cui non ci siamo persi dopo che la mamma se n’è andata.”, borbottò. Non sapeva nemmeno perché glielo stava dicendo. Blaine si fece improvvisamente più vicino, le loro spalle ora si toccavano.
“Mi…mi dispiace da morire.”, soffiò. “Deve mancarti tanto.”
Kurt annuì. “A lei il football non piaceva per niente.”, disse ridacchiando, e sentendosi ridicolo nello stesso istante. Tentò di sorridere a Blaine. “Scusa, uhm – non volevo rendere tutto così triste.”
“Non scusarti – va bene così.”, gli disse Blaine, gli angoli che si sollevavano verso l’alto. Kurt si affrettò a cambiare discorso. “Chiederai la borsa di studio per il football?”
“Può essere.”, mormorò, sedendosi meglio contro il divano. “In realtà…beh, lascia stare.”
Kurt aggrottò la fronte. “Ora lo voglio sapere.”
“Mi prenderai in giro a vita.”
“Non mi permetterei mai di prenderti in giro, Blaine.”, disse Kurt, nel tono di voce più caldo che riuscì a trovare. Vide le spalle di Blaine rilassarsi appena.
“Mi piacerebbe studiare musical.”, disse tutto d’un fiato, arricciando il naso verso la parte finale della frase. “Uhm – ci sono delle scuole, a New York. Però non so se ne sono sicuro.”
Kurt aggrottò la fronte. “Perché non ti unisci al glee? Mercedes e Rachel me ne parlano benissimo.”, gli disse. Lui scrollò le spalle, cercando i suoi occhi – e Kurt capì. Unirsi al glee significava essere sfigati. E per quanto Kurt potesse vedere quanto Blaine in realtà fosse diverso dagli altri ragazzi, era pur sempre un adolescente che a quelle cose ci teneva.
“Se ti piace davvero non ci rinunciare.”, soffiò Kurt, bevendo un altro sorso di milkshake. “Il futuro è una delle poche cose per cui vale la pena non fare scelte caute.”
Blaine lo guardò attentamente, finendo per sorridere. Si avvicinò lentamente al suo bicchiere che conteneva il milkshake, avvolgendo le labbra attorno alla cannuccia per rubargliene un po’ e ridacchiare. “Grazie.”, disse sbattendo dolcemente gli occhi, e Kurt lo spinse via giocosamente, sentendosi a suo agio come non succedeva mai con nessuno, nemmeno con le sue amiche più strette.
“Tu che fai di bello nel tempo libero?”
Kurt si bloccò di colpo, un mondo di risposte che minacciavano di tradirlo. Sorrise appena, rannicchiandosi contro il divano e sentendosi – incredibilmente strano, incredibilmente diverso. Deglutì. “Guardo serie TV.”, soffiò. Ebbe paura di doverlo ripetere. Si mordicchiò il labbro inferiore, pronto a sentire la risata incredula di Blaine – non accadde nulla di tutto quello.
Vide due singole dita di Blaine posarsi sul ponticello dei suoi occhiali, spingendoli su, verso la radice del naso delicatamente. Così, Kurt potè vedere chiaramente il suo sorriso.
“Non c’è nulla di cui tu ti debba vergognare.”, gli disse pianissimo, facendogli perdere mille battiti di cuore. Kurt si rilassò, sentendo lo stomaco ingarbugliato alleggerirsi e finendo per sorridergli di rimando.
“Allora, hai voglia di parlarmene?”
E Kurt naturalmente, disse di sì.
 
Era quasi mezzanotte quando Blaine lo riportò alla macchina – le luci della casa di Santana erano ancora accese, ma rispetto a prima c’erano molte meno macchine, e meno ragazzi che popolavano il giardino.
Blaine lo accompagnò fin davanti alla portiera, le mani infilate nelle tasche e l’aria vagamente sorridente mentre Kurt non sapeva più in che condizioni era la sua faccia – non era mai arrossito così tanto, e si chiedeva se ci fosse un limite di rossore in un essere umano.
“Grazie della bella serata.”, disse sinceramente Kurt, concentrandosi su un punto casuale della strada per non dover guardare i suoi occhi. Sapeva di sembrare ridicolo, ma non voleva nemmeno rovinare tutto proprio sul finale.
“E’ andata in modo completamente diverso da come mi ero aspettato.”, ammise Blaine, sembrando sinceramente sorpreso da quello, e anche vagamente felice. Kurt finì per cadere nella trappola e lo guardò di sfuggita, il cuore che scartava un battito. Sapeva che a scuola Blaine avrebbe fatto finta di non conoscerlo – era popolare, aveva un sacco di amici che lo consideravano il loro leader e giocava come quaterback nella squadra di football, perché avrebbe dovuto rimanergli amico?
“Già. È stato divertente quasi come guardare una serie TV che mi piace.”, borbottò Kurt, rendendosi conto troppo tardi che lo aveva detto ad alta voce. Blaine alzò un sopracciglio, facendo un passo verso di lui per dargli una spallata giocosa.
“Quasi, eh?”, borbottò, fingendo di essere offeso. Kurt ridacchiò, portandosi due singole dita davanti alle labbra e sistemandosi poi gli occhiali che come al solito erano leggermente scivolati.
“Beh, immagino – anche per te, insomma. Mancavano i tuoi amici. E poi –”, stava parlando troppo, ma non riusciva a fermarsi. “Forse sarebbe stato meglio per te avere – non lo so, una ragazza. È normale.”
Gli occhi di Blaine si incupirono appena, il suo sorriso si spense. “Non sono un grande fan della compagnia delle ragazze.”, disse appena, sbattendo velocemente le palpebre mentre il suo corpo si chiudeva leggermente.
Oh.
Oh –
Kurt si chiese come avesse fatto a non notarlo prima. Forse perché una parte di lui voleva rimanere cieca, ma – dal modo in cui Blaine aveva reagito e gli aveva risposto, sembrava che fosse esattamente come lui.
Non se la sentì di indagare, ma annuì.
“Posso capirti.”, disse piano, mordicchiandosi il labbro inferiore. Estrasse le chiavi della macchina, indicandola con un gesto vago. “Penso che – è meglio che vada. Mio padre ha blaterato qualcosa sull’orario del coprifuoco e – non voglio si preoccupi.”
“Certo.”, mormorò dolcemente Blaine. A Kurt quasi cadde la mascella, quando gli aprì con un gesto fluido la portiera della macchina. “Guida con prudenza.”
“C-certo.”, balbettò Kurt, prendendo posto mentre respirava con calma. “Uhm – grazie per – per tutto, Blaine.”
“Grazie a te.”, sussurrò lui, apparendo così bello sotto il cielo stellato di fine Settembre. “Ci…ci vediamo a scuola, va bene?”
Kurt avrebbe voluto dirgli – Ma certo, è il mio sogno da una vita intera. Ma sapeva anche che quello era l’unico sprazzo di Blaine Anderson che avrebbe mai avuto, e che avrebbe dovuto tenerselo stretto e non lasciarlo scivolare via mai più.
 
Quando tornò a casa, Kurt trovò suo padre intento a guardare la Tv con una coperta sulle ginocchia e il suo immancabile cappellino che gli copriva la fronte. “Hai superato la mezzanotte di qualche minuto.”, borbottò con un sorriso. “Dovrei metterti in punizione.”
Kurt aveva voglia di alzare gli occhi al cielo. “Mi dispiace. Alla fine – beh…non sono nemmeno stato alla festa. È complicato.”
Kurt vide il corpo di suo padre ruotare completamente verso il suo, e si sentì in dovere di raccontargli per lo meno qualcosa – era pur sempre suo padre, l’unica persona che c’era sempre stata per lui.
“Ero…ero con un ragazzo.”
Gli occhi di Burt si illuminarono. “E…?”
“E niente, papà. Lui – lui è bellissimo, capisci? Di quella bellezza che ti fa male allo stomaco, ma è anche un giocatore di football, ed è popolare, e…non potrebbe mai notare qualcuno come me. Insomma, mi hai visto?”
Burt sbuffò leggermente. “Faccio finta di non aver ascoltato l’ultima parte della frase. A parte il fatto che questo – questo ragazzo bello da far venire male allo stomaco, uhm…giochi a football, no? Sappiamo anche in che altra squadra gioca, o…?”
A Kurt venne da sorridere. “Negativo. Anche se ho avuto – non lo so, la sensazione che fosse così…così gentile con me stasera. Ma forse non mi sono inventato tutto e magari – magari ha la ragazza.”
Gli occhi di Burt si addolcirono appena. “Indipendentemente da ciò che preferisce, Kurt, tu – hai bisogno di un amico. Tutti ne abbiamo bisogno. E non sarebbe male avere un amico come questo – questo –”
“Blaine.”, soffiò Kurt.
“Sei diventato più rosso dei peperoni che ci porta sempre la nostra vicina.”
“P-papà!”, quasi grido Kurt, facendo qualche passo indietro. “Non – non è vero, io – lascia perdere okay? Me ne vado a letto che sono stanco. Buonanotte.”, borbottò, avvolgendo il proprio stomaco con le braccia e correndo al piano di sotto.
Si gettò sulle coperte, rendendosi conto che per la prima volta dopo tanto tempo aveva voglia di scoprire cosa gli riservava il futuro.
 
*
 
Kurt non si aspettava niente da quel soleggiato lunedì mattina.
Camminava per i corridoi cercando di rimanere più invisibile che poteva, nel cuore quel frammento che Blaine gli aveva dato che cercava di tirare fuori ogni volta per i corridoi sentiva sibilargli contro nomi che lo deridevano. Nessuno avrebbe toccato quella manciata di ore – nessuno avrebbe toccato quel poco che Blaine aveva deciso di dargli.
Non lo vide mai le prime ore del mattino – e a mensa, come sempre, scelse un posto che era vicino alle finestre, lontano dalla squadra di football. Stava sgranocchiando una foglia di insalata, quando con la coda dell’occhio intravide un’ombra accanto a se.
“Come mai qui tutto solo?”
Kurt alzò lo sguardo, rischiando di avere un mancamento. C’era Blaine. Blaine con la divisa dei Titans, Blaine che era davvero bello da far male, con quegli occhi colorati come le foglie d’autunno.
“Beh, uhm…”
“Dai, scherzavo. Se hai voglia di un po’ di compagnia posso sedermi – devi finire di raccontarmi cosa succede a Belle dopo che arriva nel castello di Tremotino.”
Kurt era quasi convinto che tutto quello fosse un sogno. Un meraviglioso, incredibilmente realistico, fantastico sogno – e continuò a pensarlo anche quando Blaine prese posto accanto a lui, i loro fianchi e le spalle che si sfioravano appena.
Il corpo di Kurt si rilassò all’istante – e si perse nel sorriso di Blaine, mentre gli raccontava una favola.
 
*
 
Non fu un sogno.
E più di ogni altra cosa, quella realtà non si dissolse.
Blaine continuò a cercare il suo tavolo ogni giorno durante l’ora di pranzo, sedendosi accanto a lui e destando l’incredulità in tutte le persone che li circondavano. Divenne una specie di abitudine, come quella di salutarsi tra i corridoi e scambiarsi qualche parola prima che cominciasse la giornata, e sorridersi di tanto in tanto, fregandosene del mondo.
Ogni giorno, Kurt aspettava l’ora di pranzo con sempre più trepidazione – i suoi nervi riuscivano a distendersi solo quando Blaine compariva con il suo sorriso sghembo e bellissimo, l’aria di un ragazzo che vuole solo farti del bene. E parlavano – parlavano tantissimo in verità, di qualsiasi cosa venisse loro alla mente.
E un giorno, Kurt ebbe l’opportunità di fare qualcosa in più.
 
*
 
Stava svoltando l’angolo di un corridoio quando sentì forte e chiara la voce della Beiste, la coach di football del McKinley. Si strinse automaticamente i libri al petto, perché la voce della Beiste poteva fare paura a qualsiasi persona sulla faccia del pianeta, anche se dicevi di essere l’uomo più coraggioso di sempre.
Stava rimproverando Blaine.
“Non posso tenerti nella squadra finchè i tuoi voti non toccano nemmeno la sufficienza. Prima matematica, adesso anche biologia –”
“E’ stato un voto.”, mormorò Blaine, abbassando la testa bruscamente. “Posso migliorare. Posso farcela –”
“E’ due anni che me lo dici per matematica, Anderson. La situazione non è mai cambiata. C’è bisogno che te lo dica, o sai già che con questi voti non puoi nemmeno sperare di prendere la borsa di studio per il college?”
Il cuore di Kurt precipitò da qualche parte nello stomaco.
“L-lo so.”, balbettò Blaine. “Le prometto – le prometto che migliorerò.”
Il viso della coach si addolcì. “Blaine – io lo so che sei uno che lavora sodo. E sei il mio giocatore migliore, non te l’ho mai nascosto. E’ solo – questi sono ostacoli che devi superare da solo. So che puoi farcela.”
La Beiste si allontanò dopo una piccola pacca sulla spalla che destabilizzò Blaine di qualche centimetro. Kurt lo osservò per qualche secondo da lontano, la sua schiena ricurva e gli occhi infinitamente scuri – si avvicinò con qualche passo deciso, e nemmeno riflettè prima di parlare.
“Ti posso aiutare io.”, disse con cautela, non osando toccarlo ma stringendo le punte sbeccate dei suoi libri in modo maniacale. “Davvero, Blaine.”
Blaine alzò lo sguardo verso di lui, sembrando confuso e sorpreso.
“Non – non volevo origliare, stavo solo…ero proprio lì e ho sentito tutto e – lo sai che me la cavo, sia in matematica che in biologia. Posso aiutarti.”
Blaine sembrava non capire. “Non voglio importi una cosa del genere.”
“Ma io voglio.”, disse con certezza Kurt, avvicinandosi di un piccolo passo con una voglia immensa di abbracciare quel ragazzo, anche se sapeva di non potere. Deglutì. “Va bene chiedere aiuto a volte, Blaine.”, sussurrò con cautela. “E sarebbe vantaggioso anche per me – potrei aspirare a prendere un voto ancora più alto della A.”
Blaine scoppiò a ridere a quel punto, delle adorabili fossette che nacquero attorno ai suoi occhi dorati e luminosi. Piano piano la sua risata si spense, lasciando il posto ad un’espressione seria e quasi concentrata.
“Sei così speciale, Kurt.”, disse pianissimo, sembrando perduto nei lineamenti del suo viso. Kurt si bloccò di colpo – le sue dita si attorcigliarono quasi spasmodicamente attorno al nulla, il respiro fermo nella gola. Suonò la campanella, e Blaine gli sorrise appena.
“Grazie, okay?”, gli disse con dolcezza. “Magari dopo la lezione ci mettiamo d’accordo.”
Blaine corse via lungo i corridoi, lasciando Kurt lì, immobile tra le classi, mentre altri ragazzi lo scartavano passandogli di fianco.
Sei così speciale, Kurt.
I libri gli caddero dalle mani, sbattendo a terra e distribuendosi in disordine ai suoi piedi con un tonfo.
 
*
 
Si accordarono per vedersi in biblioteca almeno due volte a settimana per le ore che Blaine riteneva giuste: il loro patto era che a quota due esercizi giusti avrebbero bevuto un caffè, a tre avrebbero fatto merenda e a cinque potevano smettere di studiare.
Il primo giorno fu un disastro, ma non tanto perché Blaine fosse stupido, ma perché si ostinava a credere di esserlo. Guardava ogni esercizio come se fosse un mostro proveniente dalle catacombe di una città abbandonata, scarabocchiando qualche soluzione e poi lasciandolo lì, ridacchiando quasi istericamente dicendo di essere un totale imbranato. E Kurt aveva quasi voglia di colpirlo per fargli notare che il blocco era tutto nella sua testa – che spesso ogni blocco è nella nostra testa – e che con un po’ di coraggio in più sarebbe riuscito a superare il tutto.
Il secondo giorno provò un approccio diverso. Riguardarono insieme la teoria di ogni esercizio partendo da quelli di base e aggiungendo con calma sempre qualcosa di nuovo, e piano piano Blaine smise di lamentarsi e iniziò a risolvere la maggior parte degli esercizi anche in poco tempo, grazie all’aiuto di Kurt.
“Ecco, adesso sottrai questo parziale a x, e poi ottieni il risultato.”, soffiò Kurt a un certo punto. Blaine aveva messo il broncio perché quel particolare problema non gli veniva, ma quando fece ciò che gli aveva detto Kurt le sue labbra di distesero in un sorriso. “Ho capito!”, disse ridacchiando, scrivendo la soluzione. “Ma come – come fai a rendere tutto così semplice?”, gli chiese tutto d’un fiato, senza smettere di ridere. Kurt appoggiò il mento al palmo della mano, rimanendo ad osservare Blaine con il cuore che scartava almeno mille battiti.
“Forse perché non tutto è così complicato come sembra.”
Gli occhi dorati di Blaine scivolarono nei suoi per qualche secondo – le sue gote erano straordinariamente arrossate. “Possiamo farne un altro?”, chiese, e Kurt aveva voglia di ridere, perché la volta prima era lui ad implorare Blaine di fare un altro esercizio, ed ora era esattamente il contrario.
 
*
 
Nel giro di un mese, Blaine riuscì a recuperare tutto il programma della terza, fondamentale e propedeutico per gli argomenti che stavano affrontando adesso, nel loro ultimo anno. A breve avrebbe avuto una verifica ed era molto agitato, e forse era per quello che quel giorno non riusciva proprio a venire a capo di un esercizio. Kurt sorrise.
“Non pensare troppo alle conseguenze. È un compito come un altro.”
“Sono fuori dalla squadra se non prendo almeno una B, Kurt.”, soffiò Blaine, crollando sui libri e sembrando sconsolato. Kurt si morse il labbro inferiore.
“Senti – ti aspetto fuori dall’aula domani, va bene?”, gli chiese piano. “Così appena finisci puoi dirmi com’è andata e controlliamo insieme i risultati.”
“Mi farebbe stare meglio.”, borbottò Blaine, concedendogli un sorriso piccolo. “E’ solo – senza di te non so se posso farcela.”
Kurt prese un bel respiro, racimolando più ossigeno che poteva. “Certo che puoi.”, sussurrò. “Negli ultimi tempi non ti ho mai aiutato veramente, hai sempre fatto tutto da solo.”
Blaine non sembrava convinto. Ruotò il capo per osservare per l’ennesima volta l’esercizio, e dal nulla il suo corpo ebbe un piccolo scatto. “Ma certo, si fa così!”, esclamò, prima di sviluppare qualche breve passaggio ed arrivare alla conclusione. Kurt lo guardava con il cuore che scoppiava d’orgoglio.
“Visto, non è così difficile –”
Le sue parole vennero interrotte dall’abbraccio di Blaine, che scavalcò il suo corpo tenendolo stretto per breve tempo mentre riempiva le sue orecchie di una dolce risata. “Non ho idea di come farei senza di te.”
Già, pensò Kurt, sentendo di morire tra quelle braccia.
 
*
 
Kurt faceva avanti indietro nel corridoio, mentre Blaine era alla lezione di matematica in cui la professoressa avrebbe riconsegnato i compiti corretti. Si sentiva ancora più agitato di qualche giorno prima, quando Blaine aveva effettivamente svolto il compito ed era uscito con il volto devastato, perché – Non sono proprio riuscito a farne uno, Kurt, mi dispiace così tanto.
E Kurt non ci aveva nemmeno pensato due volte, lo aveva abbracciato di slancio e gli aveva detto che non faceva niente e che era certo che avrebbe preso un buon voto comunque, e Blaine piano piano si era calmato.
Quando la campanella suonò il cuore di Kurt gli schizzò nella gola. Vide i primi ragazzi uscire con un foglio in mano e fece qualche passo avanti per scorgere Blaine – quando lo vide, si perse nel suo minuscolo sorriso. Non disse nulla, si limitò ad alzare il foglio verso di lui che mostrava una piccola, sbilenca B+ proprio sull’angolo destro.
Kurt lasciò andare il fiato. “Oh – oh mio dio, Blaine –”
Blaine scoppiò a ridere, annullò la loro distanza e lo abbracciò con così tanta forza da destabilizzarlo. “Grazie.”, soffiò vicino al suo orecchio, e Kurt stava quasi per cedere e dirgli che lo amava da quando era un ragazzino senza sogni, da quando lo aveva visto quella prima volta agli allenamenti e la sua vita fatta di fantasia era cambiata. Lo strinse un pochino più forte, si morse le labbra.
“S-sono così fiero di te.”, pigolò semplicemente.
 
*
 
Era stata una mattinata ricca di emozioni, e francamente Kurt non vedeva l’ora di andare a casa ed ascoltare un po’ di musica per staccare un po’, mentre magari avrebbe ripensato alle braccia di Blaine attorno al suo busto –
Improvvisamente, non vide più nulla. Il suo paio di occhiali gli venne sfilato dal naso e Kurt mosse alla cieca le mani in avanti, sentendo solo delle potenti risate riempirgli le orecchie.
“Questo è perché hai creduto che l’amicizia con Blaine ci abbia addolciti.”, borbottò la voce di Puck. Kurt sentì chiaramente qualcosa infrangersi per terra, e poi il suono di vetri che venivano spezzati. Altre risate gli si infransero sulla pelle come pioggia, e ben presto capì di essere rimasto solo nel parcheggio. Si inginocchiò per terra, gli occhi che pizzicavano, mentre con le dita cercava di recuperare quello che era rimasto dei suoi occhiali. Un piccolo singhiozzo abbandonò le sue labbra, proprio mentre sentiva una mano calda posarsi sulla schiena.
“Ti aiuto io –”, disse una voce fin troppo familiare, ma Kurt non aveva voglia di farsi compatire – aveva solo voglia di scomparire e piangere. “Te li raccolgo io, ci sono vetri rotti e potresti ferirti –”
“Lasciami in pace, Blaine.”, sbottò Kurt, spingendolo via alla cieca e abbassando bruscamente lo sguardo, sentendosi così infinitamente piccolo e ridicolo da far male. “Va’ pure dai tuoi amici –”
“Kurt, io – non sapevo cos’avessero intenzione di fare. Mi dispiace. Sono uscito e ho visto che –”, Kurt sentì che la sua voce si spezzò leggermente. “Ti giuro che mi dispiace.”
Kurt si chiuse le mani attorno alla pancia, quasi come se dovesse tenere insieme tutti i suoi pezzi. “E’ solo che pensavo –”, singhiozzò, odiando il fatto che non vedeva nulla, odiandosi, odiando ogni cosa, “Di non essere più s-solo.”
Si chiuse le mani sul viso per sfogarsi e piangere, un moto di vergogna che lo invadeva per non riuscire a trattenersi per lo meno di fronte a Blaine – per un attimo desiderò che se ne andasse, ma l’istante dopo si rese conto che avrebbe solo voluto che lo stringesse più forte che poteva. Nient’altro.
Sussultò quando sentì una mano appoggiarsi contro la sua spalla; il tocco fece un po’ di pressione e presto Kurt si ritrovò adagiato a qualcosa di caldo. L’incavo del collo di Blaine.
“Non sei più solo.”, gli disse dolcemente, mentre con l’altra mano disegnava cerchi sulla sua schiena per calmarlo. “Ci sono io con te.”
E Kurt a quel punto si lasciò andare. Non ci pensò nemmeno, in realtà – il suo corpo si sciolse contro quello di Blaine mentre con le mani cercava la sua casacca di football e la stringeva forse con fin troppa forza. E Blaine lo tenne lì, stretto, accarezzandogli i capelli di tanto in tanto come se fosse qualcuno da cullare, completamente soli in quel parcheggio ormai deserto.
A un certo punto Blaine allungò le mani per recuperare gli occhiali ormai distrutti. Li lasciò cadere sui palmi di Kurt, che sbattè le palpebre completamente smarrito.
“M-mi sento così vulnerabile quando non vedo niente.”, ammise senza pensarci, e tirando su con il naso.
“E’ okay. Vedo io per te.”, mormorò Blaine, circondando il suo corpo con le braccia e aiutandolo a sollevarsi. Lo scortò fino al posto passeggeri del suo SUV, e senza nemmeno porsi il problema Kurt gli diede le chiavi della sua auto perché si fidava, e in mezzo a un mondo offuscato lo vide sedersi al posto del guidatore.
“Solo – ci penso io adesso, okay? Fidati di me.”, borbottò Blaine, accendendo la macchina. Cominciarono a muoversi, e Kurt si fidò talmente tanto che smise di piangere, e si concesse anche il lusso di addormentarsi.
 
Quando Kurt riaprì gli occhi sentì allo stomaco quella tipica sgradevole sensazione di chi si è addormentato in macchina in una posizione poco comoda – ma in ogni caso, ben presto sentì una voce calda e familiare.
“Sei sveglio.”, mormorò piano Blaine. “Scusa se non ti ho svegliato io – non me la sentivo.”
Kurt ebbe una fitta allo stomaco al pensiero che Blaine era rimasto lì tutto quel tempo sorvegliandolo e in qualche modo tenendolo al sicuro. Si mise meglio al sedere, cercando di capire dove si trovavano, ma dal finestrino riusciva a intravedere solo un edificio e il cielo grigio di quel pomeriggio. Si morse le labbra.
“Ti ho portato in un centro commerciale.”, borbottò Blaine, e anche se Kurt non riusciva a vedere nitidamente il suo viso, sentì chiaramente la timidezza nella sua voce. “Ti va di fare un giro con me?”
Kurt si ritrovò a sorridere, senza sapere cosa dire. Blaine venne ad aprirgli e improvvisamente una mano calda era nella sua, stretta e indelebile, mentre Blaine lo trascinava dentro il centro commerciale senza lasciarlo andare – Di me puoi fidarti, lo sai.
E Kurt – Kurt si fidò.
 
“Voglio che scegli quello che ti piace di più.”
Blaine gli aveva detto che quello era un negozio di occhiali, e che si era accordato con il medico di pagarli il paio che più gli sarebbe piaciuto.
“Non posso – non li accetterò, Blaine.”
“Ti prego – i miei amici hanno combinato questo disastro. Lascia che faccia questo per te.”
Kurt alzò gli occhi al cielo, e alla fine accennò un minuscolo sì e si diresse verso il medico con l’aiuto di Blaine, e cominciò a provare diverse paia di occhiali. Kurt li fece vedere a Blaine man mano che li provava, uno per uno, sorridendogli appena e sentendo di arrossire quando Blaine gli diceva che stava bene – senza problemi, di fronte alle commesse e al medico.
Scelse un paio di occhiali forse troppo grandi, leggermente larghi sul naso e neri proprio come quelli di Harry Potter. Blaine ridacchiò quando gli disse che era quella la sua scelta – fece un passo verso di lui, glieli sistemò meglio sul nasino con due dita.
Kurt lo abbracciò stretto quando uscirono dal negozio, ed ebbe l’impressione che nemmeno Blaine avesse voglia di lasciarlo andare.
 
In un bar, di fronte a un frappè che era grande quasi quanto loro e che stavano dividendo, Kurt si lasciò andare.
“Vorrei tanto entrare nelle cheerleader in realtà, lo sai?”
Blaine alzò un sopracciglio nella sua direzione, attaccando le labbra alla cannuccia mentre un filoncino di frappè alla fragola si infrangeva sulle sue labbra.
“Lo so che è – è tipicamente femminile. Forse mi renderei solo ridicolo. Solo…è qualcosa che vorrei fare da sempre. Sembra divertente dagli spalti. E solo – non lo so.”
Blaine sorrise vagamente. “Se ti piace davvero non ci rinunciare.”, soffiò Blaine, alzando un sopracciglio in maniera eloquente. Qualcuno una volta mi ha detto che il futuro è una delle poche cose per cui vale la pena non fare scelte caute.”
Kurt rischiò di farsi andare il frappè di traverso. Ed era sul punto di dirglielo – Tu non sei decisamente una delle mie scelte caute, Blaine Anderson, e ti amo dal primo momento che ti ho visto. Ma non disse nulla, preferì nascondersi dietro i suoi giganteschi occhiali.
Vide Blaine sorridere. “Ti va di fare un po’ di shopping?”
E Kurt semplicemente – si illuminò. Perché dove puoi trovare un ragazzo così maledettamente dolce, che ti propone addirittura di fare shopping?
 
Blaine era molto più pignolo ed esigente di quanto Kurt avesse immaginato. Girarono per diversi negozi, ed ogni volta che Kurt vedeva qualcosa di carino gli proponeva di fermarsi e provarlo – ed ogni volta gli dava giudizi sinceri e per lo più negativi, che facevano precipitare leggermente il cuore di Kurt.
Inevitabilmente, finì per tenergli il broncio dopo il terzo negozio, e Blaine se ne accorse decidendo di dargli una spallata giocosa. “Ehy.”, soffiò pianissimo. “Cosa c’è?”
Kurt si morse distrattamente il labbro inferiore, desiderando di scomparire dietro i suoi occhiali. Anzi, scomparire del tutto. “Non è niente. Lascia stare.”
“Kurt.”, mormorò Blaine, bloccandolo avvolgendo il suo polso destro con cautela. “Dimmelo.”
Kurt non riuscì a guardarlo negli occhi. “Seistatocosìcattivo.”, borbottò tutto d’un fiato, sentendosi stupido a un livello che non credeva nemmeno possibile.
E Blaine – Blaine si sentì colpito a fondo, perché come si poteva fare del male a una persona come Kurt, una persona così pura e dagli occhi incontaminati. Si avvicinò cautamente. “Non – non volevo fare lo stronzo.”, disse dolcemente. “E’ solo…tu sei – sei carino.”, mormorò, sentendo le sue guance imporporarsi appena e ringraziando il fatto che Kurt stesse ancora guardando per terra. “E secondo me dovresti metterti qualcosa che valorizzi il tuo corpo. Sei – sei alto, molto più alto di me, e longilineo. Non sto dicendo che stai male con le tute. Sto dicendo che con qualcosa di diverso saresti…” – perfetto. Ancora più bello. Tutto quanto.
Kurt tentò un’occhiata fugace ai suoi occhi. “C-cosa mi consigli?”
Blaine a quel punto si sciolse in uno sghembo sorriso. “Vieni con me.”
 
Un’ora più tardi, Kurt aveva provato almeno mezzi capi di abbigliamento che avevano trovato in uno dei negozi che apparentemente a Blaine piacevano di più – cominciarono da maglioncini meno grandi e che gli fasciavano le spalle più dolcemente, jeans aderenti ma comunque comodi, magliette con qualche scritta e cardigan lunghi che valorizzavano le sue gambe.
Ogni volta che usciva dal camerino, Blaine gli sorrideva in modo diverso. E Kurt poteva dire con certezza di essersi innamorato di ogni tipo di sorriso – da quello che nasceva con stupore, a quello enorme, a quello divertito.
A un certo punto Kurt ebbe bisogno di aiuto con il colletto di una camicia e Blaine gli si avvicinò sistemandoglielo. “Visto, non è così difficile.”, mormorò, le dita che passavano sulle sue spalle. “E pensa a quanto ti sentirai a tuo agio, a scuola. Cambiare fuori aiuta a cambiare dentro un pochino.”
Kurt capiva dal modo in cui Blaine lo diceva che non era quello l’importante. E lo sapeva perché Blaine lo aveva guardato prima nello stesso modo in cui lo stava guardando adesso, i vestiti non cambiavano. Lo stava facendo per Kurt, un modo tacito di dirgli Coraggio, puoi essere più forte se lo vuoi – e Kurt si lasciava maneggiare come argilla.
Il profumo di vaniglia e menta di Blaine quasi lo stordiva, e lui non accennava a muoversi, e per la prima volta da quando si erano conosciuti erano vicini a portata di bacio, e Kurt pensò per un nano secondo che poteva provarci – in un nano secondo succedono così tante cose, ci sono così tante reazioni chimiche e connessioni – e lui avrebbe potuto baciarlo, ma allo stesso tempo non voleva rovinare tutto. Così fece un passo indietro.
Non sapeva dire se il cipiglio che nacque sul volto di Blaine fosse di delusione.
 
Blaine lo trascinò anche in un negozio di cosmetica – poteva essere imbarazzante da un lato, ma Kurt si rese conto che lo aveva fatto solo per cercare uno specchio.
“Un’ultima cosa.”, mormorò, posando le dita sulle sue spalle per sistemare meglio il suo corpo di fronte allo specchio. “Voglio iniziarti alla più grande e importante scoperta di tutti i tempi, il gel per capelli.”
Kurt si concesse di alzare gli occhi al cielo.
“Non devi metterne troppo. Io uso la quantità necessaria per domare appena i miei ricci – se li lascio senza vuol dire che o sono depresso, o che ho preso una pacca sulla testa bella forte. Tieni.”, mormorò Blaine, passando a Kurt un tubetto di prova che trovò lì vicino. “Hai dei bellissimi capelli lisci, però secondo me…proprio sul ciuffo, aspetta –”
Blaine armeggiò con una puntina di gel per sistemare il ciuffo di Kurt che gli ricadeva mollemente sulla fronte verso l’alto. Era piuttosto lungo, quindi creò un’onda ben delineata e quasi artistica. Kurt sussultava ogni volta che Blaine gli passava le dita tra i capelli – era una sensazione bellissima e rilassante, e lo faceva stare bene. Quando Blaine si staccò vide i suoi occhi illuminarsi appena.
“Wow.”, balbettò, e Kurt naturalmente non capì. Cosa poteva cambiare di così fondamentale se al posto di tenere i capelli giù li acconciava in una semplice onda? Provò a dare un’occhiata allo specchio, e –
Oh. Capì.
Non che si fosse mai ritenuto un ragazzo carino, perché secondo lui semplicemente non lo era. Punto. Però – c’era qualcosa di diverso, qualcosa di più audace e adulto, che fece sentire Kurt – qualcuno. Qualcosa. Ed era una bella sensazione.
Blaine gli rimise le mani sulle spalle, si concesse un bel respiro, e i loro occhi si incontrarono nello specchio. “Visto?”, chiese pianissimo. “E’ tutto dentro di te.”
 
*
 
Il mattino dopo, Kurt salì le scale da camera sua con i vestiti nuovi che aveva preso insieme a Blaine, i capelli acconciati perfettamente con la lacca (non avrebbe mai usato il gel, se lo giurò solennemente) e un piccolo sorriso consapevole a completare il tutto.
Suo padre risputò il caffè che stava bevendo nella tazza.
“Io vado, okay papà?”
“Uh – sì, cioè – ma da dove vengono tutti quei – stai molto bene.”
In ogni caso, Kurt era già uscito di corsa.
 
*
 
A scuola, ragazzine che non lo avevano mai notato ruotarono il capo verso di lui rischiando di farsi venire il torcicollo. Qualche cheerleader gli sorrise persino, indicandolo poi tra la folla e chiedendo chi fosse.
I giocatori di football non si avvicinarono, e qualcuno che lo fece comunque si ritrasse non riuscendo a riconoscere chi fosse quel famigerato nuovo arrivato. Probabilmente lo capirono grazie a Mercedes e Rachel, che lo riconobbero senza difficoltà tra la folla e gli fecero i complimenti – nessuno gli aveva mai fatto i complimenti per nulla, e Kurt si sentì così speciale. Ed era tutto grazie a Blaine.
Quando si intravidero da lontano, un largo sorriso colorò i volti di entrambi.
In mensa, dove erano soliti rimanere da soli, si sedettero alcune ragazze accanto a loro, chiedendo a Kurt dove aveva acquistato quei suoi occhiali e chiedendogli addirittura consigli.
Blaine lo guardava con così tanta ammirazione da sentire lo stomaco bloccato – perché lui sapeva che Kurt era speciale, era sempre stato speciale, e lui lo aveva saputo dal primo momento.
“Prova a fare le audizioni per diventare cheerleader.”
Kurt mordicchiò un pezzo di carota. “Non – non lo so se sono pronto.”
“Certo che lo sei.”, mormorò Blaine. “Ci vengo – ci vengo anche io se vuoi. Per fare il tifo per te.”
Esattamente come Kurt c’era stato per il suo compito di matematica.
“Dici sul serio?”, chiese Kurt, gli occhi blu che brillavano dietro i suoi occhiali enormi. E Blaine disse di sì – sempre e solo sì.
 
*
 
Kurt non aveva mai avuto così tanta paura di qualcuno come in quel momento temeva nel profondo Sue Sylvester. Giravano strane voci su di lei, e storie su cui Kurt non aveva voluto indagare, come ad esempio l’accaduto di qualche anno prima: si diceva che avesse chiuso un gruppo di cheerleader nello spogliatoio e le avesse spaventate mettendosi una maschera solo per convincerle a ballare meglio. Da quello che Mercedes e Rachel gli raccontavano, era molto ostile nei confronti del glee club – e con molto ostile significava che spesso lanciava addosso ai membri piccoli rametti, infilava della terra concimata nei loro armadietti e distruggeva spesso i loro strumenti musicali.
Comunque.
“Mi chiamo Kurt Hummel e farò l’audizione per…”, Kurt cercò gli occhi di Blaine sugli spalti, che gli sorrise dolcemente, incoraggiandolo. “Per il ruolo di Cheerleader.”
Sue alzò un sopracciglio, la bocca leggermente corrucciata in una smorfia. “Mi piacerebbe chiederti se sei fatto interamente di porcellana, ma ho troppa fretta. Quindi vedi di muoverti.”
Uhm – molto bene.
Kurt pensò di partire dalle cose semplici, facendo vedere alla coach le poche mosse che sapeva fare – poi aveva preparato un minuscolo numero di Madonna, che a quanto pare la coach apprezzò. A fine canzone Kurt era quasi certo che avesse gli occhi lucidi.
“S-sei fortunato che mi piace Madonna.”, grugnì lei. “E adesso fuori di qui. Ti farò sapere entro la fine dell’anno.”
Entro la fine dell’anno
Kurt rinunciò definitivamente a capirla, e si diresse verso gli spalti, dove Blaine lo aspettava con un sorriso così grande da fare male allo stomaco – Kurt non riuscì nemmeno a guardarlo troppo a lungo, perché era quasi certo che sarebbe arrossito. Blaine se lo trascinò sulle gambe e risero appena.
“Non me lo avevi detto che avevi una voce così bella.”
Kurt deglutì. “E’ la mia arma segreta.”, soffiò pianissimo. Accartocciò le dita attorno al maglioncino di Blaine – aveva così tanta voglia di baciarlo, di essere suo, di lasciarsi andare e smettere di trattenersi ogni volta che erano insieme.
“G-grazie di esserci stato oggi.”
Blaine cercò per un solo momento i suoi occhi. “Sempre.”
 
*
 
Con Dicembre arrivò anche il freddo, quello vero – il ghiaccio si posò delicatamente sulle strade impadronendosene, ma con esso arrivarono anche le prime luci, le case addobbate, i banchetti di Natale sulle vie principali.
Un giorno, Kurt chiese a Blaine di farci un giretto, e lui disse che dopo gli allenamenti lo avrebbe raggiunto al parco del centro e che da lì avrebbero fatto il famoso giro. Kurt aveva una tremenda voglia di cioccolata calda, e sperava ardentemente che anche a Blaine piacesse; non vedeva l’ora di passare un po’ di tempo con lui e che fossero loro, semplicemente loro, senza scuola, matematica o altre costrizioni.
L’appuntamento era fissato per le quattro e mezza, visto che gli allenamenti sarebbero finiti alle quattro. Qualche minuto prima dell’orario concordato Kurt si sedette su una delle panchine del parco con la vista migliore, mordicchiandosi il labbro mentre osservava i passanti con enormi lecca-lecca in mano, bambini con pupazzi ed altri regali che i genitori avevano loro concesso.
Controllò il cellulare man mano che il tempo passava – e si rese conto con il cuore che scartava un battito che Blaine era in ritardo. Cinque, cinque e mezza. Piano piano si stavano facendo le sei e Kurt stava letteralmente congelando, ma non voleva tornare a casa. Blaine non poteva essersi dimenticato – e se non era venuto c’era di sicuro un motivo. La lancetta del suo orologio superò le sei abbondantemente; Kurt si guardò in giro un’ultima volta, una piccola lacrima che era incastrata nell’occhio destro e che proprio non voleva scendere. Quando –
“Scusami.”, mormorò una voce dietro di lui, trafelata e calda, le lettere che si pastrocchiavano insieme. “La Beiste è stata una stronza oggi, ha voluto tenerci di più e non potevo proprio andarmene e-”
Kurt si voltò, lo stomaco ingarbugliato e una voglia assurda di piangere e scappare via, perché quello era ciò che significava per Blaine. Nulla più di un allenamento. Gli concesse un sorriso stanco, infreddolito com’era.
“N-non fa niente.”, borbottò forse troppo velocemente, facendo qualche passo indietro. “Non so nemmeno perché sono rimasto – potevo andarmene a casa. Adesso comunque – vado.”, si strofinò le braccia con le mani con più forza che poteva. “C-ci tenevo solo a dirti che – la Sylvester mi ha preso nei Cheerios. V-volevo che fossi il primo a saperlo, tutto qui.”
Kurt a quel punto si voltò, stringendo il proprio corpo tra le braccia e desiderando di scomparire – ben presto però sentì dei passi dietro di lui e poi Blaine gli fu di fianco, allungando una mano per ancorarla al suo polso.
“Ehy.”, disse dolcemente. “Kurt, tu stai – stai piangendo.”
Kurt si bloccò, negando con fin troppa convinzione. “N-no.”
L’angolino destro delle labbra di Blaine si sollevò verso l’alto. “E invece sì, lo vedo.”, sussurrò, facendoglisi più vicino. “Ed è tutta colpa mia. Mi – mi dispiace tanto.”
Kurt si leccò appena le labbra. “Non so nemmeno cosa mi aspettassi.”, borbottò, ritrovandosi a sorridere amaramente. Ma non era arrabbiato, era solo – triste. Infinitamente triste. “Tu sei – questo. Hai il tuo mondo, le partite, una reputazione, e io – andiamo Blaine, io cosa sono? Un nerd sfigato che voleva passare uno stupido pomeriggio a bere cioccolata con te e che sperava che tu –”, soffiò, la voce sporcata dai singhiozzi. “Lascia perdere, va bene? È stato – un sogno. Un bellissimo sogno, e ho bisogno di svegliarmi.”
Kurt superò Blaine di qualche passo, il respiro pesante e il cuore che nel frattempo si frantumava in un milione di pezzi – non riusciva a capire perché ci avesse sperato così tanto. Era stato così ingenuo
“Kurt.”
Qualcosa nel tono di voce di Blaine lo costrinse a bloccarsi. Si voltò verso di lui – e Blaine era così bello, sia dentro che fuori, con quelli occhi dorati che si posavano dolcemente sul mondo intero.
“Io non voglio svegliarmi.”
Fu come – fu come se Blaine lo avesse pugnalato. Ma per riportarlo in vita.
“Non faccio altro che pensare a te.”, soffiò Blaine, allargando leggermente le braccia e sembrando – autentico, reale, spaventato come non mai. “Anche oggi, non riuscivo a concentrarmi sull’allenamento perché non vedevo l’ora che finisse per venire qui e stare con te. E bere quella cioccolata, e sistemarti gli occhiali sul naso perché sei così adorabile quando ti cadono. E – mi sento così stupido ad essere arrivato in ritardo.”, mormorò, e il sorriso che fece assomigliava ad una crepa. “E sì – io ho il mio mondo, le partite, e una reputazione. Ma tu sei più importante. E non sei – non sei uno sfigato. Sei – sei tutto ciò che ho di più bello nella mia vita.”
Un rantolo basso abbandonò le labbra di Kurt – si ritrovò a versare le lacrime che aveva trattenuto fino a quel momento. Vide Blaine avvicinarsi a lui con cautela, qualche passo prima che annullasse la loro distanza e prendesse il suo volto tra le mani con delicatezza.
“Lo voglio anche io questo sogno.”, disse pianissimo, e Kurt si ritrovò a sorridere stupidamente, come fanno le persone innamorate – e naturalmente chiuse gli occhi, aspettando le labbra di Blaine mentre il suo cuore precipitava da qualche parte nello stomaco –
Senti qualcosa di molto ghiacciato sul naso. E poi sulle guance, e nello stralcio di pelle scoperta che aveva del collo. Riaprì gli occhi di scatto rabbrividendo, accorgendosi che anche Blaine aveva puntato gli occhi verso il cielo e stava sorridendo leggermente, come in una favola.
“Sta nevicando.”, disse Blaine stupidamente, rendendosi conto forse troppo tardi che non era il caso di rimanere lì a raccogliere tutta la neve tra i vestiti. La sua risata leggera riempì le orecchie di Kurt, e ben presto le dita avvolte da un paio di guanti di Blaine raccolsero la sua mano e si ritrovarono a correre nel parco fingendo di essere bambini, con la neve che scorreva accanto ai loro corpi e si infrangeva sul terreno ghiacciato.
Trovarono un ponticello; sotto, c’era uno spazio cementato che per lo meno era al coperto. Kurt e Blaine si rifugiarono proprio lì, al coperto, sbuffi di fiato bianco che uscivano a ritmo diverso dalle loro labbra come una piccola melodia sconnessa – e i loro occhi attenti, le labbra perennemente distese in piccoli sorrisi. I loro sguardi si rincorsero di nuovo; Kurt si ritrovò con la schiena premuta alla parete di cemento dietro di sé, Blaine praticamente lo rincorse, appoggiando una mano attorno alla sua guancia e parte del suo collo. Osservò le sue labbra per diverso tempo, sembrando assolutamente affamato e stupito – un minuscolo sorriso lo tradì.
“Posso?”, chiese pianissimo, una tacita richiesta di colmare quel vuoto e prendere quello che Kurt voleva dargli da sempre. Il suo cuore perse numerosi battiti, scontrandosi impazzito contro la cassa toracica e minacciandolo di fuoriuscire e sparire per sempre – poi cercò di concentrarsi in quell’ambra dorata che per tanti anni aveva osservato da lontano, e solo - sì. La risposta era mille volte sì.
“E’ dal primo momento che voglio che lo fai.”, si ritrovò a sussurrare Kurt, e poi – e poi beh.
Quando guardi così tanti film e così tante serie TV hai un certo tipo di aspettativa su quello che deve essere il tuo primo bacio – e soprattutto se sei un amante dei musical romantici.
Ma Blaine gli diede qualcosa di meglio – perché Blaine quando baciava ti lasciava una parte di sé stesso.
Cercò le sue labbra con timidezza, sfiorandole appena in un primo momento come per capire che andasse tutto bene e che Kurt fosse completamente pronto, completamente suo – e Kurt si lasciò andare, rilassandosi contro Blaine e sollevando le mani per appoggiarle ai bicipiti di Blaine e sentendosi così vulnerabile che faceva fisicamente male, e bene allo stesso tempo.
Blaine si avvicinò un pochino, prendendo familiarità con il corpo di Kurt e posando anche l’altra mano sulla sua guancia, tenendolo lontano dal mondo, custodendolo solo per sé come se fosse un tesoro – schiudendo la bocca in una tacita richiesta di baciarlo più a fondo – richiesta che spezzò qualcosa di denso nello stomaco di Kurt.
Si ritrovò a sospirare appena prima che il bacio si approfondisse; la neve fuori scorreva a indisturbata e il cielo era buio, quasi arrabbiato, ma erano troppo concentrati nella semplicità di quel bacio per accorgersi minimamente di quello che stesse succedendo là fuori. Poteva esserci una bufera, o essere spuntato il sole – era comunque meno importante di avere l’altro così vicino e bisognoso.
Quando Blaine si staccò, un brivido percorse la spina dorsale di Kurt.
“Stai – stai tremando.”, soffiò Blaine, avvicinandosi a lui ulteriormente. Kurt gli offrì un sorriso che voleva dire mille cose insieme, dalle più banali alle difficili del mondo, da Ti amo a Non vorrei mai che smettessimo di stare qui, in un giorno d’Inverno a baciarci lontani dal mondo.
“Non è per il freddo.”, disse semplicemente Kurt, artigliando con parte della mano i ricci di Blaine. “E’ solo – è per il modo in cui mi baci.”
Perché sembra che mi stavi aspettando da una vita.
Perché se è un sogno allora è il sogno più crudele del mondo, perché ora che so come è averti non saprei più come vivere senza di te.
“Anche io lo stavo aspettando da una vita.”
Kurt stava per chiedergli di essere più specifico – che cosa intendesse con la parola vita. Ma Blaine lo baciò di nuovo, e Kurt concordò con il fatto che probabilmente, a volte anche una manciata di mesi possono sembrare una vita intera, quando siamo costretti a guardare da lontano una persona che più di ogni cosa al mondo avremmo voluto vicino ogni minuto di ogni giorno.
 
Alla fine la bevvero la cioccolata – ed ebbero l’onore di assaggiarla parzialmente anche dalle labbra dell’altro.
Blaine si rese conto che Kurt quando rideva con il cuore alzava leggermente la punta del naso e i suoi occhi si chiudevano in piccole fessure – ed era quella la magia, fare ridere una persona così spesso da non riuscire più a immaginare come sarebbe la tua vita senza quella risata.
Ah, e gli si vedevano i dentini.
Blaine era piuttosto certo di essere sdolcinato, infondo.
 
La neve scendeva sporadica quando Blaine accompagnò Kurt sulla soglia di casa – aveva promesso a Burt che sarebbe tornato ad ora di cena e non voleva mancare, non dopo una promessa. L’unico problema sembrava essere Blaine che, dopo averlo salutato almeno mille volte, non riusciva a smettere di baciarlo.
“Dovresti andare.”
“L’ultimo bacio e vado.”
Ci fu un nuovo ultimo bacio per altri dieci minuti, almeno finchè qualcuno dietro di loro non si schiarì piuttosto eloquentemente la voce, facendoli staccare.
“Papà –”, quasi gridò Kurt voltandosi di scatto, le guance rosse e il volto mortificato. “Mi – oddio questa è la situazione più imbarazzante – Blaine se ne stava andando comunque.”, borbottò, inserendo mille frasi in una sola. Burt li guardava con un cipiglio divertito, il cappello che per quella sera era leggermente rialzato per scoprire buona parte dei suoi occhi grigio – blu.
“Perché dovrebbe andarsene?”, borbottò. “Ho fatto un sacco di lasagna, e sicuramente tu ed io la avanzeremmo e sarebbe un vero peccato.”
Kurt e Blaine si lanciarono un’occhiata veloce.
“Papà…”
“Smettila di vergognarti e invita il tuo amico a cena.”, disse con un tono che non ammetteva repliche. “Toglietevi le scarpe, io vado ad aggiungere un posto a tavola.”
 
Per Burt Hummel quello per Blaine Anderson fu amore a prima vista.
Forse perché per tutta la vita aveva desiderato ruotare il capo a cena e trovare al fianco del figlio qualcuno di così – speciale. Perché quel ragazzo era indubbiamente speciale. Premuroso e attento anche solo con gli occhi, non appena Kurt diceva qualcosa di diverso o sembrava appena giù di morale. I suoi sorrisi avevano la capacità di illuminare l’intera stanza e ed un autentico chiacchierone – una persona che faceva bene alla loro piccola famiglia. Qualcuno che era destinato a portare allegria.
E poi gli piaceva il football – e quello era a dir poco fondamentale.
“E poi seconffo me dovrebbeffo migliorare la difesa.”, borbottò Blaine, mentre stava ingoiando l’ultimo enorme pezzo di muffin al cioccolato. Kurt lo guardava con un sopracciglio alzato e il cuore caldo e colmo d’affetto, perché – Blaine era Blaine. Era Blaine in un milione di sfumature differenti, e la cosa che amava di più è che le altre doveva ancora conoscerle e non vedeva l’ora di farlo. Di qualsiasi cosa stessero parlando lui e Burt, suo padre fu d’accordo – a quanto pare in una squadra di football che entrambi tifavano e di cui Kurt non aveva capito il nome il problema principale era la difesa.
Ma a cosa poteva importare di quel particolare Kurt quando Blaine gli regalava sorrisi così piccoli e adorabili?
 
Quando ebbero finito, Blaine insistette per sparecchiare ma alla fine Burt li convinse ad andare in salotto – State dove posso darvi un’occhiata.
E sul divano in cui tante volte Kurt si era rannicchiato mentre si sentiva solo, quella sera Blaine lo tenne stretto tra le braccia mentre in TV davano un vecchio film di Natale.
“Domani la bolla scoppierà, non è vero?”, soffiò Kurt a un certo punto. Non voleva essere brusco, né tantomeno stronzo. Voleva solo vedere la realtà e aveva un disperato bisogno che Blaine la vedesse insieme a lui. “Tornerà tutto come prima.”
Blaine cercò i suoi occhi, e bastò il cipiglio interrogativo sul suo volto a fungere da domanda.
“Intendo – questo. Noi. Come potremmo di fronte a tutti i tuoi amici?”
“Tu credi che voglia nasconderti?”
“Non ho detto quello –”
“E allora cosa?”, soffiò piano Blaine. Non era arrabbiato – e non voleva apparire così confuso. Ma lo era.
“Posso tenerti per mano domani?”, mormorò pianissimo Kurt, apparendo impaurito e infinitamente piccolo. Blaine avvicinò i loro volti, strofinando il naso contro il suo e sorridendo appena.
“Non - puoi. Devi.”, soffiò. “Ogni volta che vuoi. E – baciarmi, se lo desideri. Tu – tu non sei un segreto. E non sarà la cosa più facile del mondo, ma alla fine di tutto avrò te mi sembra un buon compromesso.”
Un puro brillio attraversò gli occhi color dell’oceano di Kurt – e Blaine si rese conto che era da pazzi tener nascosto qualcosa del genere, qualcosa che brillava e faceva quasi paura per quanto fosse prezioso. Sistemò meglio gli occhiali sul suo naso e lo baciò pianissimo – perché ogni volta che lo baciava si portava via un pezzetto di Kurt, e voleva arrivare a un punto in cui buona parte di Kurt sarebbe stata sua, e lui avrebbe avuto il compito di custodirla.
 
*
 
Le cose non cambiarono molto a scuola – forse però quel poco non passò inosservato.
C’erano baci sfiorati di tanto in tanto, una mano di Blaine che scivolava in quella di Kurt poco prima che questo si sporgesse per lasciargli un bacio. A mensa per loro era impossibile staccarsi gli occhi di dosso e c’erano così tante risate da abbagliare persino le persone che passavano di sfuggita. Blaine che passava a prendere Kurt alla fine degli allenamenti dei cheerio, oppure Kurt che si fermava sugli spalti ad osservare quelli di Blaine.
E un giorno poco prima dell’inizio delle vacanze di Natale, fu Puck a distruggere l’equilibrio che si era creato, sbattendo la porta dell’armadietto di Blaine.
“Si può sapere cosa sta succedendo tra te e Hummel?”
Blaine gli lanciò un’occhiata truce. “Hummel ha un nome, si chiama Kurt. E per tua informazione, Kurt è il mio ragazzo.”
Il modo in cui Puck boccheggiò – incredulità e divertimento mischiati insieme, qualcosa che fece contorcere lo stomaco di Blaine di rabbia – gli fece desiderare di correre via veloce.
“Andiamo, Anderson – tu non sei gay. Tutte quelle volte che parlavo delle cheerleader e chiedevo a una carina di uscire –”
“Appunto Puck, tu.”, puntualizzò Blaine, alzando gli occhi al cielo. “Ascolta – se non riesci ad accettare quello che sono, sono affari tuoi. Ho provato a dirtelo in mille modi diversi, e secondo me – tu lo sapevi, solo che non volevi vederlo. Beh, vuoi sapere l’ultima? Non posso cambiare, Puck.”
Puck ora sembrava smarrito. Si guardò attorno per qualche istante, temendo che qualcuno li potesse sentire.
“E’ solo che…la squadra…n-non so – forse crede che tu non sia all’altezza.”
Blaine sbuffò sonoramente. “Che si fotta la squadra. Non ho mai mollato, Puck. Sono il vostro capitano – so giocare bene. Non mi volete più come Quaterback? Fate pure, sceglietene un altro. Poi vediamo cosa dirà la Beiste, e soprattutto quante partite riuscirete a vincere.”
Con quelle ultime parole, Blaine superò Puck e percorse a grandi passi il corridoio davanti a lui. Non appena svoltò l’angolo, crollò lungo la parete più vicina, accanto all’aula dove la lezione di matematica era appena cominciata.
Sapeva che sarebbe stata una battaglia difficile, solo che –
Solo che Puck era il suo migliore amico.
 
*
 
Qualche giorno dopo Natale, Kurt e Blaine si erano trovati un pomeriggio per fare qualche esercizio di matematica insieme. Blaine era stato un continuo borbottio, nessuna equazione gli era risultata giusta e a un certo punto aveva semplicemente raccolto Kurt e lo aveva trascinato sul letto, cominciando a baciarlo piano e tenerlo stretto tra le braccia.
“Che c’è?”, chiese Kurt a un certo punto. Blaine lo stava guardando, ma era come se stesse vedendo oltre.
“Sono solo stanco.”, ammise pianissimo Blaine. Amava quei momenti, però. I momenti in cui c’era solo Kurt e lui poteva stringerlo fino a smettere di capire dove cominciava il proprio corpo e dove finiva il suo.
Kurt sbattè le palpebre una singola volta. “Possiamo – smettere.”, soffiò appena. “Se ti fa stare male – possiamo smettere.”
Un sopracciglio di Blaine si alzò mentre si sporgeva per rubare un bacio a Kurt – un bacio sospirato e denso. “Come posso smettere di volere questo?”
 
*
 
Un pomeriggio erano al Lima Bean – era appena ricominciata la scuola; per gioco, Blaine aveva prestato a Kurt la sua felpa di football e gli stava troppo larga.
Le dita di Kurt erano affondate nel bicchiere del suo caffè, Blaine lo guardava con il cuore che batteva come mille cuori.
“Ti vedevo, sai.”
Kurt alzò lo sguardo verso di lui.
“Ogni volta che venivi alle partite. Ti vedevo.”
Kurt non aveva nemmeno il coraggio di muoversi.
“So che sei venuto persino al mio primo allenamento. E che non sei mai – mai mancato alle mie partite. Se devo essere sincero – l’unica volta che pensavo non ci fossi ho giocato malissimo. La Beiste ha minacciato di sostituirmi – ho alzato lo sguardo tra il pubblico per un secondo, ero arrabbiatissimo. E poi ti ho visto. E siamo riusciti a recuperare la partita.”
Kurt ricordava quel giorno – lo ricordava perfettamente, perché era l’unica volta che era arrivato in ritardo.
“Mio padre non si era sentito tanto bene.”, gli venne naturale dirgli. “Era solo – un falso allarme. Arrivai quasi alla fine…non potevo crederci quando alla fine avete vinto, eravate sotto di un sacco di punti.”
Blaine puntò gli occhi sulle labbra – sembrava perduto in un rimpianto lontano. “Non hai idea di quante volte ho raccolto il coraggio per venire a parlarti.”, disse soltanto. “Ogni volta – ogni volta credevo di rendermi ridicolo e non facevo nulla.”
Il cuore di Kurt gli rimbombava nelle orecchie.
“E la sera della festa?”
“La sera della festa era lì, eri bellissimo anche se probabilmente tu nemmeno te ne accorgevi, e mi sono detto che questo era il nostro ultimo anno, che se dovevo buttarmi lo dovevo fare subito. E per fortuna l’ho fatto.”
Kurt si sentiva così stupido perché gli veniva da piangere – insomma, il ragazzo di cui era innamorato da così tanto tempo lo aveva notato da sempre. Era un buon motivo per piangere, no?
“Perché io?”, chiese tutto d’un fiato. E Blaine ridacchiò, come se trovasse così ovvia la risposta da potersi concedere una risata.
“Perché a tutto il mondo interessa essere belli fuori. E invece tu – tu sei diverso. Sei migliore.”, mormorò Blaine, allungando le dita. Gli sfiorò la fronte. “Tu sei bello qui.”, mormorò pianissimo. Poi la sua mano viaggiò sul petto di Kurt, posandosi nel punto in cui batteva il cuore. “E soprattutto qui.”
 
*
 
Alle partite di football, Kurt se ne stava in disparte e agitava i pon pon con un sorriso che sembrava una mezza luna persa nel suo volto luminoso, mentre Blaine correva avanti indietro impegnandosi per portare a casa la partita.
Kurt da lontano lo vedeva stanco, eppure c’era quella leggera scintilla nei suoi occhi che sapeva di voglia di vincere, e il pensiero che Blaine fosse suo – solo suo, gli faceva contorcere qualcosa di non poco leggero nel suo stomaco.
Ogni volta che faceva punto, gli sorrideva. E il cuore di Blaine si fermava, per poi ripartire e andare un milione di volte più veloce.
Quel venerdì sera di metà Febbraio – stavano insieme da mesi ormai e sembrava pura magia – Blaine a fine partita corse verso di lui, se ne fregò del mondo e lo raccolse da terra sollevandolo, per poi baciarlo in un gesto pigro e lento davanti a tutti. Kurt rispose al bacio spalancando gli occhi e sussurrando “Sei pazzo.”, proprio sulle sue labbra, e poi si tennero stretti mentre il resto della squadra festeggiava, non rendendosi conto che c’erano delle persone che lo osservavano con disprezzo.
Ma non importava – non finchè si appartenevano.
 
*
 
C’erano le piccole cose – quelle inaspettate che Kurt non si aspettava accadessero, per esempio, che ogni volta lo stupivano enormemente.
Come un giorno in cui erano in camera sua, Blaine era venuto per fare un po’ di compiti ed ora erano sul letto, distesi e coi libri in mano.
Kurt gettò un’occhiata fugace a Blaine che gli dava le spalle, e allungò le dita per sfiorare la sua spalla. “Che fai?”
“Non sbirciare.”
Kurt si insospettì – ed era curioso, lo era sempre stato, quindi fu piuttosto logico che si sporse per vedere cosa stesse combinando Blaine. Appoggiò il mento alla sua spalla, gettando uno sguardo veloce sul foglio in cui Blaine stava scribacchiando qualcosa – che si affrettò a coprire con le mani.
“Non vale!”, borbottò, mettendo su un broncio piccolissimo e adorabile. Kurt non ci riuscì a non sorridere, e Blaine alla fine cedette scoprendo il quaderno. Al centro del foglio, c’era una minuscola equazione che come risultato formava sul piano cartesiano un piccolo, imperfetto cuoricino.
Aw.”, soffiò Kurt. “E’ la cosa più dolce che mi abbiano mai fatto.”
“Non doveva venire così sbilenco.”, borbottò Blaine imbronciato, la matita che scivolò al lato del suo ginocchio. “Ho chiesto al professore se esisteva una funzione che poteva far uscire un cuore sul piano cartesiano – quando lui me l’ha dimostrata sembrava così semplice, e solo…volevo provarci. È così stupido.”
“Sei così carino quando metti il broncio.”, borbottò Kurt, gettandosi su di lui di peso e costringendolo a distendersi a letto, sotto il peso del suo corpo. Le loro labbra erano vicinissime, a un soffio, e Kurt approfittò della situazione per rubargli un bacio.
“Poi lo sistemiamo, va bene?”, soffiò. “E non m’importa se non è perfetto. Conta che ci hai provato, ed è – è bellissimo, Blaine.”
Gli occhi di Blaine furono attraversati da una piccola, fugace scintilla. “Dici sul serio?”
Kurt annuì per l’ultima volta, prima di coprire nuovamente le labbra di Blaine con le proprie.
 
*
 
E poi, arrivarono le battaglie.
Era un mattino di scuola come un altro, quando David Karofsky sbattè l’anta dell’armadietto di Blaine, mettendoglisi di fronte. Il ghigno sul suo volto non prometteva nulla di buono, così come i suoi occhi spenti e pieni di rabbia.
“Vogliamo che ti ritiri.”
Blaine alzò un sopracciglio molto lentamente. “Come, prego?”
“La squadra si è riunita per discutere, ed è venuto fuori che tutti la pensano allo stesso modo. Non ti vogliamo più come capitano.”
Uno sbuffo di risata abbandonò le labbra di Blaine. “E sentiamo, la Beiste cosa ne pensa?”
A quel punto, David boccheggiò. Blaine alzò gli occhi al cielo, puntandoli poi in quelli scuri di David. “Non andrete mai da nessuna parte senza di me, lo sappiamo benissimo tutti quanti.”
Le dita di David si strinsero a pugno in una morsa indissolubile. “Io invece scommetto che non rimarrai ancora a lungo.”, ringhiò, concedendosi un piccolissimo sorriso alla fine della frase. Fece per voltarsi, ma Blaine prontamente le bloccò, artigliando con le dita una sua spalla.
“Cosa stai cercando di dirmi?”
Il ghigno di David si fece ancora più largo, se possibile. “C’è un accordo con quelli della squadra.”, borbottò, leccandosi le labbra. “Ogni errore che farai agli allenamenti equivarrà a una granita in faccia al tuo prezioso Hummel.”, borbottò, scoppiando a ridere immediatamente dopo. Con uno strattone, David scivolò via dalla sua presa, per poi scomparire lungo il corridoio.
Blaine rimase immobile, la mano ferma a mezz’aria e il labbro inferiore tra i denti. Non poteva essere reale – non diceva sul serio. Non potevano essere così crudeli, non fino a quel punto.
Vero?
 
A mensa, Blaine non riuscì a dire nulla a Kurt. Lo osservò mentre mangiava le sue carote, meraviglioso e solare come sempre, mentre gli parlava dolcemente dei programmi della sua giornata e gli chiedeva com’era andata a lezione.
Blaine credeva fermamente che David avesse mentito – che Kurt fosse al sicuro. Per questo quello stesso pomeriggio andò all’allenamento, più sicuro che mai. D’altronde, non era mai stato uno che sbagliava tanto. Gli capitava qualche volta, certo, ma era uno dei più precisi tra i suoi compagni e non si era mai fatto prendere dal panico.
Il fato volle che quel pomeriggio qualcosa andasse storto, però. Forse per le minacce di David, forse per il continuo pensiero del volto spensierato di Kurt, che non sapeva nulla, che non poteva sapere nulla perché non gli aveva detto niente.
Blaine sbagliò tre touchdown. Finito l’allenamento, si tolse il casco forse troppo bruscamente e lo gettò per terra; quando alzò lo sguardo, a qualche metro da lui David lo guardava compiaciuto.
Blaine cercò di non pensare ai suoi occhi.
 
*
 
Una, due, tre.
Dritte sulla faccia, e di prima mattina.
Kurt riuscì chiaramente a sentire i pezzetti di ghiaccio farsi spazio tra i suoi vestiti e appiccicarsi tra questi e la sua pelle, scivolando giù e provocandogli diversi brividi, mentre boccheggiava cercando di immagazzinare ossigeno.
In lontananza, come una sorta di eco, sentiva chiaramente le risate dei giocatori di Football. Cercò di aprire gli occhi che bruciavano come se fossero inondati di acqua salata; se li strofinò grossolanamente, trascinando qualche lacrima sulle guance.
"Ringrazia il tuo fidanzato.”, disse qualcuno, che Kurt riconobbe essere David. E, visto che non capiva – come poteva farlo? – Kurt si sentì in dovere di chiedere.
“Cosa – che cosa intendi?”
“Glielo avevamo promesso, per così dire. Ogni suo errore durante un allenamento era uguale a una granita sulla tua faccia.”, borbottò David, scoppiando a ridere immediatamente dopo. “Qualcosa mi dice che ci saranno problemi in paradiso.”
La campanella della prima ora suonò, sovrastando le voci degli studenti. Il suo rimbombo rimase nelle orecchie di Kurt per un tempo che parve infinito, almeno finchè non si disse di muoversi, mentre le lacrime scendevano copiose sulle sue guance. Corse lungo i corridoi, piccoli singhiozzi che abbandonavano le sue labbra, almeno finchè non si scontrò con qualcuno – che per ironia della sorte, era proprio Blaine.
“Ti stavo cercando –”, soffiò Blaine, la voce che si accartocciava in un rantolo nella realizzazione di ciò che era successo. Kurt lo osservò attraverso gli occhiali sporchi. “Kurt –”
“Tu lo sapevi.”, soffiò appena Kurt, non sapendo cos’altro dire e sentendosi devastato. Era fradicio, stanco e sporco, ma l’unica cosa a cui riusciva davvero a pensare era il fatto che Blaine avesse permesso che tutto quello accadesse. “E non – non hai fatto niente.”
Il volto di Blaine si incrinò in una smorfia di dolore. “Kurt, ascolta –”
“No, non –”, Kurt fece un passo lontano da lui, dirigendosi verso il parcheggio. Aveva bisogno di andare a casa, aveva bisogno di piangere, e aveva bisogno di stare lontano da lui. “Vattene via.”
E Blaine rimase lì, sulla soglia della porta principale con le braccia ancorate allo stomaco e una ferita sanguinante al posto del petto.
Perché aveva permesso che ferissero la persona più importante della sua vita.
 
Non appena la scuola finì, Blaine si precipitò a casa di Kurt e cominciò a bussare freneticamente. Non dovette aspettare più di qualche minuto, che Kurt stesso gli venne ad aprire – un maglioncino enorme che gli arrivava fino alle spalle, gli occhi rossi e infinitamente piccoli e stanchi.
“Blaine, vattene.”, ringhiò lui, facendo per richiudere la porta. Blaine allungò una mano fermando il movimento, mordicchiandosi appena il labbro inferiore e sentendo il proprio cuore scivolargli nello stomaco.
“Kurt, amore – per lo meno ascoltami.”
“No. E non ti azzardare a chiamarmi così. Ora vattene.”, quasi gridò Kurt – ed era così assurda come scena, Kurt che urlava e Blaine che lo supplicava per lo meno di ascoltarlo. Loro litigavano così. C’erano urla e stupide frasi che venivano dette senza pensare e Blaine lo chiamava Amore comunque perché – beh, perché non riusciva a farne a meno, e perché aveva bisogno di lui.
Kurt riuscì a sbattergli la porta in faccia – e Blaine ci si gettò addosso con i pugni, continuando a chiamare il suo nome e implorandolo di farlo entrare – perché dei se Kurt era testardo quando voleva esserlo, finchè –
La porta venne spalancata di nuovo, ma questa volta fu Burt ad aprirgli. In mano aveva un bicchiere d’acqua, l’aria completamente smarrita ma al contempo consapevole, e il cappellino gli copriva leggermente l’occhio destro.
“Signor Hummel.”, soffiò Blaine, non sapendo cosa dire. “Senta, so che – so che le sembrerà strano, e che in questo momento probabilmente è l’ultima persona a cui dovrei chiederlo, ma – devo parlare con Kurt. La prego, mi faccia entrare.”
Burt bevve un sorso d’acqua tranquillamente, e con le nocche spinse la porta indicando con la testa a Blaine di entrare. “E’ di sotto.”, grugnì. “Mi odierà per quello che sto facendo. O forse mi ringrazierà. Credo comunque che lo scoprirò molto presto.”
Blaine – era molto più che sbalordito. Entrò con cautela, controllando fino all’ultimo istante l’espressione di Burt, incerto che potesse cambiare idea fino all’ultimo istante. Alla fine, sgattaiolò verso il corridoio che lo avrebbe portato da Kurt.
E doveva ammettere che sì – Burt Hummel era davvero uno dei padri migliori dell’universo.
 
Quando Blaine scese le scale per arrivare nella camera di Kurt, lo trovò rannicchiato sul suo letto, voltato in modo che gli desse le spalle, mentre il suo corpicino era scosso da tremori e piccoli singhiozzi. Il cuore di Blaine sussultò prima di ripartire con il normale battito – si sentì morire, ed ebbe bisogno di un bel respiro prima di ricominciare a camminare verso di lui. Quando fu a qualche passo dal letto, Kurt si sollevò sulle braccia per capire chi fosse sceso in camera sua, e finì per lanciargli un’occhiata truce.
“Perfetto.”, sbottò, gettando il volto sul cuscino e immergendosi le dita nei capelli. “Adesso tu e mio padre vi coalizzate contro di me.”
A Blaine sarebbe venuto da sorridere, se nel frattempo il suo cuore non stesse praticamente sanguinando. Se ne fregò di ogni cosa, del fatto che stesse cominciando a piangere seguendo Kurt, e anche del fatto che molto probabilmente si stesse rendendo ridicolo – ma finì per arrampicarsi sul letto dietro il corpo del suo ragazzo e stringerlo con tutta la forza che aveva in corpo, spingendo le mani contro il suo stomaco e portandoselo vicino. Sentì Kurt irrigidirsi appena sotto il suo tocco, uno sbuffo che abbandonava le sue labbra e che assomigliava a un lamento. I suoi singhiozzi si fecero più chiari, e a ognuno di loro Blaine si sentiva morire.
“Perché non capisci quanto sei – sei dannatamente tutto per me?”, soffiò Kurt in mezzo alle lacrime, coprendosi gli occhi con le dita e sfogandosi come meglio poteva, senza temere nulla. “N-non vedi cosa s-sei in grado di farmi? E mi sento così stupido perché te lo lascio fare.”, sbottò Kurt, sapendo di ferire e ferendo se stesso nel farlo. Sapeva che erano parole pesanti quelle, che Blaine non le meritava e non in quel momento, ma aveva bisogno di lasciare andare il dolore. Non era più in grado di tenersi tutto dentro.
Blaine a quel punto lo strinse più forte, non riuscendo a trovare niente da dire. Strinse le palpebre fino all’inverosimile, inghiottendo ogni piccolo sprazzo di luce e ritrovandosi a brancolare nel buio mentre le sue orecchie si riempivano piano piano dei singhiozzi di Kurt. I loro corpi impararono a modellarsi e presto iniziarono a piangere insieme, troppo piccoli per quel mondo che distruggeva tutto. Blaine lasciò un minuscolo, insignificante bacio sulla spalla scoperta di Kurt.
“N-non avrei mai voluto che ti facessero del male.”, borbottò. Si sentì maledettamente ingenuo, maledettamente giovane e stupido per aver lasciato che qualcosa del genere accadesse. “Hai – hai ragione, lo sapevo, ma non – non potevo crederci. Ti prego non – non piangere, va bene? Mi dispiace. Ti giuro che mi dispiace.”, continuò a ripetere. Pianse ancora per interi minuti sulla sua spalla, i loro corpi che vibravano insieme e si modellavano malgrado tutto.
Potevano essere passate ore come una manciata di minuti, quando ripresero a respirare normalmente, uno addosso all’altro. Blaine aveva ancora addosso la felpa della squadra, ingombrante e perfetta per i tanti pomeriggi che avevano speso a pomiciare su quel letto – e non poteva credere che adesso fosse lì, a sentire Kurt così lontano quando invece lo sfiorava con le dita.
Kurt ruotò pianissimo il corpo verso di lui; i suoi occhiali grandi erano sporchi e appannati per le lacrime, un ciuffo liscio di capelli gli ricadeva sulla fronte scontrandosi dolcemente con il sopracciglio destro. Blaine deglutì prima di allungare le dita e sfilargli gli occhiali con cautela, spazzando via con il pollice il residuo delle lacrime e sentendo il cuore diventare appena più leggero quando l’azzurro dell’iride di Kurt si addolcì.
“Lascio la squadra.”, disse Blaine fermamente, fregandosene di tutto, fregandosene del mondo, perché al diavolo la squadra se voleva dire perdere la creatura che aveva davanti. “La lascio, te lo prometto.”
“Cosa – no.”, soffiò Kurt, una scintilla di allarmismo che gli attraversava gli occhi. “Non devi. Non – non è quello che voglio. Lascia stare – ho esagerato, va bene? Ci deve essere un altro modo.”
“Non c’è.”, borbottò Blaine, scrollando appena le spalle, come se stesse accettando una sconfitta. “Ogni mio errore equivale a qualcuno che ti ferisce. E non posso accettarlo. Non chiedermi nemmeno di pensarci.”
Alla fine, Kurt allungò le dita verso il volto di Blaine, gli occhi un po’ smarriti per non essere contornati dagli occhiali. Accarezzò una guancia di Blaine lentamente, mentre una lacrima gli solcava una guancia. Chi diceva che il liceo era il primo vero ostacolo che la vita si ostinava a mettere sulla tua strada non sbagliava di certo.
“Il football è importante per te.”, mormorò Kurt in un ultimo tentativo. Blaine fece di no con la testa, in modo assolutamente sicuro.
“Tu sei più importante di qualsiasi cosa.”, gli disse. E quello mise fine a ogni tipo di discussione, perché poi Blaine si sporse per coprire le labbra di Kurt con le proprie e non smise di baciarlo per molto tempo, cancellando ogni residuo di tristezza e di dubbio, e tutto il dolore che gli aveva portato con il suo errore. Si staccò leggermente diverso tempo dopo; recuperò gli occhiali pulendoli con il bordo della sua giacca, e li rimise sulla radice del naso di Kurt, che gli sorrise appena.
E poi Blaine pensò che non c’era motivo di aspettare oltre.
“Ti amo.”, disse pianissimo, parole appese a un filo indelebile e inconfondibile. Kurt sentì il cuore balenargli nella gola, lo stomaco aggrovigliarsi mentre le dita leggermente fredde di Blaine cercavano le sue in un gesto caotico. “Ti amo. Così tanto che a volte mi spaventa, ma poi ti guardo e smetto di aver paura.”
Il respiro di Kurt si fece più irregolare nel momento in cui assimilò quelle parole – Blaine lo amava, il ragazzo di cui era innamorato da sempre lo amava davvero – ed ebbe bisogno di qualche istante per riprendersi. Allungò anche l’altra mano verso il suo viso, sorridendogli lentamente, con dolcezza.
“Ti amo anch’io. Non aver paura.”, disse soltanto, sporgendosi per rubargli un bacio brevissimo, tutto sospiri e sorrisi piccoli. “In realtà ti amo da quel giorno del tuo primo allenamento. Ed è giusto che tu lo sappia.”
Gli occhi di Blaine furono attraversati da un bagliore fugace; Kurt sorrise nel vederlo, poi chiuse gli occhi e lo baciò nuovamente, fino a farsi mancare il respiro.
 
*
 
Kurt si chiedeva spesso se a diciassette anni un cuore potesse amare così.
Se ci fosse un limite, un confine da superare senza mai fare ritorno, un modo per tornare indietro.
Se fosse normale passare ore a baciarsi e credere che ancora non fosse abbastanza, mentre i vetri della macchina si appannavano attorno a loro e sbuffi di fiato bianco si univano prima che sui loro volti apparissero sorrisi. Se a scuola tutto sembrasse interminabile perché voleva semplicemente tornare a casa e distendersi sul letto a ridacchiare e giocare con Blaine, mentre i libri rimanevano un concetto dimenticato e lontano.
Si chiedeva se i suoi occhi potessero mai stancarsi di guardarlo. Se un giorno avrebbe smesso di osservarlo di nascosto per cercare di immagazzinare i particolari, come la liquidità dei suoi occhi parzialmente dorati e verdi nell’angolo, a ricordare i prati di primavera.
Paradossalmente, Kurt sapeva che a diciassette anni era spaventoso amare nel modo in cui stava amando lui. Ma aveva questa sensazione di aver scelto la strada giusta, anche se spesso e volentieri c’erano pezzi di ghiaccio colorati tra i capelli, pianti isterici e urla di parole che non pensavano.
Però Blaine – Blaine c’era.
Ed era dolce quanto una cioccolata calda, teneva al sicuro quanto faceva una coperta di lana in pieno inverno; riusciva a capirlo proprio come l’episodio giusto al momento giusto, senza fare domande e rimanendo a guardare. E tra i miliardi di puntini che vagavano soli in quell’universo, Blaine aveva scelto proprio lui. Non qualcuno di popolare, o pazzo, o schifosamente ricco. Lui.
Quando si dice che la matematica non è un’opinione.
 
*
 
Era Marzo inoltrato ormai; Blaine non seguiva gli allenamenti da quasi tre mesi, e capitava sempre più spesso che Kurt lo trovasse sugli spalti, intento a guardare un particolare allenamento. Quel pomeriggio decise di sedersi accanto a lui, rannicchiandosi vicino al suo corpo e appoggiando la tempia alla sua spalla.
“Ti mancano?”
“Non lo so.”, borbottò Blaine, avvolgendo il corpo di Kurt con le braccia. “Non mi manca il modo in cui ti hanno trattato. Quello no.”
Kurt allungò le dita per giocherellare con il maglioncino di Blaine – aveva smesso di indossare la felpa dei Titans, che a detta sua era finita da qualche parte nel suo armadio.
“Ho fatto una cosa.”, gracchiò Kurt, sentendosi infinitamente vulnerabile. “Non – non ti arrabbiare, okay?”
Kurt tirò fuori dalla sua giacca leggera una lettera bianca dall’aspetto elegante, porgendola a Blaine. Lui la guardò con un sopracciglio alzato, prima di rincorrere gli occhi di Kurt e sembrando smarrito.
“So che tu non lo avresti mai fatto.”, disse a mo’ di spiegazione Kurt. “Ma la settimana scorsa la NYADA ha aperto le iscrizioni, e – ho inserito i tuoi dati. Questa è la lettera di conferma che dovresti inviare. Sei ancora in tempo per buttarla via.”
Blaine distese le dita attorno alla lettera, negli occhi un minuscolo barlume di speranza. “Credi – credi davvero che possa farlo?”
Kurt gli si fece più vicino. “Credo che tu possa fare tutto.”, soffiò. Qualcuno al campo doveva aver fatto punto, perché si levarono delle urla. “Non ho mai creduto in qualcuno come credo in te, Blaine.”
Blaine si lasciò scappare un sorriso, sfiorando la guancia di Kurt con una mano calda. “Tu sei –”, mormorò Blaine con un piccolo sospiro, prima di baciare a pieno le sue labbra. “Tu sei così speciale.”
Il sorriso minuscolo di Kurt incrinò qualcosa di importante nello stomaco di Blaine.
 
*
 
“Ehy, Blaine.”
Sia Blaine che Kurt ruotarono il capo verso Puck, i loro armadietti aperti mentre sistemavano i libri che avevano usato quel giorno.
“Non vogliamo problemi, Puckerman.”, sbottò Blaine, chiudendo il proprio armadietto con uno scatto e afferrando il polso di Kurt, che gli si fece più vicino. Noah alzò le mani verso l’alto, in segno di resa.
“Non sono qui per litigare.”, mormorò Puck, sembrando davvero sincero. Si guardò attorno per diverso tempo, sembrando leggermente a disagio, passandosi poi una mano tra la strana cresta che aveva in testa.
“In realtà sono qui per porre le mie scuse. A entrambi.”, borbottò con calma. “Da parte di tutta la squadra.”
Le sopracciglia di Blaine si sollevarono leggermente.
“Non…non sapevo del patto, Blaine. Quella cosa sbagli tu puniamo lui. Non ne sapevo niente. Sono andato dalla Beiste e le ho detto tutto, ha fatto sospendere David e gli altri per un po’. Non si ripeterà mai più una cosa del genere.”
Blaine era irremovibile. “Come posso essere certo che Kurt sarà al sicuro?”
“Ti prometto che sarò il primo a non permettere che queste cose accadono. Parlerò a David e agli altri, e se dovessero riprovare a fargli del male farò in modo che vengano cacciati via.”
Le spalle di Blaine si abbassarono lentamente. “Perché dovrei fidarmi di te?”
“Perché sei il mio migliore amico.”, borbottò Puck, accennando un sorriso sghembo. “Perché sono stato un coglione a non capire che quello che cercavi di dirmi riguardo a Kurt fosse reale. Sono uno stronzo, lo so, ma ti rivoglio nella squadra. Senza di te facciamo schifo.”
A quel punto una soffice risata abbandonò le labbra di Blaine, che si concesse un passo avanti per avvolgere Puck in un veloce abbraccio. “Okay.”
Puck lo abbracciò di rimando goffamente, dandogli due sonore pacche sulla spalla. “All’ultima partita di campionato verranno alcuni allenatori che assegneranno le borse di studio, e – dovevi saperlo. Non c’è nessuno che la merita più di te.”
Blaine si sentì preso in contropiede, pensando al fatto che non aveva ancora pensato se dedicarsi al football gli anni successivi, o a qualcosa che amava veramente, come i musical. Forse quello di cantare era solo un sogno come un altro. Forse doveva limitarsi a fare quello che conosceva da sempre.
 
*
 
Il freddo stava lasciando spazio ai raggi di sole, ai fiori della primavera, e ai caffè del Lima Bean subito dopo la scuola.
Maggio era alle porte, l’ultimo mese e gli ultimi sforzi. Ultime verifiche di tutte le materie, il ballo di fine anno, e tutta l’ansia per le lettere per i college.
Un pomeriggio Kurt stava bevendo il suo caffè mentre Blaine sulla sedia sembrava pensieroso come non mai. Gli diede un piccolo calcetto da sotto al tavolo, sorridendogli leggermente.
“Non è da te non prendere nemmeno un dolcetto.”
A quel punto, gli occhi di Blaine si allargarono leggermente. “C’è una cosa che devo farti vedere.”, confessò, frugando nel proprio zaino per qualche minuto, estraendone poi una busta. Era immacolata e ancora chiusa, e Kurt la prese tra le mani come se scottasse. “E’ da parte della NYADA.”
Kurt la accarezzò leggermente, non sapendo nemmeno cosa dire. “Non riesci ad aprirla?”
“Volevo aspettare che ci fossi anche tu.”, borbottò Blaine, giocherellando con le proprie dita. “Forse – forse è stupido. Ma almeno lo affronteremmo insieme.”
“Sono proprio qui, Blaine.”, mormorò Kurt restituendogli la busta. Blaine la osservò per qualche secondo prima di aprirla con un movimento deciso; distese il foglio di carta e i suoi occhi vagarono sulle frasi, finchè –
“Sono un finalista.”, mormorò, un piccolo sorriso che lo tradiva mentre la voce andava sfumando. Kurt si sporse con il cuore nella gola, rendendosi conto che era vero. Blaine ce l’aveva fatta. Lo abbracciò, immergendo il volto nell’incavo del suo collo e respirando piano, e sentendosi così felice perché dannatamente orgoglioso di lui, e poi –
“Kurt.”, soffiò Blaine dopo alcuni istanti, la voce che era un filo. “Il giorno dell’audizione è lo stesso giorno della finale di campionato.”
Kurt si ritrasse bruscamente, cercando gli occhi di Blaine e non sapendo cosa dire. Allungò le mani per afferrare e tenere strette quelle di Blaine.
“Tesoro, non – non puoi rinunciare al tuo sogno.”, soffiò semplicemente. “Sei anche tra i finalisti – tutto questo sta succedendo per una ragione.”
“Non lo so.”, disse semplicemente Blaine, bagnandosi le labbra. “Forse dovrei solo, sai – concentrarmi su quello che so fare, il football. Forse non sono adatto per cantare.”
Kurt sentì il proprio cuore precipitare da qualche parte nello stomaco, perché – perché lui Blaine lo aveva sentito cantare. Aveva sentito la sua voce durante i pomeriggi freddi in cui avevano preferito rimanere in camera piuttosto che uscire, e si era innamorato della sua voce calda e inconfondibile. Ed era giusto che tutto il mondo la conoscesse.
“Blaine.”, lo chiamò dolcemente, sorridendogli. “Io – lo so che hai paura. Credo sia normale, sai? E voglio che tu sappia che – qualsiasi sarà la tua decisione in quel giorno, io ti starò vicino. Sarò con te sugli spalti se vorrai giocare, o ti accompagnerò all’audizione se invece canterai.”, mormorò con calma. “Solo – voglio essere sicuro che tu scelga la strada giusta. Non sarebbe giusto che fra qualche anno ti guardassi indietro con del rimorso, sapendo che potevi avere un’altra possibilità.”
Qualcosa di denso crollò negli occhi di Blaine, che si avvicinò leggermente a Kurt, posando le proprie labbra sulle sue. “Davvero ci sarai?”
Kurt non aveva mai davvero avuto dubbi su cosa rispondere. “Certo – sempre.”
 
*
 
I giorni prima della partita – e dell’audizione, a seconda di ciò che avrebbe scelto di fare – Blaine era irrequieto. Non brusco, mai con Kurt per lo meno, ma spesso dal nulla arrivava e lo stringeva forte e i suoi occhi erano costruiti di paure e di incubi, e Kurt pensava soltanto che avrebbe voluto essere forte abbastanza da cacciarli via.
E un mattino come un altro, arrivò la lettera di Kurt da Yale.
Era stato ammesso.
Aprendola il foglio gli era tremato tra le mani perché – beh, perché era Yale. E il suo sogno da quando aveva cominciato a capirci qualcosa di matematica era andare a Yale, solo – cosa ne sarebbe stato di lui e Blaine?
Quella stessa sera raccolse tutto il coraggio di cui aveva bisogno, e non appena ebbero finito di mangiare in cucina insieme a suo padre la pizza che avevano ordinato lo disse a Blaine.
Indiscutibilmente i suoi occhi erano pieni di orgoglio, ma c’era sempre quella tacita domanda a cui nessuno dei due voleva dare consistenza. Cosa faremo noi?
Preferirono stringersi, concedendosi un bacio senza senso che non aveva né inizio né fine.
(La lettera di Yale giaceva dimenticata per terra, parecchio distante dai loro corpi intrecciati).
 
*
 
Blaine scelse di andare alla partita.
Non fu qualcosa di premeditato, semplicemente quel mattino prese il borsone di football con sé, la felpa dei Titans ad avvolgerlo, e arrivò a scuola con l’aria un po’ distrutta.
Kurt non ebbe bisogno di chiedere niente e non gli disse niente, quando corse verso di lui per un abbraccio, prima che sparisse negli spogliatoi per cambiarsi. “In bocca al lupo, campione.”
Blaine ridacchiò nell’incavo del suo collo, facendo vibrare la sua pelle e leccandosi le labbra prima di alzarsi sulle punte e baciare Kurt con trasporto. “Grazie per essere qui con me.”, gli disse pianissimo, per poi baciarlo più lentamente. E Kurt – lui lasciò che lo portasse via.
“Sarò proprio all’angolo del campo.”, mormorò Kurt quando si staccarono, agitando i pon pon scherzosamente. “Andrà benissimo.”
Blaine si sentì sollevato, al pensiero che gli sarebbe bastato cercare gli occhi di Kurt per sentirsi meglio, che avrebbe fatto il tifo per lui come sempre. Gli sorrise con calore, osservando la sua intera figura nella tuta da cheerleader e arrossendo leggermente.
Si avvicinò a lui per rubargli un ultimo bacio.
(Forse voleva solo racimolare ancora un po’ di coraggio).
 
*
 
I Titans stavano vincendo con un netto vantaggio, nonostante quel giorno Blaine non fosse al pieno delle sue forze. Aveva fatto parecchi punti, certo, ma anche sprecato alcune occasioni che avrebbero di sicuro fatto la differenza.
Kurt all’angolo del campo, cercava i suoi occhi in continuazione.
La Beiste chiamò il timeout nella seconda parte della partita, quando ormai mancavano solo gli ultimi sforzi alla fine. Kurt seguì il corpo di Blaine per tutto il tempo, e non potè fare a meno di notare quanto fosse – stanco.
Poi le due squadre tornarono al centro del campo sistemandosi al centro, e fu in quel momento che il tempo praticamente si fermò. Kurt se ne rese conto sentendolo sulla pelle, o forse perché conosceva Blaine più di quanto infondo conoscesse sé stesso.
Era rimasto leggermente indietro rispetto agli altri, mentre giocherellava con le sue stesse dita vicine allo stomaco. Si guardava in giro, i suoi occhi che scivolavano un po’ ovunque. La scuola era gremita di studenti quel giorno, tutti presenti per vedere chi sarebbe stato il migliore in campo nell’ultima partita di campionato.
E Blaine – lui si sentiva così dannatamente fuori posto. Come se non avesse senso stare lì a rincorrere un pallone, come se si stesse vedendo dall’esterno, rendendosi finalmente conto di quanto triste sembrasse.
Si tolse il casco all’improvviso, mentre sentiva a qualche metro da sé la Beiste urlare il suo nome. Anche la sua squadra lo stava osservando, ma gli occhi di Blaine corsero immediatamente in una precisa direzione.
Cercò Kurt.
E poi corse, corse verso di lui quasi come un pazzo mentre Kurt non sapeva cosa dire o cosa pensare – e nel giro di qualche secondo le labbra di Blaine si pressarono sulle sue con foga, quasi come se avesse bisogno di sentirlo per credere di poter respirare ancora. Si baciarono lì, davanti all’intero campo da Football, mentre c’era talmente tanto silenzio da sembrare assordante.
“Portami via di qui.”, soffiò Blaine, sembrando completamente alla deriva, ma anche libero. “Io – io voglio fare l’audizione. Ti prego – andiamo via di qui.”
“Va bene.”, soffiò Kurt, stringendo forte la sua mano e voltandosi per uscire dal campo. Si voltò un’ultima volta, sorridendogli leggermente. “Io lo sapevo.”
Mano nella mano, si diressero verso gli spogliatoi. Poco prima che entrassero, una voce alta gli interruppe.
“Blaine!”, era Puck, tutto trafelato e anche lui con il casco in mano. Blaine lo guardò con un piccolo sorriso.
“Mi dispiace, Puck. Io – io devo fare questa cosa.”
Noah gli sorrise. “Allora in bocca al lupo.”
Il cuore di Blaine fece qualcosa di molto strano. “Anche a voi.”, mormorò, prima di sparire dentro e andarsi a cambiare.
 
Nell’auditorium del McKinley l’atmosfera era quasi surreale, mentre i ragazzi si sistemavano nell’attesa di fare le audizioni. Kurt e Blaine scelsero un posto sul fondo, Blaine che aveva le mani che tremavano come foglie mentre si aggrappavano alle dita di Kurt.
“Ho la felpa dei Titans.”, si lamentò, alzando gli occhi al cielo. “Non sono minimamente preparato, non ho nemmeno scelto la canzone –”
“Blaine.”, soffiò Kurt, raccogliendo il suo viso e sorridendogli leggermente. “Qualsiasi canzone sceglierai di portare, sarà perfetta.”, mormorò, appoggiando la propria fronte alla sua. “Qualcosa di semplice, senza fronzoli. Fagli vedere cosa c’è dentro di te.”
Blaine inclinò leggermente il capo per raccogliere le labbra di Kurt in un bacio piccolo e cercato. E pensò che non gli sarebbe importato nulla della giacca, su quel palco, della persona che era lì per giudicarlo, di tutti gli altri concorrenti.
Lui avrebbe cantato per Kurt.
 
Blaine non cantò bene.
Cantò divinamente.
Ogni parola che abbandonava le sue labbra sembrava un modo diverso per dire a Kurt che lo amava.
Scese dal palco con un sorriso enorme che colorava i suoi lineamenti – non avrebbe saputo il risultato dell’audizione prima di quell’estate, ma in qualche modo l’abbraccio che gli concesse Kurt poi fu praticamente già una vittoria.
 
*
 
Kurt spedì la sua risposta a Yale. Sarebbe partito la prima settimana di Settembre.
Blaine non ricevette nessuna risposta dalla NYADA, invece. Né a fine Maggio né agli inizi di Giugno, e si diplomò mantenendo un sorriso piccolo sul volto, perché gli bastava allungare le dita e incontrare quelle di Kurt per stare bene.
Aspettarono una, due, tre settimane.
Il sole scottava sulle loro pelli e non tiravano mai fuori l’argomento, perché parlarne avrebbe significato ammettere troppe sconfitte, errori sulla vita, e un imminente Addio.
Un giorno di metà Luglio, sotto un cielo pieno di stelle, Blaine strinse Kurt fino all’inverosimile e gli disse che faceva lo stesso, che avrebbe trovato un’altra strada. Kurt naturalmente scoppiò a piangere, infrangendosi come un bicchiere di vetro che finalmente raggiunge il punto di rottura, aggrappandosi al corpo di Blaine e desiderando di essere forte abbastanza da cambiare il passato e il futuro e tutti i fili che quelli avevano tessuto per loro.
Non ebbero bisogno di parole, lessero negli occhi dell’altro ogni cosa, come se fosse una pagina di un libro aperto e antico. Le loro labbra si incontrarono a metà strada, le lacrime ancora incastrate tra le ciglia – e forse perché erano giovani, forse perché sapevano che prima o poi si sarebbero persi, ma capirono che era arrivato il momento di lasciare che fossero i loro corpi a parlare e dimostrare il loro amore. E fu assolutamente normale spogliarsi sotto un cielo rivestito di stelle, giovani e spericolati e senza paura e ridendo e poi piangendo di nuovo, e non importava nient’altro.
Guardandosi indietro, Kurt avrebbe rifatto ogni piccolo passo della loro storia e non avrebbe cambiato niente. Dalla scelta degli occhiali enormi a quel bacio al sapore di neve.
 
*
 
Era una sera di Agosto e Kurt aveva chiesto a Blaine di tenere la luce spenta; c’era solo un piccolo bagliore che proveniva dalla abat jour sopra la scrivania nell’angolino.
“E’ per te.”, disse pianissimo Kurt, porgendo a Blaine un oggettino che apparentemente era plastica modellata. Blaine lo accettò con un sorriso pieno di domande, ma Kurt non gli lasciò il tempo di parlare.
“E’ un cuore.”, spiegò semplicemente Kurt, deglutendo pianissimo. “Solo – è costruito in modo che, se lo metti vicino alla tua pelle, senta il tuo battito cardiaco. E – batta. C’è una luce al suo interno che si abitua al tuo battito, e ne segue il ritmo.”
Così Blaine aspettò osservando quel piccolo cuore. Aspettò e aspettò ancora, finchè – finchè fece esattamente cosa aveva detto Kurt. Cominciò a battere come un vero e proprio cuore, a contatto con la sua pelle. Tum tum, tum tum, tum tum – carne e sangue in una piccola scatolina di plastica.
Kurt indicò il retro del cuoricino. “Lo vedi questo? E’ un inchiostro che sente il calore umano. Non c’è niente di magico qui, è tutta – scienza. Ed è incredibile, vero?”
Blaine aveva voglia di baciarlo fino a perdere ogni briciola di fiato.
“Volevo che tu avessi il mio cuore.”, soffiò Kurt impercettibilmente. “Letteralmente. Anche quando non ci sarò.”
Così Blaine piegò leggermente la testa, e appoggiò le sue labbra su quelle di Kurt per un bacio lentissimo, perdendosi nelle linee delle sue labbra. Gli tenne ferma la testa, sorridendogli appena quando si staccò leggermente da lui.
“Io non so costruire un cuore funzionante, ma – ma lo sai che anche tu hai il mio, vero?”, soffiò, sentendosi stupido ma anche infinitamente innamorato, mentre i suoi occhi pizzicavano. “Letteralmente.”
 
*
 
A Settembre le dita di Kurt tremavano aggrappate ai ricci di Blaine, mentre le lacrime bagnavano la sua maglietta. C’erano diverse suppliche, come -
“V-vienimi a trovare.”
E ancora –
“Se non mi chiami tutti i giorni di giuro che –” Che nulla. Semplicemente voglio sentire la tua voce.
E poi –
“Guarda gli episodi che ti ho segnato, ti prego. Sono – sono importanti per me.” – Mi hanno insegnato ad amare come riesco ad amarti ora.
Blaine disse pochissimo, ma tra i sospiri Kurt riuscì a recuperare diversi Ti amo, e poi alla fine, sospirato sulle labbra –
“Mi hai cambiato la vita, Kurt Hummel.”
Kurt gli sorrise, furbo. Più o meno quello che hai fatto tu con me dal primo momento.
 
*
 
Kurt era piuttosto sicuro che Blaine fosse nascosto in ogni filo d’erba del suo campus, delle felpe dei giocatori di football e nel sapore del caffè.
Blaine invece era convinto che Kurt si fosse rintanato dentro le sue coperte, nel profumo dei libri che gli aveva lasciato, e in ogni parola degli episodi che gli aveva lasciato da vedere.
E così – così potevano fare finta di non essersi mai persi davvero.
 
*
 
Un giorno, appena tornato da lezione, Kurt trovò nel soggiorno del suo appartamento una valigia dal colore azzurrino e, a qualche metro da questa, l’amore della sua vita.
Blaine aveva gli occhi scintillanti e un minuscolo sorriso sulla faccia. Un modo tacito di chiedere scusa.
Alzò una mano per mostrare a Kurt una lettera.
“A quanto pare, quelli della NYADA l’avevano perduta.”, borbottò, lasciandosi scappare una minuscola risata. “Ce l’ho fatta.”
Kurt spalancò la bocca perché – al diavolo l’errore. Blaine era lì, era a New York, nel suo modesto e minuscolo appartamento, e non importava nient’altro.
Gli si gettò addosso ridendo e piangendo insieme, un groviglio senza senso che Blaine accettò comunque mentre allungava le braccia e lo stringeva forte. Un rifugio sicuro, il punto da cui era ripartito, e la sua destinazione finale.
New York sembrava infinitamente piccola dal loro appartamento, e molto meno spaventosa ora che a viverci erano in due.
 
*
 
Dieci anni dopo
 
Era un continuo collezionare di piccoli momenti. Come quando scatti una foto, che controlli dall’obbiettivo di essere riuscito a vedere tutto, e finalmente scatti, cristallizzando una frazione di secondo. Un sorriso. Una luce particolare negli occhi, un paesaggio.
Kurt e la matematica non smisero di andare d’accordo, così come non sbiadì il suo amore per i computer e le serie TV. Nella loro nuova casa ne aveva voluti almeno tre, giusto per essere sempre al passo con il suo lavoro. E perché gli episodi delle serie Tv rimanevano la sua passione segreta.
Tracy spesso voleva giocarci. Voleva provare un po’ di tutto, in realtà, perché era infinitamente curiosa. Amava la cioccolata calda, esattamente come amava le coccole e passare intere serate rannicchiata sulle gambe di Blaine prima di addormentarsi.
E Blaine – lui ora insegnava alla NYADA, ed era stato a Broadway ben tre volte.
Portava Tracy alle sue lezioni di pianoforte, stringendo forte la sua manina tra le strade della città di New York in cui stava crescendo. Anche lei non amava la matematica, ma c’era sempre Kurt per i piccoli problemi con le moltiplicazioni.
Oh – e Blaine la portava allo stadio, di tanto in tanto. E spesso Kurt si ritrovava a sbuffare la sera, costretto a lasciare il salotto perché Blaine e Tracy inspiegabilmente si mettevano a strillare contro il televisore, se la loro squadra di Football preferita pensava bene di perdere.
Non c’era quasi nulla di perfetto.
C’erano sbavature, lacrime ed errori, spesso e volentieri. Ma a volte la famiglia è come un esercizio di matematica: devi solo impegnarti per far funzionare le cose. E fare tutto senza fretta.
E quando Kurt vedeva suo marito addormentato sul divano, i suoi riccioli sparpagliati sulla coperta che si univano a quelli di Tracy, pensava che non avrebbe potuto ottenere risultato migliore dalla sua vita. 
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Il cuoricino di plastica che batte al ritmo del nostro cuore esiste per davvero. Un ragazzo lo ha costruito per regalarlo a una mie migliori amiche. (Awww).
E anche la storia che la matematica è una sfida esiste davvero. Io ero una schiappa. Da quando ho deciso di voler vincere, diciamo che è andata molto, molto meglio.
Grazie per essere arrivati fino a qui <3

 
   
 
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