Esme:
Camminavo,
per le strade di Forks. Sola. Non potevo
essere altrimenti. Il buio mi accompagnava. Guardavo la gente
passeggiare. Una
cosa mi colpiva più di tutte. Vedere due genitori, con dei
bambini. Osservavo
per lunghi istanti quella scena. Perché, era un desiderio,
che non si sarebbe
mai avverato. Da quando, l’amore della mia vita: Carlisle, mi
aveva trasformato
in una vampira, non potevo più avere figli. La cosa mi
addolorava molto. Anche
se Carlisle, non mi faceva mancare niente, mi sentivo sempre
incompleta. Volevo
avere la cosa che desideravo più al mondo: un bambino. Di
figli ne avevo cinque
acquisiti, ma grandi, non dei bambini, che avrebbero giocato o
scherzato.
Purtroppo, non c’era niente da fare. Però, la sera
mi veniva voglia di guardare
tutte quelle famiglie normali, una cosa che non potevo essere io con la
mia
famiglia. Noi eravamo diversi. Potevamo solo uscire di notte. A meno
che non ci
fosse stato il sole. Mi sedetti su una panchina. Chiusi gli occhi, fino
a che
non sentii dei rumori, più che altro urli. Riaprii gli
occhi. Mi guardai
intorno, sentii quegli urli. Credevo di sbagliarmi, ma sembravano urli
di un
neonato. Corsi verso la strada. Poi vidi una macchina, che si era
scontrata
contro un albero. Era ammaccata. Il davanti era completamente
distrutto. Sentii
odore di sangue. Stavo per andarmene, ma poi gli urli mi fecero
riavvicinare.
Aprii lo sportello, o meglio quello che ne rimaneva. Vidi il capo della
polizia, Charlie Swan morto. Sanguinava. Mi tappai il naso per
trattenere i miei
istinti da vampira. Accanto a lui c’era una donna, anche lei
morta. Capii che
era sua moglie. Quest’ultima aveva in mano un fagotto
avvolto. Da lì
provenivano i continui urli. Prima di scostare la copertina, sentii un
tremito
dentro di me. Forse, la cosa che di più desideravo al mondo
si trovava proprio
lì. Non volevo illudermi. Velocemente tolsi la coperta, e
vidi un neonato.
Piangeva. Il sangue della madre lo ricopriva. Tolsi la mano dal naso,
nonostante
l’odore, riuscivo a trattenermi. L’emozione era
fortissima. Lo uscii dalla
macchina. Non badai se ero un maschietto o una femminuccia, ma a
giudicare dall’espressione
si deduceva che era una bellissima femminuccia. Le guance paffute e
rosse.
Quegli occhi color del cioccolato. Mi ero innamorata di quella bambina.
Presi
un fazzoletto dalla tasca, e lentamente le toglievo il sangue dal
visino. La
cullai. Non volevo piangesse. Si strofinava la testolina nel mio
braccio. Per
fortuna avevo la giacca, se no che freddo che avrebbe provato. Ad
interrompere
quel momento, fu un’auto della polizia. Mi sentii spezzare a
metà. Dovevo
lasciare lì quella bambina e andarmene. Ci saremmo dovute
separare, a meno che…La
guardai. Povera piccola, a quale rischio la stavo ponendo.
L’avrei condotta in
un luogo dove la luce del sole non era la benvenuta, e il rischio di
farle del
male era altissimo. Però, non potevo nemmeno lasciarla
lì. Non volevo che me la
portassero via. Mi alzai dalla panchina sorridendo. Ormai, nessuno mi
avrebbe
più fermato. La tenni stretta a me e iniziai a correre
più veloce del vento. Vidi
che tremava tra le mie braccia. Mi fermai. Mi tolsi la giacca e la
infagottai
per bene, così che non sentisse freddo. Ripresi a correre
arrivando a casa. La
piccolina dormiva beatamente. Sorrisi. Erano anni che aspettavo un
miracolo e
finalmente era arrivato.