Dormi; con la tua dolce figura gentilmente accostata alla mia, tu dormi.
Ti guardo e mi ricordi la ninfa di un racconto perduto.
Ti osservo e riesco ad immaginarti sotto le mentite sembianze di un fiore.
Un fiore dallo stelo sottile e slanciato, come il tuo corpo, e dai petali chiari e lisci, come i tuoi capelli.
Forse è proprio il fiore di cui porti il nome, Narcissa.

Sotto la luce della candela che reggo nella mano destra con l’unico scopo di ammirarti, la tua bellezza appare ancora più ineffabile del normale.
Dammi ancora qualche minuto, giusto il tempo di imprimere nei miei occhi questa meravigliosa immagine, e la spegnerò; non voglio destarti dal tuo sonno.
Mi dispiace, solo, di non potermi ancora una volta perdere nei tuoi occhi di un nero infinito e ritrovarmi in quel luogo ignoto e indescrivibile, dove per la prima volta ho conosciuto l’amore. Poi uscirne, in silenzio come vi sono entrato, e per ultimo scorgere solo l’ombra del tuo vero sguardo, che sembra volermi suggerire di non dare importanza a qualsiasi cosa non riguardi noi due.
Mi dispiace, ma non per questo riesco a renderti colpevole di questo reato.
Anche se lo facessi, mi dico soffiando sull’estremità accesa della candela, non ti macchieresti di questo crimine.
Rimarresti bianca come il tuo nome, le lenzuola che condividiamo, la tua pelle e la tua stessa essenza,
Narcissa.