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Autore: King_Peter    16/12/2015    5 recensioni
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I was angry with my friend; I told my wrath, my wrath did end. I was angry with my foe; I told it not, my wrath did grow.
And I waterd it in fears, night and morning with my tears; and I sunned it with smiles, and with soft deceitful wiles.
And it grew both day and night, till it bore an apple bright. And my foe beheld it shine, and he knew that is was mine.
And into my garden stole, when the night had veild the pole. In the morning glad I see, my foe outstreached beneath the tree.

(A Poison Tree, William Blake)
Genere: Avventura, Drammatico, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Nuova generazione di Semidei, Semidei Fanfiction Interattive
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Heaven Knows
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Amber ♠ Vergine di Ferro

 
 
L'usignolo di Amber ebbe la sfortuna di trovarsi nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Duncan era in piedi davanti a lei; la pelle dei suoi abiti faceva risaltare il colore chiaro dei suoi occhi. - Jude ci ha informato della loro fuga. Tutto è avvenuto poche ore fa, fra mezzanotte e l'una. - le spiegò, parlando con voce calma.
Si passò una mano fra i capelli scuri, inumidendosi le labbra. - Il soggetto 9755512357896 è scappato, assieme ad almeno altri sei mezzosangue. - disse, mentre Amber accartocciava il foglio di carta che aveva in mano. - Un traditore è stato catturato. Credo che qualcuno li stia nascondendo, dato che nessuno dei nostri incantesimi di localizzazione sembra avere effetto. - concluse poi, mantenendo lo sguardo alto.
Amber strinse i denti, la linea robusta della mascella che le squadrava il volto; i suoi occhi erano un unico cumulo di rabbia, una tempesta di ira e di frustrazione. Era così vicini alla soluzione di tutti i suoi problemi, così vicina.
L''usignolo alle sue spalle, chiuso in gabbia, stava canticchiando qualche nota triste, prima che il potere fi Amber lo facesse implodere: un turbinio di piume castane ed ocra si sparsero per terra, volteggiando su se stesse prima di toccare il pavimento.
Il silenzio che ne seguì fu spiazzante, soprattutto per via del fatto che nell'aria si sentiva ancora l'eco del suo canto. Il figlio di Ares aggrottò la fronte, rimanendo però a bocca chiusa, volenteroso di non fare la stessa fine del povero uccello.
Sotto la chioma corvina, lo scalpo di Amber fremeva di rabbia, un formicolio che contagiava piano piano anche le sue dita. Il suo accento francese ingentilì l'offesa che le uscì dalla bocca, scivolandone fuori come veleno. - Incompetenti. -
Il display del suo cellulare segnava le 04: 32 del mattino. Le occhiaie violacee sotto i suoi occhi dimostravano che stava dicendo il vero: nessuno si sarebbe permesso di buttarla giù dal letto, a meno che non si fosse trattata di una questione della massima importanza.
Strinse i palmi delle mani. - Non sanno tenersi stretto nemmeno un figlio di Afrodite. - sibilò, il portapenne che tintinnarono quando sbattè il pugno contro la scrivania di mogano alla quale era seduta.
Duncan flesse le spalle, i muscoli sotto la maglietta leggera che guizzavano in risposta agli ordini muti del suo cervello. - Lo prenderemo, lo abbiamo sempre fatto. - affermò, immobile come una statua di ghiaccio. C'era qualcosa di affascinante, nella sua sicurezza. - E poi abbiamo Orfeo, possiamo convincerlo a collaborare. -
- Orfeo, già. - sospirò con voce trasognata Amber, come se stesse vivendo in un sogno da cui non voleva svegliarsi. Si versò un bicchiere di bourbon con fare lento, alzandosi in piedi per osservare le pareti spoglie del suo ufficio. - Non è questo il punto, comunque. -
Duncan mosse un passo verso di lei, gli anfibi neri che scivolavano sul pavimento senza fare rumore. - E quale, allora? - domandò, il suo viso segnato dalla fatica, quella che il figlio di Ares cercava di nascondere sotto una corazza di rabbia e di delusioni. - Credi che la cosa possa arrabbiarsi? - continuò, cercando una risposta nei suoi occhi.
Avrebbe dovuto sapere che non era saggio apprendere i segreti di una figlia di Eros; era pericoloso tentare di conoscere la vera Amber, quella che aveva sepolto anni prima sotto una maschera d'oro e di ferro.
La figlia di Eros sostenne il suo sguardo con forza, trangugiando il resto del suo bicchiere. - Lo ha già fatto, ne sono certa. -  Gli angoli della sua bocca si piegarono in un sorriso, quello migliore che riuscì a tirare fuori dopo la notizia che le avevano dato.  - Eppure avevo detto di tenerlo legato, maledizione. -
Scagliò il bicchiere di cristallo contro la parete, frantumandolo in una pioggia di schegge e di bourbon, le quali si riversarono come stelle cadenti sul prezioso tappeto persiano che Amber aveva sottratto tempo addietro ad un covo di mangiatori di loto.
Duncan si avvicinò a lei fino a metterle una mano sulla spalla, prima che lei si scostasse. Lui sembrò rimanerci male e cominciò a giocherellare col tappo di una penna.
Rimasero lì a contemplare il disastro che Amber aveva combinato, lo sfarfallare inquietante della luce sulle loro teste, l'eco dell'usignolo che risuonava lontano nelle loro orecchie.
Il figlio di Ares si strinse nelle spalle. - Cosa dobbiamo fare? - chiese, notando quanto Amber facesse fatica a rimanere lucida. Gliel'avevano sempre detto, di essere un po' pazza: se c'era una cosa che aveva preso da suo padre era proprio quella, l'intrinseco senso di follia che l'accompagnava tutti i giorni, che le scorreva prepotente nelle vene. - Posso organizzare una squadra e partire per le ricerche anche subito, se servisse a qualcosa. -
Amber scosse la testa, asciugandosi con due dita gli angoli della bocca. - No, ho già in mente un'altra soluzione. - sussurrò, voltandosi per osservare il volto attraente di Duncan; le sue labbra carnose sembravano chiamare le sue, così estremamente vogliose anche di un solo bacio.
C'era sempre stata una certa chimica, fra loro, ed Amber era sicura che Duncan provasse qualcosa di forte per lei. Eppure non si era mai fatto avanti, non le aveva mai confessato nulla: aveva paura, paura di quell'aura di pazzia che l'avvolgeva, del mostro che si celava appena sotto la sua pelle?
Lei, al contrario, non aveva mai provato niente per lui; non per niente, infatti, si era conquistata il soprannome di Vergine di ferro: aveva un bel viso, certo, ma sapeva essere letale quanto uno di quegli infernali strumenti di tortura medioevali; dentro di sé aveva dei chiodi appuntiti, spine che si nutrivano del sangue dei poveri malcapitati che incappavano fra le sue spire.
Perchè il mondo era stato fondato su un patto di sangue e su di esso doveva andare avanti.
Era la figlia di Eros, l'amore era il suo campo, assieme a tutti i suoi lati distruttivi: avrebbe condotto lei il gioco e, se Duncan voleva averla, doveva prima sperare di batterla a quella partita.  - Vammi a chiamare Jude, fallo venire qui. - ordinò, la luna alle sue spalle che scintillava nel cielo notturno. - Devo parlargli al più presto. Più tempo passa e meno speranze abbiamo di riprendere ciò che è nostro. -
Duncan annuì, soffermandosi un attimo sulla porta come se volesse aggiungere altro. Poi uscì, portandosi dietro il forte odore del suo profumo, allontanandosi per il corridoio, scandendo con i suoi passi sicuri il cuore di Amber.
Quando finalmente il figlio di Ares se ne fu andato, lei si lasciò cadere di nuovo sulla poltrona, rigirandosi fra le dita una delle piume del suo usignolo: c'era una brutta sensazione che l'attanagliava da giorni, ormai, e non sembrava avere voglia di andarsene.
Scosse la testa, ripetendosi che lei non era una ragazza indifesa in cerca di protezione, ma quella che, se voleva qualcosa, la prendeva senza l'aiuto di nessuno. Nel silenzio della stanza in cui era immersa, Amber sentiva i suoi pensieri fremere contro le pareti della sua testa, come se stessero premendo per uscire.
Quasi non si riconosceva più, quando si guardava allo specchio.
I capelli neri, quelli di cui tanto andava fiera, non le sembravano altro che stoppa, riflessi nella parete di fianco, i suoi occhi erano sempre più infossati, scuri e spigolosi come quelli di uno zombie. Se si guardava le mani, non vedeva altro che un pregiato guanto di sangue e di pelle, cosa che la rendeva sempre più simile ad uno spettro.
Il suo vero aspetto, la bestia che viveva dentro di lei, l'aveva seppellita anni prima; adesso quel mostro era tornato, mangiando il suo potere, rivelando finalmente la sua vera natura. Che cos'era la figlia di Eros senza la sua bellezza, cosa poteva ottenere se non aveva più quel bel volto donatole dal padre?
Una maledizione, le aveva detto, un sacrificio da pagare col sangue.
Senza il suo aspetto, la Vergine di ferro non era niente; un cumulo di metallo e di sangue che sarebbe presto sparito, affogato nella terra.
Amber doveva correre al riparo, doveva nascondere ancora quella bestia. E non c'era più tempo, non ce ne sarebbe più stato, se non avessero trovato Theodore Bouchard; voleva quel volto, la sua bellezza, la sua cintura: il numero 9755512357896 le spettava di diritto; doveva essere catturato prima che sorgesse un'altra alba.
Conosceva il cuore degli eroi, li aveva già messi alla prova in passato e, adesso che non provava ormai alcun rimorso, perché non usare tutti i mezzi a disposizione per farlo crollare?
Theodore Bouchard sarebbe stato suo; e non avrebbe fallito.
Mentre era assorta nei suoi pensieri, qualcuno bussò alla sua porta. Christopher Montogomery era ritto sulla soglia del suo ufficio, i capelli verde acido che gli ricadevano spettinati davanti agli occhi.
In mano stringeva alcune carte con lo stemma della C.A.D.M.O, un drago che schiacciava un uomo con la sua zampa squamata. - Orfeo si è svegliato; Alyx ha drenato il suo sangue in modo da poter eliminare tutto il veleno. - annunciò, avanzando sino alla scrivania con aria confusa. Gettò un occhio alla confusione che regnava da un capo all'altro della stanza, corrugando la fronte. - Mi stavo chiedendo se avresti voluto scendere nella sala delle torture.
Amber si studiò una mano, con fare scenico. - A fare? - chiese, il tono di voce freddo come il ghiaccio. - Cavategli di bocca ciò che mi occorre sapere e poi uccidetelo. -
Christopher si mosse imbarazzato sul suo posto, mentre Amber si lasciava sfuggire una risata nervosa. - A  me non vuole dare ascolto. E le ho provate tutte. - sostenne. - Forse tu potresti riuscire dove io ho fallito.  Dopotutto sei la Vergine di ferro. -
- Sai, fa uno strano effetto sentirsi chiamare così. - mormorò piano Amber, un lieve sorriso che si faceva spazio sulle sue labbra. Christophere fece per dire qualcosa, ma venne interrotto dalla mano della figlia di Eros, ormai sulla porta. - Credo che gli taglierò la lingua, se non mi darà ascolto. -
Si infilò nei corridoi del sessantaduesimo piano, puntando dritto all'ascensore: mentre i suoi piedi battevano ritmicamente sul pavimento, la sua mente scivolò indietro nel tempo, a sei anni prima, dove quel ragazzo l'aveva trovata.
Sentiva ancora l'ombra della paura sulla sua pelle, il senso di disagio cronico che le rodeva lo stomaco. Stringeva una lama di bronzo celeste, il filo della spada sporco di icore, il sangue degli dei, di quello che aveva cercato di ucciderla.
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Era dicembre e faceva molto freddo, quello lo ricordava bene, visto il vapore che le scivolava dalle labbra. Si trovava lì dentro per sventare un covo di dracene: era sul punto di fare irruzione nella stanza, quando l'allarme antincendio era scattato ed Amber si era ritrovata colta alla sprovvista.
I mostri a cui stava dando la caccia erano scappati in fretta e furia, abbandonando armi e le carte a cui stavano lavorando. Si erano poi confusi alla marmaglia di gente che apprestava a lasciare urlando l'edificio; la paura sul loro volto che li rendeva ancora più orripilanti.
Era una trappola? Amber non ne era sicura.
Non sentiva puzza di fumo e poi il sistema di spegnimento automatico non si era attivato. Eppure era anche vero che, se le dracene erano scappate spaventate, questo voleva dire che qualcosa di ben più pericoloso di un serpentello si aggirava fra le mura di quel grattacielo.
Aveva aspettato con il fiato sospeso per una buona decina di minuti, così immobile da poter essere scambiata per una statua. La spada che aveva in mano era la sua unica fonte di luce, dopo che la corrente era saltata all'improvviso; i riflessi bronzei riuscivano ad illuminare a malapena il corridoio che le si apriva davanti.
Aveva sentito il cuore battergli forte, quasi come un martello pneumatico; il suo sesto senso le aveva suggerito di scappare, di andare via da lì. Eppure lei era testarda, ribelle.
Si era sempre sentita attratta dal pericolo, tentata dal rischio, quindi perché non andare avanti e conquistarsi la gloria in modo che il suo nome fosse sulla bocca di tutti i semidei al Campo Mezzosangue? Amber non si era resa conto di quanto si sbagliasse.
Qualcuno una volta le aveva raccontato che quel grattacielo era stato costruito su un vecchio cimitero, là dove erano stati seppelliti numerosi corpi martoriati dalla peste. Sua madre, per giunta, le aveva sempre ripetutto che non si dovevano disturbare in alcun modo gli spiriti.
Nel buio alle sue spalle, Amber aveva ascoltato il rumore di alcuni passi: si era allora girata su se stessa, puntando la punta della spada verso il nulla; la paura le era montata dentro, facendola respirare in maniera affannosa.
Era quello che stava facendo, disturbare gli spiriti?
Nel frattempo la corrente era tornata ad intermittenza, visto come sfarfallassero le luci del corridoio. In quell'atmosfera da incubo perse il senso del tempo: quanto ne era passato da quando era entrata lì dentro? Minuti, magari ore?
Amber non lo sapeva. Poteva solo cercare una via di fuga, sperando che nessuno spettro o fantasma se la prendesse con lei.
Aveva studiato abbastanza bene la mappa di quel grattacielo, settimane prima, per mettere a punto il piano, quindi non le sarebbe stato difficile orientarsi. Approfittando della luce che andava e veniva, si era infilata nel corridoio davanti a sé, ignorando quella voce insistente nella sua testa che le diceva di non essere sola, l'ansia che sussurrava alle sue orecchie le peggiori cose a cui avesse mai pensato.
Aveva poi aperto la porta d'emergenza, ritrovandosi a percorrere diverse rampe di scale, tutte in discesa: aveva sceso i gradini a due a due, cercando di sbrigarsi; ogni tanto si era fermata per guardarsi alle spalle e per riprendere fiato, i suoi polmoni che reclamavano ossigeno per non collassare.
Aveva il cuore in gola e l'adrenalina alle stelle, ma aveva comunque deciso di continuare nella sua corsa, cercando di fermarsi il meno possibile. Forse erano solo i suoi nervi sovraeccitati, ma, mentre scendeva, le era parso di vedere delle ombre muoversi, diversi piani più in basso.
Aveva pregato, pregato gli dei, suo padre, affinché uscisse illesa da quel grattacielo; eppure gli Olimpi non avevano avuto alcuna intenzione di ascoltare la sua supplica, il loro cuore di pietra aveva già ordito per lei la trappola perfetta, figlia della crudele Atena.
Nel silenzio delle scale d'emergenza, l'urlo che aveva cacciato sfiorava quasi il cielo, l'Olimpo stesso, dopo che un uomo le aveva toccato la spalla. Si era voltata, di scatto, tenendo ben alta la spada, mentre l'eco dietro di lei le restituiva il grido, quello che avrebbe continuato a risuonare nella sua testa.
Aveva poi perso l'equilibrio ed era caduta a terra, sbucciandosi un ginocchio; con l'adrenalina che le scorreva a mille nelle vene, si era rialzata alla svelta, continuando a scendere le rampe di scale che le restavano da percorrere.
Il cuore le batteva all'impazzata nel petto, l'affanno le impediva di respirare a pieni polmoni, quindi aveva preso delle ampie boccate d'aria; sentiva l'ombra di quella mano ancora impressa sulla sua spalla.
In quell' istante, Amber si era resa conto di quanto fosse oggettivamente pericolosa la vita di una mezzosangue: adesso non le importava più nulla della gloria o della conquista, ma solo ed unicamente della sua vita; e doveva tenerla stretta, se non voleva perderla.
Correndo così veloce, Amber aveva mancato un gradino, venendo subito dopo investita da una ventata d'aria fredda che portava con sé l'odore dello zolfo. Poi una, due, tre frecce avevano ferito le sue gambe, ancora prima che potesse anche solo pensare di alzare la spada per difendersi.
L'arciere che la stava seguendo era davvero abile, visto che le aveva colpito l'arteria femorale con un colpo preciso, da quella che doveva essere una grande distanza. Il sangue aveva preso a scorrere, macchiando il pianerottolo sul quale si era abbandonata; un lago rosso, una pozza, le si era allargata sotto il petto, aspettando che affogasse.
Amber aveva ringhiato di dolore, tentando di mettere mano alla spada, anche se era del tutto inutile: un uomo le era atterrato sopra con la forza di un leone, facendole perdere la presa sulla sua arma, la quale era scivolata tintinnando lungo le scale.
Il cacciatore poteva anche considerarsi un bell'uomo, se non fosse stato per il sorriso d'assassino che gli brillava sulle labbra: era a piedi nudi, vestito poi con uno smoking come se fosse stato intercettato mentre stava andando ad una festa.
Un papillon nero gli cingeva il collo, rendendo il suo viso ammaliante. Aveva una freccia d'oro incoccata nel suo arco, più una faretra ricolma di ogni genere d'arma. - Bonsoir, ma chére. - l'aveva salutata. I suoi occhi avevano poi scintillato. - Sei pronta a morire? -

 
 
♠ ♠ ♠
 
Amber piantò il coltello di bronzo celeste dritto nella spalla di Orfeo, assaporando il suo urlo di dolore, un eco lontano nella notte. - Non farmi perdere altro tempo. - intimò, la voce più fredda ed autoritaria che riuscì a tirare fuori. - Aiutaci o giuro che ti caverò gli occhi con le mie stesse dita. -
Estrasse il pugnale con veemenza, facendolo gemere ancora una volta. - E sai, sono piuttosto brava. -
Il rosso del sangue spiccava contro la pelle diafana di Orfeo, il quale era ancora disteso sul tavolo metallico dove Alyx lo aveva disintossicato. La figlia di Melinoe l'aveva rimediato dall'obitorio dell'ospedale vicino, quindi sarebbe stato perfetto per l'occasione, se Orfeo l'avesse fatta arrabbiare ancora.
L'incantatore sputò a terra, lasciandosi andare ad una risatina nervosa. - Non puoi, vero? Te lo si legge negli occhi, mezzosangue. - la canzonò lui, mentre lo sguardo di Amber si accendeva di rabbia. - Ti servo vivo, non è così? - domandò ancora, come a sfidarla; la guancia dove la ragazza lo aveva colpito che si andava colorando di viola.
La punta delle sue labbra era ancora blu per il veleno, ma sembrava stare bene, prima che la figlia di Eros irrompesse nella sala e cominciasse a torturarlo.
Amber infilò un dito nella ferita che aveva appena aperto, toccando la sua carne. Il grido che Orfeo stava per cacciare gli morì in gola, emettendo invece solo un lieve gemito di protesta. - Io non ne sarei così sicura, incantatore. -
Poi si allontanò di qualche passo, la lama insanguinata ancora stretta fra le sue mani. I ricordi che aveva evocato le avevano fatto male, quindi in quel momento aveva bisogno di sfogarsi: a dispetto del suo soprannome, non era così brava nella tortura fisica, ma non poteva dire di cavarsela male.
Sospirò, passandosi il coltello da una mano all'altra come se fosse un giocattolo innocuo. - Ti ho chiesto una cosa semplice, solo una. - riprese allora dall'inizio Amber, tentando ancora una volta di utilizzare la sua parlantina per convincerlo a collaborare. - Aiutami nella mia ricerca e io ti lascerò libero. Puoi fidarti di me, manterrò la mia parola. -
Orfeo strinse i pugni; i legacci di cuoio che lo tenevano fermo tremarono. - Libero ... libero. - ripeté con voce trasognata, fissando il soffitto angusto sopra di lui. In qualche modo, anche se Amber non sapeva come, nei suoi occhi brillava il cielo stellato di Grecia.
Era pensieroso, quasi malinconico. - Non voglio entrare a far parte di questa guerra. -
Amber socchiuse gli occhi, come fanno i grandi felini prima di balzare sulla loro preda. - Guerra? - chiese, lasciando trasparire tutta la sorpresa nella sua voce. - Chi ha mai parlato di guerra? -
Orfeo cercò di stringersi nelle spalle, per quanto gli era permesso muoversi. - So riconoscere i sintomi, quando li vedo. - rispose semplicemente, come se si trattasse di una febbre passeggera. La sua voce suonò così melodica ed armoniosa che Amber fu tentata di sedersi ed ascoltare la sua storia; eppure non aveva tempo da perdere.
Si avvicinò a lui, sedendovisi accanto e lasciando che i suoi capelli sfiorassero il viso di Orfeo. - Non ho bisogno della tua lezione di vita, incantatore. - lo zittì, rivelando la punta minacciosa del pugnale. - Voglio solo il tuo aiuto. Canta, uccellino. -
- Cosa mi fa credere che mi lascerai libero, una volta che ti avrò detto so che ciò? - Orfeo deglutì a fatica, dopo aver fatto quella domanda, come se stesse ingoiando della sabbia.
Amber raddrizzò la schiena, passandosi una mano fra i capelli mori. Poi gli sorrise in maniera poco promettente. - La quinta essenza. Dove si trova? - chiese, non prendendosi nemmeno la briga di rispondere alla sua domanda.
Gli occhi di Orfeo si agitarono spaventati, quasi affogando nel mare infinito e pericoloso che si scorgeva in quelli di Amber, prima che abbassasse lo sguardo. - La quinta essenza? - ripetè. Aveva smesso di lottare contro il cuoio che gli serrava le gambe. - Ah, allora adesso è così che la chiamate. - sospirò amaramente, immergendosi ancora una volta nei suoi ricordi.
Amber sbuffò, slegandogli un braccio come segno di buona volontà. - Speranza, Elpis. - elencò con voce monocorde, come uno strumento rotto. - Come vuoi chiamarlo? Per me significano tutti la stessa cosa. - sostenne, incrociando le braccia al petto in attesa di una risposta.
Orfeo imbastì un sorriso malinconico. - A me non ha aiutato, sai? - chiese, alludendo al suo passato. Amber lo incalzò con lo sguardo ad andare avanti. - Elpis mi diede l'illusione di poter riavere indietro la mia Euridice. Poi mi abbandonò, lasciando che venissi distrutto dal dolore. - 
Amber scosse la testa. - Non mi interessa della tua storia finita male. - ribatté sprezzante. - Rispondimi subito o ti apro in due. -
La sua voce era suonata forse più dura di quanto volesse, ma era riuscita ad ottenere l'effetto sperato. Orfeo annuì in maniera mesta, tossicchiando poco dopo. - Non lo so di preciso. - disse, tossendo ancora una volta. - Ma ho sentito di alcune voci che la localizzano a San Francisco. -
Amber alzò gli occhi al soffitto, aprendo le braccia in modo teatrale. - San Francisco? - domandò al nulla sopra di lei, alludendo agli dei che Orfeo aveva adorato millenni di anni prima. - Mi state prendendo in giro, maledetti? -
Il petto dell'incantatore si alzò ed abbassò ritmicamente, seguendo il battito del suo cuore. - Cosa volete farne? - chiese, aggrottando la fronte come per ricordare qualche nozione preziosa che aveva appreso anni ed anni prima. - Non centreranno per caso ... -
Amber gli premette una mano sulla bocca, sgranando gli occhi. - Zitto, non un'altra parola. - lo avvertì, minacciandolo con il pugnale insanguinato a pochi centimetri dalla sua gola. Rimasero in silenzio e in quella posizione per qualche minuto, quando poi la figlia di Eros si decise a ritirare poco a poco il palmo roseo dalle sue labbra.
- Non avevo idea che i giovani d'oggi fossero così ambiziosi. - rise, facendo per muoversi e venendo però bloccato dalle catene. - Sai che un potere che il mondo non può vedere? -
Amber si portò un dito alla bocca, intimandogli ancora una volta il silenzio. - Non sono affari che ti riguardano, chiaro? - lo ammonì. Adesso la chioma di capelli neri sembravano serpenti che saettavano in aria per saggiarne i vari odori e, assieme ad essi, i pericoli.
Orfeo si zittì, prendendo un respiro profondo dopo aver tossito ancora una volta. - Che altro vuoi sapere? -
La figlia di Eros strinse il pugno, rischiando quasi di tagliarsi con la lama affilata del coltello. - I Custodi. - affermò decisa, mentre nei suoi occhi bruciava una fiamma che non riusciva a spegnere. - Perché ci stanno mettendo i bastoni fra le ruote, dove posso trovarli. Tutto. -
Orfeo scoppiò a ridere, una risata di vero gusto. - Dei immortali, ragazza! I discepoli prediletti dagli Olimpi vogliono che tu fallisca, non è ovvio? - le chiese, mentre il sangue continuava a colare dalla ferita aperta sulla spalla. - Il potere che stai cercando di acquisire è impossibile da trattenere, persino con la forza di Elpis. Ti sopraffarrà, ti renderà meno di niente e cancellerà per sempre la tua esistenza. -
Alzò lo sguardo, terra contro ghiaccio che si scontravano nei loro occhi. - Non esisterà più Amber Martin, figlia di Eros. - sostenne Orfeo, la voce tirata dal dolore. - Sarai solo un mostro, niente di più o di meno di coloro che eseguono i tuoi ordini. - 
Amber si alzò di scatto, quasi come se fosse stata minacciata da un ferro rovente. - Come fai a conoscere il mio nome? Come fai a sapere chi sono? - domandò, offesa. - E poi la bestia dentro di me è in agguato. Non riuscirò a tenerla a bada ancora per troppo, se non troviamo Elpis. -
- I miei Dimenticati parlano, sai? E mi portano tante notizie.Voi della C.A.D.M.O. siete al centro di ogni gossip; i più forti, i più coraggiosi. - Orfeo sorrise, un sorriso disarmante persino per la fredda e calcolatrice Amber Martin. - Eppure adesso stai cercando di riunire i cinque archè primordiali. Dimmi, perché? -
La figlia di Eros sbiancò, diventando del colore di un lenzuolo. Come faceva a sapere tutte quelle cose? Come faceva a sapere dei suoi piani?
- E tu dimmi come fai a conoscere le mie intenzioni. - ribatté Amber, decisa a puntellare i punti deboli della sua strategia d'attacco. - Parla, incantatore! -
Orfeo sorrise, ancora una volta. - Dovrai utilizzare tutto il potere di Elpis, uccidere il suo tramite. Sei consapevole di questo, ragazza? - domandò, alzandosi a mezzo busto. - Ma dubito che ciò ti importi, non ti farai certo scrupoli ad uccidere innocenti, no? -
Adesso era andato troppo oltre: eppure, prima che Amber potesse alzare il pugnale e finirlo, la figlia di Eros urlò, lasciando cadere il coltello: dalla ferita che gli aveva aperto sulla spalla il sangue continuava a colare sul suo petto, formando delle lettere, una parola che aveva cercato di dimenticare.
Abominio.
Orfeo cominciò a tossire, sputando grumi verdi di bile gastrica. Faceva fatica a respirare ed il suo petto si alzava ed abbassava ad una velocità innaturale. L'incantatore le chiese aiuto, porgendole la mano, ma Amber scosse la testa. - Avevi detto di lasciarmi libero, cosa mi hai fatto? -
- Io non ho fatto niente, non ho fatto niente! - esclamò confusa la figlia di Eros, mentre i ricordi tornavano a sfiorarla. Orfeo cadde sul tavolino metallico, il suo corpo scosso da convulsioni e spasmi: in quell'istante, seppur fosse lei la Vergine di ferro, le sembrò di essersi punta con i suoi stessi aghi.
Amber gli prese la mano, ancorando i suoi occhi che avevano preso a stillare sangue. - I Custodi, dimmi dove sono i Custodi! - lo pregò, cercando di trovare qualcosa che potesse barattare in cambio di quelle informazioni.
Era spaventata a morte per quello che stava succedendo, ma stava comunque mantenendo il sangue freddo, cosa che aveva imparato a fare anni prima. - Dimmi dove sono i Custodi, posso ancora salvarti la vita. - mentì, ben sapendo di non avere nessuna panacea per curare quella ferita.
Orfeo tossì, quasi affogandosi con la sua stessa bile. - I Fratelli sono ... sono a Cleveland, so solo questo mezzosangue. -
Urlò, urlò di dolore prima che prendesse fuoco: la sua pelle diventò prima rossa e poi nera, finché Orfeo non cadde agonizzante sul tavolo metallico dell'obitorio, continuando ad urlare in una lingua che le era sconosciuta; stava bruciando, le fiamme lo avviluppavano come un fantoccio di paglia.
Amber lasciò andare la sua mano un attimo prima che si incendiasse, indietreggiando quando le luci sopra di lei sfarfallarono. Gettò un ultimo sguardo ad Orfeo, mentre una voce prepotente si faceva strada nella sua testa, facendola gridare. Scappa, scappa ma chére. le disse la voce, ancora più ruvida di quanto la ricordasse. Abominio, il tuo cuore deve essere fermato.
Amber urlò, premendosi le mani contro le orecchie fino a graffiarsi con le unghia: la storia si stava ripetendo e lei era di nuovo la piccola ed ingenua ragazzina che l'aveva incontrato al sessantaduesimo piano di quel maledetto grattacielo.
Suo padre stava arrivando, Eros era lì per ucciderla.
 
 
♠ ♠ ♠
 
 
Amber aveva ringhiato, cercando di opporsi alla forza bruta dell'uomo sopra di lei: le premeva il piede nudo sul petto, esattamente al centro, nel punto dove si trovava il cuore. Faceva male, un male che Amber non aveva mai provato, fino ad allora.
Ciò che era strano era il fatto che odorasse proprio come l'essenza di lavanda di sua madre, quella della boccetta che rimirava sempre con tristezza: se non si sbagliava, quel profumo era speciale proprio perché era quello con il quale aveva conosciuto suo padre.
Ed Amber ancora non si spiegava il perché sua madre fosse così attaccata all'uomo che l'aveva lasciata quando aveva scoperto di essere incinta. Di quale amore malato era rimasta vittima sua madre?
Amber aveva stretto i denti. - E tu chi diavolo sei? - aveva chiesto, cercando a tastoni qualcosa che potesse aiutarla a battere il suo aggressore. L'uomo, che sembrava avere circa una ventina d'anni, sorrise; aveva un forte accento francese. - Come, non riconosci tuo padre? -
Era stato come se le avessero tolto la terra da sotto i piedi: tutte le sue convinzioni erano crollate all'unisono, come un castello di sabbia portato via dalla marea. Aveva sempre pensato agli dei come esseri buoni, dediti al benessere dei propri figli, come avrebbe fatto qualsiasi genitore, ma evidentemente si sbagliava.
Eros era sopra di lei e le stava incrinando qualche costola, mentre le premeva il piede sullo sterno: a guardarlo bene, Amber aveva il suo stesso colore di occhi e di capelli; forse anche quell'enigmatico sorriso alla gioconda che si stava allargando sulle sue labbra.
Si erano passato la mano libera fra i capelli mossi. - Sono molto deluso, ma chére. - era l'unica cosa che le aveva detto, prima di abbassarsi e vederla lanciare un urlo quando le aveva rigirato la freccia dentata nella carne della coscia.
- Le colpe dei padri ricadono sempre sui figli, non lo sapevi? - aveva chiesto, mentre Amber stringeva ancora i denti, tentando di ignorare il dolore. Le sue dita non avevano trovato altro che polvere, polvere che aveva cominciato ad ammucchiare.
Amber gli aveva sputato addosso, cercando di farsi forza. - Tu non sei mio padre. - gli aveva detto, regolando la rabbia nella sua voce: stava prendendo tempo, tempo indispensabile per poter elaborare un piano di fuga, cosa che in quel momento non riusciva a vedere.
I loro volti erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. - Purtroppo per te, lo sono. - le aveva risposto divertito il dio, aggiustandosi il papillon al collo. Nei suoi occhi si erano riflessi cangianti mille colori, le varie sfumature dell'amore che rappresentava. - E sono qui per porre fine alla tua esistenza. -
- Perché? - gli aveva chiesto Amber, tentando di sottrarsi alla sua forza, senza però riuscirci. Sentiva i pantaloni attaccarsi pelle per via del sangue, denso come succo di amarene; le facevano male le ossa, sotto la pressione dei piedi di Eros. - Prima hai flirtato con mia madre, poi l'hai abbandonata. Adesso vuoi uccidermi, perché? -
Il dio dell'amore aveva sorriso, lasciandosi quasi andare ad una risata. - Ho commesso un errore, anni fa. Persino gli dei non possono essere onniscienti. - aveva spiegato, le aste delle frecce che spuntavano dalla faretra che aveva sulle spalle. - Ora devo rimediare al mio sbaglio. -
Si era avvicinato ancora di più al volto di Amber, così giovane eppure così sofferente, abbastanza affinché lei potesse reagire. - Non provo piacere nell'ucciderti, ma devo farlo. Mi dispiace. -
Mentre suo padre si alzava per finirla con una delle sue frecce, la ragazza ne aveva approfittato per gettargli negli occhi una manciata di polvere, facendolo indietreggiare.
Si era alzata il più velocemente possibile, urlando ad ogni passo che faceva: avrebbe dovuto almeno recuperare la spada, se avesse voluto avere qualche possibilità, anche minima, di uscire viva da lì.
Eros, però, l'aveva pensata diversamente.
Aveva scagliato un'altra freccia, colpendola in mezzo alla schiena e facendola ruzzolare giù fino al pianerottolo di sosta successivo; qui Amber aveva estratto l'asta della freccia dentata dalla gamba, fra gemiti di dolore e ondate di adrenalina.
Eros aveva sceso qualche gradino, sbattendo le palpebre per riacquistare la sua ottima vista. - Morirai, ma petìte chére! - aveva esclamato il dio, tenendo ben stretto il suo arco. La camicia bianca che indossava si era sporcata di polvere. - Che tu lo voglia o no, entro l'alba avrai raggiunto le schiere delle praterie degli Asfodeli. -
Amber non aveva più forze per lottare: aveva perso molto sangue, il dolore la stava lentamente sopraffacendo.
Prima che potesse chiudere gli occhi, però, una figura snella e maschile le era passata accanto, con la spada sguainata. Si era gettato sul dio con un grido, venendo però sbalzato dalla sua forza superumana contro la parete; anche se se non sapeva chi fosse, Amber parteggiava per lui.
Certo, era facile quella scelta, dato che suo padre era stato mandato lì per ucciderla.
Il ragazzo si era rialzato subito, forse solo un po' stordito, portando avanti lo scontro con abilità: aveva fatto indietreggiare Eros, un po' in svantaggio con il suo arco, ma che pur sempre poteva contare sui suoi giochetti da dio.
Poi il padre di Amber lo aveva ferito al fianco, facendolo inciampare sui gradini delle scale d'emergenza. Era atterrato sulle gambe della figlia di Eros, facendola guaire di dolore.
Da quella prospettiva aveva potuto vederlo meglio: il ciuffo mosso di capelli copriva due occhi dal taglio allungato, bicolori; uno era nero, l'altro di ghiaccio come quelli di Amber.
Chi diavolo era il suo salvatore?
- Morirete entrambi, allora. - aveva sentenziato il dio, una volta raggiunto il pianerottolo. Aveva alzato una freccia dalla punta nera, poco prima che il ragazzo spingesse Amber sulle scale e si rialzasse, utilizzando le gambe di Eros per darsi una spinta.
Gli era salito sulle spalle, veloce come una tigre e feroce come un leone, agendo così velocemente da risultare quasi non umano. Aveva diretto le sue braccia in modo tale che si ferisse da solo, pugnalandosi con la stessa freccia con la quale aveva intenzione di ucciderli.
Eros aveva cominciato ad urlare insulti in francese, accasciandosi sul pianerottolo fra rantoli di dolore e grida di rabbia: a quanto pareva, quell'arma poteva fare davvero male anche agli dei. Prima che potesse liberarsi, però, il ragazzo si diresse verso Amber e la raccolse da terra, portandola in braccio.
- Chi sei? - aveva chiesto lei, muovendo appena le labbra, completamente allo stremo.
Il ragazzo le aveva sorriso, un sorriso del quale Amber si era innamorata. - Non preoccuparti, Jude non ti farà del male. -
La figlia di Eros, anche se non capiva il perché parlasse in terza persona, aveva avuto a malapena il tempo di ascoltare il suo nome e sorridergli, prima di essere inghiottita dalle tenebre.

 
 
♠ ♠ ♠
 

Amber stava osservando il corpo carbonizzato di Orfeo, quando Jude irruppe nella stanza.
Aveva le mani fredde e l'aria della notte addosso. - Che è successo? - chiese, preoccupato. - Tu stai bene, ma chére? -
Ma chére. Jude la chiamava esattamente come aveva fatto Eros quella notte, in modo tale che non dimenticasse mai quanto male le avessero voluto gli dei: se non fosse stato per lui, per quel ragazzo alto un metro e ottanta, Amber non sarebbe stata lì, quel giorno.
Annuì in maniera distratta, indicando con il mento il tavolo metallico dell'obitorio poco distante da loro. - È morto, mio padre ha sfogato su di lui la sua rabbia. - spiegò, a metà fra lo sconcerto e la paura che ancora le attanagliava il cuore.
Lo spavento sembrava non volerla abbandonare. - Però sono riuscita a scoprire delle cose. Forse non siamo così al sicuro come pensavamo, Jude. -
Il figlio di Eris la guardò negli occhi, poi l'attrasse verso di sé e l'abbracciò, facendole sentire il suo odore, quello che Amber aveva imparato a conoscere e ad amare, nel corso del tempo. - Pagherà Amber, pagheranno tutti. - la rassicurò lui con voce decisa, i suoi occhi bicolore che rimanevano fissi sul corpo bruciato di Orfeo.
Sputò a terra, offendengo gli dei. - Basterà accedere al potere degli arché e saranno finiti, l'epoca degli Olimpi giungerà finalmente alla fine. - continuò, con voce armoniosa. - Sempre sicura di voler andare avanti, vero? -
Che cosa le restava, se non avesse provato a far cadere gli dei uno dopo l'altro?
Un mostro, aveva detto Orfeo, sarebbe diventata un mostro; eppure, che differenza c'era da quello che era già e quello in cui avrebbe potuto trasformarsi, quale linea sottile la separava dalla pazzia più totale?
Amber prese un respiro profondo, chiudendo gli occhi. - So dove si trova la quinta essenza, ma dobbiamo togliere di mezzo prima i Custodi. - sussurrò, rassicurata dal battito del cuore di Jude che esplodeva nelle sue orecchie.
Rimase per un attimo in silenzio, ascoltando il respiro costante del figlio di Eris. - I Fratelli sono a Cleveland. - rivelò, con voce non molto sicura. - Troviamo loro e troveremo tutti gli altri. -
Gli occhi di Jude scintillarono di pura gioia maligna. - E così sia, ma petìte chére. - rispose dolcemente, baciandole la fronte. Poi Amber indietreggiò, guardandolo mentre la paura lasciava il posto alla rabbia, nel suo sguardo.
L'amore poteva fare tanto bene quanto male, poteva sanare vecchi rancori come riaprirli: se Amber era davvero figlia di Eros, avrebbe dovuto incolpare suo padre per quel suo lato schizofrenico; in quel momento, lei non voleva far altro che spargere sale sulle ferite aperte degli dei.
- Dobbiamo mostrare loro un segno di forza. Non dovranno più permettersi di fare questo. - sostenne, indicando il corpo di Orfeo; una bambola di nervi e di carne andata completamente distrutta. - Voglio che soffrano e che provino paura, anche se fanno finta di essere al sicuro dietro le porte sigillate dell'Empire State Building. -
Jude annuì, passandosi le mani fra i capelli; le occhiaie sotto i suoi occhi rendevano il suo sguardo ancora più affascinante. - E cos'hai in mente di fare? - le chiese, prendendole la mano e disegnandovi sopra linee e ghirigori astratti, provocandole dei piccoli brividi di piacere che le salirono lungo il braccio.
Amber sostenne il suo sguardo, mentre l'odore della carne bruciata le riempiva le narici. - Voglio distruggere il Campo Mezzosangue. - affermò seria, la voce più dura e fredda che riuscì a tirare fuori, sfamata dalla paura e dalla rabbia. Osservò ancora una volta Orfeo, mentre un senso di perversa giustizia riempiva la sua voce. - Voglio vederli bruciare. -
Jude le si avvicinò sorridendo, lo stesso sorriso inquietante di Eros. - Ogni tuo desiderio è un ordine. - le fece eco, sussurrandole parole di miele nelle orecchie.
Le sfiorò le guancia con le lunghe dita, facendole sentire il suo odore, prima di baciarla. Lei rispose al bacio, lasciandosi andare, questa volta: aveva sempre rifiutato di farlo con Jude, di concedersi solo per capriccio, ma sentiva che quello sarebbe stato il momento giusto. Il figlio di Eris la toccava come se avesse avuto paura di romperla, togliendole i vestiti in maniera dolce e gentile.
Continuò a baciarla, sulle labbra, sul collo, scendendo sempre più giù, seguendo la linea della colonna vertebrale. Finirono a terra, fra i gemiti di piacere e lo sguardo carbonizzato ed oscuro di Orfeo; le malie dell'amore si insinuvano pian piano nella testa di Amber, quell'amore che aveva sempre temuto, ripudiato per via di suo padre.
Jude si fermò, guardandola negli occhi. Senza maglietta era ancora più attraente. - Lo vuoi davvero? - le chiese, mentre le annuiva, strappandogli altri baci. - Potrei averti tradito, sai. -
Amber sorrise, quel sorriso enigmatico che aveva ereditato dal padre. - E con chi, sentiamo? - domandò. Gli toccò i capezzoli con lussuria, la voce di Eros che era ormai lontana nei suoi ricordi.
- Theodore Bouchard, il figlio di Afrodite. - spiegò, indicandogli due punti rossi e cicatricizzarti sulle sue cosce; poi fece scorrere le dita di Amber sul segno di denti che aveva sul suo collo, cosa che lei non aveva notato. - Credo mi abbia stregato. -
La figlia di Eros sorrise, completamente caduta nell'oblio più oscuro: si alzò a mezzobusto, lasciando che la sua pelle e quella di Jude si toccassero; erano due amanti che si erano trattenuti per troppo tempo.
In quell'istante Amber apriva le sue braccia da Vergine di ferro, senza che però Jude si ferisse; i loro visi si specchiavano l'uno nell'altro, pieni di speranza e di rabbia. - Pagherà anche lui, Jude. - gli sussurrò, attirandolo verso di sé per baciarlo. Poi armeggiò con i bottoni dei suoi jeans. - Gli taglieremo la testa. -
 
 
 
 
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♔ King says: Ask me 
 
 
Hello there, what's up?
Si, sono ancora io (?) e sono qui con il decimo capitolo di Heaven Knows, capitolo dove abbiamo finalmente un po' di rivelazioni, soprattutto su ciò che vuole fare la cosa  c: Eh, ditelo che adesso siete curiosi di sapere cosa accadrà, dai u.u
Ho deciso di aggiornare oggi  per farvi contenti. Siete i miei pimpi belli, meritate questo ed altro! <3 (Grazie per le bellissime recensioni che lasciate, risponderò prima o poi, promesso!)
A Natale andrò in vacanza, quindi non avrò proprio tempo di scrivere, quindi, per questo motivo, l'ultimo aggiornamento del 2015 è previsto per il giorno 23 Dicembre c: No, non avete letto male, è proprio l'antivigilia della vigilia di Natale (?) più contorto di così non poteva uscire AHAHAHAH e sarà il mio regalo per voi!
Ehm, purtroppo temo che dopo aver terminato di leggere il prossimo capitolo mi vogliate uccidere, ma questo è un problema che affronteremo in seguito :') somebody is gonna die
Passiamo alle tante domande che vi frullano per la testa, vi va?


► In questo capitolo vediamo meglio Amber Martin (winteriscoming -fatti sentire please-), la nostra Vergine di Ferro.
Leggendo le recensioni a molti di voi non era piaciuta, visto che sembrava superficiale e anche un po' troppo scontata, come personaggio. Dopo aver letto questo capitolo, invece, l'avete rivalutata? Come si sembra, bella, buona, sana polenta valsugana?
Ok, perdonatemi questo piccolo attimo di follia, ok? AHAHAHAH Dicevo, abbiamo visto un po' meglio Amber, la sua storia; abbiamo scoperto che suo padre aveva intenzione di ucciderla, per conto di tutti gli altri dei, e lo avrebbe fatto, se non fosse arrivato Jude. sempre nel posto giusto al momento giusto, il ragazzo
Dai, non sono tanto carini insieme? Entrambi così pieni di rancore, con una tragica storia alle spalle, due simili che si cercano nel mare di atrocità che sono costretti a vivere. Come chiamereste la ship, Judember (*^*), Ambude? Fatemi sapere c:


► Non ditemi che vi eravate bevuti la storia che la cosa effettuasse degli esperimenti sui semidei solo perché gli andava così. Lol, no AHAHAHAH In questo capitolo scopriamo che sta cercando i cinque arché primordiali su cui si fonda il mondo da millenni: posso dirvi, visto che sono tanto magnanimo (?), che due già li conoscete, e sono Elpis (speranza) e il nostro stronzissimo dio Tartaro (caos) che abbiamo visto in Immortals.
{ Ho deciso di collegare le storie per cercare di realizzare un progetto unico, bello ed accattivante. Spero che l'idea vi piaccia! }
Bene, dicevo che Amber e Jude stanno cercando, per conto della cosa, questi arché: secondo voi chi è la bestia di cui parla la stessa Amber guardandosi allo specchio? Cosa nasconde la Vergine di ferro, fra le sue lame affilate?
Additate lei, come stronza, visto che vuole distruggere il Campo Mezzosangue AHAHAHAH Io non centro niente, ok?
Orfeo, poraccio AHAHAHAHAH Cioè, l'ho bruciato vivo. Sono troppo sadico, troppo troppo troppo, però devo dire che non mi dispiace, guys; l'ho sempre visto come un reietto, sorriatemi u.u
Nel prossimo capitolo si preannunciano scintille, non trovate? Ne vedremo delle belle, promesso, tanto sangue e anche una nuova coppietta! Scopriremo anche un piccolo segreto di Theo, se riesco ad inserirlo per bene!
Eh niente, credo di aver concluso a momenti l'angolo autore è più lungo del capitolo stesso, ma fa niente c: Concludo dicendo che TUTTI i personaggi saranno inseriti, chi più, chi meno, ma appariranno tutti e molti verranno introdotti/approfonditi nella seconda parte della storia; quindi non disperate, non me li sono dimenticati, ok? :')
Alla prossima, miei fedeli sudditi ♥
 
 
King. 


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Soon on Heaven Knows: Nick ♠ Automa Difettoso
 
 
  
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