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Autore: _Chimaira_    05/03/2009    5 recensioni
“perché diamine l’ho fatto?!” si chiese. Inutile dire che sapeva già la risposta, per quanto le costasse ammetterlo.
“perché non mi piaceva l’idea di quei due insieme, da soli, in una foresta”
Semplice, davvero semplice.
E infantile.
Ma la chiamava “mocciosa” per qualcosa, no?
Genere: Malinconico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nami, Nico Robin, Roronoa Zoro
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I personaggi non appartengono a me ma sono una creazione originale di Eichiro Oda.
Io li uso per diletto e non a scopo di lucro.
Solamente la trama di questa storia (questione di ruoli) mi appartiene in quanto ideata da me medesima.


Altra One-shot.
Niente da fare, ragazzi, mi sto divertendo troppo. XD
Mi è venuta in mente riguardandomi qualche episodio di Skypea, più precisamente quelli in cui Nami, Zoro e Robin girovagano per l’Hupper Hyard alla ricerca di non si sa bene cosa.
Era inevitabile che mi venisse in mente qualcosa.
Ah, ultimissima cosa: le frasi tra “” sono i pensieri di Nami; anche se di solito lo indico, ho precisato lo stesso.
Godetevela!




~ Questione di Ruoli ~




Il mostro cadde nel fiume di nuvole con un tuffo.
Nami raccolse le gambe al petto, ancora mezza sconvolta dalla scampata morte. Era la seconda volta di fila, maledizione!
< ce n’è sempre una … > si lamentò Robin
< non abbassare mai la guardia > disse Zoro, col solito tono concentrato del prima – durante - dopo battaglia.
< ok … seguirò il tuo consiglio … > rispose l’interessata, ingoiando con una buona dose di bile tutta l’umiliazione.
Inutile.
Inutile e di peso, tra l’altro.
Ricacciò indietro le lacrime di frustrazione e ricominciò a seguire Robin, facendo il più attenzione possibile a dove metteva i piedi; le gambe di burro, ecco cosa aveva!
< guardate là > indicò la guida, puntando il dito verso un grosso ramo (grosso era un eufemismo, quel ramo era largo come tre quarti del ponte della Merry), il quale attraversava il fiume di nuvole.
< che ne dici, mocciosa, è di tuo gradimento quest’attraversata? > la schernì lo spadaccino. Quando ci si metteva era davvero irritante. Nami non rispose, ma annuì con la testa.
Robin la aiutò a salirci, per poi riprendere a camminare.
“ok Nami”, si disse la navigatrice, “se ti concentri andrà tutto bene. Un piede avanti … brava … ora l’altro …”
< sentì un po’, Nami >
Ecco.
Ti pareva che non ci si potesse concentrare in santa pace. Ci si metteva anche Zoro, a prenderla in giro.
Come se non ci pensasse già da sola.
< perché non provi ad allungare il passo? > insistette.
< lasciami in pace! > sbraitò Nami in risposta < non voglio sentire una sola parola. Se non mi concentro cado a terra >
Ecco alla seconda.
Neanche fatto in tempo a finire la frase, che un grosso squalo del cielo (e quale di quei maledetti animali non era grosso?!) sbucò dall’”acqua”, sconcentrandola. Anche se non ci voleva poi molto.
Morale: per mettersi in posizione di guardia Nami sposta un piede, prevedibilmente in modo sbagliato, scivolando ad un velocità allucinante verso la bocca delle “bestie maledette”.
“ironico”, ebbe tempo di pensare durante la caduta, “otto anni per sfuggire ad Arlong, un uomo squalo, e i miei giorni vanno a farsi benedire, guarda caso, proprio nelle fauci di un adorabile pesce cane. Se avessi il fiato e l’umore giusto, riderei”.
Il tempestivo – secondo – intervento di Zoro bloccò la realizzazione di questi progetti, rimandando il pesce da dov’era venuto, mentre Robin l’afferrava facendo germogliare delle braccia da sotto il ramo.
< ehi Nami rispondi, va tutto bene? >
< sì … più o meno … >
“meno, decisamente meno”

Finalmente raggiunsero l’altro lato dell’isola, quando l’archeologa si bloccò di colpo.
< ehi, visto qualcosa? Qualche traccia del supremo? > chiese Zoro.
< no, mi dispiace, è solo un pozzo. Voglio controllare >
Detto questo, la ragazza si allontanò in direzione della cavità, lasciandoli soli.
Silenzio.
Come al solito, del resto. O litigavano, o parlavano delle missioni e delle destinazioni, o niente. Mai un discorso, per così dire, “normale”. Nami si rassegnò a portare quel silenzio – uno dei tanti – sulle spalle. Zoro non immaginava … non immaginava minimamente quanto le facessero male le sue frecciatine, le sue battute sulla sua inutilità … e, ancora peggio, l’essere continuamente salvata, il dover dipendere dagli altri – o da lui -.
Esatto, anche il fatto che fosse proprio lui a tirarla fuori dei guai non cambiava minimamente le cose, al contrario. Il fatto che per lui non rappresentasse altro che un peso non le faceva certamente piacere.
Che poi, il silenzio non era poi tanto meglio. Era solo una testimonianza del fatto che, a parte insulti, non avevano nulla da dirsi. Che tristezza.
Lo sentì prendere fiato, e si preparò a sopportare una nuova serie di prese in giro; d’istinto, curvò la schiena in avanti, facendosi scudo con lo zaino.
< ma perché cammina così in fretta?! > disse invece, sorprendendola. < proprio non riesco a capirla, è solamente un egoista, potrebbe anche aspettarci, o no? > terminò tutto d’un fiato. Nico Robin. Ma possibile che …
< se fossi in lei non vorrei sentirmi chiamare egoista da te > rispose acida < ti consiglio di stare molto attento a come parli > < eh?! >
Stupido, stupido, stupido.
< forse tu non te ne sei accorto, ma è solamente per colpa tua se siamo finiti tutti in un mare di guai >
< stai scherzando, vero? >
Missione compiuta. Avrebbe sfogato tutta la sua frustrazione su di lui.
Su di lui che non capiva, su di lui che la feriva che la prendeva in giro. Su di lui che …
Zoro stava prendendo nuovamente aria, probabilmente per richiamarla, ma lei fu più veloce.
< Robin, sorellona, non è che potresti aiutarmi a salire su quel ramo lassù? Vorrei vedere qua attorno, se c’è qualcosa di interessante >
Con una serie di braccia usate a scalini, Nami raggiunse la postazione adatta e, seduta, scrutò col binocolo davanti a sé.
Finalmente poteva fare qualcosa di vagamente produttivo.
Ci mancava solo che qualcosa sbucasse dall’albero per mangiarla, e vabbé che “non c’è due senza tre, e il quattro vien da sé”, ma ad un certo punto la situazione diventa, se non assurda, insopportabile.
Ignorò le urla dei propri compagni a terra, cercando nel frattempo di calmarsi; ma perché diavolo era scesa a terra? Non poteva stare sulla nave, con Chopper, a farsi i fatti propri, in pace, da sola, senza rischiare di morire ogni passo?!
“perché diamine l’ho fatto?!” si chiese. Inutile dire che sapeva già la risposta, per quanto le costasse ammetterlo.
“perché non mi piaceva l’idea di quei due insieme, da soli, in una foresta”
Semplice, davvero semplice.
E infantile.
Ma la chiamava “mocciosa” per qualcosa, no? Alla fine, si era affezionata a quel soprannome, ma solo per il fatto che era lui ad averglielo affibbiato. Qualunque altra parola sarebbe stata ugualmente ben accetta, purché fosse sua.
Dall’inizio aveva fatto, consapevole e non, tesoro di ogni parola, contatto, sguardo o movimento con e di lui; quasi sperando che lui capisse, si rendesse conto …
< su quell’isola … è terribile! >
Finalmente un pensiero a distrarla!


Per una volta, era davvero soddisfatta di sé.
Già sulla terra aveva avuto qualche intuizione, vedendo il buffo modo in cui era tagliata la casa di Monblanc, troppo netto per una casa, e vederne l’altra metà - per prima – su quell’isola tra i cieli le aveva confermato tutto.
E, ad avvalorare la cosa, era stata la prima; aveva dimostrato il suo valore.
Certo, a camminare sulla via del ritorno, si sentiva comunque un’impedita, ma la sua rivincita l’aveva avuta.
Ora l’archeologa camminava avanti, pensando e ripensando alle scoperte delle giornata; la notizia che l’Upper Hyard altro non era che una vecchia parte di Jaya non era cosa del tutto normale.
Ma, come al solito, a guastare il benessere interiore di Nami c’era lo spadaccino, sbuffante come una teiera sul fuoco alle sue spalle. < Zoro, si può sapere cos’hai? >
L’interessato la guardò storto, accentuando l’espressione infantilmente crucciata. Non a caso, per quanto riprendesse lei, lui stesso non era altro che un bambino in un corpo da uomo. Dopotutto, 19 o 20 anni non erano poi molti.
< sei deluso dal non aver trovato alcuna traccia del supremo, ne? > insistette allargando un sorriso malizioso sulle labbra; col tempo, quel ragazzo era diventato come un libro aperto, per la bella navigatrice.
Lui non rispose, ma Nami era, a ragione, certa di aver colto nel segno.
< dai, ti rifarai la prossima volta > concluse, sorridendogli leggermente. Quanto sforzo dietro quella ridicola smorfia; sì, ce l’aveva ancora un po’ con lui. Per cosa, non lo sapeva, ma quel ragazzo la indispettiva lo stesso.
< ah! Allora ti illudi di saper consolare le persone. Bè, spiacente di deluderti, ma non sai fare nemmeno questo >
L’irritazione di Zoro, la sopraccitata delusione avevano trovato la valvola di sfogo più sbagliata possibile. Evidenziando quella parola, non aveva segnato sè stesso, ma bensì la compagna. Aveva dimostrato, in quel modo, di avere lo stesso tatto delle sue armi in battaglia.
Di non averne, in altre parole.
Nami trattenne il respiro, il tempo necessario perché il ragazzo si rendesse conto dell’enorme cazzata di aver detto quelle parole. Si maledì da solo, pregando nessuno in particolare che Nami fosse abbastanza forte e/o sensata da non far caso a quelle parole.
L’azione della ragazza testimoniò però il contrario, dal momento che, con movimento fulmineo (in barba ai tacchi e alle mirabolanti cadute precedenti), scomparve, lasciandolo solo.
< oh cazzo … Nami! Dove sei finita? >
Nessuna risposta. Persino Zoro, uomo d’azione e per niente riflessivo, aveva capito che le sue speranze erano state decisamente vane e che, sì, Nami se l’era presa a male. Consapevole lei, per altro, del pessimo senso dell’orientamento dello spadaccino.
No, non pessimo. Inesistente.
< dai Nami! Ecco, mi dispiace, facciamo pace, ma vieni fuori! >
Ancora nulla.
Bè, se voleva condannarlo a vagare in eterno per l’intera isola di Hupper Hyard, ci stava riuscendo. Poteva giungere a tanto per una ripicca? Certo, ovvio che poteva.
O forse no.
< oh, eccoti finalmente > disse Zoro, visibilmente risollevato, vedendo l’amica sbucare lentamente da dietro una radice. Senza badarlo minimamente, gli voltò la schiena dirigendosi verso la nave.
< ehi, ehi Nami, aspettami > urlò, venendo prontamente ignorato, per poi correre cercando di raggiungere la ragazza. Nonostante l’equilibrio precario che aveva dimostrato per tutta la spedizione, ora camminava piuttosto spedita.
Nemmeno allora ricevette risposta.
< non dirmi che ti sei offesa > dichiarò con una punta di sarcasmo – perfettamente fuori luogo – mettendo una mano sulla spalla della compagna nel tentativo di voltarla. Quando si riuscì, se ne pentì immediatamente.
Nonostante lei tenesse il capo chino, era scossa da muti singhiozzi.
< Nami, tu … >
< lasciami in pace > rispose finalmente in uno scoppio di rabbia. scacciò la mano del compagno dalla spalla, aumentando il passo. < sinceramente, non capisco perché te la sia presa tanto >
Ok, la domanda era: ma ci è o ci fa?
< ma allora sei davvero stupido! > urlò esasperata Nami, girandosi di scatto con le lacrime agli occhi.
< possibile che tu non ci arrivi?! Possibile che tu non comprenda che questa cosa mi pesa?! >
< a cosa ti rif … >
< oh che diamine Zoro! Credi davvero che io non mi senta un peso per tutti voi?! >
Lo spadaccino si zittì. Prima per il tono con cui si era rivolta a lui, poi per il senso della frase; di sicuro non si aspettava un simile rigetto di coscienza; non da parte sua.
< certo, in mare sono imbattibile > continuò Nami < tra i cavalloni e le tempeste nessuno mi batte, so esattamente cosa fare ma, una volta a terra, mi sento inutile > terminò, gettando lo sguardo in un punto indefinito per terra.
Zoro la guardò storto, cosa si aspettava che facesse?

< non puoi fare altrimenti > disse alla fine, rassegnato ad essere frainteso.
< tu non sei portata per la lotta, non è il tuo ruolo > proseguì, senza lasciarla parlare. D'altronde, questo punto era fondamentale nel piano che aveva in mente. Il più delicatamente possibile, le prese la mano destra, soppesandola leggermente.
Era piccola, dalla pelle morbida, liscia, chiara. Le dita erano lunghe e affusolate, il medio aveva un leggero rigonfiamento all’inizio dell’ultima falange, tipico di chi scrive o disegna tanto e a lungo.
Una piacevole variazione di stile rispetto le sue mani, grosse e forti, rovinate da calli e piccole ferite e segni dovuti a lunghi e sfiancanti – per chiunque, ma non per lui – allenamenti.
Fece scorrere il polpastrello dall’incavo del polso di lei fino alla punta dell’indice, sfiorandone appena la pelle nivea.
< queste mani non sono fatte per la polvere, per il sangue e per la battaglia; sono fatte per l’inchiostro e la penna alla luce di una lanterna > concluse, chiudendole lentamente la mano con la sua.
Nami chinò il capo sulle loro mani, unite e calde. Lo spadaccino si stava concentrando almeno come lei prima per camminare, pur di non farle del male con la propria presa grossolana. La ragazza non aveva mai neanche lontanamente ipotizzato che quelle mani, sempre strette attorno all’impugnatura di una spada, potessero impegnarsi in carezze così … dolci?!
< non sentirti inutile, o di peso > riprese, col solito tono rude < ci difendi dall’oceano, noi ti difendiamo da tutto il resto, va bene così. È … è giusto >
Lentamente, la presa si sciolse e, con lei, anche l’incantesimo. Nami sentì improvvisamente le mani fredde, con uno strano alone pulsante intorno al punto dove sentiva ancora la stretta rude del ragazzo.
Ora erano “lui” e “lei”; senza le loro mani che si sfioravano, senza quel fugace contatto, ora erano separati – irrimediabilmente distanti.
Ma Nami era contenta. Non aveva bisogno d’altro.
Era a lei – non a Robin – che stava dicendo quelle cose. Era da lei – lei e nessun’altro – che correva in aiuto, sempre e comunque, qualunque fosse la distanza.
Quel nuovo pensiero la consolò, facendole comprendere che il salvarla era un altro modo per starle accanto e, al contempo, scollarsi l’indole solitaria che lo seguiva come un’ombra; anche se per poco. Capì anche che, quel suo “noi ti difendiamo da tutto” di prima, era invece un “io ti difendo” , e che l’aveva assunto come proprio compito. Suo, suo e basta.
Nami lo guardò negli occhi, sorridendo a quei pozzi neri.
< Zoro, mi sorprendi! Quindi non sai solo russare! >
< ehi ma … io ti faccio un discorso serio e tu mi prendi in giro?! > sbraitò, fingendosi indignato. Dalle labbra gli sfuggì però un sorriso traditore. Nami si voltò, incrociando le braccia dietro la schiena in modo malandrino.
< guarda che fai tutto da solo > esclamò, muovendo qualche passo cadenzato in direzione della nave.
< sei proprio una strega … > insistette.
< certo che lo sono! > sentenziò Nami, scorgendo Robin che li aspettava ai margini della foresta.
Saltellò agilmente fino all’amica, sorridendo come una bambina.
< come mai ci avete messo così tanto? > chiese infatti l’altra ragazza.
< scusa sorellona ma, sai com’è … Zoro si era perso > precisò scoccando un’occhiata eloquente al compagno, che le raggiungeva con la solita calma flemmatica.
< il fatto è che qualcuno qui stava giocando a nascondino > sbraitò, falsamente seccato. Nami rispose con una linguaccia, rifugiandosi dietro il corpo di Robin.
< voi mi state nascondendo qualcosa > chiese stranita l’archeologa, concentrando lo sguardo sulla cartografa.
“possibile”, pensò Nami, “ma non sappiamo nemmeno noi, cosa”.




Certo che Nami è lunatica.
Addirittura più lunatica di me, il che è parecchio grave. ^^
E Zoro ne fa le spese, poverino … vabbé, scrivendo questa storia mi è venuta in mente una caratteristica prettamente femminile, e diciamo la verità, ce l’abbiamo eccome! XD
Sto parlando, care mie, della nostra abitudine – chi più chi meno – di trovare un secondo significato in quello che gli altri ci dicono, e questa cosa raggiunge il suo apice quando si parla del ragazzo che ci piace.
Un esempio?
“oh mio dio mi ha toccato!”
E vi giuro, capita! Persino a me! XD
Oppure quando ci saluta e noi (meglio parlare per me, che magari sparo cazzate), quindi io, comincio a pensare “oh my garden mi ha salutato, quindi significa che bla bla bla”, quando invece il ciao significava, guarda caso, esattamente ciao. E qui cade anche Nami, con i suoi 18/19 anni.

Ma non mi dilungo oltre.

Dai che riuscirò a pubblicare, prima o poi, “I Racconti del Mare”, la famosa storia a capitoli.

E che cavolo! Ah, grazie per le recensioni a “Il Profumo dei Mandarini”, e anche a chi l’ha inserita tra i preferiti, siete grandiosi! XD


-Chimaira-
  
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