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Autore: MZakhar    15/12/2015    1 recensioni
A chi non è mai capitato di affogare la propria delusione nell'alcol?
Sicuramente è successo a Vittoria – 23 anni, operatrice di un call-center – quando il suo, cosa? capo? fidanzato? amante?, ha deciso di darle buca proprio la sera in cui lei si aspettava di ricevere il tanto agognato anello... Ma si sa che l’alcol porta solo guai, soprattutto se brindando hai indossato vestiti firmati e affascinato ogni uomo del pub. Per questo al suo risveglio, non ricordandosi gran parte della serata, Vittoria sente di aver fatto qualcosa di sbagliato. Qualcosa che ha il volto di un uomo affascinante di cui non sa nemmeno il nome. Eppure... cosa sarà vero e cosa farà parte dell’immaginazione? A Vittoria non resterà che scoprirlo a proprie spese e per la prima volta, forse, riuscirà finalmente a vedere la sua vita dalla giusta prospettiva...
Genere: Generale, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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7.
L O     S C O P P I O     D I     U N A     B O M B A


It was fun
Playing with knifes
Until a blade
Stock in the left side of my chest...
Surprise!

(Demi Lovato - Old ways)




Non ero andata a casa. Avevo vagato per un’ora lungo le strade appena fuori città per schiarirmi le idee. Ma invece di capire finalmente cosa dovessi farne della mia vita la mia mente era stata invasa dal ricordo di Carlo e della nostra prima sera insieme. E adesso ero ferma in un punto cieco di Via Giannotti, a osservare l’uomo che aveva giurato di amarmi camminare su e giù davanti al mio portone con le mani infilate nelle tasche del cappotto. Mi stava chiaramente aspettando, ma io non ero pronta a parlargli.
Sospirai e mi abbandonai con la testa contro il sedile della Panda, socchiudendo gli occhi per un attimo. Dove potevo andare? Dovevo chiedere asilo a Francesca? No, era escluso. Anche se avrebbe sicuramente trovato un posto per me, stasera non ero proprio dell’umore per i suoi onesti “te l’avevo detto”. E non potevo chiamare nemmeno Giorgia, poiché avrebbe cercato sicuramente di risolvere i miei problemi con una bottiglia d’alcol e come sempre avremmo finito per fare qualcosa di stupido. Il numero di Tiziana non ce l’avevo, e con lei finiva la mia lista di amici.
Sopra la tettoia rimbombò lo scoppio di un tuono e mi ricordò che avrebbe potuto iniziare a piovere da un momento all’altro.
Presi il telefono in mano e feci scorrere il dito sulla rubrica, lasciando che si fermasse su un nome a caso. Il nome risultò essere (nessuna sorpresa!) quello di Nicholas e fui tentata di chiudere l’applicazione con una smorfia ma poi ci ripensai e prima di cambiare idea cliccai sul tasto di chiamata. Non dovette squillare a lungo, mi rispose quasi subito cogliendomi completamente di sorpresa. Talmente di sorpresa che buttai giù senza dire una parola. E che avrei potuto dirgli, poi? Mi dispiace per averti trattato male, di nuovo? No. Era una pessima idea. Non dovevo chiamare Nicholas, non sapevo nemmeno come mi fosse venuto in mente!
Impostai il telefono sulla vibrazione e lo buttai sul sedile di fianco. Come c’era da aspettarselo Nick cercò di richiamarmi, ma io lo ignorai. Davanti a me intanto anche Carlo prese il telefono e digitò qualcosa – il mio telefono riprese a squillare ancora una volta, ma il nome sul display non era più quello di Nicholas. Beh, non avevo risposto a quest’ultimo, figuriamoci se l’avrei fatto adesso!
Osservai Carlo buttare giù e appoggiarsi contro la sua auto per poi guardare verso il mio appartamento. Mi salirono le lacrime agli occhi. Restare qui non era un’idea sana, dovevo trovare un posto per la notte. Riflettendoci, mi venne in mente il Black Star che avevo consigliato a Nicholas la sera prima. Dio... era successo solo la sera prima? Quante cose potevano cambiare in ventiquattro ore!
«Forza, andiamocene», dissi alla mia Panda mettendola in moto.
Svoltai l’angolo e mi lasciai Carlo e il monolocale alle spalle.

«Mi dispiace signorina, ma al momento i nostri terminali sono tutti bloccati per un guasto tecnico. Se può aspettare qualche minuto risolveremo questo problema e le troveremo subito una stanza», mi disse la receptionist, stringendosi per l’imbarazzo dentro la divisa color pesca, in netto contrasto con la sua carnagione scura e i capelli neri.
Adesso capivo il motivo per cui decine di turisti occupavano tutti i divanetti nella hall.
«D’accordo, mi sistemerò al bar», risposi, mettendo via il bancomat.
Avrei potuto cambiare hotel ma non volevo allontanarmi troppo da casa e il Black Star era davvero molto vicino. Per non parlare del fatto che conveniva alle mie tasche.
Io e Carlo eravamo già stati qui, più di una volta a dire il vero, e forse non era esattamente il miglior posto dove rifugiarmi dal suo ricordo, tuttavia non riuscii a fare altrimenti. In un certo senso avevo bisogno di ricordare, volevo sperare che la nostra storia non fosse stata tutta una farsa e che c’era stato qualcosa di autentico. Poi però mi misi a sedere al solito tavolino nella parte sopraelevata della sala, vicino al parapetto che dava sul resto dei tavoli, e mi si strinse il cuore. Qui era dove Carlo mi aveva detto per la prima volta di amarmi e dove io li avevo stretto forte la mano, fidandomi delle sue parole. Possibile che avesse mentito guardandomi dritto negli occhi?
Mi tolsi furtivamente una lacrima dalla guancia con il palmo di una mano e in quella una cameriera si fermò accanto a me.
«Cosa desidera?», domandò con un sorrisone.
Non volevo sembrare scortese, ma non riuscii a risponderle con altrettanto entusiasmo.
«Una tequila sunrise», dissi semplicemente, tornando a guardare al di là del parapetto.
Dalla finestra panoramica in fondo si poteva scorgere un pezzo di piscina e il parco che la circondava come un’aureola sempreverde.
«You and my brother are such bad liars!», disse improvvisamente una voce alle mie spalle, obbligandomi d’istinto a voltarmi.
Quando vidi che a guardarmi di rimando (con tanto di sorrisetto ironico) c’era Jermaine, mi venne da gettare un’occhiata alle sue spalle quasi in automatico, per controllare che non ci fosse anche il fratello.
«Nicholas non è qui», m’informò Jermaine con il suo pesante accento americano.
Dopodiché mi raggiunse, scostò la sedia di fronte e ci si mise a sedere senza troppe cerimonie.
«You’re not really a couple, right?», domandò, incrociando le dita sopra il tavolo con aria di chi la sapeva lunga.
«Come?», chiesi colta in contropiede.
«Non siete una vera coppia», tradusse lui, sporgendosi leggermente in avanti.
Ma il mio stupore non voleva dire questo, bensì volevo capire cosa sottintendesse il minore dei Gordon con quella domanda.
Quindi chiesi apertamente: «Perché pensi questo?».
Jermaine sporse in fuori le labbra quasi a farsi pensieroso e inarcò un sopracciglio.
«Nick ha detto che non ti sei sentita bene al ristorante e che non si fidava a lasciarti guidare. Ti voleva riportare a casa. But you’re here, alone, so you guys lied. E credo anche di sapere il perché...».
Lo fissai inespressiva mentre la cameriera mi posava davanti il bicchiere sopra un tovagliolo di carta. Prima che se ne potesse andare, Jermaine le domandò del Jim Beam, poi proseguì:
«Carlo ha praticamente anticipato la fine della cena. Ha detto che gli faceva male la ferita e che doveva andare al pronto soccorso. Alone. Curioso, non è vero?».
«Voi Gordon avete questa fastidiosissima abitudine di analizzare tutto e tutti», osservai, bevendo un paio di sorsi dal mio bicchiere, «Non vedo cosa ci sia di tanto strano nel fatto che Carlo voglia farsi visitare la ferita», conclusi con una smorfia.
«Hm!», sbuffò lui, accomodandosi meglio sulla sedia, «Del resto è normal che voglia andare da solo al pronto soccorso... without his fiancée... after you suddenly ran away».
Alla sua occhiata penetrante mi strinsi nelle spalle e mi nascosi di nuovo dietro al bicchiere.
Jermaine sospirò e schioccò la lingua.
«Oh, c’mon! Don’t say bullshit!», esclamò, tornando in posizione precedente, «Non eri venuta al ristorante per un saluto! Eri lì per Carlo!».
A questo punto sbattei giù il bicchiere e mi allungai sopra il tavolino anch’io.
«Se anche fosse così, non vedo come possa interessarti!», ribattei.
Pensai che Jermaine si sarebbe stizzito per il mio tono, ma invece sul suo volto apparve un sorriso, quasi fosse sollevato. Mi domandai che problema avesse.
«Then I’m right?», incalzò.
«None of your business!», replicai con un accento pessimo.
A interromperci arrivò la cameriera, con il Jim Beam del ragazzo davanti a me. Lui lo prese direttamente in mano, ringraziandola. Poi, con calma estenuante, lo sorseggiò scrutandomi in faccia da sopra il bicchiere. Ricambiai l’occhiata, meravigliandomi di quanto mi risultasse facile bisticciare con questi mezzo-americani.
«Se mi hai seguito solo per questo...», iniziai.
«Non ho seguito anyone!», mi stoppò lui, allontanando il liquore dalle labbra, «Alloggio qui», chiarì.
Mi venne da guardarmi attorno: qui? Un Gordon?
«Pensavo che quelli come voi preferissero le cinque stelle e il tappeto rosso all’ingresso», dissi senza sforzarmi di nascondere l’ironia.
Jermaine storse la bocca e bevve un altro sorso.
«You know? I think I’ll be happy if my brother say me that you’re not his girlfriend, after all», lo disse così velocemente che non colsi bene tutte le parole ma intuii soltanto il senso generale della frase: qualcosa sul fatto che non si sarebbe dispiaciuto se non stessi davvero con suo fratello.
Misi subito il broncio e finii di bere il mio cocktail in silenzio. Jermaine continuò a sorseggiare il suo Jim Beam, studiandomi attentamente. Purtroppo lui e Nicholas erano più simili di quanto mi sarebbe piaciuto ammettere. Per fortuna a salvarmi dall’imbarazzo arrivò l’annuncio agli altoparlanti che comunicava che il problema coi terminali era stato risolto. Colsi la palla al balzo e mi alzai, preparandomi a salutare il mio collocutore, ma prima che potessi andarmene lui disse qualcosa che mi spiazzò:
«Se mi sbagliassi, faresti meglio a lasciare Nicholas prima che la situazione sfugga di mano...».
Pensai che avrebbe aggiunto qualcosa, ma Jermaine non disse altro, rivolgendo uno sguardo sereno al resto della sala. Tutto questo era ridicolo, il suo avvertimento era privo di senso. Quindi non risposi e me ne andai, tornando dalla receptionist che era stata sommersa dai turisti tedeschi appena arrivati con un pullman.
Dovetti attendere quasi mezzora prima che fosse il mio turno e alla fine ottenni la chiave di una stanzetta singola nell’ala est dell’edificio. Non era una regia, era arredata in modo quasi spartano, ma non potevo lamentarmi; l’importante era che ci fosse una doccia e un letto pronto ad accogliermi!
Mi ero appena stesa sopra quest’ultimo quando qualcuno venne a disturbarmi, bussandomi alla porta. Sbuffando mi alzai e mi tamponai i capelli ancora umidi con l’asciugamano, dopodiché aprii e mi lasciai sfuggire un lamento.
«Non ci posso credere, sei riuscito a scovarmi pure qui...», dissi a Nicholas, lasciandolo entrare dato che ero certa non se ne sarebbe andato altrimenti, «Fammi indovinare: ti ha informato tuo fratello?», chiesi poi, soffermandomi nel bagno per appendere l’asciugamano al suo posto.
Nicholas non rispose. Si chiuse la porta alle spalle, mi raggiunse e con un gesto rapido, che non avrei mai potuto prevedere, mi prese per le braccia e mi voltò, bloccandomi stretto tra il suo corpo e il lavandino. I suoi occhi s’inchiodarono ai miei con tale forza da non lasciarmi altra scelta se non quella di ricambiare il suo sguardo con uno sbalordito. La mia mente si svuotò all’istante, lasciando posto a strane bolle d’aria.
«Sei disarmante, Vittoria!», ruggì d’un tratto lui, lasciandomi a bocca aperta, «Da quando ti ho incontrata in quel pub sei diventata una vera spina nel fianco!», aggiunse, rafforzando la presa.
Sbattei un paio di volte le palpebre e mi accigliai. Non sapevo cosa mi fossi aspettata, ma di certo non questo...
«Mi chiedo cosa ho fatto di male per avere questa disgrazia?!», continuò imperterrito Nicholas, «Dio! Dovevo solo tornare qui, fare ciò che mi era stato chiesto e andarmene! Invece non riesco più a concentrarmi sugli obbiettivi, perché tutte le volte che ci provo arrivi tu a rovinare ogni cosa! Perché devo preoccuparmi se scappi via in lacrime? Perché dovrebbe importarmene? Perché decido di fare cose stupide quando sono con te? Dovrei essere da un’altra parte adesso, dovrei fare chiamate importanti, invece di comporre numeri a caso nella speranza di rintracciarti! È frustrante, dannazione!».
Nicholas mi lasciò andare e si passò le mani nei capelli. Dopodiché andò verso il letto e si abbandonò a sedere, ritrovando un po’ del solito, imperturbabile contegno.
Io invece non riuscii a ricompormi; era forse impazzito? Uscii dal bagno e mi fermai in mezzo alla stanza a fissarlo.
Nicholas mi gettò una fugace occhiata e sospirò: «Sembro un pazzo, vero?».
Non risposi. Stavo ancora assimilando le sue accuse.
«È questo il problema: non riesco a mantenere il controllo con te, faccio e dico cose che di solito non faccio e non dico!», sbuffò costernato, «Credo che ho iniziato a preoccuparmi per te dal momento che sei scappata dalla mia auto in pieno mattino, senza dirmi una parola. Una ragazzina bellissima e incosciente, innamorata di un uomo impegnato, che aveva cercato di affogare i suoi problemi in una bottiglia di tequila per tutta la notte. Mi sono sentito inspiegabilmente responsabile nei tuoi confronti e quando ti ho ritrovata lunedì scorso in compagnia di Carlo, non riuscivo a credere che tra tutti gli uomini possibili il tuo problema avesse il suo volto e ho capito che non potevo lasciare che lo rifacesse...».
«Rifacesse cosa?», domandai accigliandomi.
Ma Nicholas non rispose. Sospirò ancora una volta, come se stesse decidendo qualcosa nella sua testa, poi alzò lo sguardo su di me e fu sul punto di spiegarmi quando iniziarono a bussare di nuovo. Non seppi che fare. Da una parte volevo sapere, dall’altra, chiunque fosse stava insistendo in maniera piuttosto accanita e se avesse continuato ero certa che avrebbe disturbato gli ospiti dei numeri accanto. Quindi, controvoglia, andai ad aprire restando di stucco per la seconda volta.
Carlo mi guardò con determinazione, le braccia tese contro gli stipiti della porta. Poi però notò che c’era qualcun altro con me e la sua espressione passò da sorpresa a incredula, per poi incrociare il mio sguardo in modo accusatorio.
«Che ci fai qui?», domandai nonostante avessi solo voglia di scoppiare a piangere e nascondermi nel suo cappotto in cerca di rassicurazioni.
«Carlo?», si sorprese Nicholas, apparendo alle mie spalle.
Non seppi chi guardare. Era una situazione surreale!
«È stato Jerry a chiamarti?», s’incupì Nicholas.
«Jerry?», gli fece eco Carlo, «Si unirà alla festa?», ci rivolse una risatina di scherno, poi entrò nella stanza senza chiedere il permesso e studiò lo spazio che lo circondava.
«Un po’ strettino per due persone», osservò, tornando a guardarci.
«Come hai fatto a trovarmi?», domandai in tutta risposta.
Cercai di sembrare distaccata ma una nota dolente nella voce tradì tutto il male che mi aveva fatto quella sera.
«Ti ho cercata a casa. Stavo andando via quando ho notato la tua auto parcheggiata qui accanto», spiegò Carlo senza particolare enfasi.
Che stupida! Avrei dovuto parcheggiare dietro l’edificio invece di lasciare la Panda lungo la strada.
«Quindi è questo il posto dove porti tutti i tuoi uomini?», mi domandò lui dopo un attimo di silenzio, facendo trasudare nella voce una buona dose di disprezzo e cattiveria.
Le sue parole colpirono a segno e desiderai potergli saltare addosso per riempirlo di pugni. Ma invece di perdere il controllo come sempre, sbattei la porta e incrociai le braccia al petto, sfidandolo a dire altro.
Nicholas, invece, non riuscì a trattenersi: «Non puoi paragonare tutti a te», disse, afferrandomi con prepotenza attorno alla vita.
Carlo si soffermò fugacemente su quel gesto e il suo viso fu percosso dal fastidio, ma fece finta di niente piantando gli occhi sul viso dell’uomo accanto a me.
«È questo ciò che vuoi, Vittoria?», mi chiese d’un tratto, senza guardarmi «Lui? Il patetico Nicky Gordon?», scoppiò in una risatina, «L’uomo dalle mille facce? L’affidabile amico che ti pianta ancora una volta un coltello tra le scapole quando meno te lo aspetti?».
Stava farneticando.
Improvvisamente, sentii di essere stufa di entrambi e avrei voluto che se ne andassero e non mi disturbassero mai più. Ma prima che riuscissi a dare voce ai miei pensieri, Carlo disse qualcosa che fece precipitare definitivamente la situazione:
«Stai godendo all’idea di farlo ancora, eh Nicky? Ma stavolta non ti darò la soddisfazione, puoi tenerti la puttanella, non sarà mai Jessica...».
E a quel punto ebbi solo il tempo di esclamare un strozzato “ah!” e di portarmi una mano alla bocca, mentre Nicholas si scagliava come una furia contro Carlo. Il primo diede un pugno in piena faccia al secondo e il secondo ricambiò con altrettanta forza dandogliene uno nello stomaco, usando la mano ferita che prese immediatamente a sanguinare. Dopodiché cominciò la lotta vera e propria, finché non ritrovai la voce per urlare ad entrambi:
«Fermi!».
Come per magia, i due si arrestarono e mi guardarono con occhi di fuoco.
Non avrebbe potuto importarmene di meno, perché in quel momento ero così arrabbiata che avrei potuto unirmi alla rissa pure io e fargli ritrovare la ragione a suon di calci. Ma invece di trasformarmi in una bestia, preferii prendere la cornetta del telefono dell’albergo e assumere un’aria minacciosa per fargli intendere che non stessi scherzando.
«Fuori, tutti e due», dissi gelidamente, «Adesso. O chiamo la sicurezza e vi faccio scortare dai due bestioni che pattugliano i corridoi».
Loro non si mossero e non lo feci manco io, stringendo talmente forte la cornetta che questa addirittura scricchiolò.
Nicholas fu il primo a ritrovare un po’ di lucidità, quel tanto che gli bastò per mollare la presa sul colletto di Carlo (che finì per sbattere a terra) e raddrizzarsi in piedi. Raggiunse la porta con la mascella che gli pulsava, ma non si voltò più a guardare l’avversario. Invece gettò un’occhiata a me, ma io non la ricambiai e così lui uscì senza dire una parola. A quel punto anche Carlo si rialzò e sistemandosi il cappotto con uno strattone secco raggiunse la porta a sua volta, soffermandosi solo un momento per darmi un ultimo schiaffo morale:
«Credo che non sia il caso che tu continui a lavorare per la nostra compagnia», disse, con la mano già sul pomello.
Non battei ciglio per non dargli il piacere di vedermi distrutta e convenni senza alcuna enfasi: «Sono felice che almeno su una cosa la pensiamo allo stesso modo».
Allora lui aprì la porta e sparì dalla mia vista.
Per sempre, mi augurai, e finalmente scoppiai a piangere.



---------------------------------- MOMENTO AUTRICE ----------------------------------


Ce l’ho fattaaaaaaaaa! Sento cori da stadio e lo scroscio di appalusi!! Grazie.. Grazie.. Non me li merito! XD
Scherzi a parte, mi dispiace di aver tardato COSÌ tanto, sono imperdonabile, lo so. Ma come ho già spiegato nell’avviso, tra impegni e vari impedimenti questo capitolo è stato un parto! Spero che almeno la vostra attesa sia stata ripagata. :)
Cogliendo l’attimo, già che parliamo del CP, finalmente sappiano una cosina in più sulla famigerata sera con Nicholas (in realtà una notte a cavallo tra il sabato e la domenica) dopo la quale Nicholas si è svegliato in macchina senza trovare Vittoria da nessuna parte. Purtroppo dovrete attendere ulteriormente per saperne di più, ma dato che ancora mi devo far perdonare, vi faccio un mini-spoiler: ci sarà un intero capitolo con il flashback. Quando non lo so e anche se lo sapessi, non ve lo direi mai! XD Alla fin fine una sorpresa è pur sempre una sorpresa!!
Detto ciò: grazie di continuare a seguirmi! Siete la spinta necessaria che mi ispira a continuare.. Vi adoro! ;)


M.Z.

   
 
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