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Autore: Chupacabra19    14/12/2015    4 recensioni
Kendra, una semplice ragazza, vittima anch'essa del nuovo mondo infetto. In queste pagine virtuali leggerete la sua storia, il suo passato, i suoi incontri, ciò che il destino le ha riservato dopo l'epidemia. Questa è la mia prima ff dedicata alla serie twd e segue parte della trama originaria, partendo dalla drammatica situazione della terza stagione.
[Dal capitolo 5] : Mentre Rick, ancora in preda al terrore, poggiava il viso fra i capelli del ragazzo, questo aveva gli occhi fissi su di me. Tornai in piedi lentamente, sperando che quella commovente scena terminasse. D'un tratto, bruciore. Una terribile fitta mi travolse. Un dolore acuto, straziante. D'impulso, mi irrigidii. La lima precipitò al suolo. Abbassai lo sguardo, per capire da dove provenisse tale sofferenza. Un dardo. Un dardo dalle alette verdi conficcato nel fianco. D'improvviso, mi sentii fiacca, debole. La vista mi abbandonò e tutto si fece scuro.
Genere: Avventura, Drammatico, Horror | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Daryl Dixon, Il Governatore, Nuovo personaggio, Rick Grimes, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Capitolo 31 : Al posto mio 

 
 

Le mie previsioni sembrarono avverarsi. Il cielo al nostro risveglio si colorò di un grigio antracite, ridondante d'acqua piovana. Le nuvole sembravano voler straripare da un momento all'altro, ma ancora nessuna goccia si frantumava al suolo. Camminando, buttavo lo sguardo in alto ogni poco, sperando di vedere peggiorare la situazione. Desideravo una burrasca, uno scroscio d'acqua ghiacciata, dissetante. Daryl mi stava vicino, come per farmi da spalla. Non sapevo cosa pensasse, ma era intenzionato a sorreggermi se ne avessi avuto bisogno, come se fosse al corrente del mio stato d'animo. Un tempo mi infastidiva quasi sapere che egli mi comprendesse al volo, come se fossi un libro aperto, ora invece, mi tranquillizzava. Non avevamo voglia di chiacchiere, né ci guardavamo. Semplicemente, eravamo lì. D'un tratto le persone davanti si fermarono, come se di fronte a loro ci fosse qualcosa che ostruisse il passaggio. Mi feci spazio fino a scorgere delle bottiglie colme d'acqua sull'asfalto. Vi era pure un biglietto, recitava: da un amico.
Abbracciamo tutti le armi, guardandoci attorno. Qualcuno ci stava seguendo, tenendo d'occhio. Abraham e Daryl setacciarono velocemente la zona, non trovando tracce.

-Cosa dovremmo fare? – domandò Glenn, indicando l'acqua.

Morivamo tutti di sete, la tentazione era molta. Sebbene la cosa fosse alquanto sospetta. Perché mai avremmo dovuto fidarci di qualche sconosciuto?

-Non mi piace per niente questa storia. – affermò lo sceriffo.

-Potrebbe essere avvelenata. – aggiunse Carol.

-Non ha senso lasciare le bottiglie qui. – sottolineò Tara – Se fosse una persona che voleva davvero aiutarci si sarebbe fatta vedere.

Continuavo a fissare quella limpida bevanda.

-Col cavolo che bevo questa robaccia. – esclamò l'arciere, gesticolando con la balestra.

Rick portò le braccia ai fianchi, corrugando la fronte. Poi, Eugene si mosse ed afferrò un bottiglia.

-Tanto vale provare. – balbettò, offrendosi volontario.

Non appena poggiò le labbra a quella superficie plastificata, Abraham colpì l'oggetto, scaraventando la bottiglia a terra. Questa rovesciò il suo contenuto sul suolo. Fu come una pugnalata. Sentivo che era uno spreco.

-Non fare il coglione, cazzo. – lo ammonì.

Eugene abbassò lo sguardo. Voleva solo rendersi utile, ma sbagliava sempre. Cercai comunque di sostenerlo.

-Non abbiamo la certezza che sia avvelenata, potrebbe anche essere buona dopotutto.

-Sì, ma non possiamo nemmeno rimetterci la pelle. – ribatté Rick, riferendosi all'atto del finto scienziato.

Scrollai le spalle. Non volevamo rischiare, perciò le avremmo semplicemente lasciate lì. D'improvviso un tuono rimbombò nell'aria circostante. Scorsi un lampo. E la pioggia cadde a scrosci, inondandoci. Quasi volesse essere un segnale. Il mondo ci stava offrendo dell'acqua per sopravvivere od ero solo un altro bieco scherzetto? Afferrammo tutti le nostre borracce, cercando di catturare quelle grosse gocce. In pochi secondi fummo tutti completamente bagnati. I vestiti si appiccicarono alla pelle, rinfrescandomi. Avevo sempre amato la pioggia, ed ora più che mai. Quest'evento atmosferico aveva portato con sé gioia, sorrisi e speranza. Ridevamo sollevati, aprendo la bocca al cielo. I capelli si inzupparono, risultando ancora più pesanti. Li legai in una crocchia provvisoria. Ci lavammo dalla polvere, dalla spossatezza generale e soprattutto dalla negatività. Carl si avvicinò, porgendomi la sorellina. Anch'egli voleva godersi il momento. A volte quasi mi dimenticavo che fosse solo un ragazzino. Presi in braccio Judith, coprendola dal getto d'acqua con il cappello da sceriffo. Pure la piccola ridacchiava. Era bellissima. Nonostante tutto l'orrore in cui era stata gettata, la sua pelle era pura e candida come porcellana. Sembrava provenire da un altro mondo.

-Avevi ragione. – ammise Rick, spuntando all'improvviso nel mio campo visivo.

I suoi mossi capelli scendevano delicati sulla fronte, facendo spiccare quegli occhi glaciali. La barba tratteneva ogni goccia, quasi si trattasse di brina mattutina. La maglia aderente sottolineava il suo corpo statuario, accentuando i muscoli. Non avevo mai fatto caso al suo fisico.

-E quando non ce l'ho? – gli sorrisi.

Mi guardava con occhi dolci e malinconici allo stesso tempo. Cullavo Judith delicatamente, ricordandomi della prima volta che presi in braccio Cassie. Mi trasmetteva delle strane sensazioni. Capivo lo stato d'animo dello sceriffo. Ogni qual volta che una donna teneva in grembo Judith, la sua mente gli trasmetteva tutti i ricordi di Lori. Doveva essere dura.

-Saresti una brava mamma.

-Chissà, in un'altra vita forse. – scherzai.

Non avevo nessuna intenzione di mettere su famiglia in un mondo del genere. Nemmeno se avessi trovato in futuro l'uomo perfetto. Ammiravo il coraggio dello sceriffo, egli non si era tirato indietro. Aveva deciso di dare alla luce questa scricciola, di dare un segno di speranza. Lori si era addirittura sacrificata. Ma io non ero il tipo, la mia missione era tutt'altra. La vita aveva sicuramente altro in serbo per me. Poggiò la mano sulla mia spalla, tamburellando per qualche istante, sorridendomi. La pioggia ci stava letteralmente inondando, eppure restavamo lì a fissarci come se niente fosse, fra le risate e le grida allegre degli altri. D'un tratto sentii il bisogno di voltarmi, come se sapessi che qualcuno ci stesse osservando. Fu in quel momento che incrociai lo sguardo di Daryl. Rick spezzò subito il contatto, lasciando cadere la mano lungo il fianco. L'arciere si voltò, come per fingere che non ci stesse guardando o che non gli avesse dato affatto fastidio. Eppure sentivo che qualcosa non andava. La situazione stava diventando ambigua. Cominciavo a pensare che Daryl provasse qualcosa nei miei confronti, ma Rick si era esposto maggiormente. Cercavo di fare chiarezza in me, sperando di capire le mie emozioni. Era come se fossi diventata apatica. Ma vedere Daryl scocciato, triste, mi faceva male. Mi dimenticai della pioggia, dell'evento fortuito appena avvenuto, del senso di sete appagato. Pensavo solo a lui. Rick si accorse di ciò e prese in braccio Judith, lasciandomi sola. Una volta che le borracce furono piene, riprendemmo il viaggio ignorando palesemente quelle bottiglie in mezzo alla strada. Passandoci accanto, l'istinto mi diceva di fidarmi. Rallentai il passo, restando in fondo alla coda e riempii lo zaino di qualche bottiglia. Eugene mi vide. Gli feci gesto di non farne parola ed egli si avvicinò, parlandomi a denti stretti in modo che gli altri non se ne accorgessero.

-Che intenzioni hai?

La sua faccia buffa mi metteva un poco di allegria.

-La penso come te. – spiegai, facendolo sentire importante – Va provata. Se fosse buona sarebbe un terribile spreco.

La pioggia continuava a scendere su di noi, non dando alcun segno di essere al termine.

-Ma se fosse avvelenata o contenesse qualche strano farmaco, tipo dei sonniferi? – sibilò.

-Ne berrò solo un minuscolo sorso. Dal sapore già dovrei capire se contiene qualcosa. Inoltre, l'effetto sarà minimo.

Dopo una riflessione con occhi persi nel vuoto, mi rispose.

-Effettivamente, chiunque abbia messo delle sostanze, puntava sul fatto che fossimo molto assetati. Questo vuol dire svuotare una bottiglia in pochi secondi, mandando immediatamente in circolo una grossa quantità del farmaco. Dovresti essere al sicuro.

Gli feci l'occhiolino.

-Esattamente, proprio quello che intendevo.

Sembrò soddisfatto.

-Bene. Ti terrò d'occhio compagna. – aggiunse, mostrandomi il pollice.

Ciò mi fece sorridere. Quello sarebbe diventato il nostro gesto.

-Grazie Eugene. E mi raccomando.. acqua in bocca! – dissi, ridendo della mia stessa battuta.

Ci separammo, senza comunque perdere il contatto visivo ogni poco. Non mi perdeva mai un attimo. Devo dire che fosse un poco sgamabile, ma tutti pensavano che fosse un tipo strano, quindi non ci facevano più caso del necessario. I tuoni e lampi si facevano sempre più forti, sempre più violenti. L'aria tutto d'un tratto si era palesemente congelata, facendoci rabbrividire ad ogni passo. Di male in peggio, pensai. L'acqua che avevo in circolo non mi aveva ancora dato problemi, ero sicura che fosse buona. Guardavo Daryl ignorarmi, passeggiare con la balestra sulle spalle. I capelli bagnati si erano appiccicati al volto, ero sicura che quella fosse la sua prima doccia. Volevo quasi avvicinarmi per sapere se profumasse di cane bagnato.

-La situazione sta peggiorando. – espose Michonne.

-Si sta per mettere male, me lo sento. – aggiunse Abraham.

Rick si passò le mani sul volto, cercando di privarsi dell'acqua in eccesso.

-Dobbiamo trovare un riparo.

Non appena lo sceriffo terminò la frase, mi sporsi d'istinto nella direzione della radura, volendo andare in avanscoperta.

-Restate nei paraggi. – ordinò brusco Rick – Non c'è bisogno che vi spieghi il motivo, visto quello che è successo.

Ciò mi provocò una stretta allo stomaco. Kioshi era una ferita fresca, non c'era motivo di doverlo portare come esempio. Non gli risposi, inoltrandomi nel bosco. Sentii altri spingersi nel lato opposto. Gli anfibi affondavano nella melma, il terreno che fino a qualche ora fa sembrava spezzarsi, adesso era mutato in una poltiglia densa. Facevo fatica a camminare nel fango alto, ma continuavo a muovermi aggrappandomi a qualche ramo per fare leva. Sotto quelle alte chiome, fortunatamente, la pioggia non riusciva a raggiungermi direttamente, smorzando il getto sulle foglie. Avevo tanto disperatamente desiderato un acquazzone, ma ne avevo già le palle piene. Udii alcuni passi dietro di me. Allora mi fermai, aspettando che chiunque fosse mi raggiungesse. A mio stupore fu proprio l'arciere. Finsi di non essere stupita da ciò e continuai a camminare.

-Come mai hai voluto seguirmi? So badare a me stessa.

-Dopo quello in cui ci siamo imbattuti, non credo proprio che sia una buona idea girovagare da queste parti. E poi diciamocelo, finisci sempre nei guai.

Sbuffai.

-Non mettertici anche tu.

Amava punzecchiarmi.

-Faresti prima ad ammetterlo. – sentenziò.

Risi sconfortata.

-Sei venuto per litigare o per dare una mano, sbruffone?

Non rispose subito, occupandosi prima di un vagante rimasto bloccato nel fango. Questo ci consentiva un bel vantaggio sui putridi.

-Insomma, Rick si sta dando da fare eh? – disse, pulendo il pugnale e facendomi gesti che rappresentavano un rapporto sessuale.

Rimasi interdetta da quanto fosse infantile, ogni volta me ne stupivo.

-Ma dico, fai sul serio? – mi innervosii, allungando il passo.

Scorsi un capanno, una struttura in legno che somigliava ad una stalla. Poteva andarci bene. Ci avvicinammo, volendo essere sicuri che fosse vuoto. Mi posizionai sul lato destro del portone e lui fece lo stesso col sinistro, in modo tale da scattare assieme nello stesso istante. Non appena aprì, portammo le lame in alto, pronte a conficcarle in qualche stronzo. Nessuno si parò di fronte a noi. Udivamo solo qualche lamento. All'interno trovammo infatti alcuni vaganti in pessime condizioni. Davano l'impressione di non mangiare da molto, data la loro scarsa reattività. Fu un gioco da ragazzi eliminarli. Il granaio non era messo benissimo, ma non era nemmeno in pessime condizioni. I punti da cui entravano assurdi spifferi erano parecchi e da un lato del tetto filtrava la pioggia, ma tutto sommato ci saremmo tranquillamente arrangiati. La tempesta aumentò di potenza, il vento che si alzò sembrava essere intenzionato a creare un uragano. Tentammo di raggiungere in fretta il gruppo, ma fummo bloccati da una decina di putrefatti aggressivi. Nonostante la difficoltà nel muoversi, ci avrebbero dato del filo da torcere, essendo anche noi stessi limitati. Sfoderai il machete, cercando di dare dei colpi netti e puliti, scaraventando a terra una testa dietro l'altra. Con la coda dell'occhio, vidi Daryl in difficoltà, attaccato da due lati. Cercava di tenere lontano da sé uno di quegli esseri, spingendolo per il busto, mentre tirava dei calci al secondo, sperando di farlo cadere. Il pugnale gli scivolò di mano, finendo nella melma. Accorsi in suo aiuto, abbattendo entrambi. Mentre mi occupavo di quelli rimasti, Daryl affondò le mani nel fango, in cerca della lama.

-Fanculo! – gridò, prima di conficcare il pugnale nell'ultimo vagante.

Agitava la mano destra, scrutandosi il palmo con faccia corrugata. Vidi del sangue scorrere lungo il braccio. Rimasi immobile a fissarlo, pensando al peggio.

-Non guardarmi in quel modo. – brontolò – Non sono stato morso.

Si doveva essere ferito col pugnale. Il cuore riprese a battere.

-Che cazzo, mi hai fatto prendere un colpo. – sospirai nel fiatone – Fammi dare un'occhiata.

-Nah, non ce n'è affatto bisogno. È solo un graffio. – tirò corto.

Ma a giudicare dalla quantità di sangue, la ferita doveva essere profonda. Feci per avvicinarmi e lui si discostò.

-Che c'è? – domandai innocentemente. – Voglio solo pulirti la ferita, hai le mani piene di fango.

Si poggiò ad un tronco, guardando altrove come per darmi il consenso implicitamente. Mi sfilai lo zaino dalle spalle, afferrando la borraccia d'acqua per pulire il palmo. Gliene versai un poco e sangue misto a terra scivolò al suolo. Presi un pezzo di garza e gli fasciai il palmo, cercando di non premere troppo sulla ferita. Non poteva ferirsi in posto peggiore, un taglio al palmo ci mette il doppio del tempo a rimarginare, data la mobilità della mano. Rischia di aprirsi molto spesso. Quando feci per riporgere la borraccia, egli mi afferrò il polso, strappandomi dalle mani lo zaino. Ne tirò fuori le bottiglie che avevo deciso di prendere di nascosto.

-Cosa cazzo ci fanno nel tuo zaino? – scandì ringhiando parola per parola.

Presa alla sprovvista, non seppi bene cosa dire.

-Io e Eugene pensavamo che..

-Tu e Eugene?! – ripeté, marcando l'ultimo nome.

Cercai di liberarmi dalla presa, ma egli strinse ancora di più la morsa, facendomi male al polso, oltretutto slogato.

-Senti, so che può sembrare una stupida idea..

-Non mi interessa! – ringhiò, interrompendomi.

Fece per lanciare via l'acqua, ma fu bloccato dalle mie parole.

-L'ho bevuta, è buona. È buona, Daryl! – confessai, colpendogli il petto con la mano sinistra stretta in un pugno.

-Tu cosa? – mi guardò torvo – Sei pazza.

Lasciò cadere a terra lo zaino, il quale sprofondò in parte nella melma. La pioggia continuava a schiantarsi su di noi, ma data la tensione, percepivo ogni goccia sulla pelle come piccoli dannati spilli. Mi afferrò con rabbia per le spalle, spingendomi con ferocia sul tronco dell'albero a lui vicino. Mi premette contro quella superficie rugosa con tutta la sua forza, poggiandosi pure su di me col suo corpo. I nostri petti fradici erano a contatto, tanto che lo sentivo fremere dal nervoso. Quella violenza improvvisa, quelle dita premute come fossero lame, mi facevano provare le stesse terribili emozioni che mi aveva scaturito Joe in quel famoso giorno. Ebbi la forza di non chiudere gli occhi, di mantenere il contatto visivo con quelle sue iridi vitree, più taglienti di qualsiasi diamante grezzo. Non capivo le sue intenzioni, tutta quella vicinanza. Non si trattava della solita ramanzina. Stare così a contatto mi metteva in imbarazzo, oltre che a disagio. Il muscolo cardiaco pulsava all'impazzata, bloccandomi il respiro. Strinse poi la mia mandibola con tutt'altro che delicatezza, obbligandomi ad aprire la bocca. Non appena compresi le sue intenzioni, bloccai d'istinto l'altra sua mano che si stava avvicinando al mio volto.

-Non osare infilarmi quelle tue schifose dita in gola. – minacciai, sforzando la mascella.

Percepivo il suo respiro frenetico su di me.

-Devi vomitare, prima che il tuo corpo assorba quella robaccia. – disse a denti stretti, senza mollare la presa o allontanarsi.

-Toglimi subito le mani di dosso. – gli tenni testa – Se fosse stata avvelenata, a quest'ora..

Mi spinse nuovamente contro il tronco, premendo maggiormente. Percepivo la corteccia escoriarmi la pelle bagnata attraverso la canotta zuppa.

-A quest'ora cosa, uh? – abbaiò – Saresti morta?

Non risposi, limitandomi a fissarlo. Aveva solo paura. La sua scenata, la rabbia, la violenza. Tutti aspetti dettati dal sentimento che lo legava a me. Temeva per la mia vita.

-È questo quello che vuoi, mocciosa? – gridò – Dimmelo. Vuoi crepare, vuoi buttarti così fregandotene di me, di loro, di tutti quelli che hanno cercato di mantenerti in vita? Se le cose stanno in questo modo, lasciatelo dire. Sei una vigliacca, una puttana egoista.

Lasciò la presa, come se all'improvviso fosse schifato da me. Rimasi senza parole, con un terribile senso di vuoto che si faceva spazio in me, provocandomi una serie di sentimenti contrastanti. Non stavo cercando la morte, non era mia intenzione sacrificarmi per delle stupide bottiglie d'acqua lasciate per strada, non volevo fare l'eroina della situazione, non pensavo di stare tanto a cuore all'arciere da tramutarlo in una bestia frustrata, non avevo desiderato niente di tutto questo. E allora, perché lo avevo fatto? Forse perché sono semplicemente una stupida, una inutile ragazza con la malsana idea di avere sempre ragione, di fidarsi ciecamente dall'istinto. Non avevo le forze e la testa per piangere in quel momento, ma il cielo lo stava facendo al posto mio. Lui era lì, immobile di fronte a me ad aspettare chissà quali parole, chissà quali gesti, con la consapevolezza che, in un modo o nell'altro, l'avrei comunque deluso.

-Forse do questa impressione, forse sembro solo un'idiota che scherza con la vita, che fa cose avventate senza un motivo preciso, che se ne strafrega di ogni consiglio. Sono questo, ma allo stesso tempo non lo sono. Agisco d'istinto, ma rifletto alla velocità della luce. Non faccio niente se non lo ritengo prima giusto od appropriato. Non sto cercando di ammazzarmi, a quest'ora sennò me ne sarei già andata da un pezzo. Io sto lottando, proprio come te e loro. Non azzardarti a chiamarmi vigliacca, non ne hai il diritto. Tu, tu che scappi dalle persone, dai conflitti, finendo con lo scoppiare di punto in bianco. Travolgi tutti come un tornando, fregandotene delle cicatrici che lasci. Ho fatto quel che ho fatto, perché sinceramente penso che il mondo sia allo stremo, che non esistano più persone buone, ma allo stesso tempo ho voluto rischiare, assaggiare quell'acqua per mostrare a me stessa che sbaglio, che qualcuno voglia davvero aiutarci. E forse hai ragione, sono pazza, ma è quello che sono e non posso cambiare, né vorrei farlo.

Parlai veloce restando senza fiato, gettando quelle parole su di lui come pietre. I suoi muscoli si rilassarono, pure il volto si addolcì, pur restando serio e distante. Sembrava avesse qualcosa da dire, da confessare, ma Glenn apparve nel panico, arrancando nel fango.

-Finalmente vi ho trovati. – disse con voce spezzata dalla fatica - Eravate gli unici a non essere tornati indietro.

Vide chiaramente che qualcosa non andava, la tensione era alta, ma finse di non farci caso, cercando di allentare il tutto.

-Ditemi che siete stati fortunati e che avete trovato qualcosa.

Gli mostrai il sorriso più finto che potessi sfoderare.

-Ci puoi scommettere.

Egli tirò un sospiro di sollievo. La tempesta stava peggiorando troppo velocemente, preannunciando una terribile tormenta, fra cicloni e tuoni. Lanciai un ultimo sguardo a Daryl e raccolsi lo zaino, scuotendolo affinché si liberasse in parte dalla poltiglia marrone.

-Andiamo a dare la buona notizia al resto del gruppo. – parlai a Glenn, tirandolo per mano.

 

*


 

Il vento scuoteva il capanno, il legno sembrava volersi spezzare da un momento all'altro. Il rumore della pioggia si faceva sempre più forte, rimbombando nelle orecchie quasi fosse una tortura cinese, ma a parte questo, almeno eravamo all'asciutto. Rick provò più volte ad accendere un fuoco, data la difficoltà di far bruciare quella legna umida. Dopo una mezzora buona, finalmente una minuscola fiamma apparve barcollando. Ci acquattammo tutti vicino a lei, soffiando ogni tanto per darle forza. Daryl fu l'unico a non sedere assieme a noi, restò al portone, facendo la guardia, osservando l'esterno attraverso le fessure delle travi. Rick ci scrutava entrambi, cercando di capire cosa fosse successo, ma non osò domandarmi nulla.

-Avete riempito tutte le vostre borracce? – domandò baffo rosso – Dopo una scrosciata del genere, mi aspetto un periodo di secca.

Annuimmo. Aveva ragione, ma non sarebbero bastate. Chissà quanto ancora sarebbe durato il nostro viaggio. Iniziavano tutti a pensare che non avremmo trovato nessun posto sicuro. Che saremmo finiti per morire di stenti. Avrei voluto rassicurare loro, fare qualche strano discorso rincuorante, ma non ne ero dell'umore adatto. Guardai Eugene intensamente ed egli mi fece cenno di no con la testa, cercando di non farsi notare. Ovviamente non gli diedi retta. Troppo testarda.

-Comunque. – sussurrai con malavoglia – L'acqua era buona.

Si voltarono tutti nella mia direzione, scrutandomi sperando che non avessi fatto chissà quale idiozia. Posai le varie bottigliette davanti a me, una ad una in silenzio. Strinsi a me le gambe, posando il mento sulle ginocchia.

-Cosa vorrebbe dire? – chiese nervosa Carol.

Maggie scosse la testa.

-Vuol dire che l'ho bevuta, che è buona e che qualcuno ci sta davvero aiutando.

-E ce lo dici così? – brontolò Rick – Come se niente fosse? Poteva essere..

-Beh non lo era. – sbottai.

Mi guardò in cagnesco. Glenn, al contrario, mi osservava con occhi tristi.

-Ne sembri quasi delusa. – sputò Abraham.

Lo fulminai.

-Cosa stai insinuando?

Alzò le spalle, rispondendomi mentre rassettava il fuoco, con fare saccente.

-Che ti sei arresa.

-Abraham. – interruppe Rick, sperando di zittirlo.

Ma chioma rossa continuò.

-Sì, penso che ti sia arresa. Che da quando è morto il tuo amichetto..

Rosita lo colpì sulla pancia, intimandogli di non aggiungere altro. Oramai però era troppo tardi, il sangue mi ribolliva. Scattai in piedi.

-Stai forse dicendo che ho bevuto quell'acqua sperando che fosse avvelenata?!

-Non è così, eh? – ringhiò, scattando anch'egli all'in piedi.

Gli piantai l'indice sul petto. Non mi importava che fosse più grosso di me, non avevo paura di quel bestione tutto muscoli e niente cervello. I suoi sospetti mi stavano facendo incazzare.

-Certo che non è così, idiota.

Eugene si tappò gli occhi.

-Sedetevi, adesso. – ordinò lo sceriffo, con voce chiara.

Lo ignorammo.

-Stronzate. – mi sussurrò in faccia, poggiando la fronte sulla mia con fare da duro.

Stava istigando una rissa. Voleva che lo colpissi. Non mi tirai indietro, mantenni il contatto, facendo ancora più forza.

-Per chi diavolo mi hai preso, sergente? – dissi, ironizzando sull'ultima parola. – Non sono io quella pappamolle in questo gruppo che si è scolata litri di whisky per attirare l'attenzione, proprio come avrebbe fatto un adolescente depresso.

Vidi una smorfia formarsi sul suo volto. Ero pronta. Si staccò velocemente da me, portando indietro il bracco teso.

-Figlia di puttana!

Avrei parato quel pugno, se solo Rick non si fosse alzato per mettersi in mezzo, distraendomi. Egli cambiò traiettoria e mi colpì in pieno volto, schiantandomi al suolo. Il parroco sussultò.

-Sei impazzito? – gridò lo sceriffo.

-Abraham, sei solo uno stronzo. – brontolò Rosita, correndo nella mia direzione.

Mi sollevai sulle ginocchia, strusciando il dorso della mano sulle labbra. Vidi una striscia di sangue. Sputai a terra un grumo rosso. Mi aveva spaccato il labbro. Ero fortunata che non mi fosse partito qualche dente. Rosita mi prese il braccio e se lo passò sopra il collo, aiutandomi a mettermi in piedi. La botta era stata forte, ero leggermente rintronata.

-È lei la stronza. – continuò il sergente, ignorando le minacce di Rick.

Lo guardai con odio.

-Che c'è eh? Non sei soddisfatta, ne vuoi un altro suicida del cazzo?

Gli sputai in faccia, schizzandolo col mio stesso sangue. Percepii la collera fremergli nelle vene.

-Smettetela tutti e due. – parlò  Glenn - Non è il momento per cercare di ammazzarsi fra di noi.

Rick intanto cercava di far ragionare il rosso, parandosi di fronte a lui. Voleva che lo guardasse negli occhi, ma egli non faceva altro che fissarmi con un'intensa furia omicida. Per quanto lo sceriffo fosse incazzato e lo minacciasse, Abraham era il doppio come fisico e forza, gli bastò spingerlo via con un braccio e fu di nuovo su di me. Mi afferrò per il collo della canotta, pensando di farmi paura. Rosita cercava di staccarlo da me, tirando il suo amato senza spostarlo di un centimetro.

-Abraham! – gridò Rick – Lasciala andare subito. Non lo ripeterò una seconda volta.

Judith scoppiò in un pianto isterico, costringendo Carl ad allontanarsi da noi. Carol e Michonne erano pronte a scattare se il sergente avesse dato un secondo segno di violenza. Speravano tutti che la cosa finisse pacificamente. Abraham mi stava letteralmente picchiando con le sue iridi infernali, percepivo senza problemi il suo odio. Gli sorrisi, sfidandolo. Ed egli non ci vide più. Il pugno si avvicinò in un istante.

-Prova a toccarla un'altra volta e sei morto. – ringhiò Daryl, mirandolo con la balestra.

Le sue dita erano praticamente in mezzo ai miei occhi ad un centimetro di distanza. Il suo pugno era sospeso in aria, come se qualcuno avesse messo in pausa la scena.

-Allontanati e porta subito il tuo dannato culo lentigginoso di merda a terra o giuro che ti freddo con un solo fottuto dardo. – abbaiò l'arciere.

Fui infastidita dal suo intervento, era l'ultima persona che poteva prendere le mie difese, dopo quello che aveva fatto nel bosco.

-La situazione sta degenerando. – esclamò Maggie – Diamoci tutti una calmata.

Rick allungò il braccio mostrando il palmo all'amico, come per calmarlo.

-Daryl, abbassa l'arma.

-Lo farò quando quel figlio di puttana le avrà tolto le mani di dosso. – latrò.

Il rosso allentò la presa, indietreggiando lentamente senza staccare gli occhi da me. Lanciò un'occhiata a Daryl e si sedette in un angolo della struttura, seguito subito dalla fidanzata che ringraziò l'arciere con un cenno. Rick abbassò la mano e Daryl ripose la balestra.

-È tutta colpa mia! – esplose Eugene – Sapevo che aveva bevuto l'acqua, ma la tenevo d'occhio io. Ci eravamo messi d'accordo, un sorso piccolo per capire se fosse effettivamente buona. Avrei dovuto dirvelo, scusate.

-Cosa stai dicendo? Qui nessuno ha una colpa. – spiegò Tara.

-Qui si tratta solo di essere incoscienti. – parlò Sasha, l'unica che era rimasta tranquilla accanto al fuoco.

Da che pulpito, pensai. Premetti il polso sul labbro, sperando che la pressione avrebbe fermato la fuoriuscita del sangue.

-Hai rischiato la tua vita per niente. – sussurrò arrabbiato Rick – Ancora una volta.

-L'ho rischiata per farti aprire gli occhi. – risposi scocciata – C'è davvero qualcuno che vuole aiutarci.

-E tu la vedi questa magica persona? – disse furiosa Carol.

Glenn sperava che lasciassi perdere.

-Verrà. Ne sono certa.

Sicuramente qualcuno ci stava tenendo d'occhio da tempo. Forse si trattava di una, due o al massimo tre persone che volevano prima accettarsi che fossimo brava gente. Insomma, io stessa avrei studiato un gruppo dall'esterno prima di buttarmici come se niente fosse. Il tutto aveva una sua logica.

-Ah certo. – schernì – Perché il tuo istinto ha sempre ragione.

-Mi ha portato fin qui. – dissi, risoluta.

Rick piegò la testa di lato, era stanco di tutte queste discussioni.

-Che c'è? – mi domandò avvilito – Vuoi litigare anche con Carol adesso?

Sospirai. Non ero certo io quella che aveva iniziato. Odiavo sentirmi dire che mi ero arresa, che Kio fosse il mio amichetto.. che cazzo, era una persona. È morto. E Carol perché mai mi stava dando addosso? Se non ci fosse stata quella diavolo di tempesta, a quest'ora mi sarei allontanata dall'intero gruppo. Mi davano tutti sui nervi.

-Dico solo ciò che penso. – ammisi, osservandomi la mano sporca.

Odiavo le ferite al labbro, seppur minuscole facevano fuoriuscire una grande quantità di sangue.

-Ah davvero? – domandò ironica Carol – Ora ti dico io ciò che penso. Grazie al tuo cavolo d'istinto, se a Terminus non mi fossi trovata in quell'edificio, saresti morta. E se proprio vuoi saperlo, il tuo magnifico istinto, è lo stesso che ti ha portato anche da quel pazzo del Governatore.

-Vuoi mettertici anche tu adesso? – brontolò Daryl, guardandola in cagnesco.

Mi leccai la ferita, assaporando quel gusto ferroso ed acuto. Frizzava da far schifo, ma non tanto quanto la rabbia che avevo in corpo.

-Grazie dell'esposizione accurata Carol, non pensavo che fossimo arrivati al punto in cui rinfacciavamo l'aver salvato la vita agli altri. – parlai pacata – Detto questo, il mio magnifico istinto è lo stesso che mi ha portato a difendervi, a lottare contro il Governatore, a lasciare quella che un tempo era stata la mia gente. Sempre lui, mi ha fatto sopravvivere dopo la caduta della prigione. E sono qui, per un motivo o l'altro, sono ancora qui come tutti voi. Non venirmi a spiegare come si vive.

Fece per ribattere, ma Rick la zittì con un semplice gesto. Non mi importava cosa pensasse, sapevo in cuor mio come stavano davvero le cose, ciò che ero stata costretta a subire e ad ingoiare. Me ne andai, allontanandomi da tutti loro. Daryl cercò di avvicinarsi, ma lo scansai. Le nostre spalle si scontrarono, ma lo ignorai. Mi aggrappai ad una scala semitorta di legno e raggiunsi quello che poteva essere definito il secondo piano, un soppalco colmo di fieno di secco. Mi gettai su di esso, finendo col fissare il soffitto, quelle travi di legno che stavano assorbendo ogni diavolo di goccia.  Avevo esagerato? Forse. Ma non me ne pentivo. Non ero il tipo di persona che se ne sta zitta sotto accusa ingiusta. Mi girai di lato, assumendo la tipica posizione fetale. Mi fissavo la mano sporca di sangue, chiedendomi quante altre volte l'avrei vista conciata così. Che fosse il mio, altrui o di vaganti, finivo sempre con l'avere le mani pregne di sangue. Passai più di un'ora in quello stato, senza nemmeno cambiare posizione, persa nei miei pensieri. Oramai era notte fonda, ma non riuscivo a prendere sonno. Sentivo giù qualcuno parlare a bassa voce, ma non riuscivo a capire chi fosse. Ad ogni modo sembravo non essere l'unica a soffrire d'insonnia. Per nostra fortuna Judith invece pisolava beatamente. Il suo pianto mi aveva dato alla testa. Percepii il legno scricchiolare sotto il passo di qualcuno. La scala si mosse. Sbuffai e finsi di dormire. Non volevo nessuno attorno. Chiunque fosse, si sdraiò accanto a me, incrociando le braccia sotto la testa.

-È inutile, so che sei sveglia. – sussurrò Daryl.

-Che palle.

Rise.

-Non c'era bisogno che ti mettessi in mezzo.. – sospirai.

-Tsk, al secondo cazzotto saresti crollata. Sei uno scricciolo in confronto ad Abraham.

Parlavamo senza guardarci, o meglio, cercavamo di fingere che non vi fosse della tensione fra di noi. Lui fissava le travi, scrutandole da dietro quei suoi capelli ormai troppo lunghi, ed io osservavo il suo profilo nella penombra. A dirla tutta era praticamente buio pesto, ma il fuoco filtrava da sotto illuminando quanto bastava.

-Nah, lo avrei preso di sprovvista. Un contrattacco. – spiegai a bassa voce – A volte dimentichi che ero nelle forze speciali.

Sorrise.

-È che non riesco proprio ad immaginarti.

Gli diedi un colpetto.

-Menomale, ero così sexy.

Soffocò una risata. Era bello vederlo sereno ogni tanto, sebbene sapessi che si stava sforzando. Come me del resto. Restammo poi in silenzio, fermi ad ascoltare la melodia di quell'acqua che cadeva dal cielo, di quelle gocce che si infrangevano al suolo, su ogni superficie possibile. Stavo bene con lui, nonostante avesse spesso dei momenti no. Ma era una delle poche persone con cui potevo essere me stessa. Odiavo ciò che mi aveva detto nella foresta, così come odiavo le parole di Abraham, ma sapevo che quelle di Daryl erano diverse. Sapevo che se avessi voluto l'arciere al mio fianco, avrei dovuto accettare ogni sua sfumatura, compresi i drammi, le tragedie e le litigate no sense, perché erano sfumature che facevano tutte parte del suo carattere. Un tuono lontano, un fulmine violaceo. Di colpo il capanno fu pervaso da una luce accecante e l'attimo dopo ricadde nell'oscurità. Tutt'ora non ne conosco il motivo, ma decisi di avvicinarmi all'uomo che avevo accanto. Poggiai la guancia sulla sua spalla e la mano sul petto. Non mi piaceva, anzi, non tolleravo affatto che gli altri mi vedessero in frangenti di debolezza, non volevo essere considerata una ragazzina incapace e bisognosa di conforto, ma in quel momento non mi importava. Volevo solo ricevere la consapevolezza di non essere sola, perché nonostante mi trovassi con queste persone, spesso era quello ciò che provavo: un grande senso di solitudine. Daryl non si discostò, nè fece una battuta amara, si limitò semplicemente ad abbassare il braccio e a cingermi la vita.

-Perché facciamo sempre così? – domandai, ascoltando il battito del suo cuore – Perché non facciamo altro che pugnalarci, se poi ci cerchiamo?

Posò il mento sulla mia folta capigliatura riccia.

-Non lo so.

Sarò sincera, avrei voluto addormentarmi in quella posizione, fra le sue braccia, come una bimba che ha bisogno di sentirsi al sicuro. D'un tratto però, udimmo degli strani rumori, come se qualcuno da fuori stesse spingendo il portone. Ci alzammo di scatto. Isolai pian piano il rumore della pioggia, concentrandomi unicamente sull'ingresso del granaio. Dei mugoli, dei versi raccapriccianti. Putridi.
Vidi Rick scattare ai portelloni, spingendo con tutta la forza in corpo.

-Presto! – gridò.

Accorremmo tutti, dimenticandoci i rancori, le parole, le botte. Facevamo forza su quelle assi zuppe di pioggia, cercando di puntellare i piedi nel terreno. Non avremmo permesso a nessuno di loro di sfondare quella barriera di legno. Ci spalleggiavamo, ci spronavamo a non mollare. Percepivo il respiro fetido di quelle bestie. Il portone vacillava di tanto in tanto, facendoci temere per il peggio. Quella diavolo di situazione durò per gran parte della notte. Ma c'era un piccolo e sbiadito dettaglio positivo: eravamo tutti lì, gli uni di fianco agli altri, tutti pronti a lottare per sopravvivere come una unica cosa.

 

Angolo autrice
Drammi a più non posso. I know ahah
Almeno c'è stata un po' di Kendryl, al di là delle discussioni :P

  
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