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Autore: Lady Aquaria    17/12/2015    1 recensioni
"La verità è che io faccio fatica a non pensarci, alla fine mi sono arreso. Ho smesso di provare a liberarmi un po' la testa ma non riesco perché lei c'è. C'è sempre. Con il suo sorriso e i suoi occhi, perfino col suo caratteraccio. E quando non c'è la cerco. La cerco in casa, a Rodorio, la cerco nelle canzoni dei Kiss che ho imparato ad apprezzare e dentro le frasi dei pochi libri che ha letto qui. E sai cosa? C'è ancora. E' ancora dappertutto. L'ho cacciata, ma non riesco a levarmela dalla testa."
E tutto questo, a partire da quel giorno al Goro-Ho.
Genere: Fluff, Romantico, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Aquarius Camus, Nuovo Personaggio, Un po' tutti
Note: Missing Moments, OOC | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Le vie del Destino'
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24 prequel
24.
Distance.
Don’t you wish you were?
Don’t you wish I was?
Something more than mystery to uncover
Don’t you wish I was?
Don’t you wish we were?
Lovers without distance from each other
And I had wished you were
And I had wished we were
Lovers without distance, distance from each other
[Neverending White Lights - Distance]
 
La neve, col suo odore di ghiaccio e infinito, aveva coperto muschi e gelsomini. Gli spiazzi erbosi erano ammantati di bianco, i corsi d'acqua erano quasi immobili nella staticità del gelo e le immense risaie a terrazzo attendevano la primavera e una nuova semina.
Il cielo era niveo e carico della neve che presto sarebbe caduta ancora su quelle terre.
Il giardino di Mei, come tutto il resto, era sottomesso alla morsa del freddo, fatta eccezione per l'erica che cresceva lungo il perimetro della pagoda e per qualche elleboro.
Aveva pensato a lungo nelle ultime due notti, incapace di chiudere occhio. Aveva rimuginato, riflettuto, pianto. Aveva gridato la sua rabbia fino a seccarsi la gola, il cuore in tempesta.
Aveva maledetto il suo nome e costretto l'intero Santuario in una morsa di atroce gelo al quale nessuno dei suoi compagni d'armi era abituato.
 
"Per ridurre il Santuario in questo stato, proprio tu che abitualmente sei una persona responsabile e quieta, dev'esserti successo qualcosa di grave." gli aveva chiesto Ares, dopo averlo convocato al tredicesimo tempio. Si era domandato quanto sapesse il Grande Sacerdote di sua figlia. Aphrodite, senza dubbio, doveva averlo già messo a conoscenza di quel piccolo particolare.
"Non accadrà mai più." aveva risposto senza aggiungere altro.
"Ti concedo il permesso di recarti in Cina a sistemare i tuoi affari."
"Grazie."
"A guerra finita, tuttavia, discuteremo circa un certo problema, e tu sai a che cosa alludo."
 
Inspirò a pieni polmoni l'aria fredda, cercando di trarre quanto più coraggio possibile dal gelo che lo circondava e si apprestò a entrare nella pagoda, trovandosi di fronte Dohko.
"Maestro." lo salutò, inchinandosi in segno di rispetto.
"Entra, Camus."
"...preferisco aspettarla qui."
"Entra." ripeté Dohko.
Obbedì senza ulteriori indugi; all'interno non era cambiato niente dall'ultima volta, salvo forse le tracce della presenza di un neonato in casa, a partire dalla carrozzina parcheggiata in un angolo, nei pressi del camino.
"Mei è uscita con Shunrei, torneranno a breve. Accomodati. Ti piace il tè?"
"Non sono venuto per fare quattro chiacchiere davanti a tè e biscotti."
"Sì, so bene che il tuo obiettivo è un altro. Ma finché Mei non ritorna, dovrai accontentarti di questo povero vecchio." rispose Dohko, paziente, posando due tazze sul tavolo.
Il tè che Dohko gli stava offrendo odorava di terra. E pioggia. Terra bagnata: un odore insolito per un tè.
Tuttavia, per educazione e per non offendere il proprio ospite, bevve un sorso, facendo involontariamente una smorfia.
"Ha un gusto atroce, non è vero?"
Camus accennò appena un sorriso.
"...è... particolare."
"Ha un brutto sapore, puoi anche dirlo, non mi offendo. Il Pu-Erh è così: il primo impatto ha lo stesso effetto di un uppercut al mento, ti destabilizza. Ma al di là del brutto sapore, è un tè che controlla il colesterolo, mantiene l'equilibrio tra Yin e Yang e... beh, lenisce le ferite."
"...non sono ferito."
"Non nel corpo." rispose Dohko, sibillino. "Bevi. Ti accorgerai che non è poi così male."
Al primo sorso ne seguì un altro, ma cos'avrebbe dovuto sentire? In quel momento per lui non era altro che un tè strano.
"Va meglio?"
Annuì appena, per educazione.
"E' un po' come certe persone, non credi? Ti destabilizzano, ma alla fine non sono così male come credevi. Tieni, mangia qualcosa e lascia perdere il tè, il mio buon vecchio amico Shion, che ai nostri tempi mi fece scoprire questo tè, non si offenderà di certo. Dici di non essere ferito, eppure sento la tua rabbia. La sento da giorni."
Bastasse una tazza di tè dal gusto discutibile a farmi passare le ferite dell'animo...
"Cercherete di trattenermi?"
"Non ne sarei in grado."
"Allora non vorrete dirmi che adesso mi farete uno di quei discorsi da padre preoccupato?"
"Tu lo vorresti?"
"No."
"No. Non ti farò alcun discorso, anche perché hai ogni diritto ad essere arrabbiato."
"Almeno lo riconoscete."
Dohko sorrise mesto.
"Al posto tuo sarei arrabbiato anche io, non posso certo negarlo. Ma devo avvertirti che comprendo anche il punto di vista di Mei. Non ti farò alcuna predica perché so che sei un ragazzo giudizioso."
Camus percepì chiaramente il ma in sospeso. Ma Dohko non proseguì il suo discorso.
 
*
 
Di ritorno dal mercato insieme a Shunrei, Mei provava una strana inquietudine che tentava in tutti i modi di dissipare per non trasmettere malumore alla neonata che dormiva placida nella sua fascia.
"Non avrei dovuto chiederti di accompagnarmi al mercato." si scusò Shunrei, ricordando ancora le occhiate e le parole maligne che avevano seguito Mei lungo tutto il percorso tra le bancarelle. "La prossima volta cercherò di sbrigarmela da sola."
Gli sguardi duri e maligni e le parole cariche di veleno della gente erano arrivati non appena avevano visto la bambina stretta al suo petto: aveva coperto Lixue in tutti i modi possibili per impedire a quei villici ignoranti e bigotti di vederla. Se volevano offendere lei, liberi di farlo, ma la sua bambina no.
"La gente ha sempre bisogno di sparlare, Shunrei, e il più delle volte lo fa per sfuggire qualche istante alla vita miserabile che li perseguita dalla nascita e che li perseguiterà fino alla morte. L'anno scorso è toccato a Jung-Sook e l'anno prossimo probabilmente toccherà a Feng Lu o qualunque altra ragazza del villaggio. Quest'anno è stato il mio turno. Che parlino pure, prima o poi la cosa scemerà e cominceranno a parlare d'altro. In ogni caso ti ringrazio per avermi convinta a uscire. Se fossi rimasta ancora a lungo in quella camera, sarei impazzita." sorrise a Shunrei, grata. La ragazzina si offrì di tenerle la bambina, ma diniegò, fermandosi di scatto.
Lui.
Sapeva che prima o poi sarebbe tornato, gliel'aveva promesso qualche sera prima, e sapeva anche con assoluta certezza che quell'incontro non sarebbe stato facile, per nessuno dei due: l'aveva sentito, il suo Cosmo, espandersi preda della rabbia. Una furia cieca, che non aveva mai percepito in lui. E allora aveva sentito il proprio stomaco serrarsi in una morsa di paura, ben sapendo che quella rabbia, prima o poi, le si sarebbe rovesciata addosso con tutta la sua potenza.
Ed eccola, infatti.

"L'hai sentito?"
Ovviamente.

"Cosa facciamo?"
"Tu, niente. Per quanto mi riguarda farò ciò che avrei dovuto fare già tempo fa: affrontarlo."
Aveva temuto e bramato quell'incontro al tempo stesso, consapevole che non sarebbe stata una passeggiata. A poche decine di metri dalla pagoda, lo vide.
"Resto con te."
No, non c'era alcun bisogno di aiuto, era una cosa che poteva e doveva fare da sola.
"Bonjour." lo salutò, facendolo trasalire. Il suo sguardo blu si focalizzò prima su di lei, poi su Lixue, che aveva sistemato in una fascia porta bebè, stretta al seno, al caldo sotto diversi strati di vestiti.
"Ciao." le rispose, con una voce così gelida che la fece rabbrividire.

Non sapeva cosa fare, non osò muoversi.
"Qual buon vento ti porta? La Siberia è qualche chilometro più in su." scherzò, cercando di stemperare la tensione. "Hai sbagliato rotta?"
"No." era proprio quella la sua destinazione "Mei, ho la faccia di uno che vuole scherzare?"
Decisamente no.
Camus allungò la mano, scostando la mantella e le maglie di Mei che proteggevano la bambina dal freddo, guardandola con uno sguardo indecifrabile.

"Seguimi, dobbiamo parlare"
"Ah, ça va sans dire!" le rispose, a denti stretti.
Lo superò, avvertendo il suo sguardo penetrante su di sé.
"Stai tranquillo, sono capace da me di portare un sacchetto." diniegò, non appena Camus tentò di prenderle di mano il sacchetto della spesa.
Appena in casa, posò la borsa sul tavolo, preparandosi mentalmente alla discussione, mentre Camus guardava Shunrei e Dohko, invitandoli silenziosamente a uscire.
"Vi lascio soli." esordì Dohko, incrociando l'espressione di Camus. "Shunrei, c'è ancora tempo per preparare la cena, cara. Hanno parecchio di cui parlare."
Non appena soli, Camus chiuse la porta che comunicava con la stanza principale della casa dietro di sé, mentre Mei slegava la fascia che tratteneva Lixue.
"So che sei arrabbiato." esordì, con una pessima scelta di parole. "Ma per favore, cerca di capirmi."
"Con che coraggio mi dici una cosa del genere?"
Come rispondergli? Aveva ragione.
Tacque, posandogli delicatamente la bambina fra le sue braccia. Lo vide sgranare gli occhi, trattando la piccola come un oggetto di cristallo pronto a infrangersi da un momento all'altro.
"Puoi stringerla se vuoi. Non si romperà." gli sussurrò. "Appoggia la sua testa contro il tuo cuore, i suoi battiti la terranno calma."
Non le rispose, limitandosi ad arrossire e a sedersi su una poltrona, sentendosi cedere.
...ha i tuoi stessi capelli e, parola mia, pare averti rubato il volto. E' la tua miniatura, credimi.
I capelli, invero, erano più scuri dei suoi, viravano verso un intenso rosso ciliegia e... aveva ragione Aphrodite, era la sua copia.
"Come si chiama?" le domandò, gelido.
"Lixue Aimée. Il suo nome cinese significa neve graziosa." spiegò, trasalendo.
Un nome scelto non a caso. La neve era legata al freddo e quindi, indirettamente, Mei aveva voluto dare alla bimba un legame con lui, che di quell'elemento era padrone.
"Non ti perdonerò mai per quello che mi hai fatto." sibilò, con un tono carico d'accuse. "Perché non ne sapevo nulla? Ho saputo di lei per caso, maledizione. Per caso."
Si sentì tremendamente in colpa, ma a che cosa potevano mai servire, i suoi sensi di colpa, in casi come quello? A niente. Non si poteva tornare indietro.
"Non ti è mai passato per l'anticamera del cervello che forse avrei dovuto saperlo?"
"Ci ho pensato, credimi."
"NON MENTIRMI! Avrei potuto fare qualcosa. Non avevi il diritto di tenermi all'oscuro di una cosa di questa importanza!"
E cosa avrebbe potuto fare, ad esempio? Avrebbe dovuto dargli anche la soddisfazione di vederla strisciare ai suoi piedi chiedendo aiuto, magari?
"Hai già fatto abbastanza, direi. Sono indipendente e so cavarmela da sola. Non ci serve niente." disse, sulla difensiva.
Camus parve faticare a trattenersi; se ne accorse dal Cosmo, che iniziava ad agitarsi e che teneva a freno a fatica, per non nuocere a Lixue.
"Mei, questa bambina è anche mia figlia. Ho i tuoi stessi doveri e diritti nei suoi confronti."
Diritti?
Quali diritti andava vantando?
"Hey, aspetta un po' prima di accampare diritti su di lei." sbottò Mei. "Tu non hai alcun diritto sulla mia bambina."
"Sono suo padre." sibilò Camus, rabbioso, con una luce carica di rabbia negli occhi.
"Aver dato un po' di seme non ti rende automaticamente padre."
"Vuoi davvero avventurarti per questo discorso? Quello che avrei da dirti potrebbe non piacerti."
La guardò con uno sguardo che sì trasudava risentimento, ma che nascondeva altro sotto.
Vi lesse determinazione, e non le piacque affatto.
Quando i suoi occhi tornarono a posarsi sulla bambina, tornarono a essere dolci, come se li ricordava. Guardava Lixue come per imprimersi nella mente ogni lineamento, ogni singolo dettaglio.
"Hai ragione." convenne lui, dopo diversi minuti. "Si diventa padre quando senti la tua creatura nel ventre di sua madre, quando la vedi nascere, quando senti il suo respiro regolare nel sonno. Quando ti prendi cura di lei."
Capì d'avergli elargito una cattiveria del tutto gratuita e ingiustificata quando sentì quelle parole, pronunciate con una freddezza insolita.
"Si diventa padre quando hai la possibilità di crescere la tua creatura. Hai ragione. Peccato che tutto questo mi sia stato precluso." sibilò Camus. "Perché tu me l'hai impedito."
"…"
"E ora ho tutte le intenzioni di rimediare al tempo perso a causa tua." si alzò dopo tanti, troppi interminabili minuti, la piccola ancora stretta tra le braccia, e le voltò le spalle.
Quello che aveva detto DeathMask di sicuro non le sarebbe piaciuto così come non era piaciuto a lui, ma diamine, l'avrebbe usato come minaccia se Mei l'avesse portato all'esasperazione come stava facendo.
"Al posto tuo le porterei via la marmocchia." aveva detto DeathMask, con una naturalezza che gli aveva messo i brividi addosso. "Hai detto di essere suo padre, no? Ammesso che sia davvero così, cosa della quale dubito fortemente, hai anche tu dei diritti. Vai in Cina e te la prendi senza tante storie. Sii uomo, mostrale chi comanda."
"E per mostrarle chi comanda, dovrebbe portarle via la bambina? Non hanno tutti i torti se ti definiscono mostro." aveva obiettato Aphrodite.
DeathMask aveva fatto spallucce, ridendo di gusto.
"Sai che m'importa? L'odio degli altri mi rende potente e orgoglioso." aveva replicato. "Porti la marmocchia qui e la dai in mano a un paio di balie, poi impedisci alla strega di vederla, fine della storia. Così impara ad avere rispetto per gli altri, ad avere rispetto per il suo uomo."
"Sei un essere rivoltante." aveva infine trovato la forza di dirgli, superato il disgusto iniziale.
In un paio di occasioni, dovette ammettere a sé stesso, aveva anche pensato di farlo, quando la rabbia aveva raggiunto picchi estremi. Ma... ad esser sincero non avrebbe mai potuto fare una cosa del genere, non era una persona così spregevole da strappare un bambino dalle braccia di sua madre, non quando lui e Joséphine avevano subito la stessa sorte. E poi... beh, non avrebbe mai fatto del male a Mei.
Quasi come se gli avesse letto nel pensiero, Mei assottigliò lo sguardo.
"E quindi, che cos'hai intenzione di fare? Parla pure liberamente, non trattenerti." lo esortò. "Credi davvero di poterti prendere mia figlia e portarla via? Credi che te lo lascerei fare?"
La guardò da sopra la spalla con aria di sfida sogghignando appena.
"Ci sto pensando sai? In effetti potrei prendere un paio di attendenti e lasciarla alle loro cure, durante le mie assenze." le rispose, con una calma che la fece rabbrividire. "Mais tu n'a pas d'avoir peur, ma petite, mes absences ne seront pas trop nombreuses. Potrei avere la possibilità di averla con me tutti i giorni e di vederla crescere. Potrei cullarla la notte, se dovesse fare dei brutti sogni: mais tu ne feras pas des cauchemars, parce que je vais te garder de tous les cauchemars du monde. Potrei portarla a Kobotec, crescerla nella mia isba o a Parigi, educarla secondo i miei principi et je t'enseignerai à parler le russe et à patiner. Ma non preoccuparti, naturalmente le parlerò anche di te, a tempo debito, quando chiederà di sua madre."
Rabbrividì sul serio, ancora confusa da quelle frasi che Camus aveva volutamente pronunciato in francese e che non aveva compreso, guardando istintivamente Lixue ancora stretta tra le sue braccia: si rese improvvisamente conto che avrebbe potuto farlo davvero, anche in quel momento, sparire con sua figlia e impedirle ogni contatto futuro.
Che cosa le avrebbe raccontato, parlando di lei?
Le avrebbe costruito intorno un castello di menzogne, dicendole che sua madre l'aveva abbandonata o, nel migliore dei casi, che era morta.
Si rese conto che sua figlia, la sua amata bambina, quella stessa creatura per la quale aveva lottato con tutte le forze, non avrebbe avuto neanche un ricordo di lei.
"E che cosa le racconterai, che l'ho abbandonata o che sono morta?"
"Ah non lo so. Potrei dirle che sei morta. In un certo senso per me lo sei."
"Non oseresti." replicò in un fil di voce, sentendo il cuore saltare qualche battito e ignorando lo strappo che l'ultima frase aveva fatto nella sua anima.
"Scommettiamo?"
Avvertì le ginocchia cedere, ma mai si sarebbe prostrata supplice davanti a lui.
"So perfettamente che contro di te non avrei neanche una possibilità di farcela, potresti uccidermi in qualunque istante con una minima mossa." disse. "Ma sbagli se pensi di poter avere vita facile. Potrai prenderti la mia bambina solo dopo avermi uccisa, e sono pronta a lottare e a vendere cara la mia pelle per lei."
Sogghignò come divertito dalle sue parole, conscio di avere la situazione dalla sua parte.
Che cosa farò, se dovesse davvero portarsi via Lixue?
"E che cosa potresti fare? Niente, l'hai detto tu stessa. Potrei fartela pagare cara per il resto dei tuoi giorni. Potrei allungare la mano e chiuderla sulla tua gola fino a soffocarti, come ho minacciato di fare quando ho scoperto questo tiro mancino. E la sola ragione per cui non lo faccio è qui, tra le mie braccia, perché non voglio assolutamente che mia figlia subisca quanto ho subito io. E' solo per lei che non ti farò nulla. Perché non voglio renderla orfana."
Spaventata, brandì il cellulare che fino a quel momento era rimasto sul tavolo e glielo mostrò.
"Ho registrato tutto!"
"... dunque?" quasi le rise in faccia. "Io avrei il Grande Sacerdote dalla mia parte, ricordatelo."
Il silenzio che seguì quelle parole, unito alla tensione, crearono un'atmosfera insostenibile.
E se avesse lasciato da parte l'orgoglio, lo stesso che aveva portato Camus e lei a quel punto?
L'orgoglio annienta ogni cosa.
"Non portarmela via." mormorò a un certo punto, suonando patetica persino alle sue orecchie.
Lixue gli strinse un dito, guardandolo con gli occhi spalancati, e lui ricambiò con altrettanta intensità quello sguardo.
"Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te."
"Non farmi questo."
"E tu cos'hai fatto a me?" replicò Camus. "Se al posto mio ci fosse stato DeathMask, a quest'ora la tua testa farebbe compagnia alle altre nella quarta casa e la bambina finirebbe in mano a chissà chi. Quell'essere spregevole dice che sarebbe la giusta punizione per quello che mi hai fatto."
Cos'avrebbe potuto fare per impedirgli di portare via Lixue? Niente. Nessuno le avrebbe permesso di tornare al Santuario e di rivederla, assolutamente nessuno.
"Ti prego non portarla via, ho lottato tanto per averla." lo implorò infine, la voce rotta. "E' la sola cosa che mi rimane di..."
... di te.
La sentì singhiozzare appena, agitata e terrorizzata. Serrò gli occhi, scuotendo la testa.
"Quanto vorrei davvero essere un gelido bastardo senza cuore: mi risparmierei tante sofferenze." mormorò, facendole capire che quello di poco prima era stato solo un bluff. Avvicinò la piccina al volto, ne inspirò il profumo, quindi la posò tra le braccia di sua madre prima di elargirle una lunga carezza sulla testa. Gli si strinse il cuore quando la vide, tremante, stringersi la neonata al petto. Scostò una sedia dal tavolo e la indusse gentilmente a sedersi, prima che potesse crollare in terra da un momento all'altro, quindi si accovacciò di fronte a lei.
"Ascolta, ora la poserò là dentro, d'accordo? Devo parlarti." in risposta ottenne solo un singhiozzo più forte, ma aveva bisogno di parlarle.
Come le aveva detto, prese gentilmente Lixue dalle sue braccia e la sistemò nella carrozzina, quindi le prestò di nuovo attenzione.
"Non mi crederai, eppure non ti farei mai una cosa del genere." le disse. "Guardami, Mei."
Lo fece, dopo diversi istanti, gli occhi rossi.
"Preferirei morire piuttosto che farti del male." aggiunse Camus. "Continuo ad amarti troppo per ferirti come tu hai fatto con me."
"E tu pensi davvero che sia stato facile per me nasconderti Lixue?" mormorò Mei. "Sapere che avrei potuto chiamarti in qualunque momento per avvisarti e allo stesso tempo impedirti di umiliarmi ancora? Avrei dovuto farlo, è questo che avresti voluto? Vedermi supplice ai tuoi piedi implorando il tuo aiuto dopo quello che è successo? Questi mesi non sono stati facili per me."
"Oh, invece per me è stato come bere un bicchier d'acqua." le rispose.
"Come facevo a immaginare il contrario? L'ultima immagine che ho di te è quella di un dannato codardo che dopo essersi divertito per bene con una ragazza, si accorge di non avere più alcun motivo per tenerla con sé e le volta le spalle mentre l'amico la riporta a casa." proseguì Mei, stanca. "Ma del resto non posso darti alcuna colpa, tu hai semplicemente preso quel che ti veniva offerto… se non lo prendevi da me, l'avresti preso da qualcun'altra.  Ma hai trovato la povera campagnola che si è concessa così, dopo neanche dieci giorni e quindi…"
Camus scosse la testa.
"Però, che gran considerazione hai per me e per la nostra storia."
"Storia? Come dicono i ragazzi del villaggio, per te è stata una botta e via."
"Nessuno conosce i nostri trascorsi meglio di noi. E poi, come ti permetti a sminuire e calpestare quel che provo per te? La mia non è stata una scelta facile! Ti accorgerai presto, molto presto, che le scelte di un uomo nella mia posizione non sono mai facili. E tu non hai alcun diritto di trattarmi come se fossi un gran mucchio di letame!" disse Camus, alzando involontariamente la voce che s'incrinò suo malgrado in più punti, prendendole il volto tra le mani e guardandola dritta negli occhi. "Oddio, come siamo arrivati a questo?... è vero, sono furioso con te, avrei dovuto sapere della gravidanza, avrei dovuto e voluto prendere le mie responsabilità e sono così arrabbiato che potrei congelarti viva, ma non potrei mai portarti via nostra figlia. Hai capito? Ci sarà un momento nel quale capirai tutto quanto, nel quale capirai che ti ho amata, e ti amo, in una maniera inspiegabile a parole, nel quale capirai che la nostra storia per me è importante. E forse sarà troppo tardi, per entrambi."
"E che cosa avrei dovuto pensare? Sono stata male per settimane intere, non facevo che pensare a te, a quelle parole... e poi è arrivata la gravidanza, non avevo nessuna idea sul da farsi e... non ti ho detto niente perché..."
La tirò a sé, stringendola.
"Tu parli così perché non sai come sto senza te. Non puoi capire cosa vuol dire svegliarmi la mattina senza i tuoi occhi e senza la tua voce. Non puoi capire quanto male fa ogni tuo abbraccio o bacio mancato. Non lo sai quanto può esser vuota una giornata senza sentirti ridere. E' difficile. Ma è colpa mia, perché non mi basta pensarti, non sono bravo a vivere come prima, come quando non ti conoscevo. Perché sei tu, è il tuo profumo perché è il tuo sorriso quello che mi manca. Io senza non ce la faccio, e tu non puoi capirmi, lo so."
"Che cos'hai detto?"
Qualcosa che non poteva permettersi di provare.
 
*
 
"Camus, grazie al cielo sei tornato in tempo."
"...niente paura, non era mia intenzione disertare." replicò, ironico.
Milo sbuffò.
"Proprio il momento giusto per scherzare, eh. Ares ha imposto il coprifuoco."
"Lui... cosa?!"
Gli spiegò che Ares aveva avuto informazioni in merito a cinque bronze Saint diretti verso il Santuario e che, per ragioni di sicurezza, nessuno di loro era più autorizzato a lasciare le proprie case.
"... e le ancelle sono state scortate fino a Rodorio, alle loro abitazioni." concluse Milo.
"Sì, proprio una gran rottura di palle." berciò DeathMask, spegnendo la sigaretta che stava fumando. "Così adesso mi toccherà cucinare e stirare."
"...il che significa" interloquì qualcuno "che voi tre dovreste essere nelle vostre case. Nessuno entra e nessuno esce dal Santuario fino a nuovo ordine."
Tre paia d'occhi si posarono immediatamente sul soldato che aveva parlato: uno sbarbatello che non doveva avere più di quindici anni, probabilmente una delle nuove reclute.
"Ehi, ragazzino. Con chi minchia credi di parlare? Con tuo fratello?"
"Spero che le nuove reclute non siano tutte così intraprendenti o al luogotenente di Ares toccherà addestrarne a centinaia..." mormorò Milo, quando vide DeathMask avvicinarsi alla guardia.
Camus scosse la testa, avviandosi verso casa, cercando in tutti i modi di ignorare il ragazzo che aveva iniziato a implorare pietà.
"Dì qualcosa, parla. Non voglio sentire le urla che seguiranno." disse a Milo, accelerando il passo. L'altro si schiarì la voce, raggiungendolo.
"Sei stato fuori tanto tempo, dove sei stato?"
"Secondo te?"
"Oh. E l'hai vista, dunque. Cos'hai fatto?"
"Le ho detto tutto quello che pensavo. Le ho vomitato addosso tutta la rabbia che provavo, ogni cosa. L'ho minacciata di portarle via la bambina fino a farla piangere. Ecco che cos'ho fatto." gli rispose. "E so di aver sbagliato, non c'è bisogno che tu me lo dica."
"E Mei?"
"Beh... mi ha risposto per le rime, almeno, fino a un certo punto. Abbiamo parlato. Le ho detto che cosa provo esattamente per lei ma naturalmente non mi ha compreso, dato che ho parlato in francese. Ci siamo abbracciati. L'ho stretta un'ultima volta ed eccomi qua."
"Sento che c'è qualcosa che non va, laggiù. Ares non è chi dice di essere, quell'uomo nasconde qualcosa. Stai attento."
"Qualunque siano i tuoi dubbi, non farne mai parola con nessuno. Mai."
"Non dev'essere stato facile."
Ovviamente no. Nel giro di poco era passato attraverso emozioni così contrastanti tra loro, che l'avevano svuotato. Si sentiva molto più che stanco.
"C'era anche suo fratello?"
Ora che ci pensava, non ricordava di averlo visto. Conoscendolo, l'avrebbe sicuramente apostrofato, eppure nonostante il Cosmo attivo, di Shiryu neanche l'ombra: al Goro-Ho c'erano solo l'anziano Dohko e le due donne.
"...no. E spero che non sia tra i cinque che stanno arrivando qui."
"Beh, almeno l'hai evitato."
Shiryu era il minore dei suoi problemi, a dirla tutta. Da quella mattina il suo chiodo fisso era ciò che gli aveva detto Ares, riguardo al problema e cioè sua figlia, sul quale discutere.
"Milo, devo chiederti un favore."
"Dimmi."
"E' una cosa seria ed è di vitale importanza per me, e te lo chiedo perché non mi fido di nessuno, solo di te." mormorò Camus. "Ares ha fatto strane allusioni riguardo mia figlia. Se per qualche ragione non dovessi essere in grado di proteggere lei e sua madre, fallo tu al mio posto. Trova loro un posto sicuro per tenerle lontane da Ares. Fai qualunque cosa, ma non lasciarle nelle sue mani."
Milo non riusciva a spiegarsi il perché di tanto interesse verso la bambina, tuttavia annuì.
"Certo. Con ogni mezzo, anche quelli illegali. Farò tutto il possibile."
 
Nel silenzio inquietante di quella sera, denso di tensione, Camus si trovò a vagare, silenzioso, nell'undicesima casa, ancora una volta in compagnia dei suoi pensieri.
Su cinquantadue bronze Saint quante possibilità c'erano che tra i cinque in arrivo ci fosse anche Shiryu?
Doveva sistemare un paio di faccende prima di affrontare qualunque cosa, e Lixue e sua madre erano le più importanti della lista.
 
***
 
Lady Aquaria's corner
Buon cielo quanto tempo è passato dall'ultimo capitolo... dunque, spero di rimettermi in pari anche con la principale, ormai i capitoli da rivedere sono pochissimi, grazie al cielo.
Tornando a questo...
-Camus, mentre parla con Mei dei suoi ipotetici progetti, si rivolge a sua figlia in francese, di proposito. Per stabilire un primo contatto privato con sua figlia, qualcosa che sia soltanto loro, e per escludere volutamente Mei da quel momento.
Augurandomi che il mio francese sia quantomeno passabile, le frasi che Camus dice alla figlia sono queste:  ma non temere, piccola mia, non saranno tante // ma sicuramente non ne avrai, perché li scaccerò tutti // ti insegnerò il russo e t'insegnerò a pattinare.
-Il Pu-Erh è un particolare tè dello Yunnan, dal gusto insolito.
-L'uppercut, o montante, è un colpo del pugilato.
-L'orgoglio annienta ogni cosa, aforisma attribuito a Madre Teresa.
-Non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te: etica della reciprocità, concetto espresso praticamente in tutte le religioni, islam, cristianesimo, confucianesimo, antica Roma, antica Grecia...
-Le parole che Camus dice a Mei poco prima di tornare al Santuario le ho trovate (e riadattate) da una nota su una pagina Facebook che però, al momento della stesura di queste note, non trovo più. Qualora le trovassi, editerò questa nota.
 
Mi scuso per il ritardo col quale rispondo alle recensioni, ma il tempo è quel che è e sicuramente la mia non è svogliatezza, anzi. Vi ringrazio come sempre.
 
Lady Aquaria
   
 
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