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Autore: VV_23    14/12/2015    3 recensioni
"Aveva parlato al plurale. Aveva sottinteso un noi. Un minuto prima ero sola, apatica, pronta ad accogliere la morte in ogni istante. Lui, con una semplice parola, aveva reso di nuovo possibile ipotizzare di riaccogliere la vita"
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Katniss Everdeen, Peeta Mellark
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Paint'
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                Capitolo III

I giorni passano, e quella quotidianità che vado conquistando si arricchisce di piccoli particolari eventi che diventano delle vere e proprie abitudini. Come Haymitch che, senza bisogno di alcun permesso, apre il mobile della cucina per prendersi un bicchiere e iniziare le sue serate alcoliche in casa mia; o la nipotina di Sae nella sala principale, che gioca o legge o si diletta col lavoro a maglia e poi risistema tutto nella sua personalissima disposizione, certa che il giorno dopo ritroverà tutto come l'ha lasciato; o ancora Peeta che riorganizza la dispensa e il frigorifero a suo piacimento, e, di fatto si appropria della mia cucina per preparare la cena per noi cinque; infatti, ormai ogni sera, ci riuniamo per mangiare insieme. Ma non riguarda solo il mangiare: si tratta di condividere quello che abbiamo di più prezioso, il nostro tempo, perché la solitudine spaventa tutti. Spaventa Sae, che sembra essere mille anni più vecchia da quando è tornata al Dodici e che ha negli occhi il terrore di lasciare sua nipote prima che lei sia pronta a badare a se stessa; spaventa Haymitch, che, insoddisfatto della sola compagnia delle bottiglie, si è messo ad accudire delle oche. Spaventa me, soprattutto quando cala il buio della notte.


Finito di cenare, Sae riassetta tutto mentre la piccola gioca; noi tre ci dedichiamo al libro, che, nel frattempo, ha iniziato a prendere consistenza. Le memorie che racchiudiamo si fanno sempre più nitide, al punto che anche i dettagli che parevano insignificanti emergono e riescono a trovare degna espressione nelle parole; parallelamente, la mano di Peeta sembra farsi sempre più ferma e precisa nel trasformare in immagini ciò che io scrivo: me ne accorgo quando vedo il colore che, dopo svariati tentativi, è finalmente riuscito a trovare per completare gli occhi di Finnick. Sono talmente fedeli all'originale che, quando vedo il disegno finito, devo nascondere una lacrima e sopprimere un singhiozzo.

Dopo qualche ora passata a lavorare sul libro, quando la mole di ricordi si è fatta troppo pesante e Haymitch ha iniziato a russare sulla sua poltrona preferita, vanno via sempre tutti e quattro insieme. E questo è il momento che mi spaventa di più, quello dove il buio sembra più profondo e oscuro. Inizialmente non capisco da cosa derivi quella sensazione di angoscia che mi assale quando li vedo prendere le loro cose per rientrare nelle loro case, e la conseguente ansia che segue la leggera eco lasciata dal chiudersi della porta. Poi, alla fine, ammetto a me stessa che non si tratta di capirlo, si tratta di accettarlo: la verità è che vorrei che Peeta si trattenesse di più con me, che mi facesse compagnia. Che restasse con me. In che modo non lo so, visto che parliamo ancora pochissimo e il massimo del contatto fisico che abbiamo sono le spalle che a mala pena si sfiorano quando siamo seduti sul divano, con i visi sepolti nelle pagine del libro e nei disegni. Le immagini di noi che condividiamo il letto, il suo braccio protettivo ad avvolgermi e il suo petto a farmi da cuscino, mi tornano come flash alla memoria, quando lo guardo prendere il suo cappotto e andare via. Vorrei davvero che restasse, ma non lo fa mai, e io non mi azzardo a chiedere: ogni sera, sulla porta, ci scambiamo uno sguardo carico di cose non dette – chissà se anche lui rivede le stesse immagini, se prova quello che provo io – ma nessuno dei due fa un passo avanti.

E le notti trascorrono in compagnia di bambini morti sotto paracadute argentati, di madri in lacrime, di corpi senza vita su letti di rose. Mi sveglio di continuo, urlando disperata, e l'unica cosa che mi tranquillizza un poco è sbirciare dalla finestra per guardare verso la camera di Peeta: le sue imposte sono sempre leggermente aperte, e spesso la luce è accesa. Questa visione ha lo strano potere di farmi sentire un po' più serena, e, soprattutto, meno sola.


Una sera siamo seduti sul divano a scrivere il nostro libro. Haymitch si è appisolato sulla sua fidata poltrona, mentre Sae sferruzza un maglioncino per sua nipote, con lei che la guarda attentamente. Le ore di sonno perdute si accumulano sempre di più, mi sento stanca, gli occhi pesanti faticano a stare aperti. Peeta sta lavorando a un ritratto, ed è così vicino a me che le nostra braccia si sfiorano appena, il suo calore talmente confortante da farmi rilassare. Senza accorgermene, mi ritrovo con la testa appoggiata sulla sua spalla, in uno stato di gradevole dormiveglia. Mi rendo appena conto di quello che mi succede attorno: scambia due parole con Haymitch, che mi sembra lo rassicuri in qualche modo, e poi sento le sue braccia attorno al mio corpo e sotto le ginocchia, mentre mi solleva come se fossi una piuma. Capisco di non aver mai dimenticato questa sensazione di pace e sicurezza, e mi arrendo a quel pensiero, accettando in modo definitivo quel mio bisogno che avevo inutilmente provato ad allontanare da me: le sue braccia mi erano davvero mancate da morire. E adesso che mi stringe, vorrei poter restare così per sempre.

Sale le scale col suo passo un po' pesante, mi adagia sul letto e fa per andare, ma non voglio stare sola. Non stanotte.

“Resta” mugugno con la voce impastata dal sonno, tenendogli un lembo della maglia.

“Katniss...” mormora, e il mio cuore sembra gonfiarsi e riempirsi di aria nuova: non gli sentivo pronunciare il mio nome da settimane – c'era ancora la rivolta, e il suono dei nostri nomi sembrava contenere in se stesso il sentore della morte. Ora, invece, ha un sottofondo malinconico e triste.

“Ti prego” lo imploro, senza nemmeno provare l'impulso di vergognarmi per questa supplica. Sospira, poi lo sento muovere una poltrona e spostarla vicino al letto; apro appena gli occhi assonnati, e lo vedo accucciarsi sulla poltrona, poi mi prende la mano. La sua è grande e calda, e la stretta è protettiva e rassicurante. Nelle nubi del sonno che avvolgono la mia mente, mi chiedo come sia possibile percepire tutto questo in una stretta di mano; eppure, con Peeta è così.

“Puoi...” inizio, ma la sua stretta un po' più forte mi interrompe.

“Va bene così” afferma, e scivolo finalmente in un sonno senza incubi.


La mattina dopo mi sveglio molto più tardi del solito e completamente riposata; unico segno del passaggio di Peeta in questa stanza, la poltrona ancora posizionata vicino al letto.  In cucina trovo del pane fresco e un biglietto:

         Ci vediamo al Distretto. Fai una buona colazione.

         PS: stanotte hai dormito come un ghiro!

Davanti ai miei occhi si materializza il suo viso, la sua espressione più rilassata, gli occhi che hanno perso quel velo di terrore che fino a qualche giorno fa avevano quando stavamo insieme, e lo immagino mentre, scrivendo questo biglietto per me, sorride appena. Allora, finalmente, sorrido anch'io.


Ma il sorriso – che è rimasto sulle mie labbra per tutto il resto della mattina – scompare all'improvviso non appena arrivo alla panetteria. I ragazzi sono in pausa pranzo, e Peeta e Asia stanno chiacchierando amabilmente un po' in disparte rispetto al resto del gruppo, quando lei toglie dalla sua borsa una sciarpa blu scura, probabilmente fatta a mano, e gliela avvolge attorno al collo. Lui la ringrazia con un sorriso aperto e gentile – un sorriso molto più ampio di quei piccoli accenni che rivolge a me troppo raramente – e lei gli regala un bacio sulla guancia che gli fa colorare le guance. Sono proprio quelle gote arrossate a farmi capitolare, perciò, senza farmi vedere, me ne vado a passo svelto da lì.

Sono di troppo. Lui passa il tempo con un'altra ragazza. Ha il diritto di amare di nuovo. Questo pensiero mi colpisce come una schioppettata: in tutti questi mesi, non avevo mai, mai pensato all'eventualità che qualcun altro entrasse nelle nostre vite. E da quando Peeta si è presentato a casa mia con le primule, da quando ha sottinteso quel noi, ho pensato e agito come se stessimo lavorando per diventare una coppia – una coppia di persone che si aiutano e sostengono, ma si amano? Una domanda che è come una seconda schioppettata, ancora più rumorosa.

Ma la verità è un'altra. Lui è un ragazzo bello, buono, interessante. È normale che attiri l'attenzione di altre donne. E io non posso tenermelo stretto senza amore, senza niente. Devo arrendermi all'idea che lui potrebbe allontanarsi da me.

Fa maledettamente male.


Quella sera il solito quartetto si presenta alla mia porta. Peeta ha ancora al collo quella sciarpa blu che gli fa risaltare gli occhi, e che sembra un marchio di proprietà – potrebbe già essere di un'altra ragazza. Haymitch lo stuzzica, elogiando quel semplice capo di abbigliamento, e lui si limita a sorridere e a scuotere la testa divertito. In tutto ciò, mi sembra di essere una creatura trasparente, invisibile ai loro occhi. Ma il mio dolore è talmente reale che potrebbe essere visto a occhio nudo.

Io, che pensavo di aver già sopportato qualsiasi tipo di dolore, mi ritrovo ad affrontarne uno ancora nuovo e che faccio fatica a comprendere: è il mio cuore che sembra sanguinare, in maniera diversa da come duole per l'assenza di Prim o da come si stringeva al pensiero di Peeta nelle mani di Snow. Forse Finnick mi avrebbe detto che è perché lo amo, ma la mia testa non riesce ancora a elaborare la parola “amore”. L'unico amore vero che ho conosciuto è stato quello per mia sorella. È impossibile fare paragoni.

“Come mai non sei venuta al Distretto, oggi?” mi domanda Peeta, e sembra davvero incuriosito da questo fatto.

“Mi sono svegliata molto tardi, ho preferito restare qui” mento, tenendo lo guardo basso, e so per certo che nessuno in questa stanza crede a una parola di quello che dico. Sono un vero disastro con le bugie, mi chiedo come sia possibile che la gente abbia creduto alle menzogne che ho rifilato al pubblico nella mia prima Arena.

Dopo la cena, Haymitch e Sae con sua nipote approfittano di un momento in cui Peeta è in bagno per andarsene – o per meglio dire, per scappare di casa, confermando le mie supposizioni: non si sono bevuti la mia storia e ci vogliono costringere a parlare. Così, quando lui ritorna nella stanza, si ritrova da solo con me, e la cosa sembra metterlo piuttosto a disagio. Non posso negare che lo stesso valga per me: entrambi abbiamo qualcosa che ci stiamo tenendo per noi, e che siamo restii a lasciar uscire – per paura dello sguardo cupo, dei muscoli rigidi, delle porte sbattute.

All'improvviso, però, capisco di voler fare un tentativo. Se davvero non c'è più speranza per noi, se il depistaggio non gli ha lasciato nemmeno la memoria del sentimento che provava per me, dobbiamo mettere la parola fine a qualunque cosa ci sia tra noi in questo stesso istante. Se invece, al contrario, quel sentimento esiste ancora, non c'è bionda che tenga: farò di tutto per tenere il ragazzo del pane nella mia vita.

“Resteresti qui, stanotte?” gli chiedo a bruciapelo. Lui alza la testa di scatto, e i nostri sguardi si incatenano. Dolore nei suoi occhi, anche per lui un dolore diverso.

“Katniss, non posso, lo sai” mi risponde mesto.

“Ieri hai potuto” ribatto, convinta, mentre la mia testa elabora il suo rifiuto – non mi aveva mai detto di no. Mi aveva detto sempre.

“E infatti non avrei dovuto” sbotta imperioso, e io mi arrabbio. Va bene tutto, ma rinnegare qualcosa successo solo il giorno prima è davvero troppo.

“Per quella sciarpa, non è vero?” chiedo prima che riesca a frenare le parole, con voce appena tremante, mentre sento le guance andarmi a fuoco. Non si è tolto quella dannata cosa di dosso nemmeno per cenare. Lui mi guarda stralunato, come se non capisse, sfiorandosi appena il collo.

“Ma cosa stai...?” inizia, ma a quel punto non voglio più sentire. Fa troppo, troppo male.

“Va bene, ho capito” gli dico. “Non preoccuparti di portarmi il pane domattina. Buonanotte”.

Giro i tacchi senza nemmeno guardarlo in faccia, e mi chiudo in camera spegnendo tutte le luci. Sarà una notte orribile, ma, in questo momento, non me ne curo nemmeno.


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Siamo arrivati a quota tre! Le cose non sono semplici per una zuccona come Katniss xD ma piano piano prenderà consapevolezza di quello che le succede dentro :)
Nel secondo capitolo ho iniziato a mettere qualche citazione del libro - le avrete viste sicuramente senza bisogno che ve lo dica! :D Ma mi sembra corretto specificarlo, visto che l'altra volta me ne sono scordata. Potrebbero esserci anche riferimenti ai film nei prossimi capitoli - perché trovo che i film siano spettacolari e che in alcuni casi abbiano aggiunto qualcosa di importante al racconto e ai caratteri dei personaggi, perciò hanno, inevitabilmente, condizionato il mio modo di vederli.
Ringrazio tantissimissimo chi sta leggendo questa storia, spero che continuerete a seguirla e che possa piacervi sempre di più! :)
VV**
  
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