Dea
Bianca
Per
qualsiasi ragione al mondo,
Hans non si doveva voltare.
«Coraggio»
si disse il giovane,
continuando a seguire lo stretto sentiero fangoso che si inerpicava tra
le
colline, cercando di ignorare quella voce, quel sussurro dolcissimo che
proveniva dalle sue spalle, quella voce divina più invitante
di un’amante che
sussurra il nome dell’amato prima di un bacio.
«Il
villaggio è vicino…» Hans
accelerò il passo, sentendo rivoli caldi di sudore
scendergli lungo tutto il
corpo, mentre quel richiamo si faceva sempre più intenso:
una lingua
sconosciuta, parole senza senso, argentee, estranee eppure famigliari.
Voltati
Hans.
«No!»
gridò lui, coprendosi le
orecchie «No, no no!»
Era
notte, ma il sentiero era
perfettamente visibile alla luce degli astri, sentinelle immobili e
solitarie
della sua agonia. Ma perché si era trattenuto
così tanto alla tenuta di caccia
di Elwin quel pomeriggio? Come aveva potuto essere così
stupido? Maledizione,
maledizione!
Voltati,
voltati mio amato…
Hans
aumentò l’andatura, da un
passo veloce a una leggera corsa.
Voltati,
mio prediletto, e ricevi la benedizione degli immortali.
Hans
iniziò a correre, a risalire
il sentiero che lo portava sulla cima di Picco dell’Alba con
un passo sempre
più svelto: il sangue gli stava ribollendo nelle vene, il
suo collo stava già
per voltarsi…
«No!»
Il giovane iniziò una
disperata fuga sul sentiero in salita: schivò una roccia, si
fece strada tra un
cespuglio d’erba alta, saltò una pozza
d’acqua quasi asciutta e continuò a correre, a correre, a
correre… ecco, era in
cima: le luci del
villaggio erano solo
cento metri più in basso.
Un
sorriso affiorò sulle labbra di
Hans, la sua folle corsa stava per concludersi, c’era
speranza!
Un
passo, un altro, un altro, un…
il suo piede si impigliò in qualcosa, il suo corpo si
schiantò sul terreno:
cadde di petto, il dolore esplose nel suo corpo come un colpo di mazza
ferrata.
Ruzzolò in basso, rotolando nel fango e nell’acqua
putrida e stagnante delle
piogge autunnali. Poi si fermò.
Hans
sentiva il fango appiccato
ogni dove: negli stivali, sulle guance, sulle labbra, sulle palpebre e
sulle
mani. In bocca aleggiava un sapore di sangue, terra e erba, i capelli
insozzati
e incollati alla fronte.
Apri
gli occhi.
Aprì
gli occhi. La vide.
Scintillante
come l’occhio di Dio,
splendente come argento, portale di luce su
un’infinità tenebrosa e
annichilente, messaggera di vita, rotonda e abbagliante.
Un
sorriso spaccò la faccia di
Hans: il sangue che prima ribolliva ora fremeva, danzava, premeva per
schizzare
fuori dalle vene e dalle arterie. Il suo corpo fu percorso da un
tremito, prima
caldo come l’inferno, poi freddo come la neve invernale. Gli
occhi bruciavano,
le orecchie sembravano esplodere da quanto i sussurri si
intensificavano,
diventavano litanie, grida, lamenti strazianti.
Ciò
che prima era uomo si alzò di
scatto.
«Basta!» gridò la
creatura, il suo grido fin troppo
simile a un latrato: ciò che prima era Hans ora retrocedeva
nei recessi più bui
della sua mente, scacciato da un vortice di artigli e zanne.
Il
desiderio di lotta era sempre
più debole man mano che la sua umanità svaniva,
ma Dio! Era così bello, così
potente che tutto ciò che rimaneva di Hans desiderava era
che non finisse mai.
Le orecchie pulsavano da impazzire, le braccia, le gambe, la lingua
erano tutto
un tremito incontrollato, un’esplosione di piacere, come
avere un orgasmo in
ogni singolo poro della pelle.
Quant’era
che non provava quella
sensazione? Quanto tempo era che non si abbandonava alla sua vera
natura?
Troppo, troppo! Perché resisteva ogni plenilunio,
perché non si concedeva il vero piacere
della vita?
Strappi
di tessuto, latrati, sangue
ribollente, le braccia che si allargavano, il petto sembrava dover
esplodere,
la schiena si incurvava, odore di sangue nelle narici.
Hans era sempre
più debole, più
spaventato: prima che scomparisse negli angoli più scuri
della mente,
l’immagine di una culla insanguinata e degli occhi vuoti e
morti di una
madre
furono ciò che attraversò la mente della creatura.
E
fu allora che Hans ricordò
perché.
Ma
Hans non c’era più. Hans era
nascosto e non voleva vedere.
Pelo
argentato ricopriva ogni
angolo della sua pelle, braci d’inferno erano i suoi occhi,
artigli le sue
dita, zanne i suoi denti, fame la sua paura, fame, fame, fame!
La
creatura si appoggiò sulle
quattro zampe muscolose e alzò la faccia lupina alla sua dea
splendente:
spalancò le fauci e cacciò un ululato lungo,
intenso, profondo, a cui se ne
aggiunsero altri in pochi secondi.
Le
luci del villaggio ardevano più
in basso. La creatura scattò verso le sue prede.
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Ave!
Ho scritto questo raccontino
qualche mese fa, mentre
guardavo una puntata
di Penny Dreadful, una serie TV che secondo me è bellissima
e che mi ha
ispirato per la sua atmosfera dark e le adorabili bestiole che la
popolano.
Oggi ho deciso di pubblicarla e…
niente, spero vi piaccia ^^
Se avete consigli o errori da farmi
notare e che mi sono sfuggiti, fatemi sapere!
Au revoir!